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Autore: nikita82roma    29/04/2017    2 recensioni
È la mattina del funerale di Montgomery. Kate si sta preparando per andare al distretto dove si incontrerà con gli altri prima di andare al cimitero. Riceve, però, una telefonata che cambierà la sua vita.
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Terza stagione
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Non era stato facile salutarsi, per nessuno dei due. Eppure Castle si era imposto di terminare quell’abbraccio prima che diventasse qualcosa di più, come era inevitabile che fosse. Non era insensibile alle mani di Beckett che senza secondi fini o malizia alcuna gli accarezzavano la nuca, né al suo respiro via via sempre più calmo quando aveva appoggiato la testa sulla sua spalla. Quel calore e le sue labbra che lambivano il collo gli provocavano brividi che faceva difficoltà a contenere. Le aveva promesso che sarebbe tornato più tardi, aveva veramente bisogno di farsi una doccia, radersi, cambiarsi quei vestiti che considerando i vari fusi ormai indossava da quasi due giorni e poi doveva parlare con Martha e Alexis, doveva loro delle spiegazioni per quel comportamento assurdo che aveva avuto il giorno prima, quando era arrivato, le aveva salutate frettolosamente e poi gli aveva detto solo che doveva cercare lei. Gli parve di vedere con la coda dell’occhio Martha che sorrideva ed Alexis molto perplessa. La sensazione delle mani di Kate sul suo volto mentre lo teneva stretto e lo guardava fisso negli occhi non riusciva a dimenticarla, così come il desiderio di baciarla in quello stesso momento mentre lei gli chiedeva di tornare, preoccupata che non lo facesse. Aveva messo le mani sulle sue, ed era stato doloroso separarsi da quel contatto che per mesi aveva tanto cercato. Poteva sentire ancora quelle mani, lì fermo sulla sulla porta che non lo volevano lasciare andare, quel bisogno che percepiva che quasi lo stordì perché non era abituato. Non aveva mai visto Kate da quel punto di vista, come quella che aveva bisogno, perché lei era sempre quella che non chiedeva mai, che faceva da sola. Doveva pensare a cosa fare. Perché si era immaginato di trovarsi in una situazione completamente diversa, di dover essere ancora lui a rincorrerla, a farle accettare il suo aiuto, invece si trovava davanti una Beckett disperata che non aspettava altro che essere salvata. Da lui.

 

Arrivato al loft, ancora prima di pensare a se stesso, fece una lunga chiacchierata con sua madre e sue figlia. Cercò di spiegargli quella situazione, ancora così difficile da capire anche per lui stesso. Si erano mostrate comprensive e disponibili, chiedendogli se potevano fare qualcosa per aiutare lui e quindi lei. La realtà era che lui avrebbe veramente voluto il loro aiuto per qualcosa, ma non sapeva nemmeno per cosa, perché ancora non sapeva cosa fare.

- Credo che ricevere un po’ d’affetto le farà bene.

- Lo sai Richard, vogliamo tutti bene a Katherine. Deve essere solo disposta ad accettarlo. - Intervenne Martha.

- È quello che sto facendo, sto cercando di farglielo capire e di lasciarsi voler bene. Non è facile.

 

Rick provò a lavarsi via la stanchezza dagli occhi e dal resto del corpo. Si osservò a lungo allo specchio mentre finiva di radersi e cercava di capire cosa fare della sua vita che nelle ultime ore si era di nuovo stravolta. Si mise quel profumo, il preferito di Kate, dai toni speziati e legnosi di muschio, sandalo e incenso, lei diceva che quel profumo sembrava fatto a posta per la sua pelle. Ricordava ancora quando se lo era messo la prima volta e le si era sdraiato accanto, era ancora insonnolita e si era avvicinata a lui e lo aveva baciato a lungo sul collo. Aveva fatto la gelosa, dicendo che quel profumo poteva metterlo solo quando era con lei perché sarebbe stato irresistibile per chiunque. Lo aveva fatto, non lo aveva più messo da quando si erano lasciati. Scelse la dall’armadio quella camicia viola gessata perché sapeva che a lei piaceva. Si accorse che era già passata l’ora di pranzo ed accelerò le sue procedure, le inviò un messaggio prima di uscire dicendole che sarebbe arrivato dopo poco.

 

Da quando Castle era uscito Beckett aveva nervosamente passeggiato per il suo appartamento. Non vedeva l’ora che tornasse, per nessun motivo particolare, solo per la sua presenza. Avrebbe passato tutto il pomeriggio o anche tutta la giornata e la notte seduta sul divano vicino a lui, anche senza parlarsi. Non aveva dormito, ma non era stanca. Prese un paio di quelle pillole che l’aiutavano ad aumentare i livelli di endorfine, quelle stesse che Castle aveva preso in mano e guardato male. Ne aveva bisogno. Cominciò a prepararsi quasi freneticamente. Un paio di jeans, un maglioncino nero a collo alto, qualcosa di semplice, per cancellare dalla sua mente e da quella di Castle l’immagine di lei della sera prima.

 

- Ehy, sono io, scendi? - Castle le aveva appena citofonato e fu presa in contropiede da quella sua richiesta.

- Cosa? Perché? No, dai, sali tu…

- No, Beckett, andiamo. Andiamo a farci un giro.

Ecco il suo primo momento di crisi. Uscire, farsi un giro… con lui? Perché? Non potevano semplicemente stare a casa, tra di loro, parlare… senza estranei, senza chiasso, senza confusione.

- Allora Beckett? Scendi? - Chiese ancora impaziente e dopo un paio di minuti lei era avvolta nel suo cappotto nero con una sciarpa colorata, la prima che aveva trovato presa all’improvviso, che aveva girato due volte intorno al collo.

- Dove andiamo? - Gli chiese quando lo vide chiudere l’auto e invitarla a proseguire a piedi.

- Innanzi tutto a mangiare qualcosa, che ne dici? Anzi, non mi dire nulla, perché so che mi diresti di no!

Camminarono vicini, senza sfiorarsi, ma tenendosi sempre a quella giusta distanza per non essere lontani. Si percepivano nello spazio. Camminarono per qualche isolato, passando davanti a più di qualche locale che però sembrava non incontrare le preferenze di Castle.

- Hai qualche idea di dove stiamo andando? - Gli chiese incuriosita.

- No, cercavo un posto giusto, hai qualche suggerimento?

- Cosa intendi per giusto, Castle?

- Non lo so, giusto. Lo senti quando un posto è quello giusto.

Beckett non osò contraddirlo. Si ritrovò a sorridere senza farci caso ed era una piacevole riscoperta. Alla fine il posto giusto era stata una caffetteria dove ordinarono due enormi sandwich pieni di tutto. Non sapeva se fosse perché aveva molta fame, se perché quel locale aveva veramente qualcosa di speciale, ma Kate pensò che fossero i più buoni mai mangiati, o forse era solo la presenza di Rick ad aver risvegliato i suoi sensi intorpiditi. Quel posto, in ogni caso, le piaceva molto con il suo ambiente informale ma curato, i giovani camerieri con il sorriso sulle labbra e quei piatti semplici ma curati. Era accogliente senza essere troppo pesante, luminoso e fresco, aveva sorriso ancora, osservando la piantina sul tavolo, non un fiore come usava di solito, ma un’erba aromatica e guardandosi intorno vide che ce ne erano diverse sui vari tavoli. Quella sul loro tavolo era del cerfoglio, non l’aveva riconosciuta, aveva solo letto la scheda che si trovava sul vaso che ne raccomandava l’uso sulle uova e nelle zuppe. Quando ritenne di saperne abbastanza spostò di nuovo la sua attenzione su Castle che, invece, non aveva mai smesso di guardarla.

- Pentita di essere uscita? - Le chiese sapendo già la risposta.

- No, anzi… è piacevole. - Ammise Kate e Castle si mostrò compiaciuto.

Si lasciò convincere da lui ad ordinare anche un dolce anche se era già sazia, ma le piaceva l’idea di prolungare la loro permanenza lì e di bere un caffè insieme. Nell’attesa, Rick ne approfittò per andare in bagno, lasciandola sola al tavolo. Lo seguì con lo sguardo fino a quando non svoltò in un’altra sala, seguendo le indicazioni di un sorridente ragazzo. Approfittò di quei minuti, pochi sperava, di solitudine per guardarsi intorno: gruppi di amici sorridenti, qualche coppia innamorata, lavoratori che mangiavano frettolosamente controllando di continuo i loro smartphone, la vita di tutti i giorni di New York e continuando la sua perlustrazione silenziosa, posò gli occhi su una famiglia su un tavolo nell’angolo alla sua destra, dove una mamma ed un papà cercavano senza troppi risultati di far mangiare qualche intruglio ad un bambino molto piccolo imprigionato in un seggiolone di legno, più interessato a sporgersi per catturare la loro piantina nel vaso. La serenità ed il benessere accumulati fino a quel momento defluirono via di colpo, lasciando di nuovo spazio alla sua cupa tristezza. Quel locale ora non sembrava nemmeno più così luminoso e accogliente e l’allegro vociare stava diventando un rumore impossibile da sopportare, così come i gridolini del bimbo che sembrano il rumore che la sua mente sceglieva di isolare dal resto portandolo in primo piano. Li fissava, forse l’avrebbero presa anche per una maniaca o qualcosa del genere e non si accorse nemmeno che Castle nel frattempo era tornato.

Lui seguì il suo sguardo e non ci mise molto per capire cosa la stava turbando. Lo capiva dalla sua espressione improvvisamente mutata. Poggiò una mano sulla sua, abbandonata sul tavolo e lei sembrò ridestarsi. La coppia di genitori, probabilmente sentendosi osservata, guardò verso di loro e Castle li salutò con un sorriso, mentre Kate abbassò lo sguardo concentrandosi sulla tovaglietta di carta che si accorse solo in quel momento essere in realtà la base di un campo per giocare a battaglia navale, così come quella di Rick. Fosse stato mesi prima gli avrebbe chiesto di giocare, anzi no, lo avrebbe fatto lui appena entrati, probabilmente come prima cosa. Mesi prima, però, non sarebbero mai usciti insieme, solo loro due, a meno che non fossero rimasti fino a tardi al distretto ed avessero deciso di mangiare qualcosa di veloce insieme, ma solo per farsi compagnia. Si rese conto di quante cose erano cambiate, velocemente, più volte. Di quanto tempo sprecato, prima, a fare finta di nulla. Ora tutto quello che sembrava avere era godersi il contatto con la sua mano e quello che sperava volesse dire, anche per lui. Il pollice che le accarezzava il dorso era un dolce palliativo e provò a concentrarsi su quello, chiudendo per qualche istante gli occhi, riaprendoli solo quando lui la lasciò e si sentì di nuovo inghiottita da qualcosa di doloroso, come ogni strappo, anche se minimo. Si accorse che lo aveva fatto perché il cameriere aveva appena portato il loro caffè e poco dopo un altro arrivò con le loro fette di torta al cioccolato su una delle quali svettava una candelina accesa. Castle sorrise soddisfatto nel vedere il volto stupito di Beckett mentre il cameriere le faceva gli auguri porgendole il suo dessert.

- Veramente pensavi che mi fossi dimenticato che oggi è il tuo compleanno, detective?

- In compenso ti sei dimenticato che non sono più detective.

- Vero, è difficile abituarmi. - Ammise Rick.

- Non credo ci sia molto da festeggiare - Sospirò Kate osservando la fiamma viva della candelina.

- Dipende dai punti di vista. Potresti festeggiare che sei sopravvissuta ad un attentato, che siamo qui a mangiare insieme, che hai deciso di uscire di casa e provare ad avere di nuovo una vita normale, che visto che ti sei dimessa nessuno ti telefonerà per un omicidio interrompendo la nostra giornata, che abbiamo trovato un posto carino che non conoscevamo per venire a mangiare altre volte… - Cominciò ad elencare Rick uno dopo l’altro contando con le dita senza fare caso che aveva cominciato a parlare al plurale.

- Cosa stai cercando di dirmi Castle, che anche nei giorni peggiori c’è sempre un motivo per essere felici?

- Più o meno, qualcosa di simile… Dai, esprimi un desiderio e soffia sulla candelina.

Ne avrebbe avuti a decina di desideri da esprime, ma c’era uno, più grande di tutti, che conservava nel suo cuore. Si lasciò contagiare per un attimo dall’ottimismo di Castle, chiuse gli occhi e spense la sua candelina prima che la cera colasse oltremodo sulla torta.

   
 
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