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Autore: SarcasticColdDade    21/04/2017    2 recensioni
Yuki Yoshimura è un medico, dedita alle sue routine e ad una vita tranquilla. Il suo unico scopo nella vita è sempre stato quello di aiutare gli altri, per non sentirsi mai un peso. Dentro di sé però sa di essere diversa dagli altri: non sa perché, come non sa se lo scoprirà mai. Almeno fino all'incontro con uno strano uomo.
O meglio, un demone.
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis, Un po' tutti
Note: Cross-over, Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Se non mi dici dove andate giuro che mi metto ad urlare – nonostante le mie parole, Sebastian aveva continuato a tirare dritto, scendendo in fretta le scale della Residenza. Il fatto che mi stesse ignorando mi faceva arrabbiare non poco.
- Posso sopportare le tue urla – aveva risposto, lanciandomi poi una veloce occhiata prima mi aggiungere: - Ormai ci convivo quotidianamente – con tono beffardo.
Quelle parole improvvise -e al 100% maliziose- mi avevano fermata, ma solo per un istante: scuotendo la testa, avevo infatti ricominciato a seguirlo, cercando di capire la situazione in cui ci trovavamo.
Tutto quello che mi aveva detto era che “sarebbe partito per una giornata per delle ricerche”, ovviamente senza specificare né dove né perché. Per qualche strano motivo mi stava tenendo all’oscuro di tutto, e la cosa peggiore era che stava facendo lo stesso sia con Ciel che non Abaddon.
Quest’ultima in particolare, era infastidita quanto me da quell’improvviso comportamento, non per niente nelle corde di Sebastian.
Non del Sebastian che entrambe conoscevamo, comunque.
Dopo aver insistito per giorni, Abaddon aveva deciso di lasciar perdere, ammettendo che non c’era molto da fare quando suo fratello non voleva sputare il rospo.
Io, da canto mio, avevo provato fino all’ultimo.
- Tornerò prima che te ne accorga – mi aveva promesso – Non sarà diverso dalle altre volte – aveva poi aggiunto, legando al suo cavallo l’ultima sacca, piena chissà di cosa.
- Le altre volte sapevo dove andavi – gli avevo ricordato – Questa volta no, ed ho una brutta sensazione – gli avevo confidato, ricevendo in quel momento qualcosa di più simile ad un buco nello stomaco. Non capivo se era dovuto alla mia totale ignoranza verso quel viaggio improvviso o se magari era solo frutto della mia immaginazione.
- Le brutte sensazioni non mi feriranno – erano state le sue uniche parole, prima di baciarmi per poi montare sul suo fidato cavallo – Ci vediamo domani – aveva mormorato, congedandosi poi con un’uscita di scena degna di lui. Ero rimasta fuori a guardarlo mentre si allontanava in una nuvola di terra, con entrambe le braccia strette al petto.
Questo, era successo ormai quasi una settimana prima.

***

- Tu sai dov’è andato, non è così? - chiedo a Ciel, quasi al limite della sopportazione. Dopo una settimana di silenzio assoluto da parte di tutti, ormai riuscivo solo a pensare al peggio. E a sfogarmi persino con persone che non centravano assolutamente niente con quell’odiosa situazione.
- Per l’ennesima volta – mormora lui, dall’altro lato della scrivania – Non mi ha detto assolutamente niente – aggiunge, tornando in modo molto sbrigativo ai suoi documenti.
La cosa peggiore era che stava dicendo la verità.
Nervosa e preoccupata come un animale in gabbia, comincio per l’ennesima volta a passeggiare per la stanza. - E’ successo qualcosa, so che è successo qualcosa – ammetto, dando voce ai pensieri che avevo tenuto per me a lungo.
- Sebastian sa badare a sé stesso – mormora in quello stesso momento Abaddon – Puoi credermi quando ti dico che è uno dei demoni più in gamba del mondo – aggiunge, appoggiata alla parete in un angolo della stanza.
- Allora perché non è ancora qui? - le domando – Perché dire che sarebbe tornato nel giro di un giorno e far passare invece una settimana? - continuo, gesticolando mentre cercavo di trovare una spiegazione.
Questa volta però, una risposta non arriva neanche da Abaddon.
- Questo non lo so – mormora alla fine, rompendo il silenzio nella stanza – Però so che sta bene, me lo sento – aggiunge.
Quelle parole, però, non mi sono di nessun conforto. - Io non sento niente invece – ammetto – Niente di niente.. - concludo, prima che un forte giramento di testa mi colpisca.
Questa volta ad afferrarmi al volo sono sia Abaddon che Ciel,
- Sbaglio o avevi detto che i giramenti erano a causa della spada? - chiedo in quello stesso momento ad Abaddon, prima di scuotere impercettibilmente il capo.
- L'ho detto - risponde - Ma qui sei tu il medico - aggiunge, come se quelle parole risolvessero tutto.
- Grande risposta - sbottò, sottraendomi alla stretta di entrambi, ora che finalmente riesco di nuovo a reggermi sulle mie gambe.
Senza aggiungere altro, lascio allora la stanza: ho bisogno di una boccata d'aria.
Lungo il percorso verso l'uscita non incrocio nessuno, è come se la Residenza fosse più vuota del solito, tanto che in giro non si sentono neanche gli schiamazzi soliti di Bard, Finny e Mey-Rin.
In quell'ultima settimana mi ero sentita incredibilmente sola, nonostante il sostegno di Abaddon. Il fatto che di tanto in tanto stessi ancora male per colpa dei giramenti di testa poi non aiutava molto.
Abaddon diceva che stavo bene, e anche io ci avevo creduto, finché non avevo cominciato a dare di stomaco per ogni minima cosa. Gli odori forti in particolare mi davano alquanto fastidio: persino la cannella, che un tempo avrei aggiunto persino nell’insalata, ora mi dava quasi il disgusto.
Raggiunta finalmente l'aria fresca di cui avevo bisogno, vengo colpita improvvisamente in pieno da un pensiero che avevo scartato a priori fino a quel preciso istante.
Impietrita, mi porto entrambe le mani sul ventre.
- Congratulazioni - la voce di Abaddon è chiara alle mie spalle, mentre mi volto di scatto nella sua direzione.
Non so bene cosa dire, ma sono felice che le parole mi escano da sole. - Tu lo sapevi? - le chiedo, cercando di abituarmi a quella nuova realtà.
- Lo sospettavo - risponde - Probabilmente gli ormoni ti stanno giocando brutti scherzi già da un po' - aggiunge, avvicinandosi a me finché non siamo una di fronte all'altra.
- Perché non me l'hai detto? - sbotto, con una stretta al cuore. Come farò se le mie paure per il destino di Sebastian sono fondate? Come farò a crescere un figlio da sola?
- E rovinarti la sorpresa? - domanda, con fare retorico – No, era una cosa che dovevi scoprire da sola, e che avrà modo di scoprire anche mio fratello – aggiunge, sottolineando ancora una volta il suo pensiero visto la situazione di quest’ultimo. Nonostante le sue parole però, non ero riuscita neanche per un secondo a smettere di preoccuparmi, volevo solo che tornasse da me.
In quello stesso momento ho un’ennesima fitta allo stomaco, prima di lasciarmi andare letteralmente a terra, dove mi inginocchio per poi cominciare a piangere senza sosta. Questo decisamente non è un comportamento degno di me: in passato non avrei mai pianto di fronte a nessuno, nemmeno sotto tortura...ora invece non riuscivo a fare altro. Gli ormoni, era sicuramente colpa loro.
- Hai idea di quanto sia temibile mio fratello? - mi domanda allora lei, cercando di distrarmi – Sono sicura che è già sulla via del ritorno – aggiunge, strofinandomi la schiena in un modo che faceva presumere la sua totale ignoranza per quanto riguardava il contatto umano in generale. Questa di certo non era il tipo di situazione che un demone come lei era abituata ad affrontare.
- Ma adesso non è questa la cosa importante – continua poco più tardi, costringendomi ad alzarmi da terra per ricompormi, per quanto possibile, almeno – Hai bisogno di riposare, viste le tue attuali condizioni – conclude, spingendomi nella direzione del grande portone della Residenza.
L’idea di sdraiarmi nel mio letto in effetti è parecchio allettante.
- Non è sicuro che io sia incinta.. - mormoro comunque, continuando però a tenermi il ventre con un mano. Non credo neanche lontanamente a quelle mie stesse parole.
- Giramenti di testa, stanchezza e nausea sono sintomi alquanto evidenti – risponde infatti lei – Puoi credermi, ho visto mia madre in queste condizioni quando era incinta di Sebastian – aggiunge, raccontandomi quel particolare che fino a quel momento non ero stata in grado di immaginare, nonostante avesse chiarito già in passato che anche tra i demoni esisteva il buon vecchio sesso.
- E io che pensavo che i demoni fossero completamente diversi dagli umani – commento, sottolineando ancora una volta quel mio pensiero.
- Lo pensano tutti, finché non ne conoscono almeno uno – ammette, mentre nel frattempo abbiamo raggiunto la mia stanza. E’ qui che Abaddon mi lascia solo qualche secondo più tardi, mentre quasi senza voglia mi spoglio per indossare qualcosa di più comodo per riposare.
Stremata da quasi 3 giorni senza praticamente dormire, crollo in un sonno profondo non appena raggiungo il mio letto: la mia mano, ovviamente, è ancora ferma sulla mia pancia.

***

Non ho idea di che ora sia, ma quando riapro finalmente gli occhi la stanza è immersa nell’oscurità più totale: l’unica luce è quella naturale che proviene dalla grande finestra sul lato della stanza. Con gli occhi ancora semichiusi, mi giro nel letto in cerca di Sebastian, prima di rendermi conto che quell’ultima settimana non era stata affatto un incubo: no, tutto era successo e stava succedendo veramente, e questo mi faceva venir voglia di urlare.
Con le poche forze che una persona sveglia da poco ha, mi metto a sedere sul letto, scendendo poi da quest’ultimo per cominciare a passeggiare per la camera.
Non mi rendo conto di quello che sto per fare finché non mi ritrovo di fronte allo specchio ovale posto in un angolo della camera: non lo avevo mai usato gran che, semplicemente perché non ero mai stata il tipo che si specchia più di tanto. In verità, gli specchi mi avevano sempre messo un po’ di ansia, ma era qualcosa che col tempo ero riuscita a gestire, fino a dimenticarmene quasi.
Ora era diverso: più guardavo il mio riflesso e più mi immaginavo quello che sarebbe successo da lì a pochi mesi; da quanto era successo? Due mesi? O di più? Non c’era un modo preciso di saperlo, sarebbe stata tutta una completa sorpresa...e questo un po’ mi spaventava.
Io, che in vita mia non avevo mai avuto particolarmente paura di niente, ora tremavo come una bambina.
Stringendo la camicia da notte che ho indossato qualche ora prima, delineo quello che sembra a tutti gli effetti un rigonfiamento, per quanto piccolo. Come mai non l’avevo notato fino a quel momento?
Preoccuparmi per Sebastian mi aveva distratto da tutto il resto, persino dalla mia stessa clinica: i miei pazienti l’avevano notato, e in quegli ultimi due giorni le visite erano state meno del solito.
Nel mio attuale stato, non ero in grado di gestire niente, nemmeno la mia stessa colazione...figuriamoci una gravidanza.
A quel pensiero ho un brivido, seguito da quello che è a tutti gli effetti un vuoto allo stomaco: per quanto dura potrà essere, non rinuncerò a questo bambino. Se lo facessi, non sarei più in grado di guardarmi allo specchio.
Stringendo ancora il tessuto tra le dita, vengo messa in allarme da un rumore improvviso in corridoio.
Con un balzo, raggiungo velocemente la mia spada, tirandola fuori dal suo fodero per poi impugnarla saldamente. Il mio primo pensiero è che quella reazione è esagerata, ma quanto vedo la maniglia della porta abbassarsi mi convinco dell’esatto contrario.
Resto in attesa per quello che sembra un tempo infinito, prima che la luce del corridoio delinei i tratti della figura misteriosa, facendomi tremare le ginocchia.
- Sebastian… - mormoro solamente, lasciando cadere a terra la mia spada senza preoccuparmi del rumore assordante del metallo contro il pavimento.
- Scusa il ritardo.. - sono le sue uniche parole, mentre gli corro incontro con la stessa prontezza che avevo avuto nell’afferrare la mia spada.
Stringendogli entrambe le braccia al collo, mi avvinghio alla sua figura senza pensarci due volte, ricominciando a piangere mentre la sua stretta si fa solida intorno alla mia schiena.
Per un momento penso che sia tutto un sogno, e forse per questo motivo comincio a tastargli nervosamente il corpo, a partire dalle spalle.
- Sì, sono io – mi conferma poco dopo, di sicuro con il sorriso tra le labbra – Sono qui – aggiunge poi, allentando la stretta da me per permettermi di tornare a guardarlo.
Tutte le preoccupazioni di un’intera settimana si placano in quell’istante, quando mi rendo conto che lo sto guardando di nuovo negli occhi.
Quel mio tornare a guardarlo però mi permette anche di notare particolari che nella foga del momento mi erano completamente sfuggiti: il sopracciglio destro è spaccato, per esempio, e ancora macchiato di sangue; una veloce occhiata al resto e noto che anche i suoi vestiti sono in pessime condizioni, per non dire da buttare.
Allontanandomi di un passo dalla sua figura, scosto senza pensarci un lembo della sua giaccia, scoprendo un’altra macchia di sangue, anch’essa ormai secca: sotto di essa, staziona un enorme squarcio nella camicia, come se qualcuno l’avesse pugnalato.
- Cosa diavolo è successo? - gli domando subito, tastando il punto in cerca di risposte.
Mi risponde con una smorfia. - Sono un po’ ammaccato – risponde.
- Perché sanguini? - domando, entrando più nello specifico. L’avevo già visto di ritorno da qualche scazzottata con chissà chi, capitava spesso con Ciel nei paraggi, ma non l’avevo mai visto sanguinare nel vero senso della parola.
E in passato l’avevo accoltellato io stessa, senza alcun risultato.
- Questa...è una storia lunga – farfuglia, chiudendo la porta della stanza senza fare alcun rumore.
- Ah ah no – lo blocco subito – Questa volta non attacca, o mi dici quello che è successo o giuro che ti concio anche peggio! - sbotto, pestando i piedi per terra come non avevo mai fatto in vita mia. In questo momento sono furiosa, e non riesco a far altro che puntare il dito nella sua direzione.
Dopo una settimana di preoccupazioni non può di certo cavarsela così.
La sua unica risposta a quel mio improvviso sfogo è un sospiro, prima di provare a superarmi per raggiungere chissà quale parte della stanza.
Prontamente, mi piazzo di nuovo di fronte a lui, con la fronte corrugata in un’espressione di totale ira.
- Non sono in vena di fare giochetti in questo momento – si lamenta, togliendosi di dosso la giacca logora.
- E chi gioca – metto subito in chiaro – Pensi davvero di cavartela così dopo una settimana di silenzio totale? - gli domando. Sento che in questo momento potrei anche prendere fuoco spontaneamente.
- Non ero proprio nella posizione di poter comunicare – risponde, quasi a denti stretti.
- Adesso puoi parlare però – gli ricordo, stringendo gli occhi mentre continuo a sostenere il suo sguardo.
- Smettila, Yuki – ringhia praticamente, provando per l’ennesima volta a superarmi per passare oltre.
Dopo quelle parole scatto per l’ennesima volta, tirando indietro il braccio nel vano tentativo di colpirlo col mio pugno migliore; per poco non raggiungo la mia meta, ma le mie dita finiscono in ogni caso intrappolate nella sua mano.
Provo allora a colpirlo anche con la mano libera, riuscendo questa volta a graffiargli una guancia, poco prima che si tiri indietro d’istinto
- Hai idea di come sia stata questi ultimi giorni?! - sbotto allora, urlandogli in faccia. A giudicare dall’atmosfera saranno le 2 di notte, ma stranamente non mi interessa molto della gente che potrebbe stare dormendo in questo momento – Pensavo fossi morto.. - esclamo poco dopo, incapace di aggiungere altro.
- Sono qui ora – mi ricorda, urlando letteralmente quelle parole. Entrambi abbiamo quasi gli occhi fuori dalle orbite a forza di urlare, ed entrambi siamo quasi senza fiato.
Ci fissiamo, e nessuno dei due sembra intenzionato a volgere lo sguardo altrove: tra i due non so chi è più testardo, soprattutto quando capitano situazioni come questa, in cui entrambi siamo fermamente convinti di aver ragione.
La mia rabbia non si è ancora neanche lontanamente placata, eppure quando mi stringe a sé per baciarmi la mia reazione è totalmente istintiva: il mio corpo si muove da solo, e in un attimo ho di nuovo entrambe le braccia intorno al suo collo. Dopo quelli che erano sembrati giorni interminabili, avevo bisogno più che mai di sentirlo vicino.
Togliendogli di dosso i pochi brandelli che era rimasti della sua giacca -solitamente ordinata in modo quasi maniacale-, lo spingo verso il letto al centro della stanza, tornando a baciarlo dopo aver ripreso velocemente fiato. Non mi curo minimamente neanche della camicia, finendo di strapparla per poi lasciare i resti sul pavimento, abbandonati.
Con la stessa mia foga, anche la mia camicia da notte finisce a pezzi, mentre lo libero abilmente dagli ultimi indumenti che lo intrappolano: una volta sul letto, mi prendo un momento per percorrere tutto il suo corpo con lo sguardo, prima di sistemarmi a cavalcioni su di lui. Sospiro di sollievo quando siamo finalmente pelle contro pelle, cominciando a muovermi finché non è lui a prendere totalmente il controllo della situazione.
Stringendo i suoi capelli corvini tra le dita, sospiro contro il suo orecchio, mentre le sue labbra hanno già preso a disegnare una linea invisibile lungo tutto il mio collo, scendendo poi lungo la clavicola.
Totalmente imprigionata in quel momento, quasi non mi accorgo delle mie unghie conficcate letteralmente nella sua spalla, reazione istintiva all’ansia che mi aveva pervaso fino a solo qualche ora prima.
In questo momento potrei dimenticare ogni cosa, niente è più importante dell’averlo accanto.
In preda a quel pensiero, comincio a muovermi nuovamente nella sua direzione, assecondando i suoi movimenti in modo naturale e deciso; mi muovo, ancora e ancora, fino a lasciarmi andare ad un grido sentito, che a malapena riesco a contenere.
Un rivolo di sudore mi scende lungo la schiena, mentre riprendo a respirare dopo qualche secondo di totale apnea. Il viso di Sebastian è ancora nascosto nel mio collo, ma le entrambe le sue mani sono ben salde sulla mia schiena, all’altezza del cuore.
- Qualche volta potremmo anche non litigare e passare direttamente a questo – mormora in un sospiro, restando immobile nella sua posizione.
Sorrido istintivamente a quelle parole, continuando a tenere entrambi gli occhi chiusi.
Abbandonandomi contro di lui, torno ancora una volta a stringere entrambe le braccia intorno al suo capo, stringendolo contro il mio petto come se fosse un tesoro prezioso da proteggere. - Quando ami qualcuno si litiga – rispondo, senza pensare davvero alle mie parole: il loro significato mi arriva dopo, mentre spaventata penso per un momento di aver rovinato un momento a dir poco perfetto.
Sto per parlare, quando sento le sue dita percorrere la mia schiena fino a finire tra i miei capelli arruffati. Per qualche motivo so che sta sorridendo in questo momento, ma non ne sono certa finché non arriva letteralmente ad un soffio dal mio orecchio.
- Ti amo anch’io – mormora, posando poi un bacio quasi impercettibile sulla mia guancia.


***

Siamo entrambi in silenzio già da un po’: io stesa di fianco con il capo poggiato sulla sua spalla e lui sdraiato accanto a me, con una mano ferma sul mio fianco.
Presa a passare le dita sul suo addome, mi imbatto solo in quel momento in quelli che sembrano i resti di un taglio profondo.
- Sebastian, cos’è successo? - provo ancora una volta, convinta che questa volta parlerà senza fare molte storie. Non ha poi molto motivazioni per tenere segreto quello che gli è successo.
- Ricordi quello che abbiamo scoperto all’orfanotrofio? - mi chiede allora, continuando tuttavia a fissare il soffitto – I libri e tutto il resto? - prosegue poi.
Annuisco, restando tuttavia in silenzio.
- Avevo una pista su chi potesse essere il loro demone – mormora - Pensavo di aver ragione – aggiunge poco dopo, con quello che sembra odio verso sé stesso.
- Ma mi sbagliavo – prosegue, senza che io debba aprire bocca – Mi sbagliavo, ed è per questo che sono sparito per una settimana...anche se mi è sembrato molto di più – sono le sue ultime parole, prima che tra di noi cali di nuovo un silenzio assordante.
- E questo..? - mormoro solamente, passando il dito sulla cucitura perfetta poco sopra il bacino. Si vede che è fatta senza particolare attenzione, di fretta oserei dire.
- Questo – sospira – E’ stato lui a farmelo, con un’arma che non vedevo da secoli – mi spiega, passandoci a sua volta il dito sopra.
Non lo vedo storcere la bocca, ma una parte di me sa che sta soffrendo per quella ferita.
- Un’arma in grado di farmi male – continua – In grado di farci male – aggiunge, ampliando quel discorso a tutti i demoni in generale. E io che pensavo che fossero invulnerabili in tutto e per tutto: le mie convinzioni stanno via via scemando col passare del tempo. - Menomale che ho sempre ago e filo con me – mormora poi poco dopo, accennando un sorriso.
Sollevandomi appena sul letto, esamino meglio la cucitura di fortuna: da vicino è meglio di quello che avevo pensato. - Ha bisogno di essere disinfettata – gli dico subito, mettendo in chiaro le cose e facendo per alzarmi dal letto. So di avere una cassetta del pronto soccorso qui in camera.
Come al solito, le sue dita mi afferrano il braccio prima che possa muovermi.
- Può aspettare – mormora, rivolgendomi un sorriso che, probabilmente solo nella sua testa, basterà a rilassarmi.
- Può infettarsi – mi lamento subito, facendo uscire il medico che è in me.
- E’ una fortuna allora che non possa morire per una semplice infezione – ribatte, senza tanti giri di parole – La Spada Dell’Inferno può ferirmi e uccidermi, ma sono ancora resistente ai germi – aggiunge, tirandomi nuovamente verso di sé finché non sono di nuovo seduta sul letto, ora infreddolita
- Spada dell’Inferno? - ripeto.
- E’ un arma quasi mitologica, ma tutti i demoni sono messi in guarda da essa fin da piccoli – racconta – E’ una specie di uomo nero per i demoni – aggiunge, facendomi scappare un sorriso.
- Dov’è ora il demone che ti ha ferito? - gli chiedo d’istinto, pensando solo in quel momento a quel particolare.
Sospirando, mi rivolge uno sguardo sereno. - L’ho ucciso – annuncia poco dopo – Non potevo fare altro, se volevo tornare qui – aggiunge.
Trascinandomi di nuovo fino a lui, afferro in quello stesso momento la sua mano, stringendola. - Allora sono felice che tu l’abbia ucciso – mormoro, pronunciando parole che fino a qualche tempo prima mi sarebbero parse assurde.
Rivolgendomi un ultimo sorriso, scende poco dopo dal letto, infilandosi nuovamente i pantaloni logori. - Vado a prendere qualcosa da bere – annuncia – Del vino forse – aggiunge, facendo accendere la lampadina nel mio cervello.
Già, lui è qui...ora ho un padre al quale comunicare la notizia.
- O magari del thé – mormoro di getto, prima che possa lasciare la stanza.
Quelle mie parole catturano immediatamente la sua attenzione, mentre sono tornata a stringermi intorno al corpo il lenzuolo candido.
- Tu che rifiuti del vino? - mi domanda infatti, corrugando la fronte.
- Non penso che potrò berlo.. - rispondo – Per un po’ - aggiungo, a corto di parole.
Non pensavo che avrei mai comunicato una cosa del genere a qualcuno.
- Un po’.. - ripete lui, visibilmente confuso.
- Mesi – mi correggo velocemente – Per i prossimi 7-8 mesi..credo – aggiungo in fretta, stringendomi entrambe le ginocchia al petto.
Dopo aver sostenuto il mio sguardo per qualche secondo senza dire niente, finalmente noto un barlume nei suoi occhi: in quel momento so per certo che ha capito le mie parole.
Allontanandosi allora dalla porta, mi indica senza dire niente per un momento. - Tu.. - farfuglia poi, avvicinandosi nel frattempo al letto, inginocchiandosi poi accanto ad esso per guardarmi meglio.
- Sei incinta? - mi chiede solo dopo qualche secondo, durante il quale ha squadrato il mio corpo centimetro per centimetro.
- Sono incinta – rispondo, prima di finire intrappolata in un altro suo lungo abbraccio, al limite della felicità.
- Non riesco più a mangiare la cannella – mormoro, con la voce di chi sta per piangere – La cannella, capisci? - aggiungo, scoppiando in una risatina poco prima che le lacrime comincino a scendermi giù per il viso.
A quelle mie parole si aggiunge una sua improvvisa risata, ed è in questa posizione che restiamo entrambi nei minuti successivi: abbracciati e sorridenti.

  
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