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Autore: gattina04    09/04/2017    2 recensioni
È un momento tranquillo ed Emma ha tutto ciò che ha sempre cercato e voluto; non c’è niente che possa desiderare, nemmeno il giorno del suo compleanno, ad eccezione di un piccolo insignificante rammarico. E sarà proprio quel pensiero a stravolgere completamente la sua esistenza catapultandola in un luogo sconosciuto, popolato da persone non così tanto sconosciute. E se ritrovasse persone che pensava perse per sempre: riuscirà a salvarle ancora una volta?
E cosa succederà a chi invece è rimasto a Storybrooke? Riusciranno ad affrontare questo nuovo intricato mistero? E se accadesse anche a loro qualcosa di inaspettato?
Dal testo:
"Si fermò e trasse un profondo respiro. «Benvenuta nel mondo delle anime perse Emma»."
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Robin Hood, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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12. L’inizio del viaggio
 
POV Emma
Rientrai in casa di corsa cercando di non pensare a ciò che era appena successo là fuori. Avevo già fin troppi problemi per aggiungerci anche il carico sentimentale che Charlie aveva appena riversato su di me. Ero così furiosa con lui e allo stesso tempo altrettanto triste.
Tuttavia sapevo una cosa: se volevo svolgere il mio ruolo di Salvatrice e portarli tutti via da là, dovevo rinchiudere Charlie e il suo bacio in un angolino remoto della mia mente e concentrarmi invece sulla nostra missione.
«Emma che succede?». Solo sentendo la sua voce mi accorsi che Milah mi stava osservando; dalla sua espressione era chiaro che mi si leggeva in faccia il mio tumulto interiore.
«Niente, assolutamente niente». Le mie parole suonarono false persino a me, ma nonostante ciò assunsi la mia espressione più decisa. Ormai ero un’esperta nel erigere muri per nascondere i miei reali sentimenti.
«Dove eri finita?», continuò lei non del tutto convinta.
«Qua in giro», risposi rimanendo sul vago e cambiando subito argomento. «Allora siete pronti a partire?».
«Sì, credo di sì». Finse di credere alle mie parole e, voltandosi, tornò rapidamente nel salottino dove erano radunati tutti gli altri. Io la seguii rimanendo in silenzio, più che lieta di iniziare la nostra avventura che mi avrebbe in qualche modo permesso di non pensare a ciò che era appena accaduto.
«Dov’è Charlie?», ci chiese Robin, vedendoci arrivare e notando che l’altro era l’unico che mancava all’appello.
«Non era con voi?», domandò di rimando Milah.
Una voce alle mie spalle, fermò Robin prima che potesse rispondere. «Sono qua». Non potei evitare di sobbalzare, percependo improvvisamente la presenza di Charlie dietro di me.
Milah si voltò, sorpresa di vederlo arrivare dalla nostra stessa direzione. Vidi un lampo passare sul suo viso mentre studiava l’espressione del suo amico, come se da una sola occhiata avesse intuito tutto. Io, d’altro canto, non avevo il coraggio di voltarmi e di capire se Charlie, con la sua maledetta facciaccia, avesse mandato a monte tutta la mia copertura.
«Bene», dissi cercando di superare quel momento di impasse. «Se siete tutti pronti io direi di andare».
«Certo», confermò Milah. «Vogliamo tutti lasciarci alle spalle questo fiume al più presto».
«So che questo è un viaggio pericoloso», continuai, «ma vi prometto che vi porterò tutti sani e salvi nell’Oltretomba». Gli altri annuirono assimilando le mie parole. Era una promessa ed ero sicura che sarei riuscita a mantenerla, anche a costo della mia stessa vita. E forse avrei fatto anche di più; non avevo certo dimenticato l’ambrosia. Non avevo ancora deciso cosa fare, come affrontare la cosa e speravo che, una volta arrivata là, il mio intuito mi avrebbe indicato la strada giusta. Tuttavia rimaneva quella possibilità ed io volevo con tutte le mie forze dar loro di più oltre ad un semplice “andare avanti”.
«Emma come hai intenzione di agire?», mi domandò Robin spezzando il silenzio che si era creato.
«Innanzitutto ho intenzione di teletrasportarvi tutti all’ingresso della caverna, così ci risparmieremo un bel tratto di strada. Poi staremo a vedere; purtroppo non sappiamo molto ed è in tutti i sensi un viaggio alla cieca».
«Credi di potercela fare?», mi chiese Joe lanciandomi uno sguardo premuroso. «Non ti stancherai troppo?».
«No». Sorrisi per la sua dolce apprensione. «Ci vuole ben altro per stancarmi». Gli passai una mano sulla spalla facendogli capire quanto vere fossero le mie parole.
«Bene», continuai. «Direi che potete venire tutti intorno a me». Obbedirono senza nessuna esitazione disponendosi in un cerchio perfetto, in cui io rimasi al centro. Riuscivo a sentire i loro respiri sulla pelle, ma era meglio così perché in quel modo potevo concentrarmi con più precisione.
Chiusi gli occhi e cercai di visualizzare l’ingresso della caverna. Non avevo fatto molta attenzione ai particolari la prima e unica volta che ci ero passata; ero stata più preoccupata di capire dove fossi finita e chi fossero le anime in pena che mi ero ritrovata davanti. Tuttavia quando riaprii gli occhi, ci ritrovammo tutti esattamente dove avevo previsto. Alle nostre spalle si ergeva quella caverna gigantesca e davanti ai nostri occhi sfilavano decine di anime in pena. I loro lamenti mi arrivarono chiari all’orecchie, facendomi contorcere lo stomaco.
«Wow», esclamò Lizzy eccitata. «È stato fantastico». Iniziò a saltellare sul posto, emozionata come Charlie la prima volta che l’avevo portato con me. Sentii una fitta al cuore ripensando a come era potuto cambiare tutto tra noi in meno di un minuto.
«Credo che dovremo toglierci da qua al più presto», mormorò Milah prima che qualcun altro potesse parlare. «Non mi piace per nulla stare in mezzo a tutte queste anime perse». Capivo qual era la sua preoccupazione: loro potevano perdersi in qualsiasi momento, restare a contatto con quelle anime poteva far accadere l’inevitabile.
«Giusto, muoviamoci», confermai. Percorremmo una decina di metri iniziando ad entrare nella caverna e allontanandoci lentamente da quel mondo orribile.
«Come faremo a vedere qua dentro?», sussurrò Robin, quando la luce cominciò lentamente a diminuire. Giusta osservazione, ma ora che avevo ritrovato la mia magia era un problema che potevo benissimo risolvere.
«Beh grazie a questa». Feci apparire una torcia di legno che con il suo bagliore illuminò la zona circostante. Purtroppo però, non feci a tempo a passarla a Robin che una folata di vento gelido la spense. Con una smorfia la riaccesi, ma una nuova raffica sortì lo stesso effetto di prima.
«Credo che il fuoco non riesca a restare acceso qua sotto», commentò Joe, ed in effetti il suo ragionamento poteva anche avere una logica. Ci trovavamo in un fiume dopotutto.
Mi portai una mano sul mento cercando di riflettere. Quello era un bel problema, e dovevamo risolverlo assolutamente perché non potevamo certo proseguire in quella oscurità. Tuttavia se da una parte non riuscivamo ad usare il fuoco, dall’altra forse qualcosa di più moderno avrebbe potuto funzionare.
«D’accordo», dissi, «Proviamo con questa». Feci apparire nella mia mano una torcia elettrica, non sapendo se avrebbe funzionato o meno. L’accesi e per nostra fortuna la luce tremolò incerta ma alla fine non si spense.
«Chi avrebbe mai pensato che la tecnologia avrebbe funzionato qua sotto!», commentò Robin afferrando la torcia che gli stavo porgendo. Ne feci apparire altre tre: ne consegnai una a Milah, una a Lizzy e stavo per tenere l’ultima per me quando una mano calda me la tolse dalle dita. Sapevo anche senza alzare lo sguardo a chi appartenesse quella mano.
«La tengo io», sussurrò deciso. Non ribattei e lasciai che la pila scivolasse dalle mie alle sue mani.
«Bene», balbettai. «Andiamo». Charlie e Robin si posizionarono davanti in modo tale da aprirci la strada, mentre Milah, con Joe al braccio rimase leggermente più indietro. A me non restò altro che camminare nel mezzo accanto a Lizzy.
Per un po’ nessuno disse niente. Sentivamo la tensione crescere ad ogni passo: presto avremo saputo se ciò che ci aveva rivelato Euridice corrispondeva veramente a verità. Nonostante la sua certezza e la fiducia che avevamo riposto in lei, era ovvio che ci fosse sempre un minimo di dubbio e di incertezza.
«Questa grotta è gigantesca», commentò Lizzy guardandosi intorno con la torcia e spezzando così il silenzio che si era creato. A parte il bagliore fioco prodotto dalle nostre pile, riuscivamo comunque a vedere ben poco. Ricordavo quando ero apparsa lì dentro e di come mi fossi sentita praticamente cieca. Era stata la sensazione più brutta che avessi mai provato.
«Come facciamo a sapere se stiamo andando dalla parte giusta?». Ancora una volta quella ragazzina aveva dato voce a tutte le nostre preoccupazioni.
«Non lo sappiamo», risposi, «lo sapremo solo quando troveremo il passaggio». Era un salto nel buio nel vero senso della parola.
«Non ti preoccupare piccola. Stiamo andando bene». Charlie smentì subito le mie parole e, anche se capivo il suo volerla rassicurare, non potetti evitare di fare una smorfia di disapprovazione. Non ero il tipo capace di dare false speranze; per me era sempre meglio che tutti sapessero della pericolosità e dell’incertezza della nostra missione.
«Elizabeth», intervenne Joe, «so che questo posto fa paura, ma lascia fare ad Emma. Sono sicuro che lei sa ciò che fa». In realtà non lo sapevo, ma gli ero grata per tutta quella fiducia. Non mi conosceva neanche, eppure non aveva esitato nemmeno un attimo nel credere alle mie parole e nell’affidarmi completamente la sua salvezza.
«Grazie Joe», sussurrai così piano da non sapere se lui mi avesse effettivamente sentito.
«Questo posto mette i brividi», continuò Lizzy. «Non so davvero come tu e Robin abbiate fatto ad uscire da qua».
«Lizzy potresti stare zitta», la rimproverò Milah. «Ogni rumore rimbomba qua dentro e non possiamo sapere cosa effettivamente ci sia in fondo a questa grotta». Era stata brusca ma il suo rimprovero aveva un senso. Con le nostre luci eravamo già un bersaglio facile, senza considerare il suono delle nostre voci.
«Meglio che nessuno sappia la nostra posizione con certezza, piccola», intervenne Charlie, cercando di mediare le parole dure di Milah. Ecco odiavo proprio quando lui faceva così: era protettivo e dolce, proprio come l’uomo e l’amico che avevo imparato a conoscere. Riusciva ad essere così perfetto, eppure aveva rovinato tutto solo per seguire l’impulso dei suoi stupidi ormoni.
Tuttavia dopo quel rimprovero Lizzy rimase in silenzio e noi procedemmo imperterriti senza più parlare. Via via che proseguivamo, notai che le pareti di quell’enorme caverna andavano restringendosi. La dimensione di quell’antro sembrava dimunire, segno evidente che Euridice aveva ragione e che presto saremo arrivati alla fine di quella che era una grotta interminabile.
Fu quasi un sollievo riuscire a scorgere all’improvviso il soffitto sopra le nostre teste; era abbastanza alto da permetterci di proseguire in piedi, ma era comunque qualcosa di fisico e di tangibile. Dopo un altro paio di minuti fummo costretti a deviare a destra, seguendo una parete rocciosa e sperando in qualche modo di trovarne presto una dall’altra parte. Secondo la nostra mitologica guida il passaggio segreto si trovava proprio in fondo.
Trassi un altro respiro di sollievo quando finalmente riuscii a scorgere una seconda gigantesca parete, proprio sulla nostra sinistra, esattamente dove doveva essere.
«Siamo in fondo», commentò Robin fermandosi pochi metri dopo di fronte ad una terza parete proprio davanti a noi. Eravamo praticamente circondati da roccia su tre lati.
«Ma qua non c’è niente». Le parole di Charlie erano state solo un sussurro, ma erano piene di delusione.
«Aspetta fammi vedere». Mi feci avanti, passando tra lui e Robin e ritrovandomi praticamente di fronte a quell’ammasso roccioso. «Dammi la torcia». Mi voltai dalla parte di Robin e allungai la mano verso di lui, in modo da evitare ogni minimo contatto con l’altro.
Mi girai di nuovo verso le rocce iniziando a studiarle attentamente. Dal fioco bagliore che emetteva quella piccola pila riuscivo solo a scorgere la superficie irregolare che si trovava di fronte a me. Provai a bussare sulla parete e il suono che ne venne fuori fece fare le capriole al mio stomaco: era un rumore inequivocabile.
«È qui dietro», esclamai con enorme sollievo. «Devo solo capire come aprirlo». Mi guardai intorno studiando ogni minimo particolare di ciò che ci circondava. Anche gli altri sembrarono fare lo stesso; non ero sicura che loro potessero cogliere qualche particolare fondamentale, ma erano sempre occhi in più. Euridice aveva affermato che solo chi era dotato di magia poteva aprirlo; era evidente che grazie ai miei poteri avrei compreso come fare. Sapevo che ogni incantesimo aveva qualche caratteristica di riconoscimento, dovevo essere solo capace di trovarla; il resto sarebbe stato un gioco da ragazzi.
All’improvviso la mia attenzione fu attratta da una strana roccia che si trovava proprio all’angolo tra le due pareti. Era come una mezza colonna ed aveva una forma troppo delineata e troppo precisa per essere del tutto naturale. Mi ci avvicinai con cautela e quando fui a pochi centimetri di distanza riuscii a percepire l’ondata di potere che scaturiva. Riuscivo a sentire la mia magia vibrare sotto pelle per la vicinanza di quella enorme fonte di potere.
«È questa, ci siamo», mormorai emozionata.
Stavo per appoggiarci sopra la mano quando Milah mi fermò. «Aspetta! Ce n’è un’altra anche da questa parte». Mi fermai di scatto sentendo le sue parole e mi voltai lentamente. Esattamente all’altro angolo, c’era la stessa identica mezza colonna e purtroppo sapevo cosa significava. Euridice me l’aveva detto e adesso lo vedevo con i miei occhi. In un solo istante la decisione incombente che dovevo prendere mi piombò addosso spezzandomi il respiro.
Finora la mia scelta era stata solo un’ipotesi, adesso stava diventando qualcosa di fisico e di tangibile. La parte verso cui decidevo di andare avrebbe segnato il destino dei miei amici. Cogliere l’ambrosia o avere la certezza di salvarli?
Con quel peso sul cuore mi avvicinai a Milah, che si trovava esattamente dell’altra parte, sperando di non sentire quel potenziale magico che avevo scorto poco prima. Non ci credevo neanche io e quando, avvicinandomi, provai esattamente le stesse sensazioni non fu una sorpresa.
«Da che parte andiamo?», mi domandò Robin.
Alzai una mano verso di lui, facendogli cenno di tacere e di farmi riflettere. Mi accucciai per esaminare la colonna più attentamente; avvicinai la torcia in modo da studiare la superficie ruvida con maggiore attenzione. Solamente quando la illuminai più da vicino notai una piccola incisione proprio sulla base: sembrava una parola, ma ovviamente era scritta in un’altra lingua. Mi alzai e corsi ad esaminare anche l’altra mezza colonna. Anche lì c’era un’incisione ed ovviamente era nella stessa incomprensibile lingua. Ricordavo di aver visto quei geroglifici nell’Oltretomba e ricordavo anche come, o meglio chi, era riuscito a decifrarli. Avrei proprio avuto bisogno del mio Killian in quel momento.
Potevo anche riuscire ad aprire il passaggio ma se non sapevo da che parte portava come avrei fatto a scegliere? Non potevo basare la mia decisione sul caso: qualunque strada avessi percorso non sarebbe stata per una semplice fatalità. Avevo il cinquanta per cento di probabilità di andare verso l’ambrosia e il cinquanta per cento di andare verso l’Oltretomba. Non potevo basarmi solo sulla statistica, doveva essere una mia decisione non un caso.
«Credo che ci sia scritto vita». La voce di Milah mi distrasse dai miei pensieri.
Mi voltai di nuovo verso di lei e la fissai con uno sguardo sbalordito. «Tu sai leggerli?».
«Non lo so… forse. Non ne sono sicura». Tornò a fissare l’incisione che era riportata sulla colonna vicino a lei, sfregandosi le tempie con le mani. «Non ricordo bene, è passato tanto tempo…».
«Nessun altro sa leggere quelle scritte?» domandai sapendo già la risposta. Tutti scossero il capo rattristati.
«Va bene Milah», sospirai allora. «Prenditi tutto il tempo che ti serve e dimmi cosa c’è scritto secondo te».
«Va bene». La sua voce tremava e ne fui sorpresa perché era davvero la prima volta che lasciava trasparire la sua insicurezza. Era ovvio che fosse così: credeva che dalla sua interpretazione dipendesse la salvezza di tutti noi, ed in un certo senso aveva ragione.
«Sì… qui penso che ci sia scritto vita». Si alzò e lentamente mi raggiunse all’altra colonna. Lasciai che si accucciasse al mio posto e che studiasse l’altra incisione.
«Dove hai imparato a farlo?», le domandò Lizzy, distraendola dal suo compito. Le avrei lanciato un’occhiataccia se non fosse stato per il fatto che anch’io ero curiosa di saperlo.
«Me lo ha insegnato Killian; ma è stato tanto tempo fa ed ho imparato solo le basi». Non avrei dovuto sorprendermi nell’apprendere chi fosse stato il suo maestro. Chi altro poteva essere? Tuttavia non potei fare a meno di sentire una piccola fitta di gelosia. La loro storia continuava ad aleggiare su di noi anche se era finita da secoli e non potevo farci assolutamente niente.
«Okay». Milah si alzò in piedi e si voltò verso di me. «Credo che qui invece ci sia scritto morte». Si passò una mano sulla faccia tirandosi indietro i capelli. «Io però potrei sbagliarmi… Dio! È una questione troppo importante».
«Milah». Le appoggiai una mano sulla spalla tentando di calmarla. «Va bene così, credo che tu abbia ragione. Ha un senso». Aveva più che un senso: avevo capito che Milah aveva dato la corretta interpretazione non appena aveva pronunciato la seconda parola. Era logico e adesso la mia decisione incombeva su di me e sul destino di tutti gli altri.
La parola vita poteva solo significare che da quella parte si trovava l’ambrosia, la loro possibilità di tornare letteralmente in vita. La parola morte invece stava ad indicare l’Oltretomba, il luogo attraverso cui passavano tutte le anime morte. Le due strade erano chiare, evidenti: decidere quale percorrere spettava solo a me.
Potevo scegliere l’ambrosia e rischiare, oppure potevo scegliere la via più sicura. Guardai i miei compagni ad uno ad uno, mentre tutti aspettavano che io aggiungessi qualcos’altro. C’era Robin: potevo salvarlo senza riportarlo da Regina? Come avrei fatto a guardarla negli occhi, sapendo di aver avuto la possibilità di riportarle il suo Vero Amore? Poi c’era Milah: per quanto ne fossi un po’ gelosa, sapevo che il destino era stato crudele con lei. Tuttavia, lei voleva solo andare avanti, riunirsi a Neal. L’ambrosia non le sarebbe servita, già lo sapevo. Dopo c’era Joe: non lo conoscevo abbastanza da sapere cosa volesse o meno, ma sembrava così buono; l’avrei davvero visto bene a Storybrooke. Sarebbe stato il nonno che non avevo mai avuto.
Il mio sguardo si spostò lentamente su Lizzy: lei era solo una ragazzina, non aveva fatto a tempo a vivere la sua vita. Come potevo far finta di niente e lasciarla semplicemente nell’Oltretomba? Probabilmente non aveva mai amato nessuno, non aveva sentito le farfalle nello stomaco, non aveva vissuto tutte quelle emozioni fondamentali che una ragazza della sua età avrebbe dovuto provare. Non era giusto e non potevo far finta che lo fosse.
E infine c’era Charlie. Sentivo il suo sguardo addosso, e a me non serviva guardarlo per sapere ciò che era giusto per lui. Si considerava un cattivo e aveva detto che non sarebbe andato in un posto migliore, una volta giunto nell’Oltretomba. Beh cosa c’era di meglio di una nuova vita per redimersi?
Tuttavia le parole di Euridice mi rimbombavano in testa: scegliere l’ambrosia avrebbe fatto scattare la valvola di sicurezza e chissà cosa effettivamente avrebbe causato. Fossi stata da sola, la decisione sarebbe stata diversa, ma dovevo ancora portarli in salvo e non potevo rischiare così tanto. Non ero il tipo che si tira indietro di fronte alle sfide o che ha paura di fare la scelta più pericolosa; ma là non si trattava solo di me, si stava parlando di tutti loro. Di Joe, di Robin, di Milah, di Charlie, di Lizzy e della possibilità di perderli per sempre solo per aver desiderato di più.
«È questa», sussurrai, indicando la colonna accanto a cui mi trovavo.
«Ma c’è scritto morte!», esclamò Robin.
«Lo so», sussurrai ingoiando il groppo che avevo in gola. «Ma ne sono certa».
«Cosa te lo fa pensare?», mi domandò Joe.
«Euridice ci ha detto di non scegliere quella che sembra la strada migliore. E a parte questo resta il fatto ovvio che l’Oltretomba non è altro che questo: morte». Speravo che le mie spiegazioni bastassero e che non indagassero oltre.
«Ne sei certa?», chiese Milah ulteriormente. Annuii senza parlare. «Bene allora fallo».
Senza più esitare poggiai la mano sopra la colonna, cercando di far affluire il mio potere alle dita, anche se, come avevo scoperto, non avevo propriamente un corpo. Sentii l’energia travolgermi in pieno, ma dopo quella prima ondata riuscii ad incanalarla e a rimandarla direttamente alla sorgente, respingendola nella pietra. Quando alzai la mano, le rocce di fronte a me si mossero creando un’arcata; dietro di essa si poteva intravedere un lungo corridoio, il quale ci avrebbe condotto finalmente fuori da quel dannato fiume.
 
POV Killian
Atterrai con un tonfo su un terreno freddo ed umido, non riuscendo a rimanere in piedi e battendo rumorosamente la spalla. Quando riuscii ad aprire gli occhi potei notare, con mio enorme sollievo, la strana atmosfera rossastra che aleggiava intorno a me; c’era solo un posto così: l’Oltretomba.
Il sollievo e l’euforia di essere giunto nel posto giusto, furono subito sostituite dalla preoccupazione per la pericolosità di quel luogo. Era stato davvero un miracolo andarmene la prima volta, chissà come avrei potuto riuscirci una seconda. Ma non era tanto la via di fuga a preoccuparmi, quanto il riuscire a portare in salvo la mia adorata Emma. Non sapevo minimamente cosa fare, ma dovevo riuscirci ad ogni costo.
Mi rialzai, spolverandomi i vestiti, e mi presi un momento per osservare meglio ciò che mi circondava. Ero atterrato nel bosco, nei dintorni della cittadina. Siccome quello strano mondo era del tutto uguale a Storybrooke non avrei avuto difficoltà a ritrovare la giusta via. Una volta capito in che direzione si trovava l’Oltrebrooke avrei potuto giungerci in poco tempo.
Per prima cosa c’era in assoluto un posto in cui dovevo andare, o meglio una persona che dovevo incontrare. Ricordavo bene il mio ultimo giorno trascorso là sotto e chi mi aveva aiutato a salvare Emma ed anche me stesso. Stando a quello che mi aveva detto, lui doveva essere ancora qua, a governare il suo regno spezzato. E chi meglio di un re poteva aiutarmi nella mia missione impossibile?
Con quella determinazione iniziai a vagare nel bosco, alla ricerca di un punto di riferimento. Camminai per un po’ fino a giungere al corrispondente del pozzo dei desideri di Storybrooke. Mi fermai un attimo sollevato dall’aver finalmente trovato un qualcosa di famigliare e mi trattenni un momento per osservare meglio quel pozzo. Quando ero stato prigioniero di Ade avevo saputo che era da lì che il fiume delle anime perse prendeva le sue origini, o meglio, le acque di quel pozzo erano state le prime a determinare quegli effetti nefasti. Avevo come la netta impressione che per riuscire a tirare fuori Emma da quel dannato fiume avrei, prima o poi, dovuto fare i conti con quel maledetto pozzo. Era come se avessi il presentimento che quello fosse la chiave di tutto. Certo non potevo scoprirlo restando ad osservarlo inebetito.
Scrollai la testa con decisione e mi decisi a proseguire. Dal pozzo, ritrovare la strada per il centro dell’Oltrebrooke fu estremamente semplice e anche piuttosto veloce. Una volta là, potei notare come niente in effetti fosse cambiato: c’era ancora la torre caduta al centro della piazza, l’orologio apparentemente fermo. Le persone avevano più o meno lo stesso atteggiamento di prima: vivevano quella falsa vita in attesa di passare oltre. Comportamenti normali in un posto del tutto al di fuori del normale. Ciò che invece non si percepiva più era quella tensione che la tirannia di Ade comportava; era evidente come il regno di Artù avesse almeno cambiato quell’aspetto in meglio.
Senza più perdere tempo mi diressi verso l’unico posto dove mi aspettavo di trovare il mio vecchio, e da una parte nuovo, amico: l’ufficio del sindaco. Dove poteva trovarsi un re se non nel posto dove gestire tutto il proprio potere e il proprio controllo?
Quando giunsi a quella porta famigliare, trassi un profondo respiro ed incrociai mentalmente le dita. Dal vetro opaco riuscivo solo ad intravedere qualcuno all’interno dell’ufficio, ma non potevo distinguere chi fosse. Sperai con tutto me stesso che fosse l’uomo che cercavo.
Con il cuore in gola mi apprestai a bussare in maniera decisa e quando la voce di Artù mi rispose, il mio stomaco si sciolse dalla morsa in cui si trovava. «Avanti».
Aprii la porta con gesto deciso, riuscendo finalmente a scorgere Artù seduto alla scrivania con la testa china su alcuni documenti. Non si rese conto che fossi io, fino a che il mio silenzio non lo costrinse ad alzare lo sguardo.
«Ditemi pure, cosa posso fare per…». Le parole gli morirono sulle labbra, lasciando il posto ad un’espressione sorpresa ed esterrefatta.
«Hook? Sei proprio tu?». Si alzò cercando di riprendersi dalla sorpresa e di riassumere l’atteggiamento impeccabile che si addice ad un re.
«Già, sono proprio io. In carne ed ossa». Mi avvicinai a lui e lasciai che mi stringesse la mano, dandogli una pacca sulla spalla, in un gesto d’amicizia e fratellanza.
«Dio! Che sorpresa! Credevi che fossi riuscito a tornare a Storybrooke, dalla tua regina…».
«Ed è stato così», confermai.
Sembrò alla ricerca delle parole giuste per continuare. «E come… sei finito di nuovo qua?». Capii subito cosa potesse aver pensato, ma per fortuna quell’eventualità non si era ancora realizzata. Come avevo ripetuto più volte ad Emma, ero un sopravvissuto e il fatto di essere tornato indietro dalla morte lo dimostrava.
«Oh no», lo tranquillizzai. «Non sono morto, non ancora almeno».
«Allora come mai sei qui?». Era ovvio che la mia presenza in quel mondo fosse un avvenimento piuttosto strano. Quando mai qualcuno di vivo poteva avere il coraggio di scendere in un mondo come quello? Beh quando c’era in ballo il Vero Amore. Io ed  Emma ne eravamo la prova tangibile.
«È una storia piuttosto lunga», risposi, «ma in sostanza mi serve il tuo aiuto».
 
Poco tempo dopo eravamo seduti ad un tavolo nel locale della strega cieca ed io stavo tentando di spiegare ad Artù tutta quella intricata situazione. Non era affatto facile riuscire a far comprendere quella matassa complicata a qualcuno del tutto al di fuori della storia.
«Fammi capire bene», intervenne Artù verso la fine del mio racconto, «mentre il corpo di Emma si trova nella vostra cittadina sottoforma di bambina, la sua anima si trova nel fiume delle anime perse?».
«Esattamente». Lo fissai aspettando che assimilasse tutta la verità delle parole che lui stesso aveva pronunciato.
«E tu vorresti che io ti dessi una mano a tirarla fuori da là?». Nel suo tono c’era sia scetticismo che incredulità. Beh non mi sembrava una proposta così tanto azzardata. Cosa gli costava in fondo darmi una mano? La gestione di quell’insulso regno non doveva essere poi così complicata; poteva prendersi un po’ di tempo per aiutare un vecchio amico. In fondo era merito mio se lui aveva capito di voler governare quel posto.
«Proprio così», confermai mantenendo lo sguardo fisso su di lui. Lui mi fissò a sua volta, ma io ero troppo determinato per perdere quella battaglia di sguardi. Non avevo certo fatto tutta quella strada per niente.
«E come diavolo pensi di fare a tirarla fuori? Sai benissimo che non possiamo avvicinarci a quelle acque senza rischiare di esserne risucchiati».
«Beh è proprio per questo che ti sto chiedendo una mano. Devi aiutarmi a cercare un modo per aggirare il problema».
Artù sembrò riflettere sulle mie parole, iniziando a massaggiarsi una tempia. «Va bene. Mettiamo il caso di riuscire davvero a tirarla fuori da là, come credi di poterla riportare a Storybrooke se il suo corpo è ritornato in fasce?»
«Beh non lo so», sbottai. «Affrontiamo un problema alla volta».
«Hook, tu sei sceso qua sotto senza sapere minimamente cosa poter fare una volta arrivato? Senza aver uno straccio di piano né un modo per tornare nel tuo mondo?».
Mi bruciava ammetterlo ma era così. «Già».
«È da pazzi!». Il suo commento mi bruciò abbastanza, ma non ero di certo il tipo da farsi intimidire da un fantoccio di re come lui. Ero il grande Killian Jones e in ballo c’era l’amore della mia vita: potevo affrontare di tutto e chiunque si fosse trovato nel mezzo del mio cammino.
«Allora mi aiuterai?». Il mio tono fu duro e non lasciò il tempo per nessun fraintendimento: o era con me o era contro di me. Potevo benissimo cavarmela senza di lui, anche se un paio di mani  in più non sarebbero state male.
«Certo che ti aiuterò», mi rispose sorprendendomi. «Non mi sono mai tirato indietro di fronte ad una sfida del genere».
Trassi un sospiro di sollievo e gli rivolsi un cenno di gratitudine. «Da dove credi che ci convenga iniziare? Pensi che nella vostra biblioteca troveremo qualcosa che ci possa aiutare?».
«Beh per quanto sia stato allievo di Merlino e possa amare i libri, credo che prima di tutto dovremo parlare con una persona».
«Una persona?». Alzai un sopracciglio sorpreso dalla piega che stavano prendendo gli eventi.
«Sì. È in assoluto l’anima più antica che si trova intrappolata qua sotto. Se c’è qualcuno che può conoscere i segreti di quel fiume è proprio lui».
«D’accordo». Mi alzai non stando più nella pelle. Finalmente stavamo facendo qualcosa di concreto e potevo percepire come la vicinanza tra me ed Emma si stesse lentamente accorciando. «Che cosa stiamo aspettando?».
 
Quando Artù mi aveva detto di voler andare a parlare con una persona, non mi ero di certo aspettato che mi portasse in quello che a Storybrooke era il convento gestito dalla fata Turchina. Ad Oltrebrooke invece, quell’edificio sembrava essere adibito ad una specie di casa di riposo, gestita da molte dell’anime che in quel modo cercavano di espiare le loro pene.
E sicuramente quando Artù mi aveva parlato di un’anima antica, non mi ero aspettato che fosse letteralmente antica nel vero senso della parola. Quello di fronte a cui mi trovavo era un povero vecchio decrepito, che dall’aspetto sembrava stentare anche a ricordare il proprio nome. Era davvero lui la persona a cui si affidava Artù? Beh all’apparenza quel vecchio sembrava che non potesse aiutare nessuno, persino sé stesso.
«Salve Abraham, come va oggi?», gli domandò Artù sedendosi accanto a lui, nella sua misera stanzetta. Almeno il nome era appropriato: rispecchiava esattamente gli anni che portava.
«Come al solito ragazzo mio, come al solito». La sua voce risuonò più sicura e più forte di quanto potesse suggerire il suo aspetto. «A cosa devo l’onore della tua visita?».
«Beh sono qui con un amico». Mi fece cenno di venire più avanti, segno evidente che il vecchio aveva anche problemi di vista. Probabilmente ne aveva anche di udito. Perché stavamo perdendo tempo con quella mummia?
«Salve mi chiamo Killian Jones».
«Oh». La bocca del vecchio si spalancò formando una piccola “o” di sorpresa. «Il famoso Capitan Hook».
«Come fa a conoscermi?», chiesi più ad Artù che all’altro.
«Non è da tutti riuscire a lasciare l’Oltretomba ed essere vivi per raccontarlo», mi rispose invece Abraham. La sua riposta mi lasciò del tutto basito, facendomi ricredere su colui che avevo davanti. Forse mi ero proprio sbagliato a giudicare il vecchietto in base all’apparenze.
«Cosa posso fare per te figliolo?», continuò lui imperterrito.
«Beh vorremo che ci dicessi tutto quello che sai sul fiume delle anime perse», rispose Artù al mio posto. «La fidanzata di Hook, si trova intrappolata là sotto e noi vorremo sapere se esiste un modo per liberarla e riportarla qua».
«Mmm». Abraham si portò una mano rugosa sul mento, infilando le dita nella folta barba bianca. «Si tratta di una faccenda piuttosto spinosa».
«È per questo che siamo venuti da te», ribadii Artù.
«Ti prego». Erano due parole che non dicevo spesso, ma avrei implorato chiunque avesse potuto darci una mano a salvare Emma. Non mi importava di sembrare patetico perché a tutti gli effetti lo ero, ma non potevo vivere senza il mio cigno.
«Beh non so se vi sarà d’aiuto, ma vi dirò tutto quello che so su quel fiume».
«Grazie», sospirai di sollievo. Era comunque un punto di partenza e quel vecchio, nonostante il suo aspetto decrepito, sembrava sapere molte cose che avrebbero potuto dimostrarsi utili.
Mi sedetti di fronte a lui e aspettai che iniziasse il suo racconto, sentendo il cuore martellarmi nel petto. Era davvero confortante riuscire a sentirlo battere anche là sotto.
«Per quel che ne so», iniziò, «il fiume delle anime perse è stato creato da Ade in persona, era un modo per scaricare la sua ira sulle anime bloccate in questo mondo. Come sapete una volta qua, tutte le anime possono andare in un posto migliore o in un posto peggiore. Ad Ade non andava giù il fatto che alcuni riuscissero in qualche modo a risolvere le loro questioni in sospeso. Il fiume serviva a questo: ad alimentare la sua sete di potere. Non so come sia riuscito a crearlo, né cosa ci sia all’interno, però posso dirvi dell’altro».
«Cos’altro?». Finora ciò che ci aveva detto era stato interessante, ma purtroppo di nessuna utilità.
«Non tutte le anime che cadono nel fiume sono perse subito. C’è una sorta di transizione, il tempo là scorre in maniera diversa: più rimani là sotto più la tua anima si perde». Questo era sicuramente un male, voleva dire che stavamo combattendo una corsa contro il tempo. Emma era là sotto da troppo e chissà quanto avrebbe potuto resistere!
«Che tu sappia c’è una sorta via di uscita?», domandò Artù.
«Sì c’è». Il mio cuore perse un colpo sentendo quelle parole. «C’è un modo per tornare qua una volta finiti là dentro, ma è quasi impossibile da percorrere. Da quel che ne so, una volta là sotto, riuscire a mantenere la lucidità per trovare la via di uscita è quasi del tutto impossibile».
«Ma se esiste un modo per le anime di uscire, vuol dire che c’è anche un modo per noi per entrare». La mia non era una domanda, ma una semplice affermazione.
«No, mi dispiace figliolo». Alzò una mano rugosa posandomela sulla spalla. «Ho detto che c’è una via di uscita per coloro che sono finiti là dentro, ma è del tutto impossibile per noi fare il contrario».
«Perché?». Se c’era un passaggio perché non potevamo sfruttarlo in entrambi i sensi?
«Perché anime morte come noi, finirebbero là dentro e come ti ho detto mantenere la lucidità là sotto non è facile. Finireste per perdervi e basta».
Mi alzai di scatto, sentendo la rabbia crescere dentro di me. «Ma Emma è là sotto e forse si sta perdendo anche lei. Io devo trovare un modo per recuperarla e, riuscire a raggiungerla, mi sembra l’unica soluzione».
«Beh potresti anche raggiungerla ma che senso avrebbe se una volta là uno di voi due non fosse più in grado di riconoscere l’altro?». Mi bloccai di colpo raggelato dalle sue parole. Era quello ciò che le stava succedendo là sotto? C’era il rischio che lei non si ricordasse più di me? Che razza di mondo era quello in cui neppure i propri ricordi erano al sicuro?
Quando avevo visto Emma l’ultima volta, solo per pochi secondi, lei era rimasta la solita: la mia dolce e allo stesso tempo dura Swan. Adesso poteva essere diverso? I minuti continuavano a scorrere, ed ogni secondo che passava poteva forse riuscire a cancellare ogni singolo ricordo che lei aveva di noi? Mi rifiutavo di crederlo; io e lei eravamo più forti di tutto, il nostro era Vero Amore. Eppure non potevo che temere che le parole di Abraham fossero vere. Non potevo scartare l’ipotesi a priori, ma la sola possibilità che fosse realmente così mi metteva i brividi.
«Abraham», intervenne Artù interrompendo il silenzio che si era creato. «Permettici solo di farti un’ultima domanda. Qualcuno è mai riuscito ad uscire dal fiume?». Era la domanda giusta, eppure temevo di sentire la risposta. Da come ci aveva parlato fino a quel momento sembrava ovvio che la sentenza dovesse essere negativa.
«Sì, qualcuno c’è riuscito». Fu naturale che spalancassi gli occhi sentendo invece quelle parole.
«Cosa?», esclamammo io e Artù contemporaneamente.
«Sono in pochi a conoscere questa storia. Penso di essere l’unico ancora qua sotto a conoscere la verità. Nemmeno Ade lo sapeva, non credo avrebbe reagito bene se avesse scoperto che anche il suo adorato fiume presentava una falla nel sistema».
«Salta i convenevoli», esclamai con impazienza. «Chi?».
«Si è trattato di una donna, il suo nome era Dafne».
La mia voce tremò mentre pronunciavo la domanda più importante di tutte. «E dove si trova adesso?».
«È passata oltre da moltissimo tempo ormai». Era ovvio che ci dovesse essere una fregatura, l’unica donna che poteva darci un aiuto concreto adesso si trovava chissà dove in pace con sé stessa.
«Tuttavia», aggiunse Abraham, «posso dirvi dove potete trovare la sua storia».



 
Angolo dell’autrice:
Eccomi di nuovo qua, e come sempre buona domenica!
In questo capitolo sia da un lato che dall’altro ci sono stati dei notevoli passi avanti e possiamo dire che sia Emma sia Killian stanno facendo di tutto per riuscire a ricongiungersi. Da una parte Emma ha scelto la strada più sicura per salvare i suoi compagni: vi aspettavate una decisione del genere? Oppure credete che non sia ancora detta l’ultima parola?
Dall’altra ho voluto aggiungere il personaggio di Artù. Non mi era molto simpatico nella serie, però qua ci voleva qualcuno che desse una mano al nostro pirata. E sembra proprio che finalmente anche le sue ricerche stiano dando i suoi frutti.
GRAZIE di cuore a tutti i lettori. E un grazie particolare a chi recensisce!
Un bacione e alla prossima settimana
Sara  
 
 
  
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