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Autore: Hikari_Sengoku    15/04/2017    3 recensioni
Ehilá, mi chiamo Hikari_Sengoku, e questa é la mia prima fanfiction su questo fandom. Ringrazio chiunque vorrá leggere e a maggior ragione dare il suo giudizio. Sono a conoscenza dell'usura del tema, ma vedere le cose da un'altra prospettiva é sempre una buona cosa, invito perciò alle critiche costruttive. Per questioni di trama, la storia si baserá unicamente sull'anime.
Cori é una ragazza italiana alle soglie della maturitá, con una famiglia particolare, un fratello scomparso che adorava ed un nonno pieno di misteri... Cosa potrá accadere quando da uno dei suoi anime preferiti pioverá letteralmente uno dei personaggi?
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Roronoa Zoro, Un po' tutti, Z
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Prima della lettura: Spero di non essere stata scarna nelle descrizioni. Spero che Zoro sia somigliante e soprattutto non moscio o troppo taciturno. Ci ho messo tanto ad aggiornare perché non riuscivo a scrivere ciò che avevo in mente. La storia è appena incominciata! Spero che il capitolo piaccia. Recensite numerosi!


Cominciano i guai

La mattina dopo, Cori si svegliò con un mal di testa pressante, che ignorò prontamente. Era lunedí. Lunedí. Lunedí. Lunedí. L’ultimo lunedí prima degli esami, e doveva andare a scuola, sperando che Dio la salvasse da Zoro e da quegli altri cretini di teppisti. Proprio non aveva voglia di uscire dal sacco a pelo, ma si costrinse e pochi minuti dopo era pronta per andare. Era presto, erano appena le sette, e i suoi occhi si chiudevano per la stanchezza. Doveva avvertire Zoro, ma non voleva svegliarlo, era cosí carino quando non faceva l’immusonito! Non sapeva se sapesse leggere l’italiano. Di sicuro lo parlava, ma poteva anche essere un effetto collaterale del passaggio interdimensionale. Se le sue supposizioni erano esatte, in teoria dall’altra parte si doveva parlare in giapponese, ma non ne era tanto certa, e comunque di giapponese sapeva ben poco, cosí risolse per un messaggio vocale da affiancare ad uno scritto ed uscí.


Era appena finita una mattinata di merda. In classe era stata perennemente in ansia, e lei odiava stare in ansia, per le interrogazioni, le minaccie di morte, lo studio, Zoro… si, anche quel cretino, aveva paura che uscisse e si facesse notare. Per ora si era rivelato abbastanza gestibile, ma era sicura che questo aspetto circospetto e taciturno lo caratterizzasse solo in questo particolare contesto, solitario, ignoto, e anche abbastanza fastidioso, e non aveva idea di come potesse reagire sul lungo periodo. In più ci si mettevano anche i professori, con gli ultimi ripassi, le interrogazioni… Prima di superare il cancello della scuola intravide all’angolo della via quei quattro manigoldi che si ostinavano ad infastidirla a giorni alterni, uno sì e l’altro pure. Erano più grandi di lei di qualche anno. Li conosceva dai tempi delle elementari, e fin da allora erano state botte. Fortunatamente con loro non c’era il loro stupido capo, la persona che più non sopportava al mondo, o veramente avrebbe dovuto pensare che qualcuno lassù ce l’aveva con lei. Arrivò all’angolo della strada con l’umore sotto le scarpe.
“Ehi, Cori! Cos’è, non ci saluti?” la fermò uno dei fratelli.
“Perché dovrei?” mugugnò fra i denti.
“Mah, non lo so” disse quello dietro di lei afferrandola per il retro della maglia. “Forse ti converrebbe?”
Cori ringhiò, poi si abbassò di scatto, staccandosi dalla presa del ragazzo moro, poi gli tirò una craniata dritta sul mento rialzandosi.
“Ahia, ma sei impazzita?” grugní quello massaggiandosi la scucchia.
“Tanto non ti fai mai niente, di cosa ti lamenti?” sbuffò Cori alzando gli occhi al cielo mentre assorbiva e deviava con le braccia i pugni del fratello. Un altro le tirò un calcio sullo stinco. Cori ne approfittò per spostarsi dalla traiettoria dei pugni, afferrarne uno e con un Sasae-tsuri-komi Ashi buttarlo addosso al compagno, che insieme a lui rovinò al suolo. Un pugno la raggiunse sullo zigomo, infliggendole un lungo taglio con il tirapugni. Si sbilanciò all’indietro. Ahia, che male! Il quarto ragazzo la caricò e la schiacciò al suolo. Cori fece forza sulla gamba, e spingendogli la spalla lo rovesciò, beccandosi diversi schiaffi e pugni sul viso, prima che lei gli schiacciasse il braccio sinistro e lo tramortisse con una gomitata dritta in testa. L’altro ne approffittò per prenderla a calci. Cazzo, come erano appuntite quelle scarpe dritte nello stomaco! Afferrò il polpaccio del ragazzo e lo tirò a se, mentre spingendogli il piede sul ventre lo faceva cadere. Addosso a lei. Nel frattempo il primo assalitore si era ripreso e l’aveva afferrata per i capelli, estraendola da sotto il corpo del compagno.
“Non fai più tanto la sbruffona, eh?” Cori ghignò spezzandosi il labbro inferiore, prima di riempirlo di calci e pugni. Quello li parò e glieli rese in buon numero, prima che lei lo afferrasse per il collo e lo costringesse contro il muro, torcendogli i polsi fino quasi a spezzarli.
“Chi è che non fa più lo sbruffone, adesso?” lo sfotté sorridendo mentre gli spingeva il braccio contro la trachea finché non svenne. Nel mentre, dietro di lei i due superstiti la strapparono del collo del loro compare e insieme la tempestarono di pugni.
“Tanto non ti fai niente!” risero. Cori arretrò fino alla sua borsa e gliela tirò addosso, viva il peso della cultura! Ne caricò uno con il gomito, colpendolo dritto sull’orecchio. Il secondo le gettò contro la sua stessa borsa e la spinse a terra. Cori lo afferrò per la cintura e colpendolo con la parte bassa del palmo sull’orecchio lo girò sotto di se, tirandogli un calcio dritto nelle palle, si alzò e corse via prima che si rialzassero. Aveva giá perso abbastanza tempo, ed era stanchissima! Appena fu certa di essere abbastanza lontana rallentò. Dio mio, che dolore! Il petto le faceva un male boia, il taglio bruciava, e i colpi si facevano sentire. Aveva fatto bene a fuggire, non sapeva quanto ancora avrebbe potuto resistere una contro quattro!


Avvicinandosi a casa, i suoi sensi di ragno le urlavano che la giornata stava per peggiorare. Cori bussò delicatamente alla porta di servizio. Le aprí una donna di mezza etá dai capelli rossi striati di neve.
“Oh, piccola mia, come ti sei conciata?! È di nuovo colpa di quegli scimmioni, non è vero?” la accolse la donnina con tono accorato.
“E di chi può essere? È da quando avevo due anni che quei quattro non mi danno pace” Le rispose Cori entrando.
“Se solo ci fosse il signorino Ottavio…” sospirò la donna.
“Se ci fosse il signorino Ottavio io saprei comunque cavarmela da sola, Emilia. Grazie per avermi fatto entrare dal retro” La ringraziò baciandola sulla guancia. Emilia era la loro cuoca da prima che lei nascesse, e quando i loro genitori erano occupati (praticamente sempre) era lei che gli faceva da balia.
“Sbrigati, prima che tua madre ti veda!” la spinse fuori.
Cori si diresse quatta quatta in stanza, ma mentre attraversava il corridoio, suo padre le venne incontro con uno sguardo schifato.
“Li hai sistemati almeno?” borbottò osservandola da capo a piedi, soffermandosi con lo sguardo affilato sul taglio sullo zigomo.
“Si, papá” asserí lei piegando la testa in un rudimentale inchino.
“La prossima volta cerca di non arrivare alle mani, rovini l’immagine” la redarguì distogliendo lo sguardo. “Chi è quel ragazzo che è venuto stamattina? Un nuovo domestico?”
“Quale ragazzo?” chiese Cori frastornata.
“Uno dai capelli neri, la pelle abbronzata” mugugnò ancora più infastidito dalla sua inefficienza.
“Ah, credo tu stia parlando del nuovo aiuto giardiniere! Sai, ultimamente Gregorio mi parlava delle rimostranze dei vicini per le radici e i rami troppo lunghi, cosí ho pensato di chiamare qualcuno per aiutarlo…” mentí spudoratamente immaginandosi un Zoro passione giardiniere, pronto a rasare con un solo fendente i malvagi rami troppo lunghi…
“Brava figliola, ma voglio i suoi documenti sulla scrivania entro domani sera per la registrazione in busta-paga” la avvisò il padre scompigliandole i capelli, felice che sua figlia cominciasse ad interessarsi agli affari di famiglia… niente di più falso.
La ragazza si impanicò. “Ce-certo, te li farò avere il prima possibile, lascia fare a me, parlo io con Silas” si affrettò a dire allontanandosi. Era nei guai. Guai grossi. Se solo suo padre avesse parlato con il vecchio economo avrebbe scoperto la farsa e questo si che sarebbe stato un problema. Maledetto cretino! Sbatté i piedi infuriata davanti alla sua stanza, sperando di trovarlo lí. Spalancò la porta.
“Dove sei, maledetto? Dove sei?” sibilò squadrando la stanza vuota, vuota! Spalancò la finestra, ma non lo vide. Uscí a spron battuto dalla stanza e si fece tre volte il giro dei corridoi senza trovarlo. Quando sentí un urlo proveniente dalle cucine, capí di averlo trovato. A passo marziale raggiunse il corrimano e ci scivolò sopra, raggiungendo di gran carriera la stanza. “Che succede Emilia?” urlò.
“C’è un ragazzo che sta svuotando il frigorifero! Chiama Gregorio, presto!”  gridò la cuoca isterica. Davanti agli occhi di Cori si parava una scena esilarante. Zoro sostava davanti al frigorifero, con in mano metá del suo contenuto alcolico ed in bocca l’altra metá, mentre Emilia lo picchiava con una scopa.
“Via, sciò!” urlava la donna.
“Uhmm. Emilia va tutto bene, lui é Z…eno, il nuovo domestico!” disse Cori, posando le mani sulle spalle della cuoca.
“Ah, allora il padrone parlava di lui prima!” disse trascinandosela da parte. “Certo che te lo sei trovato carino, il maggiordomo!” disse facendo uno strano sorrisetto.
“Quel buzzurro non è il mio maggiordomo” le rispose fulminandolo. Poi si girò, ed afferratolo per un orecchio gridò un “Andiamo! Stupido, idiota, cretino, imbecille…” in un decrescendo lungo i corridoi.
Quando giunsero alla stanza, Cori ce lo buttò dentro che ancora beveva.
“Hai. Idea del casino che hai causato?” gli urlò passandosi le mani fra i capelli.
“Ora dove li trovo i documenti per te? Anzi, ripensandoci so dove andare a prenderli. Mi costerá un po’, però… Ahh, mi devi un sacco di favori, lo sai?” continuò a ciarlare ipernervosa, fece un grosso respiro sentendo un dolore acuto al petto. “Ahia, cazzo che male!” sibilò massaggiandosi l’addome mentre andava in bagno.
Alzò la maglietta, e stavolta i lividi erano veri, e spiccavano come un cielo stellato color prugna sul petto piatto, sulle braccia grosse, allargandosi in una serie di macchie fino alle maniglie dell’amore. Il respiro aveva cominciato ad essere doloroso. Non ci aveva fatto molto caso prima, ma ora tutti i colpi ricevuti si facevano sentire. La guancia aveva preso a pulsare dolorosamente, e Cori dovette asciugarsi una lacrima di sangue. Si medicò velocemente il taglio, poi passò al petto.. Di sicuro aveva qualche costola incrinata, e non poteva far altro che passarci una pomata, roba da una settimana.
Vide Zoro fare capolino dalla porta attraverso lo specchio. “Ehi testa-riccia. Tutto bene?” chiese il ragazzo lasciando scivolare lo sguardo sulla pelle martoriata della schiena.
“Si, tutto bene” sospirò abbassandosi la maglietta. Si passò una mano sulla faccia. “Meglio strappare il cerotto tutto insieme”
Zoro non aveva capito del tutto, ma era chiaro che la situazione non era delle più rosee per entrambi.
Cori estrasse il cellulare e cominciò a smanettare.
“Che cos’è?” le chiese il giovane perplesso.
“È una specie di lumacofono portatile” borbottò coll’umore sotto terra e portandosi l’apparecchio all’orecchio. Il cellulare squillò, storcendo in una smorfia di disgusto e fastidio il volto di Cori.
“Chi è che rompe i coglioni?”
“Indovina” si annunciò cupa come un funerale.
“Ah, ma sei la mia piccola Cori! Da quanto tempo non ci sentiamo? Cos’è, ti manco?”
“Mi devi un favore” tuonò bloccando i suoi assurdi sproloqui.
“Quindi parliamo di affari! Che cosa ti serve? Una botta di coca, eh?”
“Documenti falsi” disse lapidaria.
“Oh-oh, andiamo sul pesante! Ti costerá un bel po’, lo sai?”
“Fai il prezzo”
“300. E l’annullamento del debito”
Ci sto.” Sospirò. “Ecco le informazioni: Zeno Giordani, 21 anni, nato l’11 Novembre a Roma, alto 1,78 metri, celibe, capelli neri, occhi marroni” snocciolò velocemente.
“Residenza, la metto da te, puttanella?”
“Confido in te” sputò.
“Per quando ti serve?”
“Il prima possibile” sospirò passandosi le mani fra i capelli.
“Passa da me tra un’ora coi soldi. Ti voglio, piccola Cori!” Una smorfia più ampia di disgusto si dipinse sul suo volto.
“Sarò lì” borbottò chiudendo la telefonata.
“Che cosa hai fatto?” le chiese Zoro.
“Ti ho parato il culo, ecco cosa ho fatto” mugugnò mettendosi il giacchetto di pelle. “Ci vediamo fra un paio d’ore.” Annunciò sbattendo la porta dietro di se. Che giornata di merda! Pensò appoggiandosi al muro. I lividi li poteva facilmente ignorare, ma il petto le faceva un male boia! E oggi aveva anche judo, nooo, come avrebbe fatto a combattere o fare ginnastica in quelle condizioni?! Il maestro l’avrebbe uccisa come minimo, non era la prima volta che gli faceva questo scherzo. I suoi risparmi stavano per essere volatilizzati, puff, solo perché quel cretino aveva fatto la bravata!
Entrò a passo svelto nel garage, dove in fondo sostava la sua bellissima moto, un’Honda ST1300 nera, l’amore della sua vita. Corse ad abbracciare l’unica creatura che non l’avrebbe mai abbandonata, sciogliendo la sciarpa rosata dal motore e abbandonandola sugli scaffali del meccanico. Infilò il casco, montò in sella e partì. In realtá il covo di quei manigoldi era a meno di un chilometro di distanza, ma aveva bisogno di sfogarsi e la moto faceva al caso suo. L’aria sulla faccia, la splendida sensazione di velocitá che cancellava tutti i dolori, che bello! Pensò mentre veleggiava fra le dolci colline nei pressi di Roma, i piccoli paesi, i campi coltivati, i cavalli che nitrivano nei maneggi. Era fortunata a vivere un po’ lontana dal centro. Gli alberi creavano una splendida cupola verde sulla sua testa, mentre i sottili raggi di sole disegnavano bizzarri ghirigori ondeggianti sull’asfalto. Al suo fianco, le colline costellate di rade casette colorate sembravano schiudersi in teneri sorrisi, mentre gli alberi più vicini correvano al suo fianco in un vorticare di splendide linee verdi brillanti. Il sole le sorrideva, gli uccellini cinguettavano e Cori pensò che in fondo non era poi tutta questa gran tragedia, che le risse alla fine le piacevano, che non vedeva l’ora di andare a judo e rivedere quella sottospecie di maniaco malato mentale del suo acerrimo nemico alla fine non era gran cosa di cui preoccuparsi.



“Come non detto” mormorò in ansia di fronte alla saracinesca di quello stupido garage, mentre lo stomaco le si attorcigliava. Se c’era una cosa che odiava era proprio quella. Fece un (dolorosissimo) respiro profondo, sciolse i muscoli e con un ultimo spasmo di ribellione indurí lo sguardo, raddrizzò la schiena e alzò il cigolante sportello metallico. Il garage era gremito di gentaglia di tutti i generi, posata un po’ ovunque, sugli scaffali,appoggiata al muro, su qualche sgabello traballante. Il soffitto gocciava ritmicamente, unendosi al mormorio minaccioso di quei poco di buono, accompagnato dal dondolio dell’unica lampadina. In fondo, un ragazzo poco più grande di lei la fissava con scherno dall’alto del suo blocco di cemento armato?! Una decina di bombolette spray erano riverse ai suoi piedi, insieme ad una biondona tutta tette e culo, puah! Era più alto di lei, aveva i capelli rossicci rasati sui lati e gli occhi foschi e cupi venati di lussuria, le labbra grosse come canotti ed il naso storto da pugile.
“Gabriele” tuonò attirando la sua attenzione, stringendo i pugni lungo i fianchi.
“Oh, ma guarda chi c’è, la mia piccola Cori! Da quanto tempo non ci si vede, eh?” la sfotté avvicinandosi a lei e stringendole la bocca fra le dita. Cori non si attardò a rifilargli uno schiaffo a mano aperta sul viso. “Non mi toccare” sibilò.
 Tutti i presenti smisero di respirare. Gabrirle non era quello che si dice, una persona equilibrata. Infatti, cominciò a ridere. “Hahahaha, tu dici a me ‘non mi toccare’? Ti ricordo che ho io il coltello dalla parte del manico, piccola troietta insignificante!” la minacciò allargando le braccia ad indicare la moltitudine intorno a se, con i documenti in mano, per poi tirarle i capelli, alitandole sul viso. In un angolo i quattro dell’apocalisse di quella mattina se la ridevano.
“Ah, si? Ti ricordo che potrei sempre andare a denunciarti per quel fatterello… non credo ti convenga sai?” gli rispose suadente, senza scomporsi minimamente.
“Sempre se riesci ad uscire viva da qui…” ribatté il roscio allontanandosi. Cori sollevò un sopracciglio. Non gli conveniva affatto ucciderla. “…ma io sono un uomo d’onore, e rispetto sempre gli impegni presi. Lascia i soldi a terra” le ordinò preparandosi a lanciarle i documenti.
“Faranno bene ad essere credibili” mugugnò lei di rimando mentre li afferrava e si allontanava.
“Come, non ti fidi di me? Mi dispiace” rise il cretino spingendola con un colpo di bacino verso lo sportello. La riccia lo fulminò. “No, non mi fido di te. E ringrazio il cielo che d’ora in poi non avremo nulla da spartire l’uno con l’altra.”
“Oh, ti sbagli. Noi avremo ancora molto da spartire, mia cara” affermò stringendola con un braccio da dietro. Cori gli torse il polso finché quello non lasciò la presa. “A mai più rivederci, mio caro” se ne andò, calcando sul caro e sbattendo la saracinesca a terra. Era finita, era stato più facile delle altre volte e aveva risolto il problema, pensò stringendo i documenti fra le dita.
Ritornò a casa velocemente, lasciò i documenti sulla scrivania del padre e di gran carriera tornò in camera sua.
Zoro si stava allenando abbarbicato nell’incavo della finestra, che era evidentemente diventato il suo posto preferito.
“Ehi. Io sto andando ad allenarmi al dojo, vieni con me?” gli propose riempiendo la borsa. Se fosse anche arrivata in ritardo Angelo l’avrebbe semplicemente fucilata a vista.
“Ti alleni in un dojo? Sei una kendoka?” le chiese sorpreso, alzando lo sguardo bruno dal paesaggio fuori dalla finestra.
“No, una judoka. Però sempre meglio che allenarti qui, da solo come un appestato, no?” gli sorrise imbarazzata. Cominciava a pentirsi di averglielo proposto. Li avrebbe schiacciati.
“Vi batterei anche senza katana.”  Ghignò il ragazzo alzandosi.
“Tu prova. Ma dovrai stare alle nostre regole, quindi niente katana in assoluto” gli sorrise. Anche cosí sarebbe stata tutt’altro che facile.
“Accetto la sfida. Andiamo?” si avvicinò calcandosi la parrucca in testa.
Cori montò in sella sotto lo sguardo accigliato di Zoro.
“Hai intenzione di salire prima di domani?” gli chiese infilandosi il casco nero e lanciandogliene uno identico. Non era la prima volta che Zoro vedeva una moto. L’aveva di sicuro vista a Logue Town, in possesso di un capitano della marina, tal Smoker, quindi non capiva tutta quell’attesa per salirci sopra. Zoro montò sul sedile dietro di lei. “Faresti meglio a reggerti” lo avvisò Cori. Zoro strinse le dita intorno alla carrozzeria della moto. La ragazza fece spallucce e mise in moto. “Tu piegami la lamiera e io non avrò pace finché non ti avrò staccato tutte le unghie e i denti” gli sibilò partendo a razzo.




 
 
 

Ehilá, eccomi qui dopo un ginocchio fracassato e prima del campo-scuola a Praga! Yuppi! Per chi volesse saperlo, qui sotto metto le definizioni delle parole straniere. Fatemi sapere cosa ne pensate! Grazie soprattutto a WillofD_04 che mi continua a recensire, spero che continuerá a interessarti! Saluti,
                                                                                                                                                                   Hikari_Sengoku
 
Sasae-tsurikomi-ashi: Trattenuta al piede e sollevata (ashi significa gamba, ma la traduzione non è letterale), conviene vederla per capirla.
Kendoka: Praticante del kendo (l’arte marziale che sfrutta le katane)
Judoka: Praticante del judo (arte marziale che sfrutta il grappling)



http://www.grandeblu.it/index.php?url=saccheggio&id=53936
   
 
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