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Autore: gattina04    17/04/2017    1 recensioni
È un momento tranquillo ed Emma ha tutto ciò che ha sempre cercato e voluto; non c’è niente che possa desiderare, nemmeno il giorno del suo compleanno, ad eccezione di un piccolo insignificante rammarico. E sarà proprio quel pensiero a stravolgere completamente la sua esistenza catapultandola in un luogo sconosciuto, popolato da persone non così tanto sconosciute. E se ritrovasse persone che pensava perse per sempre: riuscirà a salvarle ancora una volta?
E cosa succederà a chi invece è rimasto a Storybrooke? Riusciranno ad affrontare questo nuovo intricato mistero? E se accadesse anche a loro qualcosa di inaspettato?
Dal testo:
"Si fermò e trasse un profondo respiro. «Benvenuta nel mondo delle anime perse Emma»."
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Robin Hood, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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13. E alla fine la verità
 
POV Emma
«Oh mio Dio! Ce l’hai fatta». La voce di Milah tremò pronunciando quelle parole. Anche se eravamo immersi nell’oscurità riuscii a scorgere i suoi occhi brillare.
«Aspetta a cantare vittoria», sussurrai, cercando di frenare la sua euforia. «Non è ancora finita». Purtroppo sapevo che l’aver trovato l’ingresso del passaggio segreto non significava essere già sani e salvi. Ci aspettavano altre prove da affrontare ed Euridice ce l’aveva detto.
«Lo so, ma è già molto di più di quanto potessimo sperare senza il tuo aiuto». Era la prima volta che riuscivo a scorgere nel suo tono la genuina e pura gratitudine che provava nei miei confronti. Ma forse era dovuto semplicemente al fatto che non ero mai stata del tutto bendisposta nei suoi confronti. La rivalità tra di noi c’era, era palpabile, e non potevo negarla; non ero in preda ad una gelosia irascibile, ma non ero nemmeno del tutto tranquilla conoscendo il suo passato con Killian.
«Che cosa stiamo aspettando?», ci domandò Robin muovendo un passo in avanti. Anche nella sua voce l’emozione era l’elemento predominante.
«Aspetta», lo fermai. Allungai un braccio davanti a lui in modo tale che non potesse superarmi. «Visto che sono stata io ad aprirlo è meglio se vado per prima. Potrebbe esserci ancora qualche trucchetto magico». Percependo la possibile verità nelle mie parole, gli altri annuirono con solennità e lasciarono che fossi io ad affrontare quella prima prova.
Mossi un passo in avanti e facendo un profondo respiro mi apprestai a varcare quell’arco, apparso magicamente davanti ai nostri occhi. Lo varcai sentendomi pronta ad affrontare qualsiasi cosa, a respingere ondate di potere, a scansare qualche trappola improvvisa, invece quando lo attraversai non successe assolutamente niente.
Una volta stabilita la mia incolumità, mi voltai verso i miei compagni e accennai loro un sorriso. «Potete passare, non credo ci sia nulla». Questo non significava che ce la saremo cavati sempre così facilmente, ma per il momento non dovevamo preoccuparci.
Robin fu il primo a farsi avanti con un espressione entusiasta sul viso, ma quando fu proprio sotto l’arcata sembrò scontrarsi con un muro invisibile.
«Ma che diavolo…?». Tentò di nuovo di passare ma era come se tra me e lui fosse improvvisamente calato un vetro trasparente a separarci. Poggiò la mano sulla soglia dell’arcata e provò a spingere: non riuscì a permettere alle proprie dita di avvicinarsi di un millimetro. Anche Milah si avvicinò a Robin per provare a passare, ma ottenne lo stesso risultato.
«Non possiamo entrare?», domandò Lizzy con una punta di panico nella voce.
Cercai di non perdere la calma e tornai indietro; se c’era qualcosa di diverso l’avrei sentito. Invece superai l’arcata senza problemi, esattamente come quando c’ero passata pochi istanti prima. Tornai di nuovo sotto l’arco, ma per me ciò che si trovava là nel mezzo era soltanto aria.
«Perché solo Emma riesce a passare?», ci chiese Joe, sperando che noi avessimo la risposta. Provai a riflettere e tentai di ricordare ciò che ci aveva detto Euridice. Aveva detto che io avrei dovuto aiutarli a passare; forse era proprio questo che intendeva. Aiutarli a passare nel vero senso fisico del termine, avevo sempre creduto che si riferisse a qualcosa di più intuitivo.
«Ricordate cosa ci ha detto Euridice?», dichiarai «Avrei dovuto aiutarvi a passare. Credo che possiate attraversare l’arco solo grazie a me».
«Che cosa intendi?», mi domandò Milah. «Cosa pensi di fare?».
Alzai lo sguardo su di lei e la fissai seria. «Ricordi quando ci siamo incontrate nell’Oltretomba? Tremotino ci ha fatto passare attraverso la porta della mia casa tenendoti per mano. Credo che dovremmo semplicemente tenerci per mano». Allungai le dita verso di lei e la guardai con un’espressione decisa per spingerla ad afferrarle. Senza indugiare le strinse e subito dopo prese per mano Robin e così anche tutti gli altri si unirono formando una lunga catena.
Trassi un profondo respiro e mi preparai a varcare di nuovo l’arcata. Questa volta quando la mia mano, che teneva quella di Milah, si trovò sulla soglia non ebbe nessun impedimento e così prima il suo braccio e poi il suo corpo si ritrovarono dall’altra parte.
«Ahi». Mi voltai di scatto sentendo quell’esclamazione e vidi Robin massaggiarsi la spalla ancora una volta dalla parte opposta a quella dove avrebbe dovuto essere.
«Credo che tu debba farlo singolarmente», mi suggerì Milah, staccando le sue dita dalle mie. Lei stava bene ed era passata attraverso l’arcata senza nessun problema; era evidente che dovevo essere l’accompagnatrice di ciascuno di loro.
«Eh già», sbuffai tornando indietro. Afferrai la mano di Robin e mi affrettai a ripetere quel piccolo percorso; dopo fu il turno di Joe e poi quello di Lizzy. Quando tornai indietro per effettuare l’ultimo passaggio sentii il cuore in gola. Anche se era stato tutto molto rapido, avevo avuto fin da subito la consapevolezza che avrei dovuto prendere Charlie per mano. Mentre con gli altri non avevo avuto problemi, con lui quel semplice gesto assumeva tutto un altro significato; era pieno di consapevolezze e di cose non dette. Sapere ciò che provava per me lo rendeva ancora più sbagliato di quando l’aveva fatto durante la nostra avventura in quel caotico mondo. Tuttavia, se volevo essere la Salvatrice, dovevo farlo.
Senza alzare lo sguardo su di lui afferrai in fretta le sue dita e lo trascinai verso quella strana porta. Sentii la sua mano stringere la mia e il suo pollice strusciare delicatamente sulla mia pelle. Mi voltai di scatto come se il suo tocco mi avesse dato la scossa. La mia mano bruciava come se stesse andando letteralmente a fuoco.
«No», mimai con le labbra lanciandogli uno sguardo infuriato. Non potevo parlare senza che gli altri capissero, ma i miei occhi furono altrettanto esplicativi. Ero tremendamente arrabbiata con lui ed era meglio che non facesse uscire quel lato di me. La sua espressione si incupì di colpo, ma almeno le sue dita tornarono ad essere inermi tra le mie.
Una volta superata l’arcata lo lasciai andare immediatamente e senza aggiungere una parola tornai in cima al gruppo. Ero pronta a guidarli verso l’Oltretomba e a tenermi a debita distanza da Charlie
«Andiamo». Recuperai una torcia dalla mano di Milah e mi affrettai a proseguire, aprendo così la fila. D’altra parte lei mi lanciò un’occhiata profonda, inducendomi a pensare che probabilmente era riuscita a capire tutto. Milah non era stupida e se c’era qualcuno che poteva ricollegare la tensione tra me e Charlie a quello che era successo al di fuori del loro nascondiglio, era proprio lei. Nonostante ciò, non disse una parola e si apprestò a seguirmi, insieme a tutti gli altri.
Camminammo in silenzio per una decina di minuti. Quel corridoio roccioso sembrava un percorso infinito; se consideravamo la grandezza della caverna da cui eravamo partiti, avremmo potuto benissimo camminare per delle ore. Quel tunnel non si andava né restringendosi né allargandosi, per quanto noi proseguissimo continuava a restare tale. I miei sensi si fecero ad ogni passo sempre più attenti: ero certa che le nostre avventure non sarebbero finite lì e mi sentivo pronta per affrontare qualsiasi nuovo pericolo mi si fosse presentato davanti.
All’improvviso, tuttavia, le dimensioni del tunnel cominciarono ad allargarsi, fino a quando non arrivammo in uno spiazzo sufficientemente largo da permetterci di stare uno accanto all’altro. La luce in quel salone era decisamente più forte, come se non fosse del tutto naturale e ci  permise di vedere ciò che avevamo davanti. Di fronte a noi c’era un gigantesco burrone e ad una decina di metri dall’altra parte il proseguimento del tunnel.
«Ma state scherzando?!». Era stato Charlie a parlare. «Direi che ne ho fin sopra i capelli di questi burroni». Se non fossi stata arrabbiata con lui, probabilmente avrei sorriso per la sua uscita. Tuttavia mi morsi le labbra e finsi di non averlo sentito.
«Beh non credo che ci siano problemi», intervenni. «Posso portarvi di là usando la magia». Così dicendo, mi apprestai a chiudere gli occhi per concentrarmi, ma immediatamente percepii qualcosa di diverso. Era come se la mia magia fosse in qualche modo imprigionata e non riuscisse a scaturire al di fuori del mio corpo.
«Merda», sussurrai tornando a guardare il burrone con occhi sgranati.
«Che succede?», mi domandò Robin.
«Credo di non riuscire ad usare la magia qua sotto». Avrei dovuto capirlo subito: sarebbe stato tutto molto semplice se avessi potuto ricorrere ad un trucchetto del genere. Probabilmente il fatto che avessi aperto il passaggio aveva in qualche modo messo un freno ai miei poteri. Era stato stupido aver pensato di potercela cavare così facilmente.
«E quindi come facciamo ad arrivare dall’altra parte?», ci domandò Lizzy. La sua voce era piena di fiducia e di speranza, come se fosse facile per noi tirare fuori un’idea geniale che ci avrebbe permesso di proseguire. Tuttavia il problema di fronte a cui ci trovavamo era piuttosto complicato; senza magia e senza strade alternative eravamo come bloccati.
«Sembra molto profondo», commentò Robin che nel frattempo si era inginocchiato per riuscire ad osservare meglio il baratro di fronte a noi.
«Ma certo mi pare ovvio!», sbottò Charlie. «Non può esserci solo un semplice e piccolo fossato!». Con il piede tirò un calcio ad uno dei sassolini presenti sul terreno, in un tentativo di riuscire a scaricare la tensione. Fu un gesto semplice, come tanti altri, e non ci avrei fatto nemmeno caso se qualcosa non avesse attratto la mia attenzione. Quando Charlie aveva spinto il sassolino nel burrone, questo era rimbalzato in un punto in cui non c’era assolutamente niente. Per un attimo mi chiesi se fosse stata solo la mia immaginazione, ma secondo ciò che avevo appena visto ci trovavamo di fronte a qualcosa di invisibile. Era come se ci fosse stata un’altra parte di terreno che noi però non riuscivamo a vedere.
«Aspettate». Mi chinai a terra e raccolsi un altro piccolo sassolino, sentendo il peso del semplice gesto che stavo per compiere. Se avevo ragione avevo appena trovato il modo di proseguire.
Mi avvicinai al punto in cui si trovava Charlie e lanciai il sasso esattamente nella stessa direzione in cui l’aveva tirato lui, utilizzando però molta meno forza. Come avevo previsto il sasso rimbalzò di poco e poi rimase sospeso nell’aria.
«Ma che diavolo…?». Robin non finì la frase continuando ad osservare allibito ciò che avevo appena fatto.
«Non c’è mai stato bisogno di utilizzare la magia», spiegai con un certo sollievo. «La strada per arrivare dall’altra parte è sempre stata di fronte a noi, solo che non riusciamo a vederla».
«Beh è ingegnoso», commentò Milah. «Non riuscire a vedere la strada scoraggerebbe anche le anime più intrepide».
«Già». Mi avvicinai sempre più all’orlo del precipizio e sentii il mio cuore partire a mille. Non era certo facile dover camminare su una strada invisibile: un solo passo sbagliato e saremo finiti spiaccicati sul fondo del burrone.
«Adesso fate attenzione e mettete i piedi esattamente dove li metto io». Calò un silenzio di tomba mentre, con il cuore in gola, mi apprestavo a compiere un primo passo nel vuoto. Per fortuna come avevo previsto il mio piede si scontrò con qualcosa di duro che i miei occhi non riuscivano a vedere. Lentamente mossi un altro passo in avanti, mentre tutti gli altri si mettevano in fila dietro di me.
Procedetti di qualche metro con una lentezza esorbitante. Non avevo mai sofferto di vertigini, ma trovarmi nel bel mezzo di un baratro senza niente di visibile sotto i piedi metteva in serio dubbio le mie capacità. Sentii la testa girarmi e dovetti chiudere gli occhi e respirare profondamente per non cedere al panico.
«Non guardare sotto Emma, concentrati sui passi». La voce di Charlie era proprio dietro di me e, nonostante ce l’avessi ancora con lui, gli fui estremamente grata per quelle parole. Riuscii in qualche modo a calmarmi e a ricordarmi che anche lui e tutti gli altri erano esattamente nella mia stessa situazione.
Proseguii via via sentendomi più sicura, mettendo un piede dopo l’altro. All’improvviso mi resi conto il mio piede sinistro stava cedendo leggermente, segno evidente che mi ero spostata troppo da quella parte. Ondeggiai ma quasi subito sentii una mano calda sorreggermi il fianco. Charlie era talmente vicino che riuscivo a sentire il rumore del suo respiro, e per quanto odiassi quella situazione sapevo di non poterci fare nulla e che dovevo essergli addirittura riconoscente.
Una volta ritrovato il giusto equilibrio mi spostai leggermente a destra e mossi un altro passo, in modo tale da distanziarmi dalla mano calda di Charlie che era ancora posata sul mio fianco.
Gli ultimi metri furono relativamente più semplici e quando finalmente atterrai sul terreno visibile dall’altra parte, trassi un enorme respiro di sollievo. Vidi lo stesso conforto dipinto sul volto dei miei compagni via via che arrivavano di nuovo su una parte di terreno distinguibile.
Era stato difficile, ma alla fine ce l’avevamo fatta tutti quanti. Dovevamo solo proseguire ed avevo come la netta impressione che presto saremo arrivati a destinazione.
Dopo che tutti avemmo ripreso fiato ci rimettemmo in marcia, seguendo quello che era il percorso obbligato disegnato dal nostro corridoio di pietra. Non passò molto tempo prima che di fronte a noi comparisse una biforcazione; la strada praticamente si divideva in due, stava solo a noi capire quale fosse quella giusta da seguire.
«Da quale parte andiamo?», domandò Lizzy, dando voce ai nostri pensieri.
Fu Milah a rispondere per prima. «Se seguiamo il ragionamento che abbiamo fatto all’entrata e ciò che ci ha detto Euridice, dovremmo prendere il percorso meno invitante». Essendo completamente d’accordo con le sue parole, mi apprestai ad osservare attentamente le due strade davanti a noi, illuminandole con la torcia, per capire meglio le differenze che potevano esserci. Da una parte il corridoio si allargava dando vita ad una strada semplice e regolare, dall’altra sembrava invece compiere un percorso tortuoso.
«Da questa parte allora», dissi seguendo il ragionamento di Milah. Gli altri annuirono senza aggiungere altro. Scoprimmo presto che il corridoio che avevamo scelto non era certo uno dei più invitanti, continuava, oltre a restringersi, a scendere e a risalire, compiendo un percorso piuttosto difficoltoso.
Ero appena arrivata in cima a quella che sembrava la salita più ripida che avessimo percorso fino ad allora, quando di fronte a me si presentò un altro bivio.
«Ancora!», esclamò Charlie alle mie spalle. Quasi sicuramente quello che stavamo percorrendo era un intricato labirinto e quelle ramificazioni servivano solo a far perdere il senso dell’orientamento a chiunque fosse penetrato fino a là.
Questa volta non consultai neanche i miei compagni e scelsi subito la strada più impervia. Continuammo così per un po’ salendo e scendendo e incontrando biforcazioni. Ogni volta sceglievo la strada più brutta e ogni volta il corridoio andava rimpicciolendosi.
Arrivammo in un punto in cui Charlie e Robin dovettero piegarsi per riuscire a passare ed io sentivo il soffitto ad un centimetro dalla mia testa, le pareti sempre più vicine alle mie spalle.
«Manca l’aria qua dentro», mormorò Lizzy.
«Lo so piccola», intervenne subito Charlie, «ma vedrai che presto saremo arrivati. Non possiamo continuare a camminare per sempre».
«Ho sempre odiato i luoghi chiusi e soffocanti», intervenne Milah. Beh sicuramente quello non era il massimo per chiunque fosse stato anche solo leggermente claustrofobico.
«Beh almeno tu riesci a camminare dritta», le fece notare Robin.
«Sai che consolazione, mi sento peggio ad ogni passo».
«Resisti cara», intervenne Joe. «Come ha detto Charlie non deve mancare molto».
Smisi di ascoltare la loro conversazione e cercai di concentrarmi su ciò che avevo davanti. La luce della torcia non era sufficiente a farmi vedere a lunga distanza; scorgevo solo quell’angusto corridoio, ma non sapevo decifrare quanto fosse ancora lungo. Piano piano Iniziai ad avere seri dubbi sul nostro percorso: e se ci fossimo sbagliati? Magari anche solo per un bivio. Forse Euridice si era confusa; eppure ciò che ci aveva rivelato era sempre stato vero, non una sola cosa si era rivelata falsa. Quel percorso infinito sembrava proprio creato per far vacillare anche le persone più incerte ed il fatto che non riuscissi ancora ad usare la mia magia mi destabilizzava ancora di più.
Stavo quasi per perdere la speranza quando mi parve di scorgere un leggero bagliore provenire da un punto davanti a me. Affrettai il passo sentendo il mio cuore accelerare fino a quando non riuscii a scorgere una sorta di slargo, come quello dove avevamo trovato il burrone. Tuttavia, avevo la netta sensazione che stavolta avremo trovato ben altro ad aspettarci.
«Ci siamo», mormorai. Non ne avevo la certezza, ma tutto dentro di me mi stava gridando che finalmente eravamo arrivati alla fine di quel tremendo percorso.  Mi misi a correre per gli ultimi metri che mi separavano da quello spiazzo e quando ci arrivai ciò che vidi confermò il mio intuito. Sentii delle lacrime di sollievo salirmi agli occhi ma tentai di rimandarle indietro. Avrei potuto piangere di felicità una volta al sicuro nell’Oltretomba.
In una parte della grotta più grande e più alta di quella che avevamo appena percorso si trovava una porta. Non era una porta qualunque perché nel mezzo di essa si trovava esattamente la fonte luminosa che rischiarava tutto l’ambiente, la magia che ci avrebbe permesso di lasciare quel fiume. Finalmente eravamo di fronte al portale che ci avrebbe salvati tutti.
«Oh mio Dio!», sentii Milah mormorare, quando finalmente vide ciò davanti a cui mi ero fermata.
«È quello che sembra?», chiese Robin incredulo.
«Sì. È proprio quello che sembra: è un portale». Ed in quel momento era anche il più bel portale che avessi mai visto in tutta la mia vita. Ritornare nell’Oltretomba significava tutto: voleva dire tornare in un posto dove era stato difficile andarsene una volta, ma dove ci ero comunque già riuscita. Voleva dire essere più vicino a Killian e alla mia famiglia. Istintivamente toccai l’anello di Liam che avevo appeso al collo, ricordandomi di come Hook aveva fatto in modo che io lo avessi.
«E ci porterà davvero nell’Oltretomba?», domandò Joe. «Ne sei sicura?».
Non ne ero sicura al cento per cento, ma sapevo che non mi sarei sbagliata. Il mio istinto mi stava gridando quella stupenda verità. «So che è così, fidatevi di me».
«Va bene», acconsentì Robin. «Che stiamo aspettando allora?».
«Giusto», convenne Milah. «Vado io per prima, non si può mai sapere…». Senza aspettare risposta mi superò e senza esitare un solo istante mosse un passo dentro il portale. Trattenemmo tutti il fiato fino a che il suo corpo non scomparve, trasportato da un’altra parte. Quella era la conferma che non stavamo sognando e che eravamo davvero davanti a ciò che ci avrebbe garantito la salvezza.
«Tocca me», esultò Robin, apprestandosi a seguirla. Dopo fu il turno di Joe e poi di Lizzy. Da ultimo restammo solo io e Charlie, lui già pronto a varcare quella soglia magica e a lasciarsi alle spalle quell’orribile fiume.
Fu proprio in quel momento, stringendo l’anello di Liam tra le mani, che realizzai ciò che avevo appena fatto. Mi ero comportata da eroina, avevo concesso loro di tornare nell’Oltretomba, ma in quella circostanza non ero stata la Salvatrice. Poteva essere l’Oltretomba una salvezza quando sapevo che avrei potuto dar loro l’ambrosia?
In quel momento io avevo fatto il mio dovere: li avevo portati al sicuro, ma avrei potuto convivere con me stessa, sapendo di aver rinunciato a salvarli definitivamente? Non sempre salvezza e sicurezza sono la stessa cosa. E in quell’istante io avevo la possibilità di cambiare le cose: adesso non si trattava più di mettere in pericolo i miei amici, si trattava solo di me stessa.
Avevo pensato poco prima al fatto di essere in qualche modo più vicina a Killian, ed era vero: se attraversavo quel portale senza l’ambrosia sarei stata l’unica ad aver la possibilità di tornare a Storybrooke, l’unica che avrebbe in qualche modo continuato a vivere. E non era affatto giusto.
Per quanto mi mancasse Killian e non vedessi l’ora di riabbracciarlo, non potevo andarmene da quel fiume senza la salvezza per i miei amici. Sapevo che ciò avrebbe forse compromesso la mia possibilità di tornare nell’Oltretomba, ma sapevo che Killian stava facendo tutto ciò che era nelle sue possibilità per salvarmi. Quindi in un certo senso io avevo qualcuno che avrebbe continuato a lottare fino alla fine per me, ma chi avrebbe lottato per quelli che adesso erano i miei amici?
«Emma?». La voce di Charlie mi riportò alla realtà facendomi alzare la testa verso di lui. Era quasi dentro il portale, un passo e sarebbe stato al sicuro. «Cosa stai aspettando? Andiamo?».
«Sì», balbettai. Non riuscii ad evitare il suo sguardo e per quanto tentassi di alzare i miei muri, non seppi quanto lui riuscì a scorgervi dentro. «Arrivo». Quella parola mi uscì con un sussurro, perché la consapevolezza di ciò che stavo per fare mi aveva completamente schiacciato.
Aspettai che Charlie si voltasse, con uno sguardo ancora poco convinto, prima di arretrare di un passo, poi di un altro, ormai sicura della mia decisione.
«Mi dispiace Killian», sussurrai stringendo l’anello di Liam nella mano. «Non posso andarmene di qui senza l’ambrosia, dovrai aver ancora un po’ di pazienza con me». Così dicendo, mi voltai iniziando a correre nella stessa direzione da cui eravamo appena arrivati.
 
POV Killian
«Sei certo che siamo nel posto giusto?», domandai studiando attentamente ciò che ci circondava. Eravamo in una vecchia casa abbandonata, ai margini dell’Oltrebrooke, là dove il vecchio ci aveva detto di poter trovare la storia di quella Dafne. Se davvero lei era riuscita ad uscire dal fiume delle anime perse, dovevo scoprire a  tutti i costi come diavolo aveva fatto e dovevo riuscire a comunicarlo ad Emma. La sua salvezza dipendeva da quello e perciò non mi piaceva molto il fatto di trovarmi una vecchia catapecchia abbandonata, che sembrava poter crollare da un momento all’altro.
«Hai sentito cosa ha detto Abraham», confermò Artù. «Come tutti ognuno ha la sua storia raccontata in un libro e a quanto pare lei ha nascosto le pagine che la riguardano proprio qui».
«Non è per sembrare scettico», puntualizzai, creando con l’uncino un solco tra la polvere, «ma questo non sembra il luogo adatto per nascondere qualcosa. Credi davvero che Ade non possa aver scoperto l’esistenza di quelle pagine prima di noi?».
«È proprio qui che ti sbagli. Questo è il luogo perfetto per nascondere qualcosa». Cominciò a cercare, spostando alcune scatole e facendo alzare un’enorme nuvola di polvere.
«E poi non dimenticarti», continuò, «che molto probabilmente nessun altro conosce l’importanza di quelle pagine».
«Beh spero che tu abbia ragione», sospirai.
«Smettila di lamentarti e inizia a cercare». Anche se non ero abituato a ricevere ordini, feci come mi aveva detto e mi misi alla ricerca di quelle dannatissime pagine. Come mai nella mia vita si riduceva tutto a delle stramaledette pagine di un ancora più stramaledetto libro?
Non ci volle molto tempo per capire che in quella vecchia catapecchia c’era davvero di tutto. Oltre a quintali di polvere, c’erano decine di scatole ripiene degli oggetti più disparati. Era come se quella casa fosse diventata con il tempo una sorta di discarica; c’erano vestiti, oggetti da cucina, scarpe, decine di giornali. Che diavolo di giornale usciva nell’Oltretomba? La Gazzetta del defunto? Che razza di novità ci potevano mai essere in un posto come quello?
Tutti quegli oggetti, accatastati là senza un preciso ordine né alcun senso logico, erano evidentemente stati abbandonati, come le pagine che stavamo cercando. Su una cosa però dovetti riconoscere che Artù aveva ragione: era veramente l’ultimo posto dove andare a cercare qualcosa di prezioso, ragione per cui potevamo avere la certezza di star seguendo la pista giusta.
Continuammo a cercare per un po’ di tempo senza dire una parola. Artù si era messo ad esaminare dei fogli sperando di scorgere in qualche riga la storia di Dafne, io invece continuavo a spostare roba, senza neanche rendermi conto di ciò che effettivamente stavo facendo. Era più un’azione meccanica di spostare ciò che sicuramente non era di nostro interesse; la mia mente era presa da tutt’altri pensieri. C’era solo una parola, una persona, che poteva occuparla: Emma.
All’improvviso mi capitò tra le mani una piccola scatola di velluto. La mia mente volò subito a quella che attendeva me ed Emma a Storybrooke; nonostante tutto, non avevo certo dimenticato ciò che ci aspettava una volta che lei fosse stata pronta. Glielo avevo promesso per il suo compleanno, prima che tutto quel casino iniziasse: lei sarebbe stata mia moglie. Era così facile tornare con la mente a quella notte felice, a quelle ore in cui ancora non sapevo che presto mi sarebbe stata portata via.
 
Appoggiai la testa sul suo petto e ascoltai i nostri respiri rallentare e regolarizzarsi. Le sue dita si infilarono dolcemente tra i miei capelli, mentre contro il mio orecchio il suo cuore tornò lentamente a battere in maniera regolare.
«Questo sì che è un regalo di compleanno come si deve», sospirò soddisfatta dopo un po’. Ridacchiai stringendola a me e seguendo la linea del suo fianco con l’uncino.
«Il riuscire ad appagarti Swan è una dote del tutto naturale».
La sua risata risuonò attraverso il suo petto facendolo vibrare e riuscendo ad insinuarsi fin dentro al mio cuore. «Non credo di poter aggiungere altro senza evitare di gonfiare ulteriormente il tuo ego Capitano». Le sue dita continuarono a tracciare cerchi concentrici tra i miei capelli, facendomi rilassare ed eccitare allo stesso tempo.
«Non c’è bisogno che tu dica niente amore, lo so l’effetto che ho su di te». Ormai avevo imparato a riconoscere da tempo ogni sua reazione e sapevo che, quando eravamo insieme, lei reagiva esattamente come me. Ci attraevamo a vicenda, come due calamite.
«Sono contento comunque che questa parte del regalo ti sia piaciuta», aggiunsi. Passai le dita sul suo seno iniziando a creare un disegno immaginario sulla sua pelle. Il contatto con la mia mano la fece rilassare ancora di più e seppi, anche senza vederla, che aveva appena chiuso gli occhi per godersi a pieno le mie coccole.
«Anche l’anello mi è piaciuto», disse dopo qualche secondo di silenzio. A quelle parole mi tirai più su, appoggiando la testa sul cuscino accanto a lei, e la guardai dritta negli occhi.
«Mi è piaciuto davvero», aggiunse sentendo la pressione del mio sguardo. Mi guardò con intensità e mi rivolse un dolce sorriso.
«L’attacco di panico che hai avuto quando te l’ho dato dice tutto il contrario». Non mi ero certo offeso per quella reazione, anzi era stata esattamente quello che mi aspettavo. Per questo le avevo fatto la mia non proposta.
«È solo che è stato inaspettato», si difese.
«Davvero?». Alzai un sopracciglio e le lanciai uno sguardo scettico. «Beh certo considerando il fatto che ci amiamo, che daremmo letteralmente la vita l’uno per l’altra, che ormai viviamo insieme, mi pare ovvio come potesse essere del tutto inaspettato».
«Dai lo sai cosa voglio dire». Si accoccolò tra le mie braccia, nascondendo il viso contro la mia spalla. «Non sono abituata a questo genere di cose».
«Lo so amore. Ed è proprio per questo che ho voluto prepararti per quello che sarà il nostro futuro». Era una delle parti che amavo più di lei: la piccola ragazza che non è abituata ad essere amata così tanto. Nonostante fosse una donna forte e coraggiosa, alcune sue insicurezze rimanevano comunque; era davvero un sollievo essere l’unico in grado di vederle e di eliminarle.
«Non avevo mai voluto prima questo genere di cose». Le sue parole furono solo un sussurro contro la mia pelle, ma io le sentii comunque.
«Beh neanche io, se è per questo. Non ci sono molti pirati che pensano a mettere su famiglia».
«Credo che nessun Salvatore abbia il tempo di metter su famiglia».
Trattenni un sorriso e la strinsi più forte a me. «Penso proprio che noi lo troveremo Swan».
«Già penso anch’io», sospirò felice contro il mio petto.
«Questo mi fa credere che quando ti chiederò veramente di sposarmi mi risponderai di sì?». Era una domanda, ma in fondo conoscevo già la risposta.
«Certo che ti risponderò di sì». Alzò la testa dalla mia spalla e puntò i suoi occhi verdi dritti nei miei. «Ti avrei risposto di sì, anche se mi avessi costretta a farlo ora».
«Davvero?». Il mio tono era divertito più che sorpreso.
«Beh sì. Purtroppo ti amo così tanto che non potrei pensare di perderti solo per la mia paura di impegnarmi per tutta la vita».
«Ah sì?». Assunsi il mio sorriso migliore e sfiorai le sue labbra con le mie. «Purtroppo hai detto?».   
«Già purtroppo». Un enorme sorriso comparve sul suo bellissimo viso, riuscendo ad illuminare i suoi meravigliosi occhi.
«Beh che cosa mi impedisce di girarmi e di tirare fuori l’anello in questo istante, legandoti per sempre a me?». Stavo scherzando e lei lo sapeva.
«No!». Mi strinse forte a sé, circondandomi con le braccia e con le gambe, impedendo così di portare a termine la mia minaccia.
«Ti amo Swan», sussurrai ad un centimetro dalla sua bocca.
«Ti amo anch’io».
 
Restai a fissare quel cofanetto, ripensando a quel meraviglioso momento felice. Era davvero strano trovare un oggetto del genere in un posto come quello. Era un controsenso vivente: là dove la vita non andava più avanti, c’era un oggetto che invece faceva crescere due persone.
Quasi inconsciamente aprii la scatolina ma, come a dimostrarmi che i miei pensieri non erano del tutto sbagliati, dentro non trovai assolutamente niente. E mentre la mia mente coglieva quell’ineluttabile mancanza, mi sentii esattamente come quel cofanetto: vuoto.
Mi mancava la mia Swan e mi mancava terribilmente. Per quanto avessi passato del tempo con la baby Emma, non aveva significato assolutamente nulla, perché quella piccola bambina paffuta non era il mio cigno e non lo sarebbe mai stato. Anche averla vista per solo pochi secondi non aveva alleviato il mio dolore, anzi era soltanto servito a farmi stare peggio. Era bastato guardarla negli occhi per farmi capire quanto effettivamente mi sentissi solo là a Storybrooke. Emma era la mia famiglia, la mia casa ed era colei che aveva completamente cambiato il mio mondo. Prima di lei non mi era mai pesato avere come unica costante la mia nave e un mare dove navigare, non avevo mai desiderato veramente di più. Con lei invece era stato naturale, semplice, proprio come respirare.
«Hook? Che stai facendo?». La voce di Artù mi riportò alla realtà, facendomi accorgere di essermi momentaneamente imbambolato ed estraniato.
«Mi manca», mormorai, e sapevo che quella era una spiegazione sufficiente. Mi mancava la sua risata, i suoi meravigliosi occhi, la sua aria imbronciata, le sue labbra, il suo corpo. Mi mancavano persino i suoi muri, quelli che solo io riuscivo ad abbattere. Il luccichio dei suoi occhi quando mi mostrava una parte di lei che non faceva mai vedere a nessun altro era qualcosa di unico, di speciale.
«Hook lo so che è difficile; ma ce la faremo». Artù lasciò perdere ciò che stava facendo e venne accanto a me, posandomi una mano sulla spalla.
«Solo che mi sembra sempre di stare annaspando. Anche se troviamo queste pagine ci saranno decine e decine di problemi da dover risolvere. E a me sembra di non avere più tempo».
«Beh non puoi certo arrenderti adesso», ribatté infervorandosi. «Sei venuto fin quaggiù sapendo di non aver uno straccio di piano e adesso invece stiamo facendo dei passi avanti; anche se sono piccoli, sono pur sempre qualcosa».
Aveva perfettamente ragione, ma le parole di Abraham mi ero rimaste impresse nella mente e non erano più andate via. «Il vecchio ha detto che una volta nel fiume e facile perdersi completamente».
«Beh lo ha detto è vero. Ma io conosco Emma: era la Signora Oscura ed ha affrontato di tutto. Non si perderà ne sono certo». Sapevo che le sue parole erano vere, era quello che credevo anch’io, però avevo davvero bisogno che qualcuno me lo dicesse.
«Grazie», sussurrai, posando la scatolina e tornando a lavoro. Dovevo scuotermi da quei pensieri e tornare a concentrarmi sulla mia missione; come avevo appena ricordato ogni secondo era prezioso ed io non dovevo sprecare neanche un istante per piangermi addosso.
All’improvviso, scuotendo un voluminoso libro, vidi delle pagine volare a terra. Mi chinai subito a raccoglierle e persi un battito quando riconobbi la grafia antica tipica dei libri di Henry. Sapevo ancor prima di leggerle che quelle erano le pagine che stavamo cercando.
«Le ho trovate», mormorai, quando fui certo del mio risultato. Artù lasciò immediatamente cadere ciò che aveva tra le mani e mi raggiunse di nuovo studiando i fogli che tenevo tra le dita.
Tentai di leggere e di assimilare tutto ciò che vi era scritto, ma in un primo momento non ci riuscii. Erano davvero troppe informazioni e sapevo che a me non sarebbe servito a niente conoscerle. Era però qualcosa che sarebbe stato molto utile ad Emma e che le avrebbe permesso di tornare da me. Come al solito tutto si riduceva al fatto che Emma era in grado ogni volta di salvarsi da sola, e probabilmente, conoscendo quelle informazioni, l’avrebbe fatto di nuovo.
«Allora che cosa dice?», mi spronò Artù. Dovevo essere rimasto imbambolato a fissare le parole scritte sul foglio, senza dargli la possibilità di leggere a sua volta.
Rilessi con attenzione la prima pagina prima di parlare. «In sostanza dice che Dafne un tempo faceva parte della corte di Zeus e fu in parte responsabile dell’aver intrappolato Ade qua sotto. Per questo lui giurò di vendicarsi e le promise che l’avrebbe intrappolata nell’Oltretomba con lui senza via di scampo. Ovviamente riuscii nel suo intento, anche se non poteva interferire direttamente nella sua storia. Riuscii a far scatenare ingiustamente l’ira di Zeus su di lei e a farla spedire qua sotto».
Girai la pagina e rilessi la seconda. «Fu una volta arrivata qua, imprigionata ingiustamente, che Ade la spedì nel fiume delle anime perse, dove credeva non ci sarebbe più stato scampo per lei. Tuttavia Dafne aveva ancora in parte la sua magia e nonostante quel posto fosse orribile, la sua anima non si perse come le altre. Riuscì a trovare un passaggio».
«Un passaggio?», domandò Artù cercando di seguire le mie parole.
«Sì. Qua dice che come ogni magia anche quel regno aveva una via di fuga. Il fiume era stato creato per intrappolare anime senza più speranza, erano pericolose e la terrorizzavano. Però lei sapeva di essere diversa e trovò un passaggio segreto – qua dice una specie di tunnel – una scappatoia insomma dove solo qualcuno dotato di magia poteva passare».
«E quindi è riuscita a tornare qua?».
«Non proprio», mormorai, leggendo le righe successive. «Alla fine di quel passaggio, dopo aver superato varie prove, trovò un portale e pensò di essere riuscita nel proprio intento, ma Ade era stato più furbo di lei. Conosceva fin dal principio le pecche del suo fiume e fu proprio per questo che creò un portale che l’avrebbe condotta nel proprio inferno personale. Secondo la storia Dafne si ritrovò catapultata in un mondo in cui tutte le sue paure erano diventate reali».
Alzai lo sguardo su Artù e lo guardai con un’espressione preoccupata e sconcertata. Le parole che c’erano scritte dopo erano in assoluto le più importanti di tutte. Erano quelle che dovevo in qualche modo far conoscere ad Emma: non poteva salvarsi senza sapere quel dettaglio fondamentale.
«E cosa è successo dopo? Abraham si è sbagliato quando ha detto che è riuscita ad uscire dal fiume?». La curiosità di Artù era del tutto comprensibile, visto che io stavo continuando a tenere per me le informazioni basilari.
«No, non si è sbagliato. Qua c’è scritto che Dafne rimase intrappolata nella prigione creata appositamente per lei da Ade per secoli, rivivendo le sue peggiori paure. Era un incubo che si ripeteva incessantemente. Tuttavia Dafne non si arrese e le ci volle una forza di volontà immensa per riuscire ad uscire da quell’inferno in cui si trovava. Una volta rotto l’incantesimo riuscì a ritrovare il portale e a tornare nel fiume».
«E come diavolo a fatto ad uscire poi?».
«Il portale era solo là per ingannarla, per farle credere che sarebbe stato quello a portarla nell’Oltretomba». Trassi un profondo respiro e continuai leggendo direttamente le parole della storia. «”Dietro di esso, nascosto nell’ombra, c’era la vera via di uscita. Era sempre stata là, solo che Dafne distratta dal portale non l’aveva notata. Tuttavia una volta uscita dal suo inferno, scoprì dietro di esso una scala che la condusse nell’Oltretomba”. Ad essere precisi credo che sia uscita dal pozzo dei desideri».
«Non l’aveva vista? Com’è possibile?». Me l’ero chiesto anch’io ma ero arrivato ad una spiegazione piuttosto sensata.
«Se ti trovi davanti ad un portale che ha tutta l’aria di portarti lontano da un posto infernale, penseresti mai che possa portarti in un posto ancora peggiore?».
«Non hai tutti i torti. Io non perderei certo tempo a guardare in tutti gli angoli un possibile tranello. Vorrei andarmene il più in fretta possibile». Già e probabilmente era il ragionamento che avrebbe fatto anche Emma. Sapevo che lei stava agendo là sotto, che stava trovando il modo di tornare da me e che probabilmente Milah era con lei e la stava aiutando. Non avevo dubbi su questo, sapevo fin troppo bene che nessuna delle due sarebbe stata con le mani in mano, né tantomeno si sarebbe arresa. Dovevo avvertirle del pericolo prima che fosse troppo tardi.
«Quindi adesso che facciamo?», mi domando Artù quando abbassai i fogli e li strinsi nel pugno.
«Dobbiamo trovare il modo di avvertire Emma. Non deve per nessuna ragione entrare in quel portale».


 
Angolo dell’autrice:
Scusate il ritardo ma eccomi qua. Prima di tutto buona Pasqua e buona Pasquetta, purtroppo non ce l’ho fatta a pubblicare ieri, ma spero che possiate perdonare il mio giorno di ritardo. Per incentivarvi a farlo ho messo apposta per voi un momento fluff CaptainSwan.
Comunque momenti dolci a parte, la fine di questo capitolo è piuttosto pesa. È nata esattamente poche ore fa, perché non avevo nessuna intenzione di rendere la vita dei nostri amici ancora più difficile. Pensavo che la loro avventura verso l’Oltretomba si sarebbe felicemente conclusa, invece mentre scrivevo il pov di Killian mi è venuta fuori questa malaugurata idea. Chiedo perdono!
Come sempre vi ringrazio di leggere e recensire. Un bacione e alla prossima settimana!
Sara
PS visto che è lunedì oltre che buona Pasqua, buon OUAT-day. 
 
  
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