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Autore: Akatsuki    05/04/2017    2 recensioni
Semplicemente, la famosa storia de "La bella e la bestia" con i personaggi di Naruto!
Dal II capitolo:
“Cosa vuoi allora, mostro?” chiese quindi il padre delle due, alzando lo sguardo pieno di rabbia verso quella figura che fino a poco prima aveva quasi tentato di ucciderlo.
Gaara alzò il braccio e puntò il dito verso Sakura.
“Lei.”

~
E se la Bella dai capelli rosa incontrasse la Bestia dai capelli rossi?
[GaaSaku][CrackPairing]
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Sabaku no Gaara, Sakura Haruno
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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how can you learn to love a monster?





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Capitolo IV.

“Dopo ciò che è successo a nostro fratello, la maledizione si è estesa anche a noi” mormorò Temari, terminando il racconto di Kankuro.
“Così io sono stata trasformata in un essere inconsistente, non più in grado di guidare il mio popolo, e mio fratello in uno non più in grado di giacere con una donna. Ci è stato tolto tutto” concluse poi in un sospiro stanco, come se portasse sulle spalle tutto il peso del mondo.
Kankuro fece un verso strano e tentò di consolare la maggiore con uno sguardo un po’ troppo triste per essere di aiuto. “Ci è stata tolta la possibilità di vivere le nostre vite come un tempo” aggiunse quindi il ragazzo-marionetta, sconsolato. Spesso sentiva molto la mancanza di un corpo caldo e morbido da stringere, degli sguardi languidi che le ragazze gli rivolgevano e dei loro amabili sospiri di piacere. Ora non era nemmeno più in grado di percepire il calore del sole sul suo viso o la sensazione del vento sulla pelle.
Sakura aveva ascoltato attentamente il discorso dei due, in cui entrambi avevano prestato particolare attenzione nell’evitare di pronunciare il nome del fratello minore e, soprattutto, quale aspetto avesse assunto in seguito alla trasformazione. Si portò una mano al cuore e ripensò a quel misterioso ragazzo che l’aveva voluta con sé in quel luogo dimenticato da tutti. Doveva essersi sentito così solo…
Sapeva che una sorte altrettanto terribile era toccata ai suoi consanguinei, ma almeno Temari e Kankuro sembravano aver trovato conforto l’uno nell’altra,  viste le occhiate affettuose che più di una volta li aveva visti scambiarsi. Ma lui, invece, sembrava essere totalmente estraneo al nucleo familiare che si era formato, a giudicare dal modo in cui si era rivolto ai fratelli quando li aveva chiamati, prima.
“Ma lui… non mi avete detto qual è il suo nome” fece presente Sakura, troppo curiosa per non chiedere. Temari accennò un sorrisetto compiaciuto. Era felice che quella ragazzina dai capelli rosa fosse interessata almeno un po’ al suo fratellino, visto l’attaccamento, seppur ben celato, che lui aveva nei suoi confronti. Ma non disse nulla di tutto ciò e incrociò le braccia al petto.
“Sono sicura che nostro fratello sia in grado di presentarsi da solo” asserì quindi, piccata.
Non aveva alcun problema nel rivelare il nome del fratello a Sakura, ma voleva solo darle qualche motivo in più per farsi coraggio e andare da Gaara di sua spontanea volontà. Tristemente, sapeva bene che lui non sarebbe riuscito ad avvicinarsi alla ragazza, troppo preso a crogiolarsi nei sensi di colpa derivanti dalla brutalità del suo gesto e preoccupato del rancore che Sakura doveva provare nei suoi confronti. Era proprio un controsenso vivente.
Ma Temari era convinta che Sakura fosse tutto fuorché arrabbiata o poco disposta a conoscerlo, a giudicare dallo sguardo avvilito che aveva e dalle mani che si stava torcendo nervosamente in grembo. Era combattuta tra il rimanere lì in quella camera a lasciarsi morire di fame e l’andare da lui per parlargli. Che fare? Non lo sapeva, aveva troppa paura e Temari e Kankuro erano l’unico punto fermo che aveva trovato in quel luogo, non era sicura di voler sperimentare di nuovo la freddezza e la cattiveria di quella persona. Eppure, in un certo senso ne era anche attirata, come un pezzetto di metallo che viene attratto da una calamita troppo intensa per essere ignorata.
Temari le rivolse uno sguardo dolce e Kankuro si azzardò a darle qualche pacca leggera sulla schiena.
“Non è così spaventoso come può sembrare, fidati” la rassicurò la marionetta. “Soprattutto tu, puoi stare tranquilla. Non ti farebbe mai del male” aggiunse poi, divertito.
Sakura non ne era tanto sicura, ma i due sembravano sapere qualcosa di cui le era all’oscuro e che li rendeva estremamente sicuri di ciò che le stavano dicendo, perciò decise di fidarsi di loro.
Si alzò dal letto con un saltello e diede una scrollata con le mani all’abito stropicciato che indossava, guardandosi nel grande specchio che aveva di fronte. Non era bellissima, ma almeno era presentabile. Annuì a se stessa e uscì dalla stanza seguita dai due ragazzi, che le rivolsero uno sguardo di incoraggiamento e la invitarono a guardare fuori dalla finestra che era posta alla fine del corridoio. Lì fuori, Sakura notò chiaramente la figura di Gaara in piedi, che osservava senza attenzione i cespugli di rose che crescevano senza uno schema precisione nel giardini ormai abbandonato. Si fece coraggio e scese tutte le scale in fretta e furia, ma arrivata davanti al grande portone non ebbe il coraggio di aprirlo ed uscire fuori. La sabbia che fino a poche ore prima le aveva impedito di andarsene era ancora lì, a formare una piccola distesa dorata ai suoi piedi. E se lui l’avesse usata per farle del male? Se lo avesse fatto arrabbiare, per lei sarebbe stata la fine? Non riusciva a muovere un passo, ma le parole di Kankuro le tornarono alla mente. Non ti farebbe mai del male.
E lei voleva quasi disperatamente affrontare del ragazzo e cercare di conoscerlo, voleva sapere cosa si portava dentro, quale sofferenza celava il suo cuore e, soprattutto, voleva vederlo in viso. Glielo avrebbe permesso? Sakura non lo sapeva, non sapeva nulla di lui se non la storia di ciò che aveva fatto, ma voleva imparare che tipo di persona era. E se alla fine le fosse successo qualcosa, tanto meglio. Sarebbe stata la punizione adatta per la sua ingenuità.
Poggiò le mani sulla grande porta e la spinse, sentendo poi su di sé la dolce brezza di tarda mattinata che profumava di fiori e di bosco. Tutta la tenuta era circondata infatti da enormi alberi ed era delimitata da grandi mura, che contenevano la struttura principale e l’immenso giardino reale. Sakura si ritrovò a pensare che le sarebbe piaciuto vederlo in tutto il suo splendore di un tempo, che magari la sua presenza avrebbe reso quel luogo un po’ meno triste e tetro. Era quello che sperava, ma forse stava solo sognando.
Mosse timidamente qualche passo verso la figura incappucciata che le rivolgeva le spalle, si schiarì la gola e si umettò le labbra, che dal nervosismo si era prosciugate di tutta la saliva. Il ragazzo non si girò e rivolse uno sguardo al cielo azzurro, troppo limpido per quell’atmosfera così angosciosa, incrociando le braccia al petto. Lo sentì sospirare e trattenne il fiato, in attesa.
“Sei venuta” disse poi, caustico. Sakura cercò di rilassarsi e gli si avvicinò ancora di qualche passo, mantenendosi comunque a distanza di sicurezza. Certo, se lui avesse usato quella strana sabbia sarebbe comunque stato inutile, ma non riusciva ancora a fidarsi e non riusciva davvero a stargli troppo vicina.
“Se dobbiamo vivere insieme, mi sembra il minimo presentarmi” soffiò lei, una mano che torturava un ciuffo di capelli rosa confetto. “Il mio nome è Sakura. Posso sapere il tuo?”
Probabilmente avrebbe dovuto rivolgersi a lui in modo più formale, era comunque un principe e lei solo una popolana, ma visto il modo in cui prima aveva parlato con i fratelli non ci aveva proprio pensato. Si morse un labbro, incerta. Forse si sarebbe arrabbiato.
Ma sotto il mantello di Gaara si nascondeva solo un sorriso un po’ triste, che Sakura non vide mai e che il rosso si premurò di far sparire dal suo viso. Sapeva già il nome di quella ragazza così delicata che gli stava alle spalle, il padre e la sorella lo avevano ripetuto tante volte mentre erano ancora lì e lui aveva pensato che come nome le si addicesse davvero moltissimo. Era fresco e dolce, esattamente come lei.
“Davvero ti interessa?” chiese, la voce tagliente come una lama. “In fondo sono colui che ti ha costretta a stare qui. Non è che vuoi solo guadagnarti il mio apprezzamento? Devi essere davvero molto spaventata” disse e strinse con forza una manica del suo mantello, frustrato. Odiava il pensiero che lei vedesse in lui nient’altro che un carceriere, un animale che l’aveva strappata al mondo e le aveva tolto il futuro. Ma in fondo era proprio ciò che aveva fatto, ed era solo colpa sua se stava soffrendo per il suo stesso comportamento. Se lo meritava.
Sakura aggrottò le sopracciglia. “Non sai nulla di me e già dici così?” chiese. L’aveva fatta innervosire. “Voglio solo provare a conoscerti! Che c’è di male in questo?” sbottò, pestando un piede in terra. La paura era scemata e le era rimasto solo un gran nervosismo e la solita testardaggine che la caratterizzava. Come si permetteva di sputare sentenze su di lei, quel tizio che prima le offriva tanto amabilmente una camera in cui dormire, che tremava di fronte alle sue parole e che poi cambiava completamente carattere e le rispondeva in malo modo? Non lo capiva affatto.
Il principe fremette un secondo e fece per girarsi. “Quindi è così…” mormorò a se stesso, così piano che Sakura fece fatica a sentirlo. “Il mio nome è Gaara e sono uno dei principi di questo castello. O almeno lo ero” le rivelò in un soffio.
Sakura sperò ardentemente che le rivolgesse il viso, ma ciò non accadde. “So già la tua storia, i tuoi fratelli mi hanno raccontato tutto” ammise. Gaara sospirò, sospettava da un po’ che quei due le avessero già raccontato tutto per evitare troppi dubbi e, di conseguenza, troppe domande da parte sua.
“Quindi devi anche sapere che aspetto ho in questo momento.”
La rosa esitò. “Non mi hanno parlato di questo dettaglio” rivelò lei, e Gaara fece una smorfia. Quindi non aveva idea di cosa avesse davanti. “E’ così terribile?” aggiunse Sakura incerta. Se Temari e Kankuro erano diventati ciò che erano e non erano nemmeno la causa della maledizione, allora la sorte del ragazzo doveva essere ben peggiore.
Gaara rise amaro alle parole della ragazza. “Vuoi giudicare tu?” e finalmente si voltò, lasciando scivolare all’indietro il cappuccio che lo aveva coperto per tutto quel tempo. Sakura sussultò e arretrò di un passo, coprendosi la bocca con le mani per cercare di nascondere la sua espressione sconvolta, ma il lampo di orrore negli occhi verdissimi diceva tutto e Gaara indurì lo sguardo, ferito. Si aspettava davvero che la ragazza non avrebbe provato orrore alla sua vista? Era stato uno sciocco, sciocco e anche ingenuo, e ci era rimasto doppiamente male. Ora l’avrebbe anche vista scappare e non gli sarebbe rimasta altra scelta se non rimanere da solo e nascondersi per il resto della sua vita agli occhi del mondo, come aveva sempre fatto.
Ma Sakura lo stupì per l’ennesima volta quando, timidamente e con passo misurato, si mosse nella sua direzione e allungò una mano verso il suo viso con un improvviso coraggio, sfiorandogli la guancia non umana con i morbidi polpastrelli e con un’espressione afflitta in volto.
Gaara aveva dei particolari capelli rossi come il fuoco che gli ricadevano sulla fronte in soffici ciuffetti e l’occhio sinistro, quello che ancora non era stato colpito dalla metamorfosi, era di un color acquamarina che la fece tremare, tanto era bello e profondo mentre la osservava, scavandole l’anima ed entrandole dentro. Era contornato da strane occhiaie nere mentre il suo compagno era invece del tutto differente, con l’iride di un giallo ferino e selvaggio che la fece venire la pelle d’oca, e sperò ardentemente che lui non notasse il brivido che le attraversò la schiena. Non aveva mai visto nulla di simile, metà del visto era deforme e dello stesso colore del deserto, mentre un orecchio animale spiccava in cima alla testa del ragazzo. Perfino l’espressione assunta da quel lato della bocca era diversa, più feroce, ma nel complesso Gaara sembrava così affranto mentre la guardava, in attesa della sua reazione, che Sakura aveva sentito l’opprimente bisogno di avvicinarsi a lui e stringerlo forte a sè, così da nascondere la tristezza che le aveva trasmesso con una sola occhiata.
Il ragazzo trattenne il fiato quando Sakura continuò il percorso delle sue dita dalla guancia fino alla fronte, in una morbida scia così calda e delicata che il suo stomaco fece una capriola, e si fermò sul simbolo impresso a sangue sulla pelle, a sinistra del volto. Avrebbe tanto voluto chiedergli cosa significasse, perché fosse lì, come ci fosse arrivato, ma trattenne tutte le domande perché non aveva nessuna intenzione di distruggere il momento idilliaco che si era creato. Ma Sakura era titubante, non capiva che diavolo stesse facendo e soprattutto perché lui sembrasse così tranquillo con lei, così in pace. Era tutto troppo assurdo.
Gaara sembrò notare i suoi dubbi iniziali. “Significa amore, se te lo stai chiedendo” la informò, la voce ridotta ad un ringhio gutturale che non riuscì a trattenere. Abbassò le palpebre e si godette il tocco di Sakura in silenzio, incredulo di fronte alla dolcezza del suo gesto e troppo sconcertato per reagire in modo diverso, ma solo dopo qualche secondo notò la rigidità che improvvisamente aveva colto la rosa e il fremito delle sue dita sulla propria pelle, e quando riaprì gli occhi colse chiaramente il guizzo di terrore che si era impossessato dello sguardo verde prato della ragazza.
Sakura provò un’incredibile sensazione di orrore quando scrutò Gaara più attentamente e udì il suono prodotto dalla sua gola. Era tutto, fuorché umano. Quelli erano la pelle e la voce di un mostro, forse il demonio in persona si era impossessato di lui, e lei aveva paura, un’incredibile terrore che la ammutoliva, eppure non riusciva ad allontanarsi e scappare di lì come qualsiasi persona sana di mente avrebbe fatto. C’era un qualcosa che le teneva i piedi ancorati al terreno, qualcosa nello sguardo di lui che le diceva di non andarsene, che aveva bisogno di lei. Ma perché? Non capiva più nulla, sapeva solo che aveva un bisogno disperato di allontanarsi da lì e svuotare la mente, dimenticare le sensazioni sbagliate che aveva provato stando accanto a quella persona, ma continuava a rimanere immobile, troppo debole per assecondare la sua stessa volontà. Gaara in uno scatto fulmineo le afferrò il polso e allontanò la sua mano con un ghigno che sembrava deluso –gli occhi erano forse lucidi?- che a Sakura fece venire voglia di piangere.
Si era accorto che era terrorizzata, ma era anche ferito, e Sakura continuava a non capire il significato delle sue reazioni. Era o non era colui che l’aveva imprigionata nel suo castello? Perché gli importava di cosa pensasse di lui?
“Ti faccio ribrezzo, non è così?” sputò a pochi centimetri dal suo viso, i denti aguzzi della parte destra del suo volto in bella mostra. Un ringhio selvaggio gli partì dal fondo della gola e fece più forza sul polso di Sakura, che tentò di allontanarsi con uno strattone, inutilmente. “Hai paura di me, vorresti scappare per non rivedere mai più un mostro del genere, non è vero?” sibilò a denti stretti. Alzò l’altra mano, quella mutata, e le lasciò una carezza sulla guancia che di dolce aveva ben poco. “Mi dispiace bambolina, non ti permetterò mai di andartene” sussurrò. “Starai qui, con me, per il resto della tua vita. Che tu lo voglia o no” e lasciò la presa sul suo polso, mentre Sakura con un singhiozzo arretrò ed inciampò, finendo seduta malamente sul terreno polveroso.
Rimase in silenzio, non volendo innescare un’altra reazione violenta da parte del ragazzo. Non riusciva a spiccicare parola, lo sguardo di Gaara era ancora bruciante di risentimento e di rabbia, e sembrava quasi non vederla. Apriva e chiudeva la mano mutata come se volesse calmarsi, cercando di dare un ritmo ai propri respiri pesanti, e Sakura rimase ferma mentre aspettava un qualsiasi segnale che le dicesse che andava tutto bene. Ma la voce, lo sguardo, perfino l’aura che emanava sembravano quelli di una bestia, come se fosse posseduto da un’entità maligna che le urlava di andarsene di lì prima che le divorasse l’anima e la distruggesse. Era tutto così confuso, un momento prima si godeva le sue carezze e poi, mosso solo dall’incertezza che aveva colto negli occhi di Sakura, le si avventava contro e le diceva delle parole tanto brutali.
Tremava, ma nonostante lo spavento non riusciva a distogliere lo sguardo da Gaara, e man mano che lo osservava la sua espressione diveniva sempre più decisa, la paura faceva spazio al suo spirito combattivo, e Sakura si sentiva sempre meno piccola e spaurita. Non doveva lasciarsi dominare in quel modo, doveva reagire, ma mentre formulava questi pensieri lo stesso Gaara, improvvisamente, gemette e spalancò gli occhi, fissandola sconvolto. Alzò le mani e se le guardò, ammutolito, come se avesse appena compiuto un atto orribile e se ne fosse accorto solo in quel momento.
“Che cosa sto facendo…” disse, più a se stesso che a Sakura. Tornò a guardarla, spiritato. “Tu…” notò la piccola lacrima che bagnava la guancia di lei, l’unica che si fosse lasciata sfuggire, e notò il battito accelerato del suo cuore che andava rallentando. “Mi dispiace.”
Sembrava seriamente provato, come se si vergognasse profondamente dello scatto che aveva avuto, e Sakura sentì il nodo che ancora aveva allo stomaco sciogliersi. Cercò di alzarsi e quando provò ad avvicinarsi a Gaara, egli con un gesto della mano innalzò un mucchietto di sabbia e ancorò i piedi di Sakura al terreno. Sussultò sorpresa e gli rivolse uno sguardo interrogativo.
“Gaara…” provò lei, con la voce più dolce che riuscì a fare.
“Non devi avvicinarti. Potrei farti del male, e non è quello che voglio, credimi.”
“Sono certa che puoi controllarti, devi solo provarci.”
“Sei qui da poche ore e già credi di sapere chi ti ritrovi di fronte?” sputò lui, amaro. “Non sai nulla, non parlare come se fossi convinta che ci sia speranza per uno come me.”
Si era stretto le braccia al petto, come se volesse avvolgersi nel suo stesso abbraccio, e tremava leggermente, tanto che Sakura non era convinta di ciò che stava vedendo. Era triste, arrabbiato con se stesso, frustrato e nonostante questo Gaara provava ancora il desiderio di avvicinarsi a Sakura e stringerla forte, affondare il viso nel suo petto e morire lì, lasciarsi cullare dalla sua dolcezza e dal profumo dolce che emanava prima di venire inghiottito dal suo stesso dolore. Ma forse non meritava neanche quello.
“E’ vero, non ti conosco, ma vorrei farlo” accennò ad un sorriso poco convinto. “Non so chi sei, non so cosa provi, ma non ho intenzione di starmene buona e in silenzio senza fare nulla. E sono anche certa che se mi hai voluta qui c’è un motivo, e intendo scoprirlo.”
Gaara, che fino a quel momento sembrava stesse per farsi convincere dalle parole di Sakura, emise un ringhio basso. Se lei avesse saputo perché era finita lì, per quale motivo aveva scelto lei e non la sorella e cosa si nascondesse dietro tutta quella faccenda, l’avrebbe odiato. Forse avrebbe provato ribrezzo, ancora. L’avrebbe definito uno squilibrato, e se lo sarebbe meritato. Uno squilibrato che per soddisfare la sua curiosità e la sua fame di contatto umano l’aveva trascinata nella sua tana senza pensare alle conseguenze, e nonostante si fosse reso conto dello sbaglio non aveva comunque intenzione di fare nulla. Era egoista, e lo sapeva fin troppo bene.
“Taci!” urlò, e il grido si espanse in tutto il giardino. Alcuni corvi presero il volo, spaventati, e Sakura per un momento desiderò poter fare lo stesso. “Non parlare più, smettila!”
Si accovacciò per terra e fissò il terreno davanti a sé, trattenendo il ruggito che gli stava nascendo dalla gola. Sakura si fece forza e strinse i denti, mentre la sabbia ai suoi piedi perdeva la presa sulle sue gambe. Non si azzardò a muoversi, non ancora, e rimase ferma.
“Se me ne parlassi, potrei capire…” azzardò poi, il cuore che le batteva all’impazzata nel petto. Lo stava facendo arrabbiare, ma se non tentava un approccio diretto come quello non sapeva che altro fare.
Gaara alzò la testa e le lanciò uno sguardo carico d’odio, la labbra arricciate che scoprivano i denti aguzzi, accompagnati da quelli umani, ma che in quella situazione imitavano l’espressione rabbiosa che avevano assunto i primi. Sembrava un animale ferito che, preda per troppo tempo di angherie e soprusi, tentava di mordere la mano gentile della persona che per la prima volta gli rivolgeva parole dolci e una carezza di conforto.
Se non chiudi quella bocca ti ammazzo, te lo giuro” sibilò cupamente. Tentò di alzarsi dalla sua posizione, ma con uno spasmo si accartocciò su se stesso e si portò le mani alla testa, stringendola forte e gemendo di dolore.
Sakura era bloccata dove stava, troppo sconvolta per allontanarsi e troppo spaventata per avvicinarsi a lui. Stava soffrendo, era chiaro, ma l’aveva appena minacciata di morte. Non aveva la certezza che, se fosse andata da lui, Gaara non le avrebbe staccato la testa dal collo.
Il principe iniziò ad urlare di dolore, e Sakura sperò che Temari e Kankuro corressero in suo aiuto. Suo o di Gaara, la ragazza non sapeva dirlo. Voleva solo che tutto quello finesse, che potesse andarsene di lì senza sensi di colpa, perché in fondo era lui l’aguzzino e lei la povera vittima, eppure non aveva la forza di scappare da lui. Gaara si alzò, continuando a tenersi le tempie strette fra i palmi delle mani, ma smise di gridare e le rivolse l’ennesimo sguardo, spietato, crudele, lo sguardo di una bestia.
Ti ammazzo, stupida ragazzina. Sei morta.” Non era la voce di Gaara quella, non lo era per niente. Tremò e si costrinse a non urlare di terrore. “Zitto! Stai zitto, lasciami in pace!” la voce era di nuovo la sua, ma sembrava parlare con se stesso, sembrava voler fermare qualcosa. Cosa stava succedendo? Tutto in quel luogo era assurdo, orribile, inquietante, e lei non apparteneva a quel posto, non poteva sopportarlo.
Devo ammazzarla. Se muore, starò meglio. Non soffrirò, non soffrirò, starò bene” continuò a parlare con una voce cupa, profonda e strisciante. Prima muoveva un passo verso di lei, poi si bloccava sul posto, facendo violenza su se stesso per non avvicinarsi ancora di più a Sakura. “Non è vero, non è vero, non è vero! Non parlare più, smettila. Per favore, non posso farle questo, non posso. Ti prego” gemette, mentre una lacrima rosso scarlatto gli scivolava sulla guancia e silenziosa cadeva sul terriccio polveroso ai suoi piedi. La pupilla dell’occhio felino si restrinse, poi si allargò di nuovo, e Gaara urlò di dolore e di angoscia. Stava combattendo contro se stesso.
Sakura non aveva idea di cosa stesse succedendo di fronte ai suoi occhi, non aveva idea del perché fosse ancora lì, immobile, mentre quell’essere strillava e ringhiava e lei singhiozzava di terrore. Un'altra parola da parte di quella bestia ed era certa che non sarebbe più riuscita a trattenere le lacrime che le pungevano gli occhi, cercando di uscire a forza per liberarla da quel peso opprimente che aveva nel petto.
Gaara sembrò calmarsi per un secondo, emise uno strano sbuffo e cadde in ginocchio, improvvisamente muto. Respirava affannosamente e, facendo violenza su se stesso per non stramazzare al suolo, esausto, cercò gli occhi verde prato di Sakura. Erano lucidi, spaventati, sconvolti, e provò vergogna per se stesso. Per l’ennesima volta la volontà di Shukaku aveva fatto forza su di lui per prendere il sopravvento sulla sua anima, e per l’ennesima volta aveva dovuto attingere a tutte le sue forze per rimanere se stesso e non farsi divorare dal demone. Ma lei non lo sapeva, non sapeva nulla, e non c’erano dubbi che non avrebbe mai capito. Abbassò lo sguardo e lo rivolse ai sassolini ai suoi piedi. Non poteva reggere quello sguardo.
Una nuvola di sabbia di ammassò su di loro, silenziosa. Stava per avvicinarsi al suo padrone, Gaara, per aiutarlo muoversi e dargli un appoggio, ma una piccola parte iniziò a mutare e si trasformò in una stalattite, con la punta acuminata rivolta verso Sakura. La ragazza alzò lo sguardo in aria e il rosso fece lo stesso. Spalancò gli occhi e con la sola forza del pensiero la fece esplodere in minuscoli granelli, che si riversarono su di loro. L’ultimo sprazzo della volontà del demone era sparito.
Ancora una volta si fece coraggio e tentò di rivolgere la parola alla ragazza, nella speranza di non spaventarla ancora di più. Cercò di trovare la voce per farlo, di schiarirsi la gola, e raddrizzò le spalle.
“Sakura, per fav-“
Ma prima che potesse terminare anche solo la parola, gli occhi verde smeraldo di Sakura si sciolsero in mille lacrime e lo guardarono disperati, delusi. Gli voltò le spalle di scatto e iniziò a correre via, verso il grande cancello che sbucava sulla foresta. Il più possibile lontana da Gaara.
















N/a: spero vi sia piaciuto, e che non sembri troppo strano come capitolo. Non era tanto sicura di come svolgere la scena fra Gaara e Sakura, ero davvero confusa su come volessi portarla avanti e anche come concluderla, e alla fine è uscito questo. Non è che non mi convinca, ma forse avrei potuto fare di più? Non so, però alla fine è accettabile ai fini della ff e quindi eccolo qui. So che non è il massimo del romanticismo, in effetti ce n'è abbastanza poco, ma hey, non ci si innamora della bestia brutta e cattiva in un giorno solo! Giusto?
Comunque, ringrazio tantissimo MetalheadGirl che ha recensito il capitolo precedente e ringrazio allo stesso modo chi ha aggiunto la storia fra le preferite o le seguite, siete gentilissimi! Mi raccomando, se avete qualche consiglio, parere o cose così, non fatevi scrupoli e mandatemi una recensione, mi renderebbe felice!
Al prossimo capitolo.
  
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