Anime & Manga > Vocaloid
Segui la storia  |       
Autore: Zenya Shiroyume    05/04/2017    5 recensioni
Si dice che ogni anno l'Inverno esaudisca i desideri di qualche fortunato individuo nel mondo, ma Len questo non lo sapeva. Non credeva a certe leggende, la sua mente era fin troppo razionale per credere a tali sciocchezze, ma quando lui apparve, non poté obiettare.
La sua vita stava andando a rotoli, la relazione con la madre stava degenerando a causa di una malattia che li stava allontanando, ma quando Lui apparve, Len sentì che non tutto andava poi così male.
Dal capitolo 2:
Un ragazzo dalla pelle quasi bianca e i capelli rossi, con in testa un secchiello da mare e un rastrello di plastica a fargli da mano destra non poteva essere reale. Poteva essere l’invenzione di uno scrittore, di un mangaka o di chiunque altro avesse una fervida immaginazione, ma Len sapeva di non avere chissà quale spiccata vena artistica da poter creare un personaggio particolare come Fukase. Eppure, quello stesso Fukase pareva conoscere Len molto più di quanto lui avesse fatto intendere dopo quella sua figuraccia, in cui il suo sedere era rimasto per quasi troppo tempo nella neve fresca.
accenni di LenxFukase
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Fukase, Gakupo Kamui, Kaito Shion, Len Kagamine
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Snowman pt. 3 finale html

Snowy Night – Last Night


Len sedeva alla sua scrivania, gli occhi puntati su quella pila di compiti fatti. Non ricordava nemmeno quanto fosse piacevole mettersi così tanto d’impegno in qualcosa: si sentiva davvero soddisfatto e fiero di sé per essere tornato in carreggiata.
Quel giorno stesso era tornato a casa appena terminate le lezioni, sul viso un’espressione così determinata che la madre non sembrava averlo riconosciuto tanto era stata la foga con cui aveva aperto la porta. Il ragazzino aveva varcato la soglia di casa come un fulmine, sfilandosi le scarpe senza nemmeno fermasi a sedere, per poi tornare dritto quasi con un saltello; era poi entrato in cucina come se fosse stato inseguito dal Diavolo in persona e aveva scoccato un bacio sulla guancia della madre, guardandola come se la litigata del giorno prima non fosse mai avvenuta. Non aveva nemmeno detto niente, semplicemente si era fiondato in casa con un’energia tale che la donna non era riuscita a capire cosa fosse appena successo. Fu come se in quella piccola abitazione a due piani si fosse insinuata una piccola tormenta di neve gialla, che aveva scombussolato qualsiasi cosa si fosse ritrovata davanti.
E non ci mise nemmeno un minuto a salire per le scale del duplex in cui viveva. Era salito per quella rampa quasi due gradini per volta, si era infilato in camera e si era chiuso la porta alle spalle. Len non si era nemmeno reso conto di tutta la forza che aveva ottenuto in poco meno di ventiquattro ore, eppure si era ritrovato chino sulla sua scrivania a studiare e finire una valanga di compiti che aveva lasciato indietro. Prima di lui, Len non si sarebbe aspettato un recupero di quel tipo, si era sentito un po’ come quei corridori che, a pochi metri dal traguardo, riuscivano a compiere quegli scatti in grado di rimetterli in pari con gli altri, riuscendo anche a sorpassarli e vincere la corsa. Un po’ come quella sensazione che aveva durante gli allenamenti del circolo di atletica leggera a cui presto sarebbe tornato.
Certo, la sua mente era sempre rivolta a Fukase, molti dei suoi appunti erano intervallati da strani schizzi prima del volto del suo magico amico, poi da disegni più semplici di qualche pupazzo di neve.
Se ne accorse, infatti, solo quando ebbe finito di studiare e rise di fronte ai suoi tentativi di disegnare Fukase: non era mai stato bravo in arte, ma una parte di sé continuava a pensare al suo pupazzo di neve. In sole poche ore, quel giovane figlio dell’Inverno era riuscito a farlo tornare sulla retta via, le sue parole lo avevano scosso talmente tanto che per un attimo ebbe l’impressione di essere stato buttato in mezzo a una tormenta di neve. Un pizzicotto sulla guancia, un paio di frasi dette nel modo giusto e Fukase era stato in grado di mettergli davanti al naso la dura verità: il suo comportamento era stato il riflesso dello stress della madre. Lui aveva semplicemente messo in chiaro quanto fosse stata sbagliata la sua reazione, tanto che Len non ebbe modo di obiettare e dire la sua. Ma, alla fine, non poteva dire comunque nulla, perché il pupazzo aveva ragione e lui torto marcio.
«Ma potrò vederlo oggi?» si chiese Len, stiracchiandosi e portandosi le mani ai capelli lasciati sciolti. Dondolava la testa e fissava, tra tutti quegli scarabocchi, quello che più di tutti somigliava a Fukase, tanto che aveva persino colorato i suoi tratti distintivi con la penna rossa. Nel suo disegnino, il pupazzo aveva gli occhi molto più grandi rispetto alla realtà, aveva il solito sorriso sprezzante e il suo cappello a cilindro, che però Len aveva rappresentato nella sua forma di secchiello da spiaggia. Anche in quello scarabocchio, aveva quell’espressione incoraggiante che Len aveva apprezzato e di cui aveva un disperato bisogno; ebbe come la sensazione di aver voluto ritrarre quel volto proprio per non dimenticare, nemmeno per un secondo, la sensazione benefica che lui era riuscito a dargli.
Poi il suo sguardo corse alla finestra e vide quel tramonto limpido, seguito di una giornata in cui il cielo era stato tutto il tempo privo di nuvole. Sorrise e si lasciò andare in una risata liberatoria, eccitato per quello che il pupazzo si sarebbe inventato al suo ritorno in piazza. Lo faceva arrabbiare, lo faceva ridere, Fukase riusciva a fargli provare talmente tante sensazioni contrastanti che non riusciva proprio a inquadrarlo.
Quando sarebbe uscito di casa? Avrebbe detto alla madre dove sarebbe andato? Alla fine, poco importava, perché sicuramente Fukase sarebbe stato là ad aspettarlo.
«Chissà cosa potrebbero dire Kaito e Gakupo se lo vedessero? Se glielo raccontassi soltanto, mi prenderebbero in giro a vita!» ridacchiò, gli occhi chiusi a pensare ai suoi due migliori amici, che in quel periodo aveva ignorato e certamente ferito.
Quella mattina era infatti riuscito a ricucire, almeno un pochino, i rapporti con quei due ragazzi: Len era arrivato a scuola con un grosso sorriso sul volto al posto di quella sua espressione mogia degli ultimi mesi, aveva preso posto accanto a Gakupo e gli aveva rivolto un’espressione raggiante. Il suo compagno di banco non poté fare a meno di guardarlo di traverso, passandosi le dita tra i lunghi capelli porpora tenuti sempre legati con un elastico, confuso da un cambio tanto repentino nell’umore di Len.
Ma il ragazzino sembrò non aver notato l’espressione perplessa dell’amico, nemmeno lo sguardo che questo aveva lanciato a Kaito come se necessitasse del suo aiuto. Come a chiedergli se il loro vecchio amico fosse stato sostituito da qualche alieno che avesse preso il suo posto.
Per tutta la durata della giornata scolastica, Len era stato di buon umore, pensando di tanto in tanto a Fukase, per poi approcciarsi di nuovo agli amici di una vita.
Il ragazzino aveva chiesto loro scusa per il suo comportamento e aveva promesso loro che sarebbe tornato quello di prima, che avrebbero di nuovo giocato ai videogiochi tutti e tre insieme e che si sarebbe dato una calmata, non solo per il bene dei due ma anche per quello della madre. Certo, la reazione dei due non fu proprio delle migliori, ma Len pensò fosse normale per loro essere abbastanza titubanti, perché dopotutto si era ripreso in modo tanto inaspettato. Ma le sue intenzioni erano buone e avrebbe fatto di tutto pur di dimostrarlo. A loro teneva davvero molto e non avrebbe permesso a una situazione del genere di allontanarli in modo irreparabile.
Dei due, Kaito era quello che aveva preso peggio il cambiamento di Len, eppure non gli ci volle molto per dare all’amico di sempre una seconda chance, tanto che quel moto di entusiasmo aveva preso sia lui, sia Gakupo. Proprio non era riuscito a tenere il broncio, Len lo aveva notato perché, come lui, anche Kaito aveva passato l’ultimo periodo con i nervi a fior di pelle: certo, lui non aveva problemi gravi in famiglia, ma semplicemente si era fatto influenzare dal comportamento dello stesso Len, andando a stressare di conseguenza il più paziente Gakupo. Per Kaito era stato un continuo lamentarsi di come Len sembrasse snobbarli, guardarli dall’alto in basso e di continue mani passate tra i corti capelli azzurri per cercare di ovviare allo stress sempre in agguato.
Alla fin fine, Len era riuscito a capire quanto potesse essere distruttivo un tale comportamento, quanto una reazione sbagliata potesse mettere in difficoltà non solo lui, ma anche le persone che aveva accanto. Se ne era accorto in tempo e a quanto pareva le cose avevano iniziato a girare per il verso giusto. Lentamente, ma verso la strada giusta.
Però ovviamente Len non aveva affatto detto loro il perché del suo mutamento improvviso, non sapeva se fosse possibile dire loro di Fukase. Però dato che le cose sembravano aver ripreso il loro corso originale, ci aveva fatto un pensierino. Kaito e Gakupo erano sempre stati due ragazzi divertenti e pieni di vita, un po’ come Fukase, e Len si era chiesto più volte, dopo aver chiesto scusa, come sarebbe stato poter giocare con tutti e tre. Magari, con loro due al suo fianco, sarebbe riuscito a battere Fukase in una battaglia a palle di neve, oppure semplicemente i tre sarebbero caduti di fronte all’invincibilità del miracoloso pupazzo di neve.
Il pensiero scatenò in Len un’altra risata liberatoria, tanto che afferrò al volo il cellulare e compose le prime cifre del numero di Kaito, proprio per invitare lui e Gakupo a vedere Fukase. Arrivato a metà, le sue dita si bloccarono.
«Ma sarà possibile condividere un miracolo?» chiese, guardando fuori dalla finestra di fronte alla sua scrivania. Il Sole, quel giorno, era stato particolarmente caldo. Insomma, una giornata non propriamente invernale, ma che un po’ rifletteva l’umore più raggiante di Len.
La domanda continuò a ronzargli per la testa per un paio di minuti, senza però riuscire a trovare una risposta. Ovviamente, come aveva ribadito Fukase, un miracolo non era fatto per durare a lungo. Era tanto più un’occasione, che qualcosa da godersi per molto tempo. E quasi sicuramente Fukase era quel tipo di miracolo che durava quanto uno schiocco di dita. Come la neve sotto al Sole.
Senza accorgersene, aveva continuato a comporre il numero dell’amico di sempre, aggiungendone forse qualcuno di troppo che avrebbe potuto cancellare per chiamarlo veramente. L’idea non era poi così malvagia, perché per quanto Fukase si fosse reso importante nella vita di Len, ovviamente non poteva prendere il posto degli amici di sempre. E condividere con loro un miracolo poteva solo fare che bene.
Cancellò i pochi numeri di troppo e si portò l’oggetto all’orecchio. Questo squillò per due volte, prima che Kaito rispondesse.
«Pronto?»
Len ridacchiò appena, sentendo la voce dell’altro impastata dal sonno, segno che Kaito si fosse appena svegliato da un riposino pomeridiano.
«Len? Che diavolo ridi?»
«Niente, scusa! Mi chiedevo cosa stessi facendo e se tu e Gakupo foste liberi.»
«Mmmh, credo di sì, non mi pare di avere impegni particolari… -uno sbadiglio interruppe la voce del ragazzo- E non credo che Gakupo sia occupato oggi.»
«Vi andrebbe di fare un giro? Dopo cena?»
Len avvertì nel tono di voce dell’altro una certa perplessità, come se non fosse convinto dell’invito del ragazzino. Dopotutto si trattava di dover uscire a notte fonda, d’inverno e con un freddo tale da rendere chiunque un ghiacciolo ambulante. Kaito riprese a mugugnare qualcosa, continui sbadigli a interrompere il filo dei suoi pensieri tanto che Len non riuscì a fare a meno di scoppiargli a ridere in faccia.
Lo prese in giro, mandandolo a dormire perché ancora troppo assonnato per riuscire a mettere in ordine le idee. L’altro ridacchiò, un po’ come facevano prima, tanto che il sonno scomparve in pochi attimi sostituito da quelle risate tipiche dei quattordicenni. Tra una risata e l’altra, finalmente Kaito riuscì a dare a Len una possibile conferma per quella sera, soprattutto se anche Gakupo si fosse rivelato libero da impegni.
Len annuì con forza, con la consapevolezza che l’altro non lo potesse vedere e lo salutò con un tono di voce fin troppo gioviale, che forse non gli apparteneva più da molto tempo.
«Beh, se non verranno, mi divertirò lo stesso con Fukase!» fece, riagganciando e lanciando il telefono sul suo quaderno di letteratura.
Con quel pensiero, Len si chinò nuovamente sulla sua scrivania, con la penna in mano e tanta buona volontà. Ciò che aveva fatto Fukase aveva un qualcosa di incredibile, Len era stato influenzato da quel ragazzo con una forza quasi travolgente, tanto che non riusciva a credere che quello che stava succedendo alla sua vita fosse davvero reale. Credeva ancora di essere in una specie di sogno fatto di neve e silenzio, la quale aveva scacciato tutte le voci cariche di rabbia della madre e degli amici. Ebbe davvero l’impressione che tutti i suoi problemi fossero stati sommersi da quella bellissima coltre candida che aveva dato vita a Fukase, come se la sua sola presenza avesse scacciato le tenebre come aveva proferito quella stessa notte di tre giorni prima.
E alla fine, era riuscito a credere a tutte le promesse che gli aveva fatto Fukase: il suo modo di porsi così cristallino aveva messo fine alla tristezza che lo aveva assalito, per cui non aveva più nessun motivo per comportarsi a quel modo tanto indisponente. Fu come se il pupazzo di neve gli avesse aperto gli occhi per la prima volta: grazie a lui, aveva avuto la conferma di quanto le sue azioni si fossero rivelate sbagliate, per cui l’unica cosa che poteva fare era cambiare. Ma cambiare non poteva di certo essere facile, non in un lasso di tempo tanto breve: però, se davvero quel suo miglioramento fosse stato dovuto al pupazzo di neve, significava che quello potesse solo che essere un miracolo concesso dall’Inverno, per far sì che la sua vita tornasse a prendere la sua piega originale. E anche se Fukase fosse sparito dalla sua vita, perché era ovvio che ciò sarebbe accaduto, Len non poteva far altro che conservare la marea di insegnamenti che questo gli aveva dato, per non ricadere più in errori del genere.


*****


Len era davvero di buon umore, soprattutto dopo una cena che si era rivelata molto più gioiosa e divertente di quanto si aspettasse. Alla fine, era riuscito a convincere Kaito e Gakupo a venire a cena a casa sua, per poi dirigersi tutti assieme in piazza a pochi minuti dalla mezzanotte.
A loro non aveva esattamente detto quali fossero i suoi piani, ma aveva preferito godersi quell’eccitazione che gli dava mantenere un segreto fino al momento più opportuno. Inoltre, la presenza dei suoi amici aveva in qualche modo ravvivato la madre, che pareva essersi lasciata alle spalle quella sua indisposizione come se il ritorno del figlio da quella giornata di scuola l’avesse risvegliata. La mente di Len si era spesso persa tra i ricordi delle parole di Fukase e si era ritrovato molte volte, nel corso della serata, a ripetersele mentalmente come una specie di mantra. Aveva bisogno di ricordare ogni sillaba uscita fuori da quella bocca, la quale aveva pronunciato tutta una serie di frasi il cui senso era talmente specifico che dovevano essere state composte solo e soltanto per Len.
Il continuo rimembrare quelle parole aveva dato a Len una certezza, che si era rivelata esatta mentre assisteva a quella cena tanto desiderata. La madre aveva ripreso a cucinare qualcosa di veramente commestibile, senza più limitarsi a quei pasti precotti che Len mal sopportava, aveva ripreso a sorridere e chiacchierava con Kaito e Gakupo interessandosi alle loro attività scolastiche. Nessuno si era mai posto il problema di tirare in ballo tante di quelle problematiche che sembravano essere svanite con uno schiocco di dita. Era tutto come sarebbe dovuto essere e Len ringraziò ancora per quel miracolo che gli era stato concesso, proprio perché questo era stato in grado di dargli quello stimolo giusto per riprendersi le redini della propria vita.

E tutti e tre si erano finalmente ritrovati in quella piazzetta circolare, illuminata dall’unico lampione ad olio di tutto il paesino.
Len camminava attorno a Fukase, aspettando che questo si rianimasse. Mancavano circa dieci minuti alla mezzanotte. La voce di Kaito continuava a raggiungere le orecchie di Len chiedendogli cosa stesse aspettando, alternando quella domanda ad un continuo evocare l’estate e il Sole: Len infatti sapeva di aver messo Kaito in una situazione abbastanza difficile da sopportare per lui, in quanto a conoscenza di quell’amore spropositato che il ragazzo provava per l’estate e per tutti i gelati che avrebbe potuto mangiare. Tutto il contrario di quello in cui Len lo avesse costretto a vivere. Invece, dall’altra parte, Gakupo osservava incuriosito i movimenti dell’amico, senza chiedere nulla perché armato di quella sua solita pazienza che il più basso ammirava.
I due ragazzi rimasero in silenzio, mentre Len dava l’ennesima occhiata all’orologio da polso. Aveva ripreso a controllare il volto di Fukase, che quel giorno non aveva visto a causa della foga che questo gli aveva dato per tornare a studiare.
Il viso del pupazzo di neve aveva sì qualche cosa che non andasse, il Sole non era stato clemente nei suoi confronti, ma non aveva di certo deturpato quello che era l’assetto di base del pupazzo. Il sorriso di sassolini pareva quello che più di tutte le sue caratteristiche era cambiato, perché le piccole pietruzze avevano iniziato a cedere sotto al proprio peso su quella neve leggermente sciolta. In quanto al cappello, agli occhi e al naso, tutto pareva nella norma, se non fosse che il lato destro del volto fosse stato leggermente più deformato.
«Qualcuno deve avergli tirato un’altra palla di neve in faccia…» constatò Len, massaggiandosi il meno con due dita. Gakupo lo guardò di traverso, poi chiese a cosa si riferisse.
«Oggi ha fatto caldo. Vero?»
«Ehm… Sì? Che cosa dovremmo fare qui?»
«Aspettate solo un altro po’! Devo farvi vedere una cosa fantastica! Non ve ne pentirete» replicò il ragazzino, guardando Gakupo con quei suoi occhioni azzurri pieni di speranza ed eccitazione. L’altro si limitò a scuotere la testa, senza però dire ancora niente, magari in attesa che Len si decidesse a dire cosa avesse in mente. Il ragazzino si passò di nuovo la mano tra i capelli biondi, sempre con la stessa espressione sul viso mentre attendeva che Fukase si muovesse. Dall’altro capo della piazzetta, Kaito borbottò ancora a causa di quel freddo che proprio non riusciva a digerire; fu allora che Gakupo lo raggiunse per sedersi accanto a lui e aiutarlo a rendere quell’attesa meno irritante.
Len non notò il fatto di essere rimasto l’unico accanto a Fukase, ma un altro pensiero sopraggiunse a quelli che aveva sempre dedicato al ragazzino dai capelli rossi e il volto niveo. Che non si volesse muovere perché non era da solo? Oppure era proprio dovuto al fatto che Len lo stesse fissando? Il ragazzino non ci aveva mai fatto caso, ma Fukase era sempre apparso nel momento esatto in cui la sua attenzione era rivolta a qualcos’altro, come se volesse approfittare dell’elemento sorpresa che tanto lo caratterizzava. Per quanto poco lui lo conoscesse, Len aveva capito in parte che tipo di persona lui fosse, ossia un amante delle entrate in scena particolari, capace di far mancare un battito al suo malcapitato spettatore.
Tornò perciò dai suoi amici. Kaito se ne stava ancora con le ginocchia strette al petto, tremando come fosse stato attraversato da migliaia di scosse elettriche, mentre Gakupo lo guardava con quell’espressione a metà tra compassione e divertimento. Il più alto gli aveva poggiato un braccio sulle spalle per cercare di scaldarlo, senza però distogliere lo sguardo da Len che si era messo a camminare davanti ai due, con le mani dietro la schiena. Un po’ come faceva Fukase.
«A-A-Allora, che d-dobbiamo fare qui?» balbettò Kaito, i denti che stridevano a causa del gelo.
«Vi chiedo sono un attimo di pazienza! Voglio mostrarvi qualcuno di fantastico che mi ha aiutato tantissimo!»
«Qualcuno?» chiese Gakupo, storcendo il naso. Len annuì con convinzione, forse cercando di trasmettere ai due quella sua stessa energia derivata dall’Inverno. Ovviamente l’idea di incontrare uno sconosciuto a notte fonda non sembrava proprio allettante, Len lo aveva notato guardando l’espressione perplessa di Gakupo, ma lasciò correre sperando che Fukase si decidesse a farsi vedere.
Len si inginocchiò e prese una manciata di neve dalla consistenza sgradevole, tipica della neve sciolta e nuovamente congelata dagli sbalzi di temperatura. Mentre formava una piccola sferetta, sentì Kaito scalciare come a volersi nascondere letteralmente dentro il giubbotto di Gakupo.
«Non avrai intenzione di giocare a palle di neve?! Non senti che cavolo di freddo fa?!»
«Potresti scaldarti, se ti muovessi un po’… -constatò Gakupo- E potresti anche non starmi così tanto appiccicato…»
Len fissò Kaito mentre questo sbuffava scocciato nella direzione dell’altro, una nuvoletta di condensa ad accompagnare il gesto. Un po’ era dispiaciuto nel dover coinvolgere il povero Kaito in quella fredda situazione, ma Len era certo che una volta apparso Fukase, anche lui si sarebbe divertito e avrebbe fatto sparire quell’espressione infastidita dal volto. Dopotutto, il pupazzo di neve era capace di quello e tanto altro.
«Dai, giochiamo!» esordì Len, dopo qualche secondo. Gakupo inclinò la testa di lato e lasciò andare la spalla di Kaito, per calcarsi il berretto viola sul capo e prepararsi; l’altro gli lanciò un’occhiata interrogativa, con quella nota perplessa con cui gli chiedeva se fosse davvero serio riguardo a quella faccenda.
Len sorrise alla spavalderia del più alto dei tre, perciò fece un passo indietro, accogliendo lo sguardo di sfida che aveva illuminato il volto di Gakupo. Avrebbe atteso Fukase in quel modo, certo che prima o poi questo sarebbe arrivato e si sarebbe unito alla battaglia. Dopotutto, quel dono dell’Inverno era il tipo di persona la cui voglia di stupire era sempre pronta a colpire per mettersi in mostra.
Len iniziò a correre per la piazzetta, lo sguardo puntato su Gakupo. L’altro lo inseguiva col sorriso sulle labbra da cui uscivano irregolari nuvolette di condensa. I due continuavano a prendersi di mira ma senza riuscire a mettere a segno un singolo colpo, tanto che finirono per darsi degli scemi a causa della loro pessima mira. Ma il ragazzino non si era di certo dimenticato di Kaito: si girò verso di lui, lasciando che Gakupo riprendesse fiato e mettesse insieme un’altra manciata di neve, mentre la sferetta che teneva in mano rimbalzava sul suo palmo.
Il sorriso di Len si allargò in un ghigno pestifero, come a minacciare scherzosamente l’amico che ancora si rifiutava di alzarsi e unirsi al gioco. Tremava ancora e dalla sua faccia temeva quello che avrebbe potuto fare Len: Kaito iniziò a guardarsi attorno, cercando con lo sguardo Gakupo, il quale parve prenderlo di mira anche lui. Tra i due, né Len né Gakupo parevano avere una buona mira, ma si limitarono a fissare il volto congelato e spaventato di Kaito con quelle palle di neve in mano.
Peccato per lui che qualcun altro non fosse d’accordo con l'impasse dei due. Len vide sfrecciare con la coda dell’occhio una terza sfera di neve, che andò a sfracellarsi proprio sul naso del povero Kaito. La neve schizzò in tutte le direzioni, leggera e soffice come fosse appena caduta dal cielo, poi una risata cristallina si levò per quella piazzetta deserta.
Il volto di Len si illuminò come un Sole a mezzogiorno, tanto che gettò a terra la pallina che aveva in mano per correre al centro dello spiazzo. Fukase aveva finalmente deciso di farsi vedere, esattamente all’ultimo rintocco della mezzanotte.
Dondolava la testa, allo stesso ritmo del suo corpo che oscillava sui talloni; teneva le mani dietro la schiena, il bastone stretto tra le dita, e osservava i due ragazzini con cui Len aveva deciso di condividere il suo miracolo. Len si avvicinò quasi saltellando e prese il pupazzo per le spalle, guardando attentamene il suo volto in cerca di imperfezioni sopraggiunte mentre lui non c’era. Non riusciva a smettere di sorridere, raccontando al suo pupazzo tutto quello che aveva fatto quel giorno; non aveva smesso di ringraziarlo, tanto che le sue parole parevano un continuo susseguirsi di concetti ripetuti quasi fino alla nausea. Lo sciorinare di Len venne interrotto da una palla di neve, caduta esattamente sopra la sua testa bionda. Non riuscì a capire da dove diavolo fosse arrivata. Si girò verso i suoi due compagni di classe, ma l’unica cosa che ottenne fu una serie di sguardi persi, confusi e forse terrorizzati.
«Non sono mica stati loro a colpirti! Certo che sei pedante, caro mio testone!» fece Fukase, allontanando Len e mettendosi al centro della piazza, dove prima era presente la sua forma inanimata. Il ragazzino scosse la testa per liberarsi dalla neve, poi osservò i movimenti del suo magico amico, mentre roteava il suo bastone da passeggio e si esibiva in un inchino quasi teatrale. Sfilò quindi il cappello e mostrò un ammasso di capelli rossi come il fuoco, i quali stonavano con la sua pelle di ghiaccio.
«L-Len?» balbettò Gakupo, le cui mani avevano abbandonato la sfera che voleva tirare a Kaito; l’altro, invece, fissava la scena con gli occhi sgranati, il corpo che aveva smesso di tremare.
«Vedo che stai meglio, capoccione! Questi sono i tuoi amici? -fece Fukase, i cui occhi continuavano a guizzare sulle figure dei due ragazzi- Piacere! Io sono Fukase e sono qui perché l’Inverno ha voluto esaudire il desiderio di questo tonto
«Potresti non offendermi? Almeno non davanti ai miei amici?»
Fukase rispose con una linguaccia e si diresse verso Gakupo, girandogli attorno e squadrandolo dalla testa ai piedi. Len notò una nota di inquietudine nell’amico, il quale, probabilmente, aveva visto l’agghiacciante occhio rosso del pupazzo e la sua altrettanto terrificante mano di plastica. Gakupo se ne stava infatti rigido, trattenendo il respiro che nemmeno la condensa usciva più dalle sue labbra, ma Fukase non sembrò farci caso e iniziò a dargli degli amichevoli colpetti sulla testa con il suo bastone da passeggio.
Poi il pupazzo cambiò vittima e si diresse verso Kaito che, a differenza di Gakupo, iniziò ad intimargli di stare lontano. Len corse verso l’amico e cercò di tranquillizzarlo, agitando le braccia dietro a Fukase come se quello potesse essere sufficiente a dare a Kaito la sicurezza necessaria per fidarsi di quello strano ragazzino.
I tentativi di Len non sembrarono sortire effetto alcuno e per un attimo pregò che Fukase potesse dargli almeno un quarto della pazienza che aveva invece Gakupo, il quale, dopo un attimo di inquietudine, era riuscito ad avvicinarsi a Len per studiare meglio la situazione.
«Kaito! Non è cattivo, è mio amico!»
«Ma quel coso ha fatto apparire una palla di neve dal nulla! E il pupazzo di neve non c’è più! Che diamine sta succedendo?!»
«Intanto non chiamarmi coso, ho un nome, io! Ed è Fukase!» rimbeccò il ragazzino di neve, allungando la mano di plastica verso il giovane. Kaito si lasciò sfuggire un grido che cercò di fermare tappandosi la bocca e Len non riuscì a trattenere una risatina, per poi anticipare il suo magico amico e afferrare la mano del compagno di classe, con l’intento di strapparlo via da quella panchina.
«Vuoi dirci che sta succedendo?» chiese Gakupo, in piedi accanto a Fukase mentre ne studiava interessato i lineamenti di neve. Len fu contento di vedere l’amico tanto incuriosito, almeno non si sarebbe dovuto mettere a tranquillizzare anche lui. Aveva sempre apprezzato quella caratteristica di Gakupo, quella sua pazienza che forse aveva impedito a Kaito di troncare completamente la loro amicizia con lui.
«È difficile da spiegare -rispose Len, lasciando andare il braccio di Kaito- Ma credo che l’Inverno mi abbia concesso una specie di miracolo…»
«Non una specie di miracolo. Io sono un miracolo! Sotto ogni punto di vista!»
Fukase rise alle sue stesse parole e si portò la mano al cilindro, spiegando in poche parole come lui fosse nato, tre notti prima, per mano di Len. La sua mano di plastica continuava a seguire più volte la linea della visiera del suo cappello, mentre la sua voce si perdeva nell’aria senza che dalla sua bocca uscisse il minimo alito di condensa. Spiegò come fosse nato, da una paletta e un secchiello da spiaggia, da una fila di sassolini e dei pezzetti di nastro adesivo. E poi, quale fosse il suo compito.
«Ma vedo che ormai avete fatto pace con questo capoccione. Ne sono davvero felice! Quindi immagino che le cose vadano meglio anche con la tua mamma, vero?»
Len annuì e si avvicinò un po’, ma Fukase balzò via per atterrare sulla cima dell’unico lampione che illuminava ancora la piazza. Len emise un brontolio contrariato, ma sapeva che un movimento del genere sarebbe stato seguito da una delle solite trovate del suo pupazzo. Ne seguì le mosse con gli occhi, dimenticandosi quasi di essere in gran compagnia. Fukase si mise in equilibrio su un piede solo, fingendo di essere un equilibrista su una corda tesa, nonostante le sue movenze fossero tanto innaturali che la gravità non sembrasse in grado di toccarlo.
«Sono davvero soddisfatto di come le cose si siano sistemate! Credi di riuscire a farcela senza di me, Len?»
«Eh?»
«Mi rispondi sempre con questo solito “Eh?”! -fece dopo un balzo e atterrando con grazia di fronte al ragazzino- Sai bene che i miracoli durano poco!»
Len si morse il labbro inferiore e distolse lo sguardo dal giovane di neve, di nuovo infastidito dal fatto che questo avesse voluto interrompere qualcosa di bello con la solita paternale. Si passò una mano tra i capelli e cercò i volti dei suoi amici, i quali avevano assistito a tutta la scena in silenzio. Nei loro sguardi, Len notò un certo dispiacere: quel qualcosa di così particolare stava per finire.
«So che te ne dovrai andare e sospetto che succederà in poco tempo… -fece una pausa, per poi accennare un sorriso, guardando prima Kaito, poi Gakupo e infine Fukase- Ma pensi che potremmo giocare un’ultima volta tutti insieme?»
Il volto di Fukase si allargò in un enorme sorriso e si sfilò un’altra volta il cappello a cilindro bianco e rosso per esibirsi in un altro inchino plateale. Fece poi roteare il bastone da passeggio e di nuovo la neve riprese a scendere delicata solo su quella piazza circolare. Kaito e Gakupo fissarono la scena stupefatti, lasciandosi andare in versi di stupore che fecero ridere Len: vedere i suoi due migliori amici in quel modo, averli coinvolti in un miracolo del genere aveva alleggerito il cuore del ragazzino, nonostante questo fosse stretto nella morsa di un imminente addio. Ma Len era sempre stato un ragazzo dalla mente razionale, era quel tipo di persona che non faticava a capire situazioni del genere, che sapeva che voler bene a qualcuno significasse anche lasciarlo andare. Dopotutto, erano i ricordi la cosa più importante. Tutti gli insegnamenti che gli aveva lasciato il suo pupazzo di neve.
«Allora? Ti sei imbambolato?» chiese Fukase, allungando la mano di plastica verso il volto di Len e pizzicando di nuovo la guancia del giovane. Il gesto lo infastidì, ma appena venne liberato da quelle due dita rosse, il suo sorriso si allargò per far sì che le sue labbra mimassero l’ennesimo grazie. Fukase ammiccò con quell’occhietto scarlatto, che forse non era poi così tanto spaventoso.
I quattro si ritrovarono immersi in quel gigantesco souvenir con la neve dentro, quelli che agitati coinvolgevano le figurine al loro interno in una tormenta bianca. Eppure la sensazione che aleggiava in quella bolla di divertimento non era così pesante come Len credeva. Per quanto si fosse affezionato a Fukase, lui non poteva diventare una presenza costante della sua vita perché la neve non è fatta per durare a lungo. Non aveva nulla a che vedere con il candore eterno delle montagne più alte, non aveva nulla a che fare con il bianco dei ghiacciai: era soltanto una nevicata cittadina, quelle che dopo poco spariscono.
Len corse, rise e sorrise. Vide i suoi amici giocare e correre, vide nei loro occhi la stessa scintilla di meraviglia che aveva riempito il suo sguardo alla prima nevicata di Fukase e ne fu felice.
«Non è un addio, vero?» chiese ad un certo punto, mentre Gakupo era sul punto di colpire Fukase con una palla di neve. Il pupazzo evitò il colpo e sorrise al giovane i cui desideri gli avevano dato vita.
«Nah! L’Inverno torna ogni anno e, per quanto freddo, come torna se ne va. Non è detto che il prossimo anno tu sia tanto fortunato, ma è vero che il Suo intervento resta. E poi, sono stato così fantastico che non credo vi dimenticherete facilmente di me!»
«Sei sempre tanto modesto! Vero, Signor Miracolo?» fece eco Len, le labbra contratte in un cipiglio divertito e gli occhi offuscati da un velo di lacrime calde che non avrebbe versato.
Fukase rispose al suo sorriso e fece un inchino, come un attore pronto a lasciare la scena.

*****


La mattina seguente il Sole brillava sul piccolo paesino, i suoi raggi che si riflettevano sulla poca neve rimasta per le strade.
Len camminava tra Kaito e Gakupo, i quali non avevano detto più nulla riguardo alla notte precedente. Lo stesso Len aveva mantenuto un certo riserbo per quell’argomento, forse perché non del tutto pronto a tirare di nuovo in ballo Fukase.
«Stai bene?» azzardò Gakupo, accelerando il passo per fermare Len. Senza accorgersene, i tre si ritrovarono nei pressi della piazza, in mezzo alla quale c’era ancora la versione inanimata del ragazzino di neve. Immobile, sotto ai caldi raggi del Sole, Len sapeva che quella notte non si sarebbe mosso, che sarebbe rimasto là finché la neve avesse retto agli sbalzi di temperatura, per poi sciogliersi alla prima giornata troppo calda.
Accennò un sorriso e si diresse verso Fukase. Solo allora si rese conto di aver lasciato la sua sciarpa rossa su di lui per quattro giorni di fila.
Venne raggiunto dai suoi due amici, mentre ancora guardava quel volto tanto famigliare e allo stesso tempo inquietante. Allungò le mani verso quel viso e aggiustò quello che ne rimaneva: mise in linea gli occhi, sistemò il sorriso di sassolini e i due pezzetti di nastro adesivo.
«Sto bene… Ho fatto pace con voi due, con la mamma… Era tutto quello che Fukase voleva, che io stesso desideravo! Quindi sì, sto bene!»
Ciondolò un pochino la testa, contemplando la sua opera e prese un profondo respiro che gli congelò i polmoni; le sue mani si mossero verso la sua sciarpa e la sfilarono via, per poi piegarla alla bene e meglio.
«Non credo ne avrà più bisogno! -disse, rivolgendo ai due un sorriso raggiante- Andiamo! Non vorremmo far tardi!»
.
.
.
«Alla fine, non posso essere triste. I miracoli non sono fatti per durare e Fukase era proprio questo. Un miracolo che mi ha permesso di capire cosa fosse giusto e cosa sbagliato.»




Angolo di Zenya ^^

E finalmente eccoci qui! Anche questa storia è finita e già mi manca T.T Che dire? Di solito, scrivo delle stagioni in cui mi trovo, quindi scrivere di neve e gelo quando fa caldo mi ha messa in confusione xD A parte gli scherzi!
Non credevo avrei aggiunto Kaito e Gakupo (non riesco a separare i VanaN’Ice, è ufficiale, perché come in Fleeting non doveva esserci Len, in questa non dovevano esserci loro due… Soooo, fair enough), ma alla fine credo fosse la cosa più giusta da fare: il percorso di Len è stato proprio questo! Iniziare da solo e concludere con i suoi amici, proprio come aveva detto Fukase. Perciò credo davvero che questa sia la conclusione più appropriata per la loro breve avventura ^^
Inoltre questa storia mi ha divertita e mi ha permesso di fare pace col cervello. Se vi è capitato di seguire i miei vari aggiornamenti, allora saprete che mentre ero presa dalla stesura di Snowman ho lavorato anche a Fleeting Moon Flower, la quale mi ha mandato letteralmente fuori di testa perché una vera yaoi esplicita >.< Mi sono portata dietro Snowman per un bel po’ di tempo, proprio perché rappresentava quella bolla di pace dai miei soliti schiaffeggiamenti/risate isteriche per via della smut. Quindi eccola qui, conclusa e meno depressa del previsto u.u
Ringrazio chiunque abbia letto questo lavoro, chi ha recensito/ricordato/preferito questa storia, un grazie ai lettori silenziosi e un augurio che un miracolo accada a chiunque ne abbia bisogno. Già scrivere questa storia per me è stato un miracolo, nel senso che mi ha dato la stessa leggerezza che ha dato Fukase a Len. Perciò grazie ancora e alla prossima!



Zenya_

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Vocaloid / Vai alla pagina dell'autore: Zenya Shiroyume