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Autore: Andy Black    25/04/2017    1 recensioni
Un uomo senza scrupoli dona ad un altro uomo senza scrupoli l'opportunità di tornare nel suo tempo, dal quale era stato bandito, imprigionato ed incatenato in una cella d'un tempio di mille anni prima. Lionell Weaves tornerà nel presente carico d'odio, pronto per consumare la vendetta che bramava da tempo nei confronti della figlia, oracolo e cristallo di Arceus, secondo le sue fonti. Il suo obiettivo è sempre lo stesso: uccidere sua figlia Rachel e recuperare il cristallo di Arceus, da consegnare al malvagio Xavier Solomon. Tuttavia l'intera Unione Lega Pokémon avrà qualcosa in contrario e farà di tutto per fronteggiare la minaccia di un mondo senza un dio.
[Diversi personaggi][OldrivalShipping, CandleShipping, SpecialJewelShipping e tanto altro][Storia con linguaggio volgare e parti violente];
Buona lettura;
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Green, N, Nuovo personaggio, Silver, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pokémon Courage'
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22. Trucchi del Mestiere
 

Sinnoh, Evopoli, Casa di Gardenia
 
“Hey... sei tornato” sentì Marisio, non appena ritirò le chiavi dalla toppa. La musica in diffusione era leggera, con note di pianoforte che si alternavano educatamente ad assoli di sax.
Gardenia apparve avvolta nella sua vestaglia, non appena l’uomo voltò l’angolo.
“Non ti aspettavo più, per oggi. Temevo avessi perso il volo”.
“No” rispose quello, guardandola fissa in quegli occhi ambrati. “Sono riuscito a prendere l’ultimo”.
“Se lo avessi saputo sarei venuta a prenderti all’aeroporto” disse, sorridente. Gli si avvicinò e lo baciò con vigore, aderendo al suo corpo, e a lui piaceva. Da morire, gli piaceva.
Adorava il fatto che una donna così bella fosse innamorata di lui, che potesse tornare a casa e trovarla lì, in attesa di un suo bacio, di un suo abbraccio. Adorava sentire la necessità della sensazione di contatto dei loro corpi, e quella fame quando non bastava più, perché i loro vestiti erano di troppo. Adorava sentirsi dentro di lei e adorava quando lei lo lasciava poi uscire, soltanto per stringersi al suo corpo, ancora caldo, quasi febbricitante.
“Come stai?” domandò lei, baciandolo ancora.
“Bene...” rispose Marisio, calando il volto.
“Bene?” chiese ancora. Non sembrava parecchio convinta. “Non mi sembra l’espressione di qualcuno che sta bene, la tua... Che succede?”.
La donna fece un passo indietro e guardò il suo uomo, mentre smontava il cappotto e levava il cappello. Sospirò e annuì, pronto a confessare.
“Lance mi ha offerto il posto di Capopalestra di Violapoli”.
L’espressione di Gardenia mutò: incuriosita com’era, dapprincipio, la sua faccia indossò una maschera di confusione. “Beh...” fece, cercando di entrare nella testa del bell’uomo dai capelli scuri. “Mi sembra una cosa bella, no?”.
“Certo, sì...” disse lui, passando una mano nella chioma corvina. “Lo è. E vorrei tanto provarci”.
“E allora?!” esclamò sorridente lei, prendendogli il cappotto da mano e appendendolo. “Sarà una cosa meravigliosa! Non ho mai visto un Allenatore di Pokémon forte come te!”.
“Starei lontano da Sinnoh...” sospirò lui, portato per mano sul divano.
Gardenia divenne improvvisamente seria. Si sedette e tirò le gambe verso il petto, mentre Marisio si abbandonò nei morbidi cuscini. Dalla sua espressione sconsolata poteva riuscire a vedere l’effettivo dispiacere che provava per tutta quella situazione.
“Potremmo sempre trovare un modo per vederci, tesoro...”.
“Sì, lo so, Lance me ne ha suggeriti già un paio ma...”.
La donna si limitò ad annuire e a gettarsi su di lui. Gli sfilò le scarpe e poi lo tirò sulle sue cosce, mentre gli accarezzava i capelli. “Com’era Johto?” gli domandò.
Lui guardava verso l’alto.
“Molto carina. Mi spetterebbe la Palestra di Violapoli...”.
“Non ci sono mai stata”.
“A me è piaciuta davvero molto. C’è una strana monumentalità nell’aria e la gente è profondamente legata alle tradizioni. L’aura è limpida e...”.
“E la Palestra? Com’era la Palestra?”.
“Incredibile. Più grande della tua, con un’enorme voliera e i Pokémon uccelli che vivevano liberi...”.
“Immagino la puzza di guano...”.
“E invece no, sai? Inoltre...” fece, voltandosi e guardando negli occhi la donna. “C’è anche una grande struttura in legno, rialzata di parecchi metri, su cui si terrebbero le lotte...”.
Gardenia poté vedere il sorriso felice di Marisio, quello spensierato, in uno di quei rari momenti in cui esplodeva.
“Tu vuoi andarci. Vacci” sussurrò la donna, abbassandosi su di lui e baciandogli la fronte. Il suo corpo gli aderì sul volto.
Marisio sospirò. “Non voglio lasciarti”.
“Non devi” rispose. “Ci sono tanti modi per stare assieme”.
“Lo so, lo so... ma mi mancherà... questo”.
Gardenia lo guardò, vestendo il suo viso di un sorriso gentile e bonario.
“Io ti amo e so che tu ami me. Non succederà nulla di male, perché supereremo ogni avversità”.
Lui si sollevò, tornando seduto. Guardò il suo sorriso dolce, poi fissò le labbra morbide della donna, e la bontà nell’ambra dei suoi occhi. Amava lei, amava il suo profumo.
Le sorrise.
“Sei straordinaria”.
“Lo so. E ora andiamo di là, ti cucino qualcosa, sarai affamato”.
 
Adamanta, Timea, Uffici della Omecorp

Erano passati ormai sei ore da quando Lionell s’era seduto davanti al suo computer. Prima, il sole illuminava l’intero ufficio ma poi, lentamente, la sera era tornata a riprendersi ciò che aveva lasciato lì prima di lasciar posto al giorno e, senz’accorgersene, l’uomo era rimasto con le luci spente. Se ne rese conto quando gli occhi cominciarono a bruciare, che l’orologio già segnava le diciannove. Sbuffò, abbassò le mani dalla tastiera e si alzò in piedi. Si voltò in direzione della finestra, aveva bisogno di aria, tutta quella storia lo stava consumando. Avrebbe voluto prendere il primo aereo per un posto caldo, dove la sabbia era chiara e il mare gli avrebbe sussurrato parole gentili durante la siesta.
E invece no.
Invece doveva rimanere chiuso nella sua armatura fatta di polsini inamidati e cravatte doppie, accessori in oro e scarpe lucide. Il dopobarba aveva un profumo pungente, non a tutti piaceva ma a lui sì. Lasciava il suo odore nelle stanze, era segno di personalità.
Pensò che avesse voglia di un sigaro.
Sì, si sarebbe abbandonato al piacere momentaneo di un sigaro. Quindi fece per voltarsi e aprire il cassetto della scrivania dove conservava la scatolina scura. Prese un lungo cubano, ne mozzò l’apice e lo mise in bocca. Quando il dito premette sull’accendisigari, lentamente, le note fruttate gli riempirono la bocca. Si abbandonò poi nella sua poltroncina. Tutta la meticolosità di quei giorni richiedeva ampi periodi di ripresa mentale, e soltanto in quel modo riusciva a ritrovare se stesso, Lionell.
Poi suonò l’interfono.
Guardò l’apparecchio sulla scrivania e dopo il suo sigaro. Decise di soprassedere e di alzarsi, si sarebbe rilassato un’altra volta.
“Sì”.
“Dottor Weaves, c’è in linea la signorina Malva, la Superquattro di Kalos... Che le dico?”.
“Che sono in riunione e che sarà richiamata non appena sarò disponibile”.
“Va bene, Dottor Weaves...”.
Gli occhi azzurri dell’uomo lasciarono la presa dall’interfono e tornarono sullo schermo del computer, dove i suoi conti offshore erano aperti in diverse finestre. La calcolatrice davanti segnava chiaramente sette cifre da sommare; sette conti in banca, con sette totali, che sostanzialmente rappresentavano i parziali del suo patrimonio.
Messi l’uno dietro l’altro, quei parziali avevano fatto di Lionell un uomo profondamente ricco.
Di nuovo. Calcolava, lui, freddo, il da farsi, lentamente, senza farsi prendere dal panico, mentre la testa del sigaro bruciava ogni volta che lui aspirava. Prima di sospirare però lo levò dalle labbra e lo poggiò nella ceneriera. Si voltò nuovamente verso l’interfono e premette il pulsante sette.
“Linda. Vieni nel mio ufficio”.
Rilasciò e riguardò la cifra che la calcolatrice gli consegnava.
Ripassò mentalmente il piano per la milionesima volta, prima che la donna varcasse la sua soglia. Sempre incredibilmente ordinata, in quel tailleur nero gessato, coi capelli legati e tenuti alti sulla testa e gli occhi verdi finemente truccati. Lo sguardo dell’uomo le carezzò il collo e si tuffò nella scollatura, prima che quella, compiaciuta, lo salutasse con un cenno della testa.
 “Chiudi la porta” fece quello, lasciando sedimentare la sua voce. Quella si voltò ed eseguì, avvicinandosi alla scrivania e accomodandosi di fronte a lui.
“Che succede?”
“I mosaici quando saranno venduti?”.
La donna sorrise e annuì. “Il compratore effettuerà il pagamento nella giornata di oggi. Andrò personalmente a ritirare i centocinquanta milioni e li porterò al nostro consulente per gli affari. Apriremo qualche conto in una  banca offshore e faremo girare i soldi, come abbiamo fatto fin ad ora”.
“La vendita dei mosaici finanzierà la fase finale del progetto”.
“I soldi saranno girati automaticamente ai nostri uomini di fiducia. Avremo a disposizione un migliaio di mercenari pronti a combattere per noi”.
“E sarà allora che potremmo mettere le mani sul Cristallo della Luce” sorrise quello.
Linda lo emulò, annuendo. “Spero che i tuoi piani ci porteranno dove vogliamo arrivare”.
“Già. Solomon vuole che io gli ceda il cristallo ma non sono sicuro di volerlo fare. Catturerò Arceus e comanderò su tutti” rise.


 
 Adamanta, Primaluce, Casa Recket

“Forza, piccola! Dobbiamo fare presto!” urlò Zack, fremente.
“Papà! Sto scegliendo una bambola da portare!”.
L’uomo sorrise e abbassò il volto verso le scarpe: le punte erano belle lucide. Guardò poi Arcanine e gli si avvicinò.
“Cucciolone... rimarrai tu a casa, fin quando non saremo di ritorno”
Il Pokémon sembrò capire e si stese davanti al camino, godendo del calore che emanava. I piccoli passi di Allegra risuonarono lungo la scalinata, accumulandosi lentamente l’uno dietro l’altro fino a quando la bimba si ritrovò davanti all’uomo.
“Eccomi, sono pronta” disse, stringendo una bambola di Stella, la Capopalestra di Timea. Era tutta agghindata, con un vestitino azzurro e la frangetta ben pettinata sulla fronte. Gli occhi azzurri spalancati, curiosi come sempre, fissavano il vestito elegante di suo padre.
“È un maschietto o una femminuccia?” chiese poi.
“Non lo sappiamo” rispose sorridente Zack, sistemandosi il colletto della camicia sotto il pullover. “Ma sappiamo che ha la pelle scura, come quella di zio Trevor e di zia Alma”.
“E come si chiama?”.
“Non sappiamo neppure questo”.
Batté le punte delle ballerine laccate a terra, Allegra, quindi guardò la sua bambola.
“Ma tu davvero la conosci, Stella?”.
Zack annuì e sorrise ancora. “Certo. Lei è la Capopalestra di Timea”.
“E tu hai detto che alcuni anni fa eri il Campione del mondo”.
“Non del mondo…” ridacchiò. “Prima dello zio Ryan c’ero io”.
“Lui ti ha battuto?”.
“È diventato Campione perché mi ha battuto, sì… Rachel!” la chiamò poi. “Aspetti che nasca anche il secondo prima di uscire dal bagno?!”.
“E questo vuol dire che lo zio Ryan è più forte di te, vero?” continuava Allegra, catturando immediatamente l’attenzione di suo padre.
“No...” sorrise quello. “Vuol dire soltanto che ha vinto una battaglia contro di me. L’ho sconfitto tante volte”.
“Però se è il Campione vuol dire che è l’Allenatore più forte di tutti. Quindi anche di te”.
“Rachel, fai presto!”.
“Sto venendo!” replicò quella, irritata, uscendo dal bagno elegante e ben preparata.
Allegra si voltò e fissò meravigliata sua madre, che indossava un tailleur beige che ben s’accostava al colore scuro dei suoi capelli.
“Sei bellissima, mamma!” esclamò sorridente la piccola, avvicinandosi a lei.
“Grazie, amore. Dobbiamo proprio andare con Braviary?” chiese poi, assumendo una smorfia di sconforto e disappunto sul volto.
“Sì!” cominciò a urlare festosa Allegra.
Rachel vide poi suo marito fare spallucce. “Decide la più grande...”.
“I capelli...” sbuffò l’altra, rassegnata.
E così salirono in groppa al grosso Pokémon, con la bambina stretta tra la schiena del padre e l’abbraccio di sua madre. E si divertì, volando sulle case, quasi tra le nuvole. Ogni battito d’ali di Braviary schioccava accanto alla sua testa, celandole il mondo in cui viveva in corrispondenza del movimento del Pokémon, per rimostrarglielo un attimo dopo. Il tramonto su Primaluce era arrivato un po’ più tardi quel giorno, segno che le giornate stavano cominciando ad allungarsi, tuttavia le luci gialle riempivano le strade e le case, come tante piccole candele.
Atterrarono proprio nel giardino, dove alcune persone ben vestite conversavano con un bicchiere di spumante tra le mani. Zack fu il primo a scendere, aiutando poi sua figlia e sua moglie a poggiare i piedi sul prato bruciato dal freddo. Rachel diede una sistemata veloce ai capelli e vide Braviary rientrare velocemente nella propria sfera
“Allegra, mi raccomando...” le disse poi la donna, sospirando.
“Stai buona” rincarò Zack.
Quella rispose annuendo, guardando meglio la bambola di Stella e poi alzando lo sguardo verso la porta.
“Una festa per una nascita è una cosa un po’ insolita...” osservò Rachel, raggiungendo con difficoltà il selciato, dove i suoi tacchi non affondavano. S’aggrappò al braccio di Zack e guardò una donna sorridente con una borsa di pelle rossa. Vistosa.
“Beh, considerando la storia di Alma e Thomas è un miracolo...”.
Entrarono in casa, con Allegra che li aveva ampiamente anticipati, chiedendo a destra e a manca dove fosse il neonato. Salì le scale velocemente, proprio quando i suoi genitori incontrarono Ryan e Marianne.
“Ragazzi” sorrise il Campione, in veste ufficiale della Lega di Adamanta, con annesso il lungo mantello argentato. “È un bambino”.
“Che bello” rispose sua sorella Rachel, stringendolo in un caldo abbraccio.
“Sei un incanto” fece invece Marianne.
“Non l’avrei sposata, altrimenti...” ribatté Zack. “Con permesso, vado a vedere il mostriciattolo, Allegra sarà sicuramente passata davanti a tutti”.
“Alma è ancora nel letto” sorrise la donna. “Ha partorito in casa, d’improvviso. Non è riuscita a raggiungere l’ospedale”.
“A dopo” chiosò Rachel, seguendo suo marito lungo il corridoio e poi sulle scale. L’ultima porta sulla destra era aperta e vedeva, oltre a un paio di familiari di Thomas, tutti con dentatura da oscar e  capelli perfettamente ordinati, la sagoma di Leonard al di fuori della porta.
“Piccolo” disse Zack, una volta raggiunto.
Quello spalancò gli enormi occhi azzurri e sospirò. “Zio...”.
“Che succede, campione?” fece quello, prendendolo in braccio. La pelle ambrata del bambino era ancor più scura, immersa nelle ombre fioche di quel corridoio.
“Voglio un fratellino anche io… glielo dici a mamma?”.
Zack rise, baciando la fronte del nipote. “Certo. Ora salutiamo il nuovo arrivato però”.
Entrarono nella camera così, con Leonard in braccio all’uomo e Rachel a seguirli in religioso silenzio.
Non appena varcata la soglia un velo di tranquillità li rivestì totalmente. Allegra era davanti ad Alma, tutta sorridente, forse più della neomadre, stringendo la sua bambola come avrebbe fatto se avesse avuto il piccolo in braccio. Thomas sorrise, non appena li vide.
“Manuel. Si chiama Manuel” disse, vedendo d’improvviso Rachel piangere per la commozione. La donna aderì a suo marito, abbracciata poi anche dal nipote, asciugando velocemente le lacrime.
“È una meraviglia, Alma. Un bambino meraviglioso” piangeva quella, abbassandosi poi per baciare il volto della madre, commossa per l’ennesima volta mentre stringeva quella meraviglia tra le braccia.
“Grazie, ragazzi. Grazie a tutti di essere qui”.
Il piccolo Manuel dormiva beatamente tra i seni della Professoressa, sotto lo sguardo vigile e commosso dei presenti.
“La vostra avventura è appena cominciata” sorrideva Zack. “Gioco di squadra, mi raccomando”.
“Certo” annuì Thomas. “Alma ha già fatto tanto”.
“Posso prenderlo in braccio?” domandò poi Allegra, con gli occhi sognanti.
“Sta dormendo” le rispose Leonard, repentino.
Quella alzò gli occhi e lo bruciò con lo sguardo. “Fatti i fatti tuoi. Sei anche in braccio al mio papà, quindi dovresti essere gentile con me!”.
Alma sorrise e mise una mano sul capo di Allegra.
“Non litigate” fece. “Manuel dorme”.
   
 
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