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Autore: SamuelRoth93    14/04/2017    0 recensioni
Joanna Alldred, reporter cronista allo Yell of news, una nota rivista di San Francisco, è una giovane donna reduce da un passato traumatico con il suo ultimo ragazzo, Kyle. A due anni dal suo arresto, Joanna si ritrova isolata dal mondo reale, faticando a relazionarsi con le persone e i colleghi di lavoro.
Ossessionata da un sogno ambientato in un luna park, in cui ha passato una piacevole giornata con tre persone mai viste in vita sua, coinvolge la sua migliore amica nel momento in cui trova, per caso, sul suo telefono, una foto che la ritrae in quello stesso luna park assieme a quelle stesse tre persone: come poteva esiste una foto di quell'esperienza, se si trattava solo di un sogno?
Genere: Drammatico, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO DUE
“Am I Just Dreaming?”
 
 
Non tutti i sogni sono fatti per essere ricordati; la maggior parte di essi non ha nemmeno un senso.
 
~
 
La sveglia non smise di suonare, incessante; quasi come volesse star lì a sottolineare una situazione anomala, caotica. E lo era.
Joanna aprì finalmente gli occhi, dalla voragine che aveva creato nel suo voluminoso piumone, sprofondandoci dentro la notte prima, probabilmente. Con una mano cercò subito di spegnere la sveglia alla cieca, riuscendoci dopo diversi tentativi andati a vuoto; la fece anche cadere a terra.
Che si fosse rotta o meno, Joanna era troppo frastornata per raccoglierla, così si prese ancora un secondo prima di sollevarsi iniziare la giornata.
Finalmente era in piedi, poco dopo, recuperando il telefono da sopra al comodino: 11 chiamate perse; una da parte di Nigel, suo collega di lavoro, e tutte le altre da parte di mona. C'erano anche dei messaggi.
 
Messaggi non letti:
 
Mona: Sono in ritardo, tra poco arrivo. [Lunedì, ore 07.36]
 
Mona: Carino da parte tua lasciarmi sola, stamattina. Mia sorella è riuscita ad incastrarmi con la faccenda del trasloco. Mi toccherà aiutarla, ti chiamo stasera. [Lunedì, ore 14.48]
 
Mona: Dove diavolo sei? Sono quasi due giorni che non ti vedo e non ti sento. Non sei nemmeno in casa, ho bussato per ore. [Martedì, ore 09.23]
 
Numero sconosciuto: Ehi, sono Nigel, scusa se ti disturbo, ma al lavoro non ci sei venuta, perciò volevo sapere se… beh, se volevi unirti a noi per comprare un regalo di compleanno a Lambert. Dopodomani gli facciamo una festa a sorpresa qui in ufficio. Memorizza il mio numero, fammi sapere. [Martedì, ore 16.01]
 
Mona: Mi prendi prendi il culo??? Joanna, cazzo, chiamo la polizia, ok? [Martedì, ore 23.12]
 
Joanna sbigottì con gradualità a ciascun messaggio letto, mettendosi una mano sulla fronte, stordita. Subito portò il telefono all'orecchio, effettuando una chiamata; non riusciva a capire cosa stesse succedendo ed era intenzionata a scoprirlo.
 
“Mona, pronto?”
 
“Scherzi, vero? Ti fai sentire dopo tre giorni?”
 
I-io non riesco a capire, ci siamo viste ieri… - si spostò in cucina, agitata, sforzandosi di ricordare dove fosse stata nei giorni precedenti - Penserei che sia uno dei tuoi scherzi, ma ho ricevuto dei messaggi anche da Nigel; non mi ha vista al lavoro.” spiegò ancora, con voce incredula, vittima di una strana surrealità.
 
“Joanna, nessuno ti ha vista! Compresa me! Ma che fine hai fatto?!”
 
“Nessuna fine, ieri ero con te! - si affannò nel riferirle la verità - Abbiamo parlato di quella faccenda del sogno, poi siamo andate alla centrale e abbiamo scoperto che Spencer esiste; che l’uomo dei miei sogni è reale, il tizio al luna park!”
 
“Uooo, uooo, frena ragazza! - esclamò, subito frastornata - Dimmi che non sei finita a Tijuana, strafatta in qualche vicolo. Seriamente, c'è qualcosa che non va, sei strana. Lo percepisco.”
 
“Non sono strafatta, sono nel mio appartamento! - urlò esasperata - Non capisco cosa stia succedendo, è tutto così assurdo. - si guardò intorno, accorgendosi dell'assenza del suo cane. - Ma dov’è Bluto?”
 
“Chi?”
 
“Il mio cane, Mona! - esclamò seccata, cercandolo in tutta la casa.”
 
“...Ok, se prima pensavo che c'era qualcosa che non va, ora ne sono convinta: chi diavolo è Bluto?”
 
Quella si sollevò da terra, dopo aver controllato sotto il letto: “La smetti di fare l’idiota? È il mio cane e non riesco a trovarlo.”
“Joanna, tesoro, tu non hai un cane… E, francamente, mi stai spaventando.” le confessò, esprimendo a pieno il suo disagio.
 
Joanna si fermò per un istante, le sue pareti non erano bianche come le ricordava, ma di uno sbiadito celeste: “... E non mi hai aiutato a ridipingere le pareti della mia camera, vero?”
 
“Sono mesi che dici di volerlo fare, ma non ti sei mai decisa a comprare la vernice e i pennelli.”
 
Sconcertata, Joanna lasciò scivolare lentamente il telefono lungo il viso: “Ti richiamo…” poi lo lasciò cadere a terra.
 
“Ma che mi sta succedendo?” provò paura, gli occhi e la bocca spalancati per l’angoscia di non sapere cosa le stesse capitando.
 
Si rese conto che qualcosa non andava per davvero, così corse in bagno a sciacquarsi la faccia, per poi guardarsi riflessa nello specchio.
 
“Sembrava così reale…” mormorò.
 
 
~
 
 
Verso sera, Joanna si ritrovò invitata a casa della sorella di Mona; aveva dato una cena per pochi intimi, in occasione del trasloco nella nuova abitazione.
 
Per tutto il giorno, Joanna ebbe provato a lasciarsi quella bizzarra vicenda alle spalle, ancora ignara di cosa fosse successo in realtà. Mentre tutti se ne stavano nel salottino a ridere e scherzare, Joanna restò in disparte con in mano il suo bicchiere di vino e un capo decisamente troppo elegante e troppo scomodo per i suoi gusti; del resto, era stata Mona a metterle quel completo nero con lo scollo sul seno, una gonna stretta fino alle ginocchia e dei tacchi decisamente alti.
 
“Tesoro, non ti diverti?” le si avvicinò Mona, diretta verso la cucina con in mano i piatti del dolce.
 
“Sono solo pensierosa…” ricambiò con un sorriso molto forzato, che riuscì a rassicurarla quanto basta.
 
“Scusa se sono andata alla polizia, ma non sapevo che altro fare o pensare. - si scusò ancora una volta, pensando fosse quello il motivo di tanto distacco - Fortuna che sei ricomparsa prima delle 48 ore standard di attesa.”
 
“Già, che fortuna!” marcò con un sollevamento delle sopracciglia, fingendo sollievo per la cosa.
 
Improvvisamente le squillò il telefono: era Nigel, quando controllò; la sua espressione scocciata attirò la curiosità di Mona.
 
“Chi ti sta chiamando?”
 
“È Nigel!” le rispose distrattamente, impegnata a decidere se rispondere o meno.
 
“Perchè non rispondi?”
 
“In ufficio organizzano una festa a sorpresa per Lambert, stanno facendo una colletta per il suo regalo.”
 
Le due si spostarono in cucina.
 
“Joanna, non dirmi che fai ancora l’asociale in ufficio? - si infuriò, mettendo i piatti nel lavello - Quante volte ti ho detto di farti avanti e superare questo muro che ti sei costruita attorno?”
 
“Non mi sento molto bene, ultimamente.” si giustificò, poco credibile.
 
“Non sarà che ti vergogni a parlare con Nigel? È questo che ti frena?”
 
“No!” esclamò in maniera sonora, per poi mettersi a braccia conserte con un broncio insicuro.
 
Mona capì di avere ragione, a quel punto: “Sono passati due anni, Joanna. Non credo che ti compatisca ancora. Nessuno lo fa.”
 
“E invece lui mi compatisce! - ribatté, convinta di questo - Del resto, sono la ragazza su cui ha scritto il suo primo articolo di esordio allo Yell of news.”
 
“Vuole solo essere gentile, sa cos’hai passato e ti tratta di conseguenza. E poi ho amato le parole che ha usato per descrivere quel mostro di Kyle, in quell’articolo; non avrei saputo usare parole migliori.”
 
“In ufficio sono tutti amici suoi, non riesco mai ad avvicinarmi. - sospirò - Ho paura che se provo a rivolgere loro la parola, tutti si gireranno a fissarmi per poi ricordare ciò che mi è accaduto e vedermi come una patetica e fragile ragazza che non ha saputo prevedere le conseguenze di quella relazione malsana. - esternò le sue paure - Preferisco fare il mio lavoro e tornare a casa mia, dove posso finalmente respirare e non dover affrontare nessuno.”
 
L'altra sorrise, trovandola stupida: “Joanna, tu vivi in un sogno se pensi che la vita sia davvero così difficile.”
 
“Un sogno, hai detto?” sgranò gli occhi a quella parola, leggermente turbata.
 
“Sì, Joanna! - la prese per le spalle, risoluta - Se c'è una cosa che ho imparato dalle mie esperienze, è che la vita non è difficile come crediamo: siamo noi a renderla così; lo facciamo con le nostre inutili paranoie e le nostre stupide incertezze. - le spiegò - Joanna, devi solo fare un passo e iniziare a parlare; di per sé, queste, sono azioni semplicissime, non credi?”
 
Joanna abbassò lo sguardo, riflettendo su quanto le era stato detto; forse Mona aveva ragione, forse siamo proprio noi stessi a rendere tutto così difficile.
 
Nell'altra stanza, poco dopo,Claire, suo marito e i loro amici, stavano indossando i cappotti. Prima di uscire, quella avvisò Mona.
 
“Sorellina, noi stiamo uscendo. Accompagnamo Denise a casa sua e torniamo.” si fece sentire dalla porta.
 
“Va bene, io e Joanna diamo una sistemata intanto. Ciao, ragazzi! Buonanotte!” salutò, facendosi sentire dalla cucina; quelli ricambiarono subito il saluto, per poi uscire.
 
Approfittando del fatto che erano rimaste sole, Joanna sputò il rospo sul suo strano atteggiamento; non riuscì proprio a placarsi.
 
“Ti ho mentito!” rivelò.
 
Mona si girò con la testa, mentre era intenta a lavare i piatti della cena: “Su cosa?”
 
“Oggi ti ho mentito, non era vero che sono stata dai miei genitori in Vermont negli ultimi tre giorni.”
 
“Ok, d’accordo… - chiuse il rubinetto, concedendole la sua attenzione - E dove saresti stata?”
 
Joanna faticò nel far uscire un suono dalla sua bocca, non sapeva come dirle la verità: “Io… I-io…”
 
“Tu, cosa?” le domandò, sulle spine.
 
“Io ho dormito! - esclamò, finalmente - Ho dormito per quasi tre giorni, senza svegliarmi”.
 
Mona si asciugò le mani con uno straccetto, leggermente perplessa e schiva con lo sguardo: “Ehm, ok… Dev'essere stanchezza, no? Sei andata dal medico?”
 
“Mona, non è stanchezza. - esternò con terrore - Sento che c'è qualcosa che non va.”
 
“Ok, allora che cos’hai? Spiegami!” le intimò.
 
“In questi ultimi tre giorni ho dormito, ma non ho percepito del tutto la differenza al mio risveglio; o almeno, non finchè non ho letto i messaggi.” provò a spiegare.
 
“Differenza tra cosa?” cercò di seguirla con fatica.
 
“Tra il sogno e la realtà! - esclamò con preoccupazione - Nel sogno che ho fatto, avevo un cane, le pareti che volevo dipingere di bianco erano bianche e io ho finalmente trovato il coraggio di parlare con Nigel e gli altri colleghi.”
 
“Perché segui i miei consigli solo da addormentata? Devi parlare con il Nigel della realtà e non quello dei sogni: comodo! - le fece subito una ramanzina, distaccandosi dall’atmosfera seria che Joanna creò - Per quanto riguarda le pareti, beh, sei pigra! Dovevi essere proprio pompata di steroidi in questo sogno, se ti sei finalmente decisa a ridipingerle. ”
 
“Mona, per favore, ascoltami! - esclamò isterica, catturando una sua smorfia sorpresa a quella reazione così esagerata - Era reale, quanto è reale questa conversazione, ok? - raccontò con più precisione - I secondi, i minuti e le ore passavano lentamente e ho vissuto ogni istante come se fosse quella la mia vita; infatti anche nel sogno sono passati tre giorni e li ho passati in parte con te, in parte in ufficio e poi a casa: come al solito.”
 
“Joanna, cosa c'è di strano in tutto questo? Si chiamano sogni lucidi, proprio perché sembrano veri.”
 
“Non avevo idea che in ufficio stessero organizzando una festa a sorpresa per Lambert. Come posso aver sognato di saperlo, se non lo sapevo?”
 
“L’avrai sentito distrattamente da qualcuno e il tuo cervello ha immagazzinato l’informazione.”
 
“Ti ho anche parlato di un sogno che ho fatto: ero in questo luna park con altre tre persone; sembrava ci conoscessimo da sempre. Poi, quando mi sono svegliata, c'era questa foto sul mio telefono e… - si fermò di colpo, sgranando gli occhi - Oh mio Dio, la foto!” tuonò, recuperando subito il suo cellulare dalla borsa, lì sul tavolo.
 
Mona sembrò sempre più confusa: “Un secondo, hai fatto un sogno, mentre stavi...sognando?” trovò bizzarro.
 
“Ehm, sì, più o meno… - le rispose distrattamente, cercando disperatamente quella foto - Ma dove diavolo è???”
 
“Forse non c'è?” puntualizzò, sottolineando la sua follia.
 
Joanna si fermò nel cercare, lanciandole una brutta occhiataccia.
 
“Che c'è? - reagì Mona, marcando il suo giusto scetticismo - Davvero stai cercando di trovare nel tuo telefono una foto che hai scattato nel sogno che hai fatto mentre sognavi?”
 
Joanna si rese conto che era fin troppo assurda come storia, così cercò di convincere Mona in un altro modo: “Ho ancora una possibilità per essere creduta. So che non sono credibile al momento, ma vieni con me al distretto di polizia e saprai che dico il vero.” le supplicò con lo sguardo.
 
“Cosa c'è al distretto per farmi cambiare idea?”
 
“Grazie al tuo aiuto, abbiamo decifrato un secondo sogno che ho fatto in una spiaggia; c'era uno dei tre ragazzi che era con me in quel primo sogno al luna park; sembravo avere una cotta per lui, o, meglio, la Joanna del sogno era innamorata di lui. Si chiama Spencer Goodwin.”
 
“Quindi troveremo questo Spencer in prigione?” pensò con logica.
 
“No, uno dei poliziotti è suo fratello. Da lui abbiamo scoperto che Spencer era un tossico.”
 
“Ti innamori sempre dei cattivi ragazzi, eh? - ricevette l’ennesima occhiataccia - Ehm, scusa.” si ammutolì.
 
Joanna piombò nuovamente nella paranoia: “Ho paura di stare sognando anche in questo momento. Magari tra due minuti mi sveglierò e dovrò ripeterti da capo tutto quanto.”
 
“Non essere drastica, prendo il cappotto!” esclamò, avviandosi.
 
Joanna, presa subito da un raptus, lanciò un bicchiere a terra. Mona si voltò, spaventata.
 
“Ma che diavolo ti è preso?”
 
Quella deglutì faticosamente, mortificata: “Scusa, volevo solo capire se sto sognando.”
 
“Buttando un bicchiere a terra?” replicò con tono sconvolto.
 
“Pensavo di svegliarmi, ma come vedi non è successo.” le sorrise, sperando sorvolasse su quanto appena accaduto.
 
“Ti prego, dimmi che la Mona del sogno trova tutto questo molto folle.”
 
“Altrochè!”
 
Mona cacciò fuori un sospiro, riprendendosi dallo spavento preso: “Bene, viva il #TeamMona!”
 
 
~

 
Al distretto, ancora infreddolite dall’ambiente esterno, le due ragazze erano in cerca dell’agente Goodwin.
 
“Il piano era questo, c'è la scrivania dell’agente Tesler, laggiù!” indicò Joanna all'amica, facendo da guida.
 
“E chi diavolo sarebbe?”
 
“La Mona del sogno è sessualmente attratta da lui.”
 
“Ah, sì?” pensò, curiosa.
 
In quell’istante, l’agente Tesler tornò alla sua scrivania. Mona poté finalmente vedere com'era.
 
“Mmh, la Mona del sogno sa il fatto suo.” ammiccò, trovandolo affascinante.
 
L'agente Tesler buttò un occhio sulle due, non appena avvertì la loro presenza; il suo sguardo incrociò subito quello di Mona, che gli sorrise ammaliata.
 
Joanna la tirò verso un'altra direzione, però, mettendo fine a quel momento: “Sì, ma non è lui con cui dobbiamo parlare. L'ultima volta che sono stata qui, nel sogno, lui mi ha indicato la scrivania di Derek Goodwin, il fratello di Spencer.”
 
Mona indicò subito un agente alla sua scrivania, poco lontano da loro: “Quel tipo, per caso?”
 
“Sì, lui.” confermò Joanna.
 
Le due rimasero lì impalate a fissarlo, timorose di avvicinarsi.
 
“Come hai intenzione di esordire? Dicendo: “Salve agente, ho conosciuto suo fratello in un sogno che ho fatto dentro un altro sogno”?
 
Joanna prese coraggio, avviandosi decisa: “Reggimi il gioco!”
 
L'altra rimase indietro, rincorrendola subito: “Ehi, aspetta, quale gioco? Io non sono brava nei giochi!” esclamò preoccupata.
 
Qualche secondo più tardi, erano davanti alla sua scrivania; nessuna delle due parlò, fissandolo e basta, a braccetto come due vecchiette. L'uomo alzò lo sguardo, impaziente.
 
“Sì?”
 
“Ehm, Salve agente… - le sembrò di aver iniziato come prospettato da Mona - Ehm, io…”
 
“Non sfidare la sorte…” le sussurrò l'amica con un angolo della bocca.
 
L'agente Goodwin restò lì a fissarle, trovandole strane.
 
“Siete qui per sporgere una denuncia o cosa?”
 
“Ouh, no no! - Joanna chiarì subito - Sono qui perché so che lei è il fratello di Spencer… - insieme a Mona osservò la sua reazione - non è così?” deglutì malamente, sudando freddo.
 
Finalmente l'agente disse qualcosa: “Sì, sono il fratello di Spencer. Quindi?”
 
Joanna sorrise, tirando un sospiro di sollievo. Mona, invece, restò a bocca aperta, incredula.
 
“Cazzo, non ci credo…” commentò sottovoce, ma non così tanto da non essere ascoltata.
 
L'agente Goodwin continuò a spostare lo sguardo fra le due, sempre più stranito.
 
Joanna riprese subito parola: “Io e Spencer eravamo nella stessa clinica. - inventò, basandosi con astuzia sulle informazioni che possedeva - Quando sono stata dimessa, ho perso il numero che mi aveva scritto e…”
 
“Ah, eravate nella stessa clinica… - borbottò con tono serio, l’argomento non sembrò fargli piacere - E che problema avevi?”
 
Joanna, i cui dubbi erano finalmente diventati certezze, continuò per quella via: “Ehm, mi facevo! - rispose, fingendo vergogna; Mona sgranò gli occhi ed impallidì, restando in silenzio - Non voglio entrare nei dettagli, se non le dispiace.”
 
“No no, nessuno lo vuole. - disse l’agente, osservando il suo orologio da polso - Quindi sei venuta fin qui, alle undici passate di sera, per chiedere un numero? - trovò bizzarro - E poi come fai a sapere chi sono?”
 
“Spencer mi ha raccontato di te, mi disse che facevi l'agente di polizia, qui a San Francisco; così mi sono ricordata ed eccomi qui.” spiegò prontamente.
 
“Non sapevo che mio fratello amasse parlare di me. - restò sorpreso - Sapete, non andiamo molto d'accordo; io sono un po’ il fratello che segue le regole, in famiglia, mentre lui è quello ribelle che non ascolta mai nessuno. - la cosa lo rendeva chiaramente triste - A dir la verità, mio fratello non ha mai dato grossi problemi… finché non è successo quello che è successo…” abbassò lo sguardo, facendo capire alle due che, dietro alla storia della tossicodipendenza, c'era molto di più.
 
Mona notò i suoi occhi improvvisamente lucidi, sincerandosi delle sue condizioni: “Tutto bene, agente?”
 
Quello fece un colpo di tosse, poi un suono mucoso col naso, riprendendosi subito: “Ehm, ora vi scrivo il numero. - prese carta e penna, fingendo di non aver avuto quel momento di debolezza - Inutile stare qui a parlare di cose legate al passato, no? - consegnò il numero a Joanna, forzando un sorriso ad entrambe - Se sei stata in clinica con lui, ti avrà già raccontato qualcosa della sua vita.”
 
A qualunque cosa si riferisse, Joanna non poteva saperla, ma finse ugualmente di sapere: “Certo, abbiamo parlato molto. Non ce l'avrei mai fatta senza di lui, ci siamo sostenuti a vicenda.”
 
“Mi raccomando, sembri una brava ragazza. E sei giovane. Non ricascarci più.” le suggerì Derek.
 
“Non succederà. - gli sorrise - E sono sicura che non succederà di nuovo nemmeno a Spencer.”
 
“Lo spero anch'io.” ribatté, cercando di essere fiducioso quanto lei.
 
Mona fece subito un intervento, carismatica come suo solito: “Stia tranquillo, agente Goodwin. La tengo d’occhio io!” esclamò, facendo anche un occhiolino.
 
L'uomo sollevò le sopracciglia, accennando un sorriso; le due si allontanarono dalla sua scrivania dopo averlo salutato.
 
Fuori dal distretto, sulle gradinate, Joanna rivolse subito un occhiataccia a Mona, irritata.
 
“La tengo d'occhio io? Seriamente?”
 
“Che c'è? Sei una tossica, no? - ribadì - Mi ha chiesto tu di reggerti il gioco.”
 
“Mh, hai ragione. - si placò, tirando fuori il numero di telefono dalla tasca, fissando il foglietto - Mio Dio, Mona: ce l'ho! Ho il numero di Spencer, era tutto vero.”
 
“O sei una stalker a livelli raccapriccianti o tutto questo è realmente vero.”
 
“Dici che lo devo chiamare?” chiese consiglio, improvvisamente ansiosa, l'aria gelida che le usciva dalla bocca per il freddo.
 
“Non ho portato il mio culo fin qui per sentirmi fare questa domanda, Joanna: certo che lo devi chiamare!”
 
“E come gli spiego tutto questo?”
 
“Ascolta, se si trattasse di me, io probabilmente non ti capirei; nessuno ti capirebbe, a dire il vero. Tu, però, mi hai detto che Spencer era in un sogno che hai fatto mentre sognavi durante gli ultimi tre giorni: magari sta accadendo la stessa cosa anche a lui. Provaci.”
 
“Ok, riaccompagnami a casa. - le sue parole la convinsero - Proverò a chiamarlo.”
 
“Bene, ora andiamo. - mise il suo braccio sotto quello di Joanna, rabbrividendo - Sto congelando!” e iniziarono a scendere i gradini, dirette all’auto.
 

~
 
 
SACRAMENTO, CALIFORNIA.
 
 
Davanti al bordo di un cavalcavia che si affacciava su un’autostrada, Spencer Goodwin era solo, con indosso una felpa nera e malandata, un giubbino sopra e dei jean; stava osservando una fotografia, stretta tra le mani, con le lacrime agli occhi: la foto raffigurava lui stesso assieme ad una ragazza; sembravano felici, forse innamorati.
 
Dopo averla messa in tasca, a seguito dell'ennesima occhiata sofferente, Spencer salì sul bordo, mentre le auto passavano veloci sotto di lui. Dopo aprì le braccia, come fosse un segno liberatorio, poi chiuse gli occhi: era pronto a farla finita.
 
Il suo cuore batteva forte, stava per farlo, ma, improvvisamente, il suo telefono squillò e perse l'equilibrio. Fortunatamente per lui, non cadde di sotto, ma solamente all'indietro; ancora a terra, il respiro rumoroso e il cuore a mille, recuperò il telefono: era un numero sconosciuto. Rispose.
 
“Pronto? Chi parla?”
 
D'altra parte del telefono, Joanna si sollevò di scatto dal letto, dove, sdraiata, aveva atteso una risposta fino a quel momento. Incredula e con il cuore in gola, finalmente disse qualcosa.
 
“Sto parlando con Spencer Goodwin?”
 
“Sì, chi mi cerca?” domandò, frastornato.
 
“Ehm, mi chiamo Joanna Alldred… - provò a trovare le parole per spiegare - Ehm, so che ti sembrerà strano, ma ho fatto un sogno in cui-”
 
Spencer sgranò gli occhi, interrompendola: “Sei quella del luna park, vero?”
 
“Sì! - esclamò subito, non riuscendo a credere alle sue orecchie - Anch'io ti ho conosciuto al luna park, eravamo insieme ad altre due persone ed era come se fossimo amici o, comunque, conoscenti.”
 
“La ragazza, quella con i capelli neri e mossi e il piercing al naso… credo si chiamasse Cassie.” raccontò, tornando in fretta alla sua auto.
 
Anche Joanna si sforzò di ricordare: “...Sì, mentre l'altro ragazzo, quello più giovane, di colore… se non sbaglio, il suo nome era Bradley.”
 
“Sì, ora mi ricordo. - entro in macchina, adrenalinico e pieno di domande - Ma come mi hai trovato?”
 
“E difficile da spiegare… - rispose, facendo avanti e indietro davanti alla finestra - So solo che dopo il sogno che ho fatto al luna park, ne ho fatto un altro dove eravamo su una spiaggia.”
 
Spencer fece mente locale, ritrovandosi anche in questo scenario: “Ok, anch’io ti ho sognata in una spiaggia, ma è solo un ricordo, non mi sembra di averti parlato.”
 
“Perché nei sogni non possiamo farlo, siamo solo spettatori. In qualche modo, però, ho scoperto da piccoli indizi che qualcuno a te caro lavorava al distretto di polizia, qui a San Francisco, dove vivo: tuo fratello.”
 
“Hai avuto da lui il mio numero?”
 
“Sì, ho finto di essere una tua amica. Ti sembrerà assurdo, ma i sogni che ho fatto su di te e sul luna park, li ho fatti mentre-”
 
Fu interrotta nuovamente: “Anche tu hai fatto un sogno dentro al sogno, non è vero? - sperò di ricevere una risposta affermativa - Ti prego, dimmi di sì, perché sento di stare impazzendo.”
 
Joanna si mise una mano sul petto, sollevata: “No, non sei pazzo. Ho dormito per quasi tre giorni, ma, mentre sognavo, credevo di essere nella realtà.”
 
“Ho dormito per tre giorni anch'io e quando mi sono svegliato, ho pensato di essermi fatto fino al limite e non riuscivo a capire cosa stesse accadendo; sai, devi sapere che sono un tossico e che due settimane fa sono stato dimesso dalla clinica in cui i miei genitori mi hanno portato.”
 
“Sì, lo so, me l'ha detto tuo fratello; cioè... tuo fratello del sogno, non quello reale.”
 
“Perchè, cosa ti fa credere che non sia un sogno anche questo?” ebbe dei seri dubbi a tal proposito.
 
“Perché stavolta non ho un cane, mentre nel sogno ce l'avevo. Persino le pareti della mia stanza sono diverse da quelle del sogno.”
 
“Anche tu ti sei accorta delle differenze? - fece caso - Nella versione del mio sogno, dopo essere uscito dalla clinica, sono tornato nel mio vecchio appartamento e sotto casa aveva aperto una nuova caffetteria. Nella realtà, invece, sono tornato a casa dei miei genitori perché avevano venduto il mio appartamento; volevano tenermi d'occhio, in modo che restassi pulito. Furioso, poi, sono andato a stare da un mio amico e mi sono risvegliato sullo stesso divano su cui mi ero addormentato.”
 
Joanna ebbe un’altra perplessità: “Sai, quando mi sono svegliata, credevo ancora di avere quel cane; ho creduto anche in molte conversazioni che non sono mai avvenute, finché non ho letto alcuni messaggi sul telefono e mi sono resa conto che avevo solo sognato.”
 
“Quei sogni si sono insinuati nella nostra mente, facendoci credere che fossero la realtà; quando mi sono svegliato a casa di quel mio amico, inizialmente non capivo perché non fossi nel mio appartamento.”
 
“Scusa, ma il tuo amico dov'è stato durante quei tre giorni?”
 
“Fuori città!” spiegò, per poi sospirare.
 
“D'accordo, ragioniamo un secondo… Entrambi abbiamo dormito per quasi tre giorni;  quando andavamo a dormire, sempre durante il sogno, abbiamo sognato il luna park e poi la spiaggia: non può essere una coincidenza. Dev'esserci successo qualcosa, se riusciamo a connetterci tramite i sogni.”
 
“Sì, ma cosa?” non aveva idea.
 
“Forse, prima, dovremmo provare a cercare Cassie e Bradley: se io e te siamo reali, sono reali anche loro. Insieme potremmo capire cosa ci è accaduto, se è accaduto anche a loro.”
 
Spencer annuì, scarno di parole: “Ottima idea, bene. Faremo così.”
 
Subito calò il silenzio sui due; non sapevano che altro dirsi.
 
Joanna, allora, riprese a parlare, trovando qualcos’altro da dire: “Scusa se ti ho chiamato a quest'ora. Spero di non aver interrotto nulla.”
 
L'altro sorrise, trovando quella frase alquanto paradossale rispetto a ciò che aveva realmente interrotto: “Non hai interrotto nulla di cui tu debba preoccuparti; anzi, mi hai salvato la vita.”
 
Joanna rise, imbarazzata: “Addirittura?”
 
Ovviamente non le disse cosa stesse realmente facendo, prima della telefonata: “Beh, sì, finalmente non sono più da solo in questa cosa. Un altro giorno e sarei finito in manicomio, perciò… grazie per aver chiamato nel momento giusto. Il tempismo sembra essere il tuo forte!”
 
“Forse sono brava solo in quello!” replicò con sarcasmo, nascondendo una triste vita colma di fallimenti clamorosi.
 
“Buonanotte, Joanna!” le disse dolcemente, un sorriso genuino che il suo volto non vedeva da tempo.
 
“Buonanotte, Spencer!” rispose con premura, un sorriso genuino che nemmeno il suo viso vedeva da tempo.
 
Entrambi chiusero la chiamata, e fu così che nel dramma delle loro vite, ancora sconosciute, Spencer e Joanna si erano trovati grazie ad un sogno; un sogno che per loro non aveva un senso, ma che era stato capace di unire i loro destini e dar loro una speranza, nonostante ci fossero più domande che risposte. Nel suo inizio, però, questo sogno aveva fatto molto di più di quanto appena detto: aveva appena cambiato il corso delle loro vite. Per sempre.
 
 
CONTINUA NEL CAPITOLO TRE
 
 
Prestavolto:
 
Claire Bay (36 anni) - Julie Benz
 
 
 
 
 
 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

  
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