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Autore: BlackNeko    06/04/2017    0 recensioni
Tanto tempo fa in un paese lontano lontano della fredda Russia, un giovane principe viveva in un castello splendente. Benché avesse tutto quello che poteva desiderare, il principe era viziato, egoista e cattivo.
Accadde però che una notte d’inverno, una vecchia mendicante arrivò al castello e offrì al principe un paio di pattini in cambio del riparo dal freddo pungente. Lui, che provava repulsione per quella vecchia dal misero aspetto, rise del dono e la cacciò. La vecchia, che in realtà era una fata, lo punì per questo, lanciando una maledizione su di lui e sul suo castello.
Se avesse imparato ad amare e fosse riuscito a farsi amare a sua volta prima che fosse caduto l’ultimo pezzo di colore, l’incantesimo si sarebbe spezzato; in caso contrario, sarebbe rimasto una bestia per sempre.
Con il passare degli anni, il principe cadde in preda allo sconforto e perse ogni speranza.
Chi avrebbe mai potuto amare una bestia?
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Jean Jacques Leroy, Un po' tutti, Victor Nikiforov, Yuuri Katsuki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia, ispirata al film La bella e la bestia (1991), ha partecipato al contest Raccontami una favola! indetto da supersara89, classificandosi al secondo posto.

 


      Beauty and The Beast!!! on Ice


Tanto tempo fa in un paese lontano lontano della fredda Russia, un giovane principe viveva in un castello splendente. Benché avesse tutto quello che poteva desiderare, il principe era viziato, egoista e cattivo.
Accadde però che una notte d’inverno, una vecchia mendicante arrivò al castello e offrì al principe un paio di pattini in cambio del riparo dal freddo pungente. Lui, che provava repulsione per quella vecchia dal misero aspetto, rise del dono e la cacciò. Ma lei lo avvertì di non lasciarsi ingannare dalle apparenze, perché la vera bellezza si trova nel cuore. Il principe la respinse di nuovo e in quel momento la bruttezza della mendicante si dissolse ed apparve una bellissima fata. Il principe si scusò ma era troppo tardi, perché lei ormai aveva visto che non c’era amore nel suo cuore e per punirlo lo tramutò in un’orrenda bestia e gettò un incantesimo sul castello e su tutti i suoi abitanti. Vergognandosi del suo aspetto mostruoso, la bestia si nascose nel castello. I pattini che gli aveva offerto la fata erano davvero dei pattini incantati e la loro vernice sarebbe rimasta intatta fino a che il principe avesse compiuto 27 anni. Se avesse imparato ad amare e fosse riuscito a farsi amare a sua volta prima che fosse caduto l’ultimo pezzo di colore, l’incantesimo si sarebbe spezzato; in caso contrario, sarebbe rimasto una bestia per sempre.
 Con il passare degli anni, il principe cadde in preda allo sconforto e perse ogni speranza.
 Chi avrebbe mai potuto amare una bestia?

 

 

Quella mattina grosse e grigie nuvole oscuravano il calore e i brillanti raggi del sole, e coloravano il cielo di un pallore simile a quello creato dalla neve che ricopriva prati una volta fioriti ed alberi ormai spogli della loro fitta chioma verde. Era una di quelle mattine in cui Yuuri afferrava i propri pattini ed usciva di casa con passo spedito, i piedi che affondavano nella neve candida e precedentemente intonsa e un sorriso che gli nasceva spontaneo sulle labbra nonostante il freddo gli aggredisse il viso, l’unica parte del corpo che i numerosi indumenti che stava indossando non riuscivano a coprire.
 Si incamminò verso il retro della casa, dove una piccola stalla ospitava il suo vecchio e fidato cavallo, Vicchan. Gli diede qualche pacca amorevole sul collo e, facendolo uscire dalla stalla, lo sellò. Quello nitrì, visibilmente contento di poter abbandonare il piccolo spazio in cui era costretto a passare la maggior parte dell’inverno.
 Yuuri era sul punto di saltare in groppa al suo cavallo quando sentì qualcuno chiamare il suo nome. Trattenne a stento lo sbuffo di sorpresa e noia che minacciò di lasciare le sue labbra: conosceva fin troppo bene di chi fosse quella voce. Neanche il tempo di voltarsi che la figura alta e slanciata di Jean-Jacques Leroy gli si parò davanti. Yuuri riuscì a distendere le labbra in un sorriso, nonostante il fastidio che l’avere l’altro ragazzo così vicino gli provocava. “JJ…! Che…che bella sorpresa vederti!”
 “Concordo” Yuuri alzò gli occhi al cielo, consapevole che questa fosse solo la prima di tante altre battutine simili. “Sai Yuuri, non c’è nessun’altro in questo paese che non vorrebbe essere te in questo momento, proprio qui e adesso”
 “Ah, ma davvero…? E perché mai?” JJ rise, una risata che risuonò nel petto muscoloso. “Ma è ovvio, mio caro Yuuri! Quest’oggi sono venuto per realizzare i tuoi sogni e desideri!”
 “E tu sapresti quali sono i miei sogni e i miei desideri, JJ?”
 “Ma certo Yuuri, sono i sogni che tutti i ragazzi della nostra età hanno, dopotutto! Una bella casetta ai piedi del bosco…tu che prepari la cena che io stesso ho cacciato mentre il nostro cane, uno tra le migliori razze da caccia ovviamente, dorme davanti al camino…” JJ gesticolava ampiamente mentre parlava, come se avesse voluto indicare l’esatta posizione che avrebbero avuto in quell’immaginaria casa. Yuuri storse il naso, a metà tra il divertito e l’esasperato. “Non so cucinare bene la carne, mi dispiace” JJ emise di nuovo quella che presumibilmente era una risata, ma che in realtà assomigliava soltanto ad un fragoroso boato.
“Ma non preoccuparti” disse avvicinandosi con uno scatto a Yuuri, che indietreggiò a disagio. “Imparerai”
 “JJ, sono veramente onorato…”
 “Lo immaginavo” ridacchiò, avvicinando il volto al suo. “Ma io, veramente…” Yuuri posò la mano sul dorso del cavallo, approfittando del fatto che JJ aveva chiuso gli occhi nell’intento di avvicinarsi per baciarlo. “…non ti merito!” Yuuri saltò in un groppa a Vicchan con uno scatto improvviso e, premendo i talloni sullo stomaco del cavallo, lo incitò a correre via. “Grazie per essere passato a trovarmi, comunque!” Yuuri urlò e salutò dietro di sé con una mano.
“Yuuri! Tornerò a trovarti, Yuuri! Noi due ci sposeremo, vedrai!” le urla di JJ si fecero sempre più fioche fino ad essere completamente mute, sostituite dal rumore ritmico degli zoccoli di Vicchan contro il suolo innevato. Yuuri sospirò, odiava essere scortese ma la corte che JJ si ostinava a fargli si era protratta ormai per mesi, lunghi ed estenuanti mesi di continue visite, battute volgari e maleducazione senza alcun freno. Yuuri ne aveva avuto abbastanza. A volte e in certi casi, si ritrovò a pensare, un po’ di scortesia era lecita.

Yuuri si avviò lungo la strada principale del proprio villaggio, quella che lo percorreva in lungo e che portava direttamente al bosco di abeti che ospitava un piccolo laghetto ghiacciato dove Yuuri pattinava da quando era bambino. I pochi raggi solari che riuscivano a farsi strada tra la fitta coltre di nubi illuminavano i tetti dei negozi e i volti delle persone che si preparavano ad affrontare la giornata sperando di riuscire a vendere la merce necessaria per contentarsi un piatto caldo in tavola. I suoi abitanti alternavano sorrisi ampi e saluti vivaci al suo arrivo, a bisbigli e parole sussurrate quando lo vedevano allontanarsi.
“Oh, per l’amor del cielo! Va ancora a danzare sul ghiaccio?”
 “Davvero, quel ragazzo è senza speranze. Tanto gentile e di bell’aspetto, eppure…”
 “Ma quando capirà che deve smetterla con quelle sciocchezze e trovarsi un bel lavoro e metter su famiglia per vivere una vita degna di essere chiamata tale? E invece eccolo lì, che va a pattinare”
Yuuri non ci fece caso, troppo impegnato a calcolare quanti minuti lo separavano dal luogo in cui avrebbe potuto finalmente divertirsi e liberarsi della pesante monotonia che la vita del villaggio gli imponeva. La noia e la monotonia erano quello che Yuuri più odiava, quello che avrebbe voluto cambiare più di tutto nella sua vita, a qualsiasi costo. Era per questo motivo che solo quando pattinava si sentiva vivo, perché mentre le lame dei pattini graffiavano il ghiaccio sotto di lui, riusciva ad immaginarsi situazioni e mondi completamente differenti dai suoi.
 Finalmente giunto all’entrata del bosco, vi entrò senza esitazione: quel luogo non aveva segreti per lui, Yuuri avrebbe persino detto che lo conosceva come il palmo della sua mano.
 Yuuri, arrivato al laghetto, fece un piccolo salto per scendere da Vicchan e, una volta che fu sicuro di aver legato il suo cavallo all’albero più vicino, si infilò i pattini ormai consunti dall’essere usati così tante volte per così tanto tempo, e sfilò sul ghiaccio tirando un sospiro di sollievo.
 Si lasciò trasportare dal proprio corpo per alcuni minuti prima di fermarsi proprio al centro del laghetto: espirò con lentezza, alzando il volto verso il cielo e beandosi del sole che gli riscaldava la pelle; alzò le braccia, facendole ruotare con lentezza in una serie di movimenti fluidi intorno al proprio corpo: adesso era una donna di passaggio in un villaggio sconosciuto che seduceva con la sua bellezza tutti gli uomini caduti ai suoi piedi per poi abbandonarli e dimenticarsene. Il vento gli scompigliò i capelli e di nuovo il freddo gli punse il viso mentre si muoveva con leggerezza sul ghiaccio, saltando e piroettando come se stesse ballando nella piazza di quel villaggio sconosciuto, gli occhi di tutti i presenti fissi solo e soltanto su di lui e sui suoi movimenti aggraziati.
“Ah, dannazione” Yuuri mormorò quando fu costretto a fermarsi dalle prime gocce di pioggia che gli caddero sul viso. Le nuvole si erano ammassate fra di loro, facendosi nere e minacciose e riempendo ogni lembo di cielo prima visibile. “E’ ora di andare Vicchan, mi sa che è in arrivo una bella tempesta”

La neve aveva iniziato a scendere giù veloce e pesante come la pioggia, ed esse gli impedivano di vedere con chiarezza. Yuuri non era spaventato per il non poter mettere a fuoco il percorso davanti a sé quanto era invece infreddolito, la pioggia gli aveva ormai inzuppato i vestiti e il freddo gli penetrava nelle ossa facendolo rabbrividire.
 Fu un ululato a ghiacciargli il sangue nelle vene completamente. Vicchan rizzò le orecchie per identificare la provenienza di quel suono sinistro.
 Un secondo, terzo e poi quarto ululato in risposta al primo, lo misero in allarme e lo riscossero da quello stato di immobilità indotto dalla paura. “Andiamo Vicchan, hop-hop
Il cavallo riprese a camminare, Yuuri gli fece tenere un’andatura lenta per creare quanti meno rumori possibili, in modo da non attirare l’attenzione. Il suo piano però fallì miseramente quando con un balzo il lupo più grosso che Yuuri avesse mai visto gli si parò davanti. Era enorme, la folta pelliccia bianca irta sulle spalle possenti; il muso era tirato indietro a rivelare denti grandi ed appuntiti in un ringhio intimidatorio. Vicchan nitrì spaventato e indietreggiò. “Vicchan sta buono, andiamo, non è niente” Yuuri cercò di parlargli a voce bassa in modo da tranquillizzarlo, nel mentre cercava una via d’uscita che sembrava essere sempre meno propensa a farsi trovare nel momento in cui il resto del branco sbucò da entrambi i lati. Yuuri si voltò, disperato: l’unica via di scampo che gli era rimasta era dietro di sé, un sentiero buio che Yuuri riconosceva come la via d’accesso a quell’unica parte di bosco che i suoi genitori, quando erano ancora in vita, gli avevano assolutamente vietato di esplorare perché a detta loro estremamente pericolosa.
 Il lupo alpha ringhiò e scattò in avanti, Vicchan si alzò sulle zampe posteriori, terrorizzato, e quando tutte e quattro furono di nuovo sulla neve appiccicosa per la pioggia, prese a correre verso il sentiero buio dietro di loro.

 

Quando Vicchan finalmente sembrò essersi tranquillizzato abbastanza da permettere a Yuuri di governare il passo della cavalcata, quest’ultimo alzò lo sguardo per capire in quale parte del bosco il suo cavallo li avesse portati.
 Un enorme e cupo castello si stagliava minaccioso di fronte ai suoi occhi spalancanti per lo stupore. Yuuri riconobbe subito il castello come quello delle leggende che correvano in paese e alle quali lui non aveva mai creduto. Perché, dopotutto, credere a pregiudizi e voci infondate riguardo una fantomatica bestia, padrona di un castello stregato?
 Legato Vicchan al cancello, e avvicinatosi alle enormi porte nere e magnificamente lavorate, le spalancò ed entrò.
“E’ permesso?” la sua voce riecheggiò nell’enorme entrata del castello. “C’è nessuno?” le sue domande non ricevettero alcuna risposta. Continuò a camminare nel castello, incerto. Quando sentì lo scricchiolio di una porta, Yuuri si voltò di scatto. “Chi è? C’è qualcuno?”
Prese a muoversi lentamente verso il punto in cui credeva di aver sentito il suono. Tuttavia quando non sentì nessun altro suono, attribuì il rumore precedente al vento che entrava nella grande sala da una delle grandi finestre semi-rotte che la abbellivano.
 Yuuri si sentiva terribilmente a disagio: per quanto il castello potesse sembrare disabitato da molti anni, era pur sempre proprietà privata di sconosciuti, ciò faceva di lui un intruso.
 Davanti a lui c’erano due rampe di scale: una portava al piano superiore a destra, l’altra a sinistra. Yuuri, incerto sul da farsi, temporeggiò pulendosi gli occhiali ancora imperlati di piccole goccioline di pioggia e neve sciolta.
“Chi va là?” un ruggito improvviso squarciò l’aria, facendo sobbalzare Yuuri dallo spavento. “Chi è lei? Che cerca nel mio castello?! Ladro!”
 “Mi dispiace, le faccio le mie più sincere scuse!” si affrettò a rispondere, in preda al terrore per l’animalesco verso emesso dalla figura massiccia nascosta nell’ombra. “Non sono un ladro, mi creda! Stavo tornando a casa quando la tempesta mi ha sorpreso e successivamente un branco di lupi mi ha attaccato ed ho trovato rifugio nel suo castello! Sono infinitamente dispiaciuto!”
 “Non è il benvenuto qui!” sputò con rabbia quello. “Vada via! Subito!” il rumore brusco di un tuono sembrò far vibrare persino le pareti del castello. “Aspetti, la prego! Mi dispiace di essere entrato senza permesso, ma mi permetta di restare qui almeno fino a quando la tempesta sarà passata!”. Quello ruggì di nuovo, e il suono che emise rimbombò nel petto di Yuuri. “Non sarebbe mai dovuto entrare qui! Adesso se ne vada!”. I lupi potevano ancora essere vicini nel bosco, e questa volta Yuuri non era sicuro che sarebbe riuscito a scappare con la stessa fortuna che aveva avuto prima. “Non avrò bisogno di nessun tipo di ospitalità: né cibo, né acqua. Le chiedo soltanto una stalla per il mio cavallo” Yuuri provò a ritrattare, speranzoso. “Appena la tempesta finirà le giuro che non le darò più alcun tipo di fastidio!” strinse i pugni, un’espressione determinata era ora dipinta sul suo viso. “Farò qualsiasi cosa!”
Nei secondi che seguirono, Yuuri rimase a fissare il volto oscurato dalle tenebre dello sconosciuto, ansioso del responso alla sua proposta. Egli rimase in silenzio prima di emettere un ringhio basso. “E’ disposto a tutto, dice?” chiese a voce bassa. Yuuri confermò con un cenno del capo, prima di dare voce al suo assenso. “Qualsiasi cosa” ripeté.
“E così sia, resterà qui per sempre”
L’uomo fece per allontanarsi ma Yuuri, dopo un attimo in cui rimase totalmente pietrificato, gli corse incontro, spaventato. “Come sarebbe a dire, per sempre?”
 “E’ quello che lei stesso ha proposto: qualsiasi cosa!” ribatté con voce gelida. “Ora mi lasci solo” Yuuri scosse la testa, incredulo. Restare prigioniero in quel castello? Per la sua intera esistenza? Yuuri non avrebbe mai potuto accettare una cosa del genere.
“No, non posso accettare! Me ne vado!” corse subito all’immensa porta che l’avrebbe portato al freddo della tempesta che infuriava all’esterno. Riuscì a stento ad aprirla che fu subito afferrato da una grossa mano, fin troppo grossa per appartenere ad un uomo di proporzioni umane, e brutalmente strattonato all’indietro. “Non le permetterò di rimangiarsi la parola data adesso!”
Yuuri fu finalmente capace di vedere in volto lo sconosciuto: due grandi occhi, di un azzurro così puro e limpido da sembrare il cielo in una calda mattina d’estate, erano grottescamente collocati su di un volto che Yuuri avrebbe potuto descrivere soltanto come quello di un animale.
 Il pelo, tipico di un animale selvatico, gli ricopriva il volto e si univa ai capelli per poi terminare in un contorto intreccio sotto il mento, formando quella che doveva essere una criniera. Il corpo, grosso e definito, era come ricurvo su sé stesso e terminava in zampe adorne di artigli neri lucenti.
 Yuuri si coprì la bocca con le mani per evitare di urlare a pieni polmoni. Che mostro era mai quello? Possibile che le vecchie leggende del suo villaggio fossero vere? Yuuri non capiva e stentava persino a credere a quello che i suoi occhi non potevano fare a meno di mostrargli.
“Portatelo subito nella sua camera!” ordinò, ad una servitù apparentemente invisibile, con un ringhio contro la sua faccia, mostrando denti bianchi e aguzzi.
 Yuuri fu sollevato dal pavimento, non si era nemmeno accorto di essersi accasciato su di esso, e trascinato via.
 I suoi pensieri gli turbinavano nella mente accompagnati dalle immagini orribili di quella bestia e dal suono dei suoi ringhi che formulavano parole minacciose. Registrò appena il fatto che venne fatto salire per le scale a sinistra, prima che la stanchezza dovuta all’adrenalina di essere scampato per un soffio ad una situazione letale e lo shock, lo facessero cadere in un profondo stato di incoscienza.

  
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