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Autore: TimeFlies    14/04/2017    2 recensioni
Scarlett, diciassette anni appena compiuti e un segreto piuttosto scomodo da nascondere, non potrebbe essere più felice di stare nella sua adorata ombra, lontana da sguardi indiscreti e da problemi presenti e passati che non vuole affrontare.
Adam, riflessivo eppure anche avventato, ha sempre avuto un'innata curiosità e una gran voglia di sapere.
Quando vede Scarlett per la prima volta non riesce a fare a meno di sentirsi attratto dall'aura di mistero che la circonda. Vuole conoscerla, svelare ciò che si nasconde dietro quella facciata di acidità e vecchi rancori.
Tutti i tentativi della ragazza di allontanarlo da sé finiranno per avvicinarli ancora di più portandoli dritti ad un preannunciato disastro. O forse no, perché nei momenti di difficoltà possono nascere le alleanze più impensate, soprannaturale e umano possono trovare un punto d'incontro.
E quando il pericolo si avvicina, l'unica cosa che vuoi è avere qualcuno al tuo fianco. Poco importa se solo poco prima eravate perfetti sconosciuti, se lui è entrato nella tua vita con la grazia di un uragano, se non volevi niente del genere.
A volte, un diciassettenne un po' troppo insistente è tutto ciò che hai, è la tua unica speranza. E tu la sua.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Under a paper moon- capitolo 39

                                                    

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39. Scarlett

Dopo un’intensa mattinata a scuola passata a cercare di convincere la professoressa di matematica del fatto che mi stessi impegnando per migliorare e a improvvisare parole in francese per sopperire al mio scarso vocabolario, tutto quello che volevo era andarmene a casa e mangiare qualche schifezza fin troppo dolce comodamente sdraiata sul divano.
Qualcosa però mi diceva che Sean e Adam, appostati davanti all’ingresso della scuola, la pensavano diversamente.
Mi avvicinai, cauta, tendendo l’orecchio per captare qualche frammento della loro conversazione. Non appena mi vide - e mi notò quasi subito - Sean si interruppe portando anche Adam a voltarsi. Formavano una strana accoppiata: uno biondo e l’altro quasi moro, uno in giacca di pelle e l’altro con una semplice felpa, uno sempre in allerta e l’altro perso nei propri ragionamenti. Eppure in qualche modo funzionavano, perché la tensione tra loro era diminuita di molto e anzi, adesso sembravano a proprio agio insieme.
Li raggiunsi ritrovandomi a sorridere. «Ehi. Cos’è, un’altra riunione del branco?»
«È più una missione in realtà.» Commentò Sean incrociando le braccia al petto.
Mi voltai in automatico verso Adam sperando che lui fosse meno criptico. Ma lui si limitò ad alzare le mani. «Ne so quanto te, Scar.»
«Quindi niente.» Borbottai scocciata prima di scoccare un’occhiataccia a Sean. «Non credi sia il caso di essere un pochino meno misterioso visto che abbiamo sei giorni per trovare un accordo con i cacciatori?»
La sua unica reazione fu un movimento del sopracciglio. «Oh sì, hai ragione, dovrei andarmene in giro a dire a tutti che Seattle è sull’orlo di una guerra tra creature soprannaturali e cacciatori.»
Rimasi spiazzata da quella che doveva essere solo una battuta. Quanta verità c’era in quelle parole? Rischiavamo davvero uno scontro o aveva solo ingigantito la cosa? «Potrebbe succedere davvero? Potrebbe esserci una guerra?» Chiesi sentendo il tremore nella mia stessa voce.
Adam abbassò lo sguardo stringendo le labbra e colsi Sean lanciargli un’occhiata che non riuscii ad interpretare. Avevo la netta impressione che mi stessero nascondendo qualcosa, magari senza cattive intenzioni, forse volevano solo proteggermi. Eppure non potevo fare a meno di sentirmi tradita, almeno un po’. Volevo essere coinvolta all’interno del branco e nella ricerca di una soluzione, avevo il diritto e il dovere di esserlo.
«Sì.» La voce del mio Alfa era chiara, limpida. «Potrebbe succedere. Anzi, sono abbastanza sicuro che sarà così se non interveniamo. Per questo oggi andremo da delle mie vecchie conoscenze: se giochiamo bene le nostre carte abbiamo una possibilità.»
«Dobbiamo almeno tentare.» Aggiunse Adam, quasi a dargli manforte.
Annuii con forza. «Okay, facciamolo. Ma prima, devo mangiare qualcosa.»
Due sguardi, uno azzurro e l’altro verde, si spostarono su di me, perplessi. Da parte mia, io sollevai il mento mettendo in chiaro che quello era un punto su cui non volevo cedere: potevo affrontare tutto, o quasi, per proteggere la mia città e le persone a cui tenevo, però sarei stata in grado di farlo solo a stomaco pieno.
«Io ho una mela, se ti va.» Tentò Adam.
Mi lasciai sfuggire una smorfia. «Uhm, senza offesa, ma avevo in mente qualcosa di più dolce e calorico.»
Sean sbuffò. «Va bene, ti compreremo del gelato mentre andiamo. Contenta?»
Sorrisi compiaciuta. «Sì, decisamente.»

L’auto di Sean - come disse lui stesso - era una Chevrolet Camaro del 2009 nera e lucida. Da come la guardava, sembrava esserne molto fiero e anche un po’ geloso. Sfiorò la carrozzeria senza pensarci, quasi la stesse accarezzando, e rivolse a me e Adam uno sguardo d’avvertimento che racchiudeva un avviso implicito: rovinatela e vi uccido.
Dovevo ammettere che era una bella macchina, aveva le linee sinuose ma non troppo eleganti che le davano un tocco più aggressivo che si addiceva al proprietario. O almeno, era quello che riuscivo ad interpretare data la mia scarsa conoscenza di auto.
Sean prese posto al volante con movimenti spontanei e sicuri, quasi non avesse fatto altro in tutta la vita. Adam si sedette accanto a lui sotto il suo sguardo vigile e gli passò la mela che l’Alfa aveva deciso di reclamare mentre camminavamo verso la macchina.
Io mi appostai sui sedili posteriori e scivolai al centro per avere una visuale pulita della strada. «Niente Matthew?»                  
Adam scosse la testa incrociando il mio sguardo nello specchietto retrovisore. «Il suo gatto si è sentito male, è dal veterinario adesso.»
«Oh...» Mormorai prima di stringere le labbra. «Mi dispiace. Spero si... rimetta presto.»
Sean diede un morso alla mela prima di mettere in moto l'auto. Il motore prese vita con un ruggito soffuso. «Se la caverà, quel gatto ha letteralmente nove vite.» 
«Comunque, puoi almeno dirci in che zona di Seattle andiamo o deve rimanere un mistero anche quello?» Domandò Adam con una punta di irritazione. Non sapere qualcosa doveva essere piuttosto frustrante per lui, abituato com’era ad avere sempre tutti gli elementi in mano per poter riflettere e farsi una sua idea. Essere tenuto all’oscuro era una tortura per lui.
Sean ingranò la marcia. «Andiamo ad incontrare delle mie vecchie conoscenze, lupi che ho conosciuto quando arrivai a Seattle.»
Quelle parole catturarono la mia attenzione facendomi dimenticare persino del gelato che mi era stato promesso. «Incontreremo altri licantropi?»
Sean mi lanciò un'occhiata mentre usciva dal parcheggio della scuola. «Mm-mm. Loro possono aiutarci a mettere insieme un unico branco che comprenda tutta la città.»
Al suo fianco, Adam si irrigidì e sentii il suo battito cardiaco accelerare. Doveva averlo notato anche Sean, perché lo scrutò per un attimo senza darlo a vedere.
«Sono brave persone.» Disse con voce più dolce. «Aiutano chi è in fuga dai cacciatori, chi ha bisogno di un posto dove riprendere fiato. Fino a cinque anni fa gestivano un locale che era un po’ un punto di riferimento per i lupi di Seattle.»
«Quindi tu non li vedi da cinque anni?» Chiese Adam tenendo gli occhi fissi sulla strada.
Un angolo della bocca dell’Alfa si contrasse appena. «Beh… sì. In realtà qualche volta ho avuto occasione di vederli e scambiarci due parole, ma niente di che.»
«E adesso stiamo andando da loro per creare un branco di settanta lupi.» Mormorò il ragazzo prima di espirare.
Sean strinse appena di più il volante. «Funzionerà. A meno che non siano privi di intelligenza capiranno quanto è importante unirci per battere i cacciatori.» Staccò un altro morso alla mela. «E poi, il piano è tuo, ragazzino, dovresti essere il primo a crederci.»
Adam si mordicchiò il labbro. «Lo so, lo so. Solo che non mi aspettavo che succedesse così… in fretta. Pensavo che avremmo avuto più tempo per organizzarci.»
«Magari questo è l’impulso che ci serve, ci aiuterà a risolvere la questione una volta per tutte.» Intervenni cercando di riportare un po’ di ottimismo.
Sean annuì, sorprendendomi. «Sì, ha ragione. Adesso non abbiamo scelta, se non farlo funzionare. Ed è esattamente quello che faremo.»
Il resto del viaggio fu più piacevole del previsto. Sean sapeva gestire con grande naturalezza una macchina grande e potente come la Camaro, anche nelle manovre più azzardate che gli facevano guadagnare occhiatacce da parte di Adam.
Quest’ultimo aveva tentato in tutti i modi di scucire più informazioni riguardo gli altri lupi che avremmo incontrato al nostro Alfa, senza tanto successo però. Mentre loro due battibeccavano sui limiti di velocità e la mancanza di dettagli riguardo la nostra missione, io passai il tempo a fantasticare su come sarebbe stato incontrare altri licantropi, entrare in contatto con l’altra parte di me e scoprirne di più.
Avevo avuto a che fare solo con Sean fino a quel momento che, pur essendo un ottimo insegnate, era piuttosto taciturno e restio a parlare della sua licantropia. E io morivo dalla voglia di sentire altri racconti ed esperienze, di confrontarmi con persone che erano come me. Prima di allora non ci avevo mai pensato, ma adesso mi rendevo conto di quanto avrebbe potuto essermi utile.
Dopo una ventina di minuti, Sean parcheggiò l’auto davanti ad un edificio di mattoni rossi ad un solo piano che si ergeva in uno dei quartieri nord di Seattle, vicino alla costa. C’erano altri palazzi lì intorno, condomini e qualche attività commerciale più un parco dall’aria un po’ trascurata.
Sean lanciò un’occhiata ad Adam e scese dall’auto. Noi due lo seguimmo subito, ansiosi di scoprire cosa ci attendeva. Sopra la porta dell’edificio c’era un’insegna bianca sbiadita che recitava “Luna di carta” in un corsivo tutto riccioli. Sentii un brivido di eccitazione sfiorarmi la schiena e contagiare anche il mio lupo: quel posto poteva essere la chiave per capire meglio chi ero e accettarlo fino in fondo, diventarne più consapevole. Poteva darmi tutte le risposte che cercavo.
Sean ci fece cenno di seguirlo prima di avviarsi verso l’ingresso affondando le mani nelle tasche della giacca. Adam, il battito del cuore ancora in subbuglio, mi affiancò mentre camminavamo dietro all’Alfa. Raggiunse per primo la porta e ci aspettò prima di aprirla per farci entrare.
La prima cosa che mi colpì fu l’odore che riempiva l’aria, un mix di legno e spezie con una nota dolciastra che si sentiva appena. Subito dopo il rumore mi riempì le orecchie: una moltitudine di voci, alcune più basse e pacate, altre alte e rimbombanti, risuonava nell’ampia sala davanti a noi insieme al tintinnio dei bicchieri, allo strusciare delle sedie sul pavimento, alle risate secche o prolungate.
La stanza era piena di tavoli di legno di varie forme e dimensioni che, nonostante le differenze, si abbinavano bene tra loro, un connubio eclettico come quello delle persone che li occupavano: c’erano ragazzi e uomini di mezz’età, giovani donne e signore, gente solitaria e gruppi numerosi, accenti del nord, del sud e di altri paesi. Avevano tutti un’unica cosa in comune: erano licantropi, dal primo all’ultimo.
Rimasi disorientata per un attimo, la mente in tumulto che straripava di informazioni. Percepivo così tanti lupi intorno a me da faticare a respirare, li sentivo prima uno ad uno, poi tutti insieme, muoversi, fremere, agitarsi e vivere sotto la pelle di quelle persone all’apparenza così normali.
Mi sembrava di essere un cucciolo eccitato adesso, ma non riuscivo a frenare l’entusiasmo. Per anni avevo creduto di essere una specie di scherzo della natura, un mostro a volte, e ora… ora ero circondata da altri come me, uomini e donne, ragazzi e ragazze che potevano capirmi e che condividevano i miei stessi problemi e poteri.
«Rimanetemi vicino.» La voce bassa ma autoritaria di Sean interruppe il flusso frenetico dei miei pensieri riportandomi alla realtà.
Mi accorsi solo in quel momento che le voci si erano ridotte ad un brusio dai toni concitati e che molti ci fissavano con sospetto. Deglutii ricambiando qualche occhiata, il calore fin troppo familiare dell’imbarazzo che mi saliva alle guance. E tanti saluti al proposito di fare una buona impressione.
«Andiamo.» Aggiunse Sean, questa volta con una punta di urgenza. Lo seguimmo attraverso la stanza, scansando tavoli e sedie e cercando di ignorare le occhiate diffidenti che sentivamo sulla schiena. Passammo accanto ad un bancone di legno lucido davanti al quale erano allineati degli sgabelli in metallo; dall’altra parte, un ragazzo giovane dai capelli neri tagliati corti stava passando uno straccio sulla superficie lignea, ma la sua mano si fermò quando gli fummo vicini. Indossava una camicia bianca con le maniche arrotolate e un gilet nero gessato. I suoi occhi scuri ci studiavano cauti, anche se meno guardinghi degli altri.
Distolsi lo sguardo da lui giusto in tempo per vedere una donna alta e longilinea che ci veniva incontro. La sua pelle era olivastra, di una calda sfumatura dorata che faceva risaltare le iridi castane. Una massa di riccioli scuri le sfiorava le spalle sottili coperte da una camicia larga lasciata aperta su una canottiera. Una piccola cicatrice bianca le attraversava il sopracciglio rendendo più interessanti i lineamenti eleganti del suo viso.
Le labbra carnose si schiusero in un sorriso radioso. «Sean Leblanc. Bentornato.» Esordì aprendo le braccia. «Non pensavamo di vederti di nuovo da queste parti.»
Contro ogni mia aspettativa, Sean ricambiò il sorriso. Ovviamente a modo suo, ovvero sollevando solo un angolo della bocca. «Dawn Johnson. Non è cambiato niente qui, mmh?»
«Perché dovremmo cambiare qualcosa che funziona così bene?» Replicò lei, un lampo che le attraversava lo sguardo. Come tutti gli altri, era una lupa. Dalla sicurezza che trasmetteva pareva che quel locale fosse il suo regno e lei l’unica ed indiscussa regina. «Come mai qui, Leblanc?» Chiese osservandoci con discreta curiosità.
«Devo parlarti.» Disse secco lui perdendo ogni traccia di sorriso.
Dawn inarcò un sopracciglio. «Dritto al punto, come sempre. Non mi presenti i tuoi accompagnatori prima?» Aggiunse poi rivolgendo un sorriso gentile a me e Adam.
Sean le comunicò i nostri nomi con fare sbrigativo. «Possiamo parlare adesso? È piuttosto importante.»
«Naturalmente, andiamo nel mio ufficio. Loro vengono?» Volle sapere lei in tono gentile.
«Sì.» La risposta di Sean fu immediata, non lasciava spazio a dubbi.
La donna annuì e ci fece cenno di seguirla fino ad una porta che si apriva sul muro opposto rispetto all’ingresso. La spalancò e si infilò dentro, attese che fossimo entrati tutti prima di richiuderla e riprendere il comando del gruppo. Ci guidò attraverso un corridoio in penombra con le pareti ricoperte fino a metà di pannelli di legno. Aprì una seconda porta alla nostra destra e ci invitò con un cenno del capo ad entrare. Quando le passai accanto, l’odore agrumato della sua pelle mi riempì le narici per un attimo, il mio lupo fremette nel ritrovarsi così vicino al suo, sconosciuto e misterioso.
Ci ritrovammo in un piccolo ufficio illuminato da una grande finestra incorniciata da tende azzurre. Davanti a questa c’era una vecchia scrivania di legno scuro segnato da graffi e ammaccature e la cui superfice ospitava un quaderno, qualche penna, un raccoglitore da cui spuntavano dei fogli e una cornice che racchiudeva una foto di qualche anno prima di Dawn in compagnia di un uomo alto e massiccio con i capelli castani e un braccio ricoperto di tatuaggi; i due sorridevano e dietro di loro campeggiava l’insegna, allora nuova e candida, del Luna di Carta. Accanto alla porta c’era un divano verde bottiglia con i cuscini schiacciati e la stoffa sui braccioli lisa dall’usura.
Era una stanza piena di vita e ricordi, avevo l’impressione di essermi affacciata nella memoria di Dawn e aver carpito qualche immagine fugace del suo passato.
«Accomodatevi.» Ci invitò mentre girava intorno alla scrivania per sedersi sulla sedia di pelle dietro di essa.
I suoi movimenti avevano la stessa grazia misurata e precisa che avevo visto anche in Sean, era attenta a tutto e a tutti, come se fosse in grado di percepire l’esatta posizione di qualunque essere vivente intorno a sé. Ero piuttosto sicura di non avere altrettanta eleganza, di solito inciampavo dappertutto e sbattevo contro ogni mobile o spigolo, mentre lei… pareva che il mondo si muovesse per farle spazio.
Sean spostò una sedia che non avevo notato perché era dietro di noi e la posizionò davanti a me, accanto alle altre due che già c’erano. Incrociai il suo per un secondo e lui mi rivolse un breve cenno d’incoraggiamento. Prendemmo posto tutti e tre davanti alla scrivania su cui Dawn aveva posato i gomiti. Le maniche della camicia le erano scese lungo le braccia svelando un intreccio di bracciali di pelle e stoffa colorata che le coprivano i polsi.
«Allora Leblanc, dritti al punto come piace a te: cosa stai cercando? Cosa ti ha spinto qui?» Domandò guardando l’Alfa davanti a sé con interesse.
Sean si appoggiò meglio allo schienale della sedia. «Voglio mettere su un branco.»
Dawn sollevò entrambe le sopracciglia. «Devo essere sincera, mi aspettavo che prima o poi avresti deciso di farlo. Ma hai scelto un momento molto particolare.»
«Che intendi?» Chiese lui, cauto.
La donna sospirò congiungendo le mani e intrecciando le dita. Mi presi un attimo per osservarla, cogliere la profonda serietà del suo sguardo in contrasto con la freschezza del viso ancora giovane. Doveva essere poco più grande di Sean, probabilmente aveva intorno ai trent’anni. «Non so quanto tu sia aggiornato, ma negli ultimi due, tre anni l’attività dei cacciatori è stata molto intensa. Hanno catturato e probabilmente ucciso, anche se non ne abbiamo le conferme, almeno quindici lupi, se non di più.» Cominciò, la voce più tesa. «Un branco di cinque lupi invece ha lasciato Seattle il mese scorso, sono scesi giù lungo la costa in cerca di un posto sicuro dove stabilirsi.»
Adam si fece subito più attento a quelle parole. Sean invece strinse le labbra in una smorfia. Un brivido gelido mi scivolò lungo la schiena nel sentire quante vittime il gruppo di Colin era stato in grado di fare. Io stessa sarei potuta rientrare tra quelle quindici, o portare il numero ad aumentare. Mi strinsi le braccia al petto affondando le dita nelle maniche del maglione cercando di scacciare il gelo che sentivo addosso.
«Sì, ho… abbiamo avuto a che fare con i cacciatori anche noi non molto tempo fa.» Fece Sean. «Non pensavo che i numeri fossero tanto alti però.»
Dawn sospirò. «Sono stati parecchio attivi nell’ultimo periodo, ci hanno reso la vita piuttosto complicata. Ma siamo ancora qui, resistiamo. Non sanno ancora di questo posto, per fortuna, quando le cose si mettono male possiamo sempre venire qui.»
«Aspetta.» Mi intromisi sporgendomi in avanti. «Non reagite? Non… combattete?»
Lei mi guardò piegando appena la testa di lato, perplessa. Nel suo sguardo color cioccolato colsi un accenno di quella che assomigliava fin troppo alla pietà. «Combattere? E come? Loro sono armati fino ai denti, preparati e determinati. Tutto quello che possiamo fare è cercare di sopravvivere e non attirare l’attenzione.» Spostò gli occhi su Sean per un attimo. «Pensavo che te lo avesse insegnato.»
«Non insegno cose in cui non credo.» Replicò il diretto interessato, la voce neutra, quasi distante.
Dawn strinse le labbra riducendole ad una linea. «Lo sai che è questa la nostra politica, sono stata chiara fin da subito a riguardo.»
«Sì, anche io sono stato chiaro riguardo a cosa ne pensavo.» Disse Sean guardandola dritta in viso. «Ma non siamo qui per appianare vecchie divergenze di opinione. Abbiamo un problema in comune, i cacciatori.»
«Pensavo tu fossi venuto qui per reclutare lupi per il tuo branco.» Rispose lei aggrottando le sopracciglia sottili.
Sean annuì una volta sola. «È tutto connesso, il mio branco, i cacciatori… è una cosa più grande di quello che pensi.»
Dawn tirò indietro le spalle, di colpo sospettosa. «Cosa hai fatto?»
«Ho… abbiamo cominciato qualcosa che potrebbe risolvere tutti i nostri problemi con il gruppo di Colin Young.» La voce di Sean era pacata, eppure riusciva comunque a monopolizzare l’attenzione. «Ti sembrerà folle e pericoloso, ma è un rischio che dobbiamo correre.»
Lei si portò una mano al viso e si massaggiò la radice del naso sospirando. «Okay, Leblanc, mi hai tenuta abbastanza sulle spine, sputa il rospo.»
L’Alfa spostò per una frazione di secondo lo sguardo su Adam prima di parlare: «Siamo in contatto con i cacciatori, stiamo cercando di condurre una trattativa con loro.»
Fui quasi in grado di vedere il lupo di Dawn che si ritraeva mostrando le zanne di fronte a quelle parole. Lei spalancò gli occhi trattenendo il respiro, le dita che stringevano il bordo della scrivania. «Voi cosa? Sei fuori di testa, Sean? Trattare con i cacciatori? Questo è… è pazzo, un suicidio bello e buono. Cosa stai cercando di dimostrare così, eh?»
«Sto solo facendo quello che posso per proteggere il mio branco e questa città.» Tuonò Sean, gli occhi verdi che brillavano. «Colin riaprirà la caccia tra sei giorni se non troviamo un accordo, ecco perché sono qui. So che avete scelto di nascondervi e vivere nell’ombra pur di non attirarli, però questa strategia non funziona più. Dobbiamo muoverci adesso e dobbiamo farlo insieme se vogliamo riprenderci questa città e le nostre vite.»
Dawn scosse la testa portandosi le dita lunghe e affusolate alla tempia. «Questa è pura follia… Non lascerò che tu vada a morire così, neanche per sogno. Cinque anni fa ti ho accolto e ti ho aiutato a rimetterti in piedi, mi rifiuto di stare a guardare mentre ti fai ammazzare. Un accordo con i cacciatori… Come se fossero persone con cui si può ragionare. No, tu non avrai altri contatti con loro, dimenticatelo.»
«Stai cercando di fermarmi?» Chiese Sean, il tono venato di disprezzo rabbioso. «Pensi davvero di poterlo fare, Dawn? Porterò a termine questa trattativa, che tu lo voglia o no. Quello che ne pensi tu è l’ultimo dei miei problemi.»
Lei sbatté il pugno sul tavolo facendo sussultare me e il mio lupo. «Sto cercando di proteggerti! E di proteggere loro. Voglio evitarvi una morte orribile e dolorosa. Fino ad ora hai avuto fortuna, ma la prossima volta che ti avvicini ai cacciatori potrebbero piantarti una pallottola in testa senza che tu abbia il tempo di reagire.»
Lui sollevò il mento. «So gestire quella banda di fanatici dal grilletto facile.»
«E vuoi mettere in mezzo anche loro?» Sbottò Dawn guardando prima me e poi Adam. «Un conto è rischiare la tua vita, un altro coinvolgere il tuo branco in un pericolo del tutto inutile. Se davvero tieni a loro, se vuoi essere un buon Alfa…»
Un lampo dorato attraversò lo sguardo di Sean. «Non dirmi come fare l’Alfa, Dawn. Quello che stiamo correndo è un rischio ponderato, ci abbiamo pensato su a lungo. E in ogni caso, ancora neanche sai di cosa si tratta.»
Lei buttò fuori l’aria in un sospiro tremante. Di colpo apparve stanca, provata. Appoggiò un gomito alla scrivania scrollando le spalle. «D’accordo allora, parla, dimmi qual è questo grande piano.»
«Vogliamo riunire tutti i lupi di Seattle in un unico branco guidato da un unico Alfa. Prima di dirmi che sono fuori di testa, ascolta. Pensi davvero che i cacciatori si metterebbero contro cinquanta lupi ben organizzati? Siamo più forti di loro, siamo più numerosi e abbiamo un obbiettivo molto più importante: vivere.» La voce di Sean era leggermente roca e appassionata come non l’avevo mai sentita. «Quello che fai qui è davvero importante, accogliere lupi feriti e spaventati, aiutarli a tornare in piedi… è ammirevole, davvero. Io stesso ti sarò sempre grato per ciò che hai fatto per me. Ma se potessimo eliminare la causa di tutto questo? Se ci fosse la possibilità di vivere senza doversi preoccupare ogni dannato giorno di ritrovarsi i cacciatori davanti? Non sarebbe meglio?»
Gli occhi di Dawn erano velati adesso, pareva che fosse lontana anni luce in quel momento. Le labbra erano schiuse in un’espressione speranzosa e sofferente al tempo stesso, come se anche la sola idea di una città senza l’ombra dei cacciatori fosse allettante eppure troppo assurda per essere davvero presa in considerazione. Si riscosse quasi subito però, cancellò quel momento di insicurezza passandosi una mano sul viso. Quando la riabbassò, era tornata composta e determinata.
Il rumore della porta che si apriva interruppe la sua risposta prima ancora che potesse cominciare. Ci voltammo tutti verso quel suono, di nuovo all’erta. Sulla soglia era comparso l’uomo della fotografia che Dawn teneva sulla scrivania, riconobbi i folti capelli scuri, il taglio squadrato della mascella e l’intricato intreccio di tatuaggi che gli riempiva il braccio lasciato scoperto dalla maglietta a maniche corte. Aveva le spalle tanto ampie da occupare quasi tutto il vano della porta. Il suo lupo lo rispecchiava, era guardingo ma non nervoso, sicuro in quel luogo tanto familiare.
«Scusa D. Non pensavo avessi ospiti.» Disse con un sorriso imbarazzato il nuovo arrivato riempiendo la stanza con la sua voce profonda. Le sue sopracciglia si sollevarono nel posare gli occhi su Sean. «Il lupo canadese… Era da un po’ che non tornavi da queste parti, mmh?»
Lui si limitò a ricambiare l’occhiata. «Non ne ho avuto l’occasione.»
Dawn si era appoggiata allo schienale della sedia con fare stanco. Fece un gesto vago nella mia direzione. «Toby, questi sono Scarlett e Adam, sono con Sean. Ragazzi, lui è Toby, il mio socio e comproprietario del Luna di Carta
L’uomo ci rivolse un sorriso allegro. «È un piacere avervi qui. Come mai hai deciso di tornare, Sean? Sentivi la nostra mancanza?»
Dawn non gli diede il tempo di rispondere: «Sono venuti per discutere di una questione, ma abbiamo finito.» Fece guardando l’Alfa con una certa insistenza, quasi sfidandolo a contraddirla.
E fu proprio quello che successe, anche se non fu Sean a parlare. «No.» Sbottò Adam, la voce carica d’urgenza, il cuore di nuovo in subbuglio. «Non abbiamo finito niente.»
A quel punto fu Sean a lanciare un’occhiata di sfida a Dawn, ma non per provocarla: il suo sembrava più un avvertimento, un modo silenzioso e discreto per dirle di ponderare bene le proprie mosse future.
Toby studiò quello scambio di taglienti segnali non verbali con le sopracciglia inarcate in un’espressione cauta e perplessa. «Okay, sembra ci siano dei disaccordi qui. Se posso, di che stavate parlando?»
Sean si appoggiò allo schienale della sedia incrociando le braccia al petto con aria volutamente strafottente. «Dawn, vuoi dirglielo tu?»
Lei lo fulminò con un’occhiataccia prima di rivolgersi all’uomo in piedi dietro di noi. «A quanto pare, Sean e i suoi sono in contatto diretto con i cacciatori di Young. E hanno un piano per fermarli.» I muscoli del suo viso erano contratti, le labbra arricciate, come se anche solo pronunciare quelle parole le provocasse un senso di ribrezzo.
Il mio Alfa alzò gli occhi al cielo. «Puoi dirlo anche con una faccia meno schifata.»
Toby era rimasto letteralmente a bocca aperta di fronte a quella rivelazione. Ed era quasi comico vedere un uomo della sua stazza fissare qualcuno come se gli fossero spuntate le ali. «Tu sei… in contatto con i cacciatori? Com’è che non ti hanno ancora ucciso?»
«Me lo sto chiedendo anche io.» Borbottò Dawn con un sospiro.
«Noi canadesi abbiamo qualche asso nella manica.» Replicò Sean ed era la prima volta che lo sentivo parlare con orgoglio del suo Paese natale.
Toby si spostò dietro alla scrivania per sedersi sul bracciolo della sedia della sua socia. «Voglio saperne di più, sembra interessante. Folle, ma interessante.»
Come se parlare di accordi con i cacciatori e branchi che comprendevano un’intera città non fosse abbastanza sconvolgente, Sean si voltò verso Adam per chiedergli, con tutta la naturalezza del mondo: «Perché non ne parli tu? In fondo, l’idea è tua.»
Lui spalancò gli occhi schiudendo le labbra. «Vuoi davvero che sia io a farlo?»
L’Alfa annuì. «Magari sentirlo da te li convincerà.»
Lo sguardo di Adam, ancora del tutto spiazzato, incontrò il mio. Gli feci un piccolo sorriso d’incoraggiamento che sembrò dargli un po’ di sicurezza in più. Si voltò verso Dawn e Toby, verso lo scetticismo di lei e la curiosità di lui, verso dei possibili alleati o dei futuri nemici. E cominciò a raccontare di come lui, Sean e Matthew avevano lavorato insieme per salvarmi, di come all’inizio quel branco improvvisato fosse strano e nessuno si sentisse a proprio agio, delle tensioni che si erano create e dei litigi, dei momenti in cui avevamo fatto squadra e tutte le differenze erano passate in secondo piano.
Di come, a poco a poco, ci eravamo avvicinati, tutti e quattro. Parlò dei primi incontri con Colin e Brian, della diffidenza e della paura, della determinazione e voglia di concludere quella faccenda in modo definitivo. Descrisse la propria strategia facendola passare per una cosa che avevamo ideato tutti insieme, qualcosa in cui tutti credevamo fino in fondo.
Quando terminò di parlare, sia Dawn che Toby rimasero nel più completo silenzio. Entrambi erano rimasti affascinati e incuriositi dalle parole di Adam, precise ed efficaci come durante le nostre ripetizioni. Avevano il potere di catturare l’attenzione e non lasciarla andare fino all’ultimo secondo. Persino l’aspro scetticismo di Dawn pareva essere scemato di fronte all’emozione che traspariva dalla voce di Adam.
Toby si passò una mano tra i folti capelli scuri scuotendo piano la testa. «Molti vi direbbero che siete pazzi…»
«L’hanno già fatto.» Commentò Sean con un’occhiata esplicita in direzione di Dawn.
«Ho l’impressione che potrebbe funzionare però.» Riprese l’uomo come se nessuno avesse parlato. «Siamo tutti stanchi di nasconderci e vivere costantemente nella paura, sono sicuro che molti ti seguirebbero volentieri. Anche se probabilmente qualcuno metterebbe in discussione il tuo ruolo…»
Scorsi un’ombra negli occhi di Sean, ma il suo tono era comunque deciso. «Me ne occuperò a tempo debito.»
Dawn sospirò piano. «È una cosa davvero grande, Sean, sei sicuro di volerlo fare? Si tratta di una città intera.»
«Non voglio che nessun’altro muoia per mano dei cacciatori.» Fu la risposta di Sean e dal suo tono si capiva che non avrebbe ammesso altri dubbi sulla propria determinazione.
«Dovresti parlarne con gli altri allora, presentare la strategia e vedere come la prendono.» Commentò Toby grattandosi la tempia. «In fondo, sono loro la chiave di tutto.»
L’Alfa annuì tamburellando con le dita sul proprio ginocchio. «Possiamo farlo ora?»
«Credo di sì.» Dawn appoggiò un gomito sulla scrivania. «A quest’ora dovrebbero esserci quasi tutti e ho l’impressione che una notizia del genere si spargerà in fretta.»
«Bene, allora facciamolo.» Dichiarò Sean sollevando il mento con aria risoluta.

Il locale era ancora pieno e rumoroso, proprio come l’avevamo lasciato. Il ragazzo dietro al bancone serviva birre, analcolici e altre bevande scherzando e sorridendo ai clienti. Erano tutti a loro agio, si respirava un’atmosfera accogliente e tranquilla.
“Ancora per poco”, pensai stringendo le labbra mentre camminavo dietro Dawn e Toby, intenti a discutere in tono concitato. Accanto a me, Adam osservava pensieroso la schiena di Sean, un passo davanti a noi. Era riuscito a convincere Dawn a darci una possibilità, eppure non ne pareva contento. C’era qualcosa che occupava i suoi pensieri, qualcosa che lo preoccupava. Gli sfiorai la mano trattenendomi all’ultimo dallo stringerla, un po’ per un attacco di timidezza, un po’ perché non mi sembrava il luogo giusto. Lui si voltò a guardarmi, gli occhi blu in piena tempesta.
«Sei stato bravo, prima.» Mormorai con un piccolo sorriso.
Scrollò le spalle quasi a voler minimizzare. «Ho solo raccontato la verità.»
«Ci vuole fegato per farlo.» Replicai lanciando un’occhiata al resto della stanza. «In realtà, ci vuole fegato per fare tutto quello che hai fatto da quando ci siamo incontrati. Discutere non con uno, ma con due licantropi, partecipare ad una missione di salvataggio nel covo di un clan di cacciatori, proporre di creare un branco di settanta lupi… è impressionante.»
«In senso buono o preoccupante?» Chiese mordendosi il labbro.
Ci pensai per un attimo. «Direi entrambi. Sai, c’è una buona dose di coraggio, ma anche di follia, quindi…»
Un angolo della sua bocca si sollevò. «Quindi tu sei quella razionale?»
«Dopo mangiato di solito sì. Prima no, a stomaco vuoto non ragiono con lucidità.» Ammisi. «Ma non dirlo in giro, è una debolezza che potrebbero sfruttare contro di me.»
Adam sorrise scuotendo la testa. «Puoi fidarti di me, il tuo segreto è al sicuro.»
Il nostro scambio di battute dal dubbio senso dell’umorismo fu interrotto dalla voce di Dawn: «Dammi un attimo e ti lascio il palco. Letteralmente.»
Allungai il collo per cercare di capire a cosa si stesse riferendo e notai un piccolo palco realizzato con delle vecchie assi di legno addossato al muro. Non era molto alto, starci sopra era come salire due gradini delle scale della scuola; dovevi avere una personalità piuttosto forte ed essere in grado di catturare l’attenzione per riuscire a farti ascoltare da lì.
Sean studiò il palco senza dire nulla, gli angoli della bocca appena contratti. Io e Adam ci scambiammo un’occhiata: ormai avevamo imparato a decifrare i minuscoli segnali del nostro imperturbabile Alfa e quell’impercettibile smorfia non era esattamente sinonimo di soddisfazione.
«Ti stai impegnando a rendermi le cose difficili, mmh?» Commentò infatti inclinando la testa di lato.
Dawn gli rivolse un sorrisetto adorabile. «Oh, sei piuttosto bravo a farlo con le tue stesse mani. E poi, mi sembra che non ti dispiacciano le sfide, o mi sbaglio?»
Sean raddrizzò le spalle, un lampo che gli attraversava lo sguardo. Un ghigno sarcastico si dipinse sulle sue labbra mentre accennava un inchino. «Madame, quando vuoi.»
Lei inarcò un sopracciglio pur sforzandosi di nascondere quanto fosse colpita in realtà. «Come vuoi, Leblanc.» Salì sul palco con un unico passo e ne occupò il centro. Batté le mani un paio di volte facendo calare il più completo silenzio nell’intero locale; adesso, tutta l’attenzione era su di lei.
«Vorrei chiedervi un minuto del vostro tempo.» Esordì, la voce chiara e limpida. «C’è qui una persona, che forse alcuni di voi già conoscono, che vuole parlarvi di una cosa.» Si voltò verso di noi, bella e fiera come una regina di fronte al suo popolo. «Diamo il bentornato a Sean Leblanc.»
Qualche mormorio si sparse nella stanza nel sentire quel nome, ci furono scambi di sguardi ed espressioni sorprese, scettiche e confuse. Sean esitò per un attimo, i suoi occhi si spostarono su me e Adam, quasi stesse cercando dei volti familiari. Io annuii con enfasi e sollevai entrambi i pollici per incoraggiarlo; Adam invece si lasciò sfuggire un piccolo sorriso, uno di quelli gentili, sinceri e con la straordinaria capacità di spingerti a sorridere a tua volta.
Sean si concesse un altro secondo prima di salire sul palco accanto a Dawn, che si spostò di lato per fargli spazio. Di fronte alla sua apparizione, i sussurri si fecero più intensi, anche se non abbastanza da intimorirlo, almeno all’esterno. Dawn gli sussurrò un “buona fortuna” per poi tornare da noi. Toby le mise una mano sulla spalla, un piccolo gesto di sostegno che esprimeva molto di più di quanto le parole potessero fare.
«Molti di voi non mi conoscono, qualcuno forse si ricorda di me anche se ormai sono passati cinque anni da quando sono arrivato a Seattle.» Iniziò Sean mascherando ogni tipo di nervosismo dietro una facciata sicura e a suo modo affascinante. «Sono tornato oggi per cercare il vostro appoggio per qualcosa che potrebbe sembrarvi assurdo, ma che in realtà potrebbe salvarvi la vita.» Si fermò dando modo ai lupi in ascolto di assimilare le sue parole. Nonostante la scarsa altezza del palco, riusciva ad avere tutti gli occhi su di sé ed era del tutto in grado di gestirli.
«Quanti di voi hanno perso qualcuno per mano dei cacciatori di Colin Young?» Domandò, la voce che pareva rimbombare sulle pareti rivestite di legno.
Fu come se un brivido percorresse tutti i presenti, me compresa: c’era una nota di dolore nascosta in quella domanda, un dolore personale e condiviso al tempo stesso, una sofferenza che tante, troppe persone in quella stanza conoscevano.
Sean annuì davanti a quella risposta silenziosa. «E quanti di voi sono stanchi di vivere nella paura? Di nascondersi e passare ogni dannato giorno a sperare che non tocchi a voi? Perché io lo sono e oggi voglio darvi la possibilità di cambiare le cose.»
«Ehi ragazzino, la mia pazienza si esaurisce in fretta.» Borbottò un uomo da uno dei tavoli più lontani. Aveva una folta barba brizzolata e una cicatrice che gli attraversava la guancia dall’angolo della bocca allo zigomo. «Che sei venuto a fare qui?»
«Voglio mettere insieme un branco che comprenda tutti i lupi di Seattle.» Dichiarò Sean. «E voglio fermare i cacciatori una volta per tutte.»
L’uomo con la cicatrice scoppiò in una risata aspra. «Ah! In tutta la mia vita ne ho sentite di idee stupide e folli, ma questa va oltre ogni limite. Voglio farti una domanda, ragazzo, perché dovremmo seguire proprio te? Perché dovremmo esporci tanto?»
Si levarono dei mormorii d’assenso che mi fecero venire voglia di prendere a pugni il tizio che continuava ad interrompere Sean. Incrociai le braccia al petto e mi strinsi con forza i gomiti cercando di tenere a freno la lingua.
«Anche io voglio farti una domanda, tu cosa hai fatto per combattere i cacciatori?» Ribatté Sean senza scomporsi. «Non credo che ti resti molto da vivere, vecchio, ma pensa a tutti quelli che invece hanno ancora anni, decenni davanti, pensa ai bambini e ai ragazzi che nascono in questa città e che dovranno vivere nell’ombra con il terrore costante di essere scoperti e uccisi a sangue freddo.»
A quel punto, il respiro di Sean si era fatto più spezzato e veloce, percepivo il battito affannato del suo cuore rimbombare contro le costole. Ma per gli altri lupi presenti, troppo lontani per coglierli, quei segnali non esistevano. Ai loro occhi Sean era ancora controllato e forte, un Alfa potente pronto a tenere testa a chiunque.
L’uomo fece per scattare in piedi, ma il licantropo seduto accanto a lui lo trattenne prendendolo per il braccio. Lo sentii sussurrare: «Ha ragione, pensaci.»
«Se ci uniamo, creiamo un unico branco, non potranno nulla contro di noi. Riflettete: hanno davvero il coraggio di affrontare cinquanta lupi ben organizzati? Potranno anche avere le armi più sofisticate e tutto l’argento che vogliono, ma in guerra i numeri contano.» Riprese Sean nascondendo le proprie emozioni dietro un tono sicuro e affabile. «Siamo più forti di loro e abbiamo una ragione molto più importante per lottare: difendere la nostra vita e quella di chi verrà dopo di noi.» Si soffermò per un attimo scrutando le persone davanti a sé prima di aggiungere: «Non credete di avere il diritto di sopravvivere? Di vivere
Mormorii d’assenso si sollevarono, il brusio crebbe di intensità fino a coinvolgere tutti i presenti, dal primo all’ultimo. Anche i più scettici, quelli che avevano lanciato occhiate sospettose a Sean e a noi e che avevano bisbigliato tra di loro, adesso parevano interessanti se non altro ad ascoltare cosa aveva da dire quel giovane Alfa.
«Sapevo che avrebbe fatto qualcosa un giorno, fin dal nostro primo incontro. Non mi aspettavo questo però.» Commentò Dawn tenendo lo sguardo fisso su Sean, fiero e imperturbabile di fronte a tutta quell’attenzione.
La donna si teneva le braccia strette al petto, c’era dell’affetto nei suoi occhi, ma anche una punta di orgoglio. Sospirò piano lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso dal sapore nostalgico. «Quando arrivò qui era ferito, sanguinante e del tutto perso. Hai presente lo sguardo di puro terrore che hanno i bambini quando si perdono in un posto pieno di gente? Sembra che di colpo siano precipitati in un mondo estraneo e alieno, sconosciuto. Ecco, anche lui era così, spaesato e confuso. Rimase solo per cinque giorni, il tempo che la ferita cominciasse a rimarginarsi, poi scomparve. Per mesi abbiamo pensato che i cacciatori l’avessero trovato e ucciso, e invece lui se la cavava ogni volta.»
La guardai in cerca di altri dettagli su com’era stato Sean Leblanc, su cosa gli era successo nei cinque anni che ci avevano divisi. Avevo un bisogno spasmodico, seppur incomprensibile persino a me stessa, di conoscerlo meglio e capirlo soprattutto. Non era sempre stato così cupo e taciturno, ne ero certa. La perdita della sua famiglia l’aveva segnato, aveva spezzato qualcosa in lui, l’aveva portato al punto in cui essere forte era l’unica possibilità, l’unica cosa da fare per non essere annientati. Ma c'era stato un prima, per forza.
«Non parla molto del suo passato, vero?» Mi chiese Dawn voltandosi a guardarmi con quei suoi profondi occhi scuri.
Scossi piano la testa. «No, non lo nomina neanche. Quel poco che so… è venuto fuori per caso.»
«È poco salutare tenersi tutto dentro, ma non si può pretendere che si apra con chiunque.» Era tornata ad osservarlo, un’ombra che le scuriva il viso. «Sta dedicando tutto se stesso alla lotta contro i cacciatori pur di non aver affrontare il suo passato.»
Il mio primo istinto fu quello di portarmi sulla difensiva, dirle che si sbagliava, che Sean aveva superato le perdite che aveva subito e che era andato oltre, però c’era qualcosa che mi bloccava. Stavo parlando di lui, o di me stessa? Volevo nascondere le sue o le mie questioni irrisolte?
Perché anche se mi illudevo del contrario, l’essere stata trasformata senza una spiegazione, né tantomeno senza che io l’avessi voluto, mi aveva segnata molto più di quanto volessi ammettere. A modo suo, era stata una violazione del mio corpo e della mia stessa anima. Certo, alla fine era stato proprio grazie a quel morso se avevo conosciuto Adam e avevo trovato il coraggio di affrontare la paura di ciò che ero diventata, ma quella ferita non era ancora del tutto rimarginata, a volte la sentivo ancora bruciare. E non avevo idea di come farla guarire.
«Non pretendo che vi fidiate di me così, su due piedi.» Stava dicendo Sean in quel momento. La sua voce decisa si insinuò nei miei pensieri dai toni cupi e mi riportò alla realtà, giusto in tempo per rendermi conto che Adam mi stava guardando, gli occhi resi più scuri dalla preoccupazione.
Distolsi lo sguardo per riportarlo sul nostro Alfa sperando con forza sorprendente persino per me stessa che non avrebbe cercato di chiedermi niente più tardi.
«Colin Young ci ha dato un ultimatum, abbiamo cinque giorni per dargli una risposta o riaprirà la caccia. In questo tempo, sarò qui per rispondere a tutte le domande che avete, per discutere della strategia e accettare suggerimenti.» Continuò Sean facendo un passo avanti. Nonostante la scarsa altezza del palco, la sua presenza dominava l’intero locale. «Qualunque sia la vostra decisione, io continuerò a combattere i cacciatori, anche se dovrò farlo da solo. Ci hanno tolto abbastanza, adesso sta a noi reagire.»
«Io ci sto.» Esclamò una ragazza alzandosi in piedi. Doveva avere un paio d’anni più di me, portava i lunghi capelli castani sciolti, due trecce sottili le scendevano dai lati della testa fino a sparire dietro le spalle. «Ho perso tutto per colpa loro, sono stanca di nascondermi. Combatterò, se sarà necessario. E morirò, se servirà a darci una possibilità.»
Sean assomigliava ad un leone, aveva perso ogni traccia di debolezza. Sollevò il mento, gli occhi verdi fissi sulla ragazza. «Non morirai. Non lo permetterò. Se vi unirete a me, vi prometto che farò tutto il possibile per tenervi al sicuro. Tutto.»
La giovane annuì una sola volta prima di guardarsi attorno con espressione critica. «Non ditemi che avete paura. Anzi, sapete cosa? La paura è l’unica emozione che siamo capaci di provare ora come ora. È il momento di cambiare le cose.» Mi guardò dritta in viso. «Lei combatte al suo fianco eppure ha molta meno esperienza di molti di voi. Ha il coraggio e la forza che sembra manchino qui, però.»
Un intero tavolo di licantropi si alzò insieme alle loro voci che dicevano: “ci stiamo anche noi”. Dopo di loro, altre sedie si scostarono, altri confermarono la loro partecipazione. Le persone che rimanevano sedute erano sempre meno, molti si facevano convincere dagli sguardi insistenti degli amici e dai loro incoraggiamenti sussurrati all’orecchio.
Per ogni lupo che si univa a noi vedevo i muscoli di Sean rilassarsi un po’ di più e l’espressione di Adam farsi via via più speranzosa. Si ritrovarono entrambi con un piccolo sorriso incredulo sulle labbra quando anche gli ultimi licantropi si alzarono dichiarando che ci avrebbero seguiti.
In realtà, solo uno di loro era ancora comodamente stravaccato sulla sedia: l’uomo con la cicatrice che aveva interrotto Sean. Adesso lo stava guardando con gli occhi ridotti a due fessure, gli angoli della bocca piegati in una smorfia scettica. Accanto a me, Dawn bisbigliò qualcosa a Toby, che annuì con aria grave. Avevo la netta impressione che quel lupo non fosse proprio un tipo tranquillo e pacifico.
«Tu ci farai uccidere tutti, biondino.» La voce dell’uomo era graffiante, venata di un’ironia beffarda.
Sean schiuse le labbra di fronte a quell’accusa, fui quasi in grado di vedere una risposta pungente prendere forma nella sua mente mentre il suo lupo ringhiava piano.
L’altro, però, sollevò pigramente una mano. «Oppure no. Dipende tutto da come ti vuoi giocare questo… branco. Ho visto diversi giovani lupi mettere su piccoli eserciti scombinati dichiarando di essere i nostri salvatori. E poi li ho visti cadere, uno ad uno. Ci sono due strade davanti a te adesso, una finisce con un proiettile d’argento, l’altra con una responsabilità capace di uccidere un uomo e la tanto agognata libertà. Chissà dove andrai.»
«Eviterei molto volentieri il proiettile.» Ammise Sean aggrottando la fronte.
Un brusio vivace riempiva la stanza. Alcuni lupi scommettevano su come sarebbe finita quella discussione, altri commentavano l’audacia di Sean e la sua sicurezza, qualcuno si chiedeva se davvero il nostro piano avrebbe funzionato.
L’uomo si lisciò la barba con studiata lentezza. «Spero che tu lo faccia, biondino. Sono curioso di vedere le tue prossime mosse.»
L’Alfa inarcò un sopracciglio. «Sei dei nostri, quindi?»
«Sì, ragazzo.» Borbottò lui. «Ma non mi alzerò. Non ho più le ginocchia di un tempo.»
La tensione che irrigidiva i muscoli delle spalle di Sean si sciolse lasciando il posto a un sorrisetto compiaciuto. Scese dal palco con un agile balzo e ci raggiunse. Non avevo idea di come fosse stato prima che i cacciatori uccidessero la sua famiglia, ma in quello sguardo deciso e in quell’espressione fiera fui quasi certa di cogliere un assaggio del vecchio Sean.
«Sei stato bravo.» Commentò Dawn, un angolo della bocca sollevato. «Magari riesci a farlo funzionare davvero.»
Negli occhi di lui passò un lampo. «Questa era la parte difficile, il resto sarà una passeggiata.»
Toby scosse la testa. «Apprezzo la tua confidenza, ma fossi in te non mi rilasserei troppo. Colin Young e i suoi sanno essere spietati.»
Lo sguardo di Sean si soffermò su di me per un attimo. «Lo so, fidati. L’ho visto da vicino, più di una volta.»
«Fa’ attenzione allora.» Mormorò Dawn, il viso scurito da un’espressione che non riuscivo a decifrare. «Non siamo pronti a perdere il nostro Alfa.»

Passammo altre due ore a parlare con tutti i lupi che volevano chiedere qualcosa a Sean o avere qualche informazione in più. Io, lui e Adam avevamo preso posto ad un tavolo e chiunque avesse avuto voglia di parlare poteva semplicemente avvicinarsi per essere accolto da un trio piuttosto bizzarro, ma che funzionava.
Sean tirò fuori il suo lato più cordiale e rassicurante, regalò sorrisi gentili, ascoltò le preoccupazioni di tutti e seppe mostrarsi sicuro di sé e della propria strategia senza apparire arrogante. Adam gli dava manforte con quei suoi modi di fare sempre educati che riuscirono a convincere anche quelli che venivano da noi per il solo scopo di lamentarsi e puntare il dito contro fantomatiche falle nel piano.
Nonostante fosse umano, nessuno fu diffidente nei suoi confronti, gli parlavano come avrebbero fatto con me o qualunque altro lupo. Il suo essere diverso da noi, i diversi per eccellenza, non era visto come una cosa negativa. Quando, in un momento di pausa, ne chiesi il motivo a Sean, lui mi rispose che non era così raro vedere umani coinvolti negli affari dei licantropi o addirittura nei branchi. Alcuni speravano di essere morsi e trasformati, altri avevano semplicemente trovato una compagnia piacevole, un gruppo che li aveva accolti, non c’erano secondi fini né pretese.
Per tutto il tempo che passammo lì, rimasi un po’ in disparte ad osservare loro due che lavoravano insieme, fianco a fianco, come se non avessero fatto altro in tutta la vita, a esplorare le sensazioni sconosciute ed elettrizzanti che l’avere tutti quei lupi intorno mi scatenava dentro. Era una scossa di energia inspiegabile, come quella che provocano le prime giornate di sole e aria frizzante dopo il freddo assoluto dell’inverno, la voglia di fare, vedere, conoscere, vivere anche l’altra parte di me.
«Okay, per oggi è abbastanza.» La voce di Sean, stanca ma soddisfatta, mi richiamò alla realtà.
Sbattei le palpebre tornando a guardare lui e Adam trovandoli intenti a scambiarsi un’occhiata d’intesa. Quel gesto dovette sorprendere entrambi, perché subito dopo si affrettarono a guardare altrove facendo finta di niente.
Dawn si avvicinò al nostro tavolo con un sorriso affabile. «I nostri tre eroi. Siete ancora tutti interi?»
Sean appoggiò un gomito sulla superficie di legno. «Certo. Avevi dubbi?»
«Pensavo che la diplomazia non fosse il tuo forte.» Ammise lei. «Ho chiesto a Toby di prepararvi del caffè e qualcosa da mangiare, dovete essere affamati.»
Mi ritrovai ad annuire con enfasi. «Sì, molto affamati.»
«Tu hai sempre fame.» Borbottò Sean aggrottando le sopracciglia.
Dawn mi strizzò l’occhio. «Scommetto che voi due invece il più delle volte saltate interi pasti.»
«Qualche volta.» Confessò Adam mentre Sean sbuffava con fare irritato.
«Dawn, posso farti una domanda?» Chiesi mordicchiandomi il labbro. «Cioè, è rivolta a tutti, ma credo che tu sia più… aggiornata a riguardo.»
Lei prese una sedia da un altro tavolo e l’accosto al nostro accomodandosi di fronte a noi. «Certo, dimmi tutto.»
«È una cosa positiva per noi, utile direi, visto che ci ha evitato molti problemi, ma… perché nessun Alfa si è opposto alla presa di potere di Sean? Certo, ha dovuto convincerli della forza della sua strategia, però nessun capobranco ha tentato di rivendicare il suo ruolo in questo branco. Perché?» Domandai guardandola dritta in viso.
Dawn annuì piano. «È la prima volta che incontri altri lupi all’infuori di Sean, vero? Ti sei mai soffermata a pensare al motivo di queste poche presenze?»
Sean si sfiorò le labbra con le dita, lo sguardo perso, lontano. «Cacciatori.»
«Già. Hanno ucciso molti più licantropi di quanti non vogliamo ammettere. Ci hanno decimati, non solo negli ultimi anni. Qualcuno ha tentato di ribellarsi, soprattutto gli Alfa.» Raccontò lei dandomi la sua totale attenzione. «Lo imparerai col tempo, ma credo sia giusto anticipartelo per aiutarti a comprendere. Per un Alfa il branco è la cosa più importante al mondo, persino più della sua stessa vita. Un capobranco sviluppa un legame molto profondo con i lupi che si uniscono al suo gruppo, è… una cosa antica, affonda le sue radici molto indietro nel tempo. È il connubio tra l’istinto di creare una comunità e proteggersi a vicenda che hanno i lupi intensi come animali e quella forza enorme che l’uomo è in grado di infondere ai propri sentimenti.»
«Se il branco è in pericolo, l’Alfa è pronto ad annullarsi per loro, a dare la vita senza esitazioni.» Sean strinse il pugno fino a sbiancare le nocche continuando a guardare un punto indefinito sopra le spalle di Dawn. «Non riuscire a tenere al sicuro il branco è…. orribile. Perdendo un lupo, l’Alfa perde una parte di sé e quel dolore lo accompagnerà per tutta la vita.»
«È per questo che hanno reagito, per proteggere i propri branchi.» Disse Adam, la voce bassa, le iridi velate da un’ombra. Lanciò un’occhiata a Sean e lo vidi stringere le labbra, quasi a volersi trattenere dall’aggiungere altro.
Dawn intrecciò le dita sul tavolo. «Qualcuno qui è molto intuitivo, mmh? E sì, la ragione è questa. Non potevano permettere che i loro lupi fossero minacciati, dovevano difenderli, per questo molti Alfa hanno cercato di ribellarsi. Come ha detto Xavier, l’uomo con la cicatrice, non sono stati fortunati. I pochi rimasti pensano che anche il vostro piano finirà male, come quelli che vi hanno preceduto. Oppure semplicemente non hanno interesse a contrastare una presa di potere che credono temporanea.»
«Xavier era un Alfa, vero?» Intervenne Adam, lo sguardo acceso di curiosità.
Dawn apparve colpita dalla sua intuizione. Si voltò a guardarlo con interesse, un lieve sorriso ad incresparle le labbra. «Il suo branco era piuttosto forte, molto unito e leale. Ma anche lui tentò di contrattaccare. La cicatrice che ha sul viso è la prova del suo tentativo.»
Mi sporsi verso di lei. «E come è andata? Voglio dire, lui è vivo quindi…» Mi bloccai nel vedere la sua espressione farsi dispiaciuta. «Non… non è riuscito…?»
«Tutto il suo branco si unì a lui, quella notte. Erano in dieci. Lui è l’unico sopravvissuto.» Dawn pronunciò quelle parole con cura infinita, quasi stesse cercando di ferirmi il meno possibile. «Molti l’hanno preso come un segno del fatto che, per quanto ci proviamo, non possiamo cambiare la situazione. Per questo fino ad oggi abbiamo preferito nasconderci.»
«Le cose cambieranno adesso.» Dichiarò Adam, la voce resa roca dalla passione che gli si agitava nel petto. «Noi le cambieremo.»
Avrei voluto essere determinata e sicura come lui, avere una fiducia incrollabile in quel nostro folle progetto, ma la verità era che avevo paura. Temevo di veder morire quell’illusione di un futuro migliore, temevo di ritrovarmi di nuovo intrappolata, di perdere anche l’ultimo frammento di speranza. Allo stesso tempo, però, avevo un bisogno spasmodico di credere che avrebbe funzionato, che finalmente sarei potuta tornare a respirare senza sentirmi oppressa dal terrore.
Così guardai Adam in quegli occhi elettrici come una tempesta e annuii con forza. «Sì. Lo faremo, insieme.»




SPAZIO AUTRICE: Ehilà!
Probabilmente qualcuno - molti - di voi avevano perso le speranze riguardo l'aggiornamento di questa storia e vi capisco, anzi, mi scuso per averci messo quasi due mesi a postare questo capitolo. Adesso che ci avviciniamo alla fine della storia, comincio a sentire la pressione: voglio scrivere un finale degno, bello e che "degno" del resto di Under a Paper Moon, quindi ci metto di più a ideare le scene e soprattutto a riportarle per iscritto visto che ho un'avversione cronica per i miei stessi scritti.
Ammetto che questo capitolo mi convince, anche perché ho notato una crescita, mia e dei personaggi, rispetto ai primi capitoli. Adesso hanno più spessore e profondità e penso che anche lo stile sia migliorato (almeno spero sia così).
Dunque, che ne pensate di questo branco in formazione? Sean sarà in grado di reggere la pressione? E Scarlett riuscirà a superare le sue paure e le questioni irrisolte del suo passato?
Dawn e Toby sono un'altra novità di questo capitolo. Che ve ne pare di loro?
Scusatemi ancora tantissimo per il ritardo, spero che sia valsa la pena di aspettare così tanto <3

A presto,
TimeFlies
  
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