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Autore: _Charlie_    02/05/2017    1 recensioni
Il pericolo incombe.
Le streghe della Congrega si preparano a fare ritorno.

Arya Mason è una ragazza di sedici anni che vive a Rozendhel, Virginia. Ha lunghi capelli color rosso ciliegia, occhi verdissimi, e un passato da dimenticare. Una Visione, una Chiave ed un Portale segneranno l'inizio di una guerra da cui non potrà tirarsi indietro.

Ma quali sono le schiere del Bene? Innanzitutto, esistono davvero?
Genere: Azione, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 37:

 

Lì, dove gli occhi non possono vedere

 

L'estate si trovava nel pieno del suo splendore, quando Arya venne convocata nuovamente nell'ufficio di Rhona. I preparativi per il viaggio erano stati ultimati, la lista della compagnia affidata ad un certo Haramir – eletto comandante, gli occhi piccoli e le fattezze di un colosso.
Inutile sprecar fiato sulla maniera in cui reagì la ragazza alla vista di quei nomi; ne conosceva giusto uno, ed era quello di Beckah. Tutti gli altri, quattro per l'esattezza, non le suggerivano alcunché.
Si alzò un polverone di proteste.
« Io ti avevo chiesto esplicitamente di inserire la mia Congrega! Non voglio andare in Irlanda con questa gente! »
« Per “Congrega” intendi il tuo gruppetto di amici? » Ribatté Rhona, le braccia incrociate dinanzi al petto: « non posso permettere a nessun umano o demone di seguirti. Il nascondiglio di Zehelena potrebbe risultargli fatale ».
In effetti, quella era un'eventualità che proprio non aveva calcolato. Se le Scogliere di Moher fossero state sotto l'influsso di un qualsiasi maleficio, ella non li avrebbe potuti proteggere; la magia della sua antenata, era risaputo, non conosceva limiti.
Il colloquio durò una decina di minuti, nella quale Rhona s'impegnò nel chiarirle ogni aspetto della missione – primo, l'autorevolezza del comandante non sarebbe mai dovuta essere messa in dubbio; secondo, le regole andavano rispettate; e terzo, non le era consentito distanziarsi troppo dalla base. Arya corrugò la fronte, scegliendo di ignorarla. Tutte quelle raccomandazioni, ne era convinta, le avrebbero soltanto ingarbugliato la mente ed il lavoro. Dunque, fece ritorno nella sua camera e recuperò un borsone da un armadio. Non sapeva a chi appartenesse e per quale motivo l'avessero lasciato lì; fatto sta che le risultò molto utile. Inserì all'interno la divisa che le aveva preparato Melchiorre ed un paio di biancheria intima pulita, poi le sue mani tardarono sulla fodera di entrambi i grimori. Conveniva lasciarli al Rifugio, per paura di fracassarli, o avrebbe dovuto portarli con sé?
Rifletté in silenzio, li raccolse dal comodino e li infilò dentro – pentendosi un istante più tardi a causa della loro mole.
Toc-toc.
« Avanti » disse, indaffarata: « è aperto! »
Nonostante si trovasse di spalle alla porta, riuscì ad intuire subito chi fosse entrato. Aveva il passo pesante, inconfondibile, e l'odore di chi aveva trascorso l'intera mattinata nei boschi.
Deglutì, nervosa. Erano giorni che non s'incontravano.
« Ciao » la salutò Darren, serio.
« Ehilà! » Sorrise la ragazza, frustando l'aria con i suoi lunghi capelli rossi: « come stai? »
« Bene. Sono appena tornato da una passeggiata » rispose lui – aveva la fronte imperlata di sudore e i capelli arruffati. « Mi è stato riferito che domattina partirai per l'Irlanda. Ti senti pronta? »
« Non proprio » Arya fece spallucce: « ma sai com'è, no? Dobbiamo sottostare per forza a tutto ciò che ci capita! »
« Io ti accompagnerei volentieri, ma Rhona me l'ha letteralmente proibito ».
« Lo so, tranquillo. Pensa che Zehelena abbia installato delle trappole per non farsi raggiungere dai demoni e dagli umani ».
« Oh, ecco! » Esclamò Darren, sorpreso: « ora si spiega tutto ».
Arya annuì e chiuse la cerniera dello zaino. Sotto al naso aveva un fetore così sgradevole che per poco non si sarebbe catapultata nella doccia a lavarsi con un intero flacone di bagnoschiuma. Era impossibile da descrivere, come se provenisse dalle sue stesse viscere, le inquinasse le vene e le giovani carni. Respirò. Non era una puzza qualsiasi quella, ma il marciume dei suoi sensi di colpa.
« Sono gli abiti che ti hanno fatto recapitare Cynthia e Mariah? » Riprese Darren, impacciato come al solito: « ti stanno davvero bene! »
« Cosa? Ah... sì! » Arya prese a tormentarsi il labbro – con quella lunghissima gonna a vita alta ed i capelli mossi, dimostrava molti più anni di quanti ne avesse in realtà. « Non so in che modo ci siano riuscite, ma hanno persino azzeccato le taglie ».
« Un colpo di fortuna, insomma! »
« Già ».
Calò una quiete satura di parole e segreti non detti.
Si guardavano come due estranei in un parco, o in un vagone della metropolitana – chiedendosi chi avrebbe abbassato lo sguardo per primo. Le labbra di Darren allora assunsero una strana piega. Arya capì il contenuto della sua prossima frase e scelse di precederlo: « noi due ci siamo mai amati, Darren? »
« Come? » Disse lui, le sopracciglia aggrottate: « che razza di domanda è? »
« In fin dei conti, siamo stati insieme pochissimo » continuò la ragazza: « e poi sono successe tante di quelle cose che nemmeno ricordo se abbiamo avuto il tempo di amarci ».
« Io ti ho amato e continuo a farlo ogni giorno ».
Il tanfo si fece più intenso e Arya dovette lottare contro se stessa per non dar di stomaco. Scosse le mani a mo' di ventaglio, il respiro irregolare.
« Arya » iniziò Darren, avvicinandosi di un passo: « c'è qualcosa che non va? »
« No » mentì lei, pallida: « è solo che... non voglio illuderti e non voglio nemmeno ferire i tuoi sentimenti. Sono troppo stupida e ancora troppo immatura per abbracciare una relazione come quella che sogni tu ».
« E allora? Che vuoi dire? »
« Che devi dimenticarmi, Darren! » Esclamò Arya, le lacrime agli occhi: « va' e vivi la tua vita!Presto o tardi, ne sono sicura, troverai la tua anima gemella. Io non ti merito ».
Il viso del ragazzo si tinse di rosso, la mascella contratta. Era sempre stato un tipo che non demordeva facilmente; non se ne sarebbe andato finché le sue orecchie non avrebbero udito la vera ragione del discorso.
Arya scoppiò a piangere, le mani tremanti: « mi dispiace... ho cercato in tutti i modi di negare l'evidenza, ma adesso non ce la faccio più. Credo di provare qualcosa per Nathaniel. L'altra sera, sono andata a trovarlo in infermeria e... ci siamo baciati ».
Indifferenza. Pura, banale apatia.
Questa fu la reazione di Darren, che rimase nel centro esatto della stanza – freddo e impassibile.
L'aveva già previsto? Se lo aspettava? Probabilmente no. Era solo bravo a camuffare il turbinio di emozioni che, in verità, nel profondo, lo stava trascinando a terra.
Rapito dalla delusione, convertì la pena in una tacita collera. Arya glielo permise, impotente.
« Di' qualcosa » singhiozzò come una miserabile: « per favore ».
Troppo tardi. Quando egli avanzò sino all'uscita, non la degnò di alcun cenno o saluto.
Strinse il pomello in un pugno e sparì oltre la soglia – il passo tenue.
« Ti prego » sussurrò lei alle pareti: « ti prego... ».
Si rannicchiò sulle lenzuola e prese a bagnarle tutte. Sebbene fosse pomeriggio e la luce filtrasse ancora dalla vetrata, non poté sottrarsi all'infido abbraccio delle ombre. Restò in quella posizione persino quando Quinn e Beckah salirono dalle celle di allenamento. Non se la sentiva proprio di illustrar loro la faccenda, di farsi etichettare come la sgualdrina del villaggio. Non quella sera.
L'unico sistema per evitare le domande era mettersi a dormire; perciò lo fece.
Quando riaprì gli occhi, il cielo stava bruciando ad Oriente. Era il momento di avviarsi.
« Arya? » La chiamò Beckah, già in piedi e con indosso la divisa da combattimento: « tutto okay? Non hai una bella cera ».
E chi mai avrebbe potuto averla dopo un simile caos?
« Non ti preoccupare » mentì lei: « sto bene ».
S'inoltrarono nel tunnel di pietra verso le otto – le labbra serrate, ma lo stomaco rumoroso e in cerca di cibo. Arya si pentì di aver saltato sia la cena che la colazione. Forse, avrebbe dovuto badare di più al discorso di Rhona e annotarsi i momenti in cui le era consentita una pausa. A parte quello, poi, ignorava persino il mezzo col quale avrebbero raggiunto le Scogliere. Le piume di Bartek? Il teletrasporto? Assolutamente no! E lo scoprì in un attimo. Si spinsero oltre la botola, in un trionfo di polvere e foglie danzanti. Ad attenderle sulla collina c'erano Rhona, Haramir, gli altri partecipanti alla missione e... Cassandra.
Arya inarcò le sopracciglia. In alto, avvolto tra le soffici nuvole bianche, si trovava un poderoso veliero – l'albero di bompresso era istallato a prua e dava l'impressione di bucare l'etere, il ponte di coperta era invece realizzato in legno di ciliegio, mentre il cassero di poppa si presentava ornato di opali e statue di sirene. Le vele erano nere ed incutevano terrore. Quando Arya notò lo stemma che si agitava su di esse, percepì un brivido percorrerle la schiena: erano le sue stesse fiamme, il Fuoco Aureo.
« Buongiorno, ragazze » le accolse Rhona, eccitata: « vi stavamo aspettando! Conoscete già Haramir, no? Il capitano? »
Haramir chinò il volto in un saluto: aveva la barba increspata che gli si confondeva con i capelli, troppo lunghi e mal curati. Era un tipo taciturno, ex-stregone dell'Impurità, abituato a solcare i cieli per mezzo del suo magico (e rapidissimo) galeone.
« Lei che ci fa qui? » Tagliò corto Arya, riferendosi alla figura di Cassandra: « non mi pare d'aver letto il suo nome nella lista ».
« Dustin Evans si è sentito poco bene e ha preferito non partecipare » rispose Rhona: « quindi, ho riflettuto sulla tua richiesta e ho deciso di inserirla. Legittimo, no? »
Arya e Beckah si scambiarono un'occhiata eloquente: era una presa in giro, o cosa?
Gli altri tre rispondevano ai nomi di Aaron, Soara e Jaadir. Il primo era un ometto debole, senza personalità, che viveva nell'ombra di Haramir – annuiva ad ogni suo ordine, cucinava e gli forniva i pasti direttamente da quelle sue grosse pentole fumanti. Arya si rese conto che non avesse alcuna importanza nella missione, se non quella di servire e riverire il capitano.
Soara, invece, era una ragazzina di circa sedici anni – dalla carnagione scura, i capelli come zucchero filato nero, il naso pronunciato e gli occhi di carbone. Portava indosso una collana di zanne di tigre, un abitino giallastro e, quando se ne ricordava, anche un paio di vecchi sandali più grandi di due taglie.
Beckah le strinse una mano, diffidente: « curioso come il tuo aspetto mi ricordi una persona, una mia vecchia compagna ».
« Davvero? » Esordì lei: « mi fa piacere! »
« Be', a me non troppo ».
L'ultimo della lista, Jaadir, nativo di Dubai, si presentò loro come un uomo gentile e disponibile al dialogo – nonostante il suo inglese fosse piuttosto contenuto. Indossava sempre una kandura bianca, lunga fino alle caviglie, ed un velo, realizzato in cotone, che gli avvolgeva tutta la testa. La sua Arte era considerata una delle più rare in circolazione; i suoi occhi, tingendosi di viola, potevano imprigionare il nemico all'interno di un mondo illusorio, fargli perdere il senno e, lentamente, ucciderlo.
« Avanti! Non perdiamo altro tempo! » Esclamò Haramir d'improvviso: « vedete quelle funi che penzolano dall'alto? Vi aiuteranno a raggiungere il galeone. È severamente proibito l'utilizzo di un qualsiasi incantesimo. Chi disubbidisce, finirà in una cella! Chiaro? »
Arya credette di essere tornata al liceo, alla lezione di ginnastica. Benché non fosse mai stata un asso in quegli esercizi, tacque le proteste e si fece forza. Il capitano gradì il gesto, ma non l'abbondante quarto d'ora che vi impiegò. All'arrivo, aveva il respiro affannoso e i palmi bruciati.

« E tu vorresti prendere in mano le redini della Congrega? » Cassandra, che era già salita da un pezzo, schioccò le labbra: « torna a giocare con le bambole ».
In men che non si dica, il galeone prese a solcare il cielo chiaro del mattino – la figura di Rhona divenne microscopica, i ruderi pietre insignificanti ed il bosco assunse le sembianze di un dipinto, confuso e dalle pennellate veloci, imprecise.
Arya vide lo scudo dell'invisibilità calarsi dall'albero maestro e chiudersi sulla chiglia – per quale motivo avevano preferito quel mezzo rispetto al teletrasporto? Non ne avevano calcolato le tempistiche? Gli sprechi di vivande e altre materie necessarie per il buon funzionamento del Rifugio? Haramir sembrò leggerle nella mente quando le si avvicinò sulla prua e le riferì in dettaglio ogni rischio che avrebbe potuto comportare un'azione simile, verso una meta totalmente ignota. Avrebbero persino potuto rischiare di spezzarsi, di finire con le braccia lì ed il busto altrove.
Arya immaginò la scena e scosse il capo.
Il vento rombava furiosamente, scuotendo le vele e dando vita alle fiamme.
Se ci si sporgeva dalle assi di legno, inoltre, si era in grado di studiare il territorio di sotto – il quale, in perenne mutamento, alternava schiere di edifici colorati, boschi e paesini di campagna.
Beckah domandò ad alta voce a che razza di velocità stessero procedendo, ma nessuno seppe darle una risposta.
« Guardate! Guardate! » Annunciò Aaron, un pelapatate tra le mani: « sirene! »
Si trovavano in procinto di attraversare una perfetta galleria di nubi, scure e cariche di pioggia, quando una creatura sfilò dinanzi al veliero: era una donna dalla carnagione pallida, i capelli corvini, lo sguardo ammaliante ed il seno pronunciato, libero. L'addome le terminava lì dove partivano le scaglie – verdi, grinzose, ma assai fluenti. Non parlava la loro lingua, ma li salutò con un inchino.
« Sirene? » Ripeté Beckah: « ma non dovrebbero stare nelle profondità degli oceani? »
Haramir scoppiò a ridere, fragoroso: « è una sirena dell'aria! Ma dove hai vissuto fino ad ora? »
« E sono pericolose? » Chiese la giovane Mason.
« Alcune volte, sì! Quando si accorgono della bellezza di un marinaio, gli saltano addosso, lo corteggiano e poi se lo divorano ».
Jaadir, ironico, fletté le gambe e ringraziò il suo Dio di avergli donato la bruttezza. Tutti risero.
« Comandante! » Esclamò Cassandra, affacciandosi da una botola nel pavimento: « comandante, mi ascolti! »
« Cosa c'è ancora? » Rispose Haramir: « sali su! »
Per via del suo abito, la strega fece fatica ad attraversare il buco e tornare in coperta. Mascherò quello che ad Arya parve imbarazzo, si stiracchiò il tessuto e avanzò.
« Cosa devi dirmi? »
« Ero giù a controllare le riserve, quando l'ho visto » iniziò Cassandra: « c'è un intruso a bordo ».
« Fesserie! Le ombre ti avranno ingannata » tagliò corto Haramir: « impossibile, ti dico! »
« Davvero? » Riprese lei, le braccia conserte: « e allora vada a controllare Lei stesso! L'ho immobilizzato, non può andare da nessuna parte ».
Dapprima Arya vide il capitano indugiare, poi scattò come una molla e si calò giù.
Un intruso a bordo? Com'era stato possibile?
L'allarme divorò i presenti – in special modo Aaron che tornò a pelare patate sulla prua col volto cereo.
Quando Haramir fece ritorno, teneva stretta una vecchia corda tra le dita; l'espressione indecifrabile.
« Forza! » Gridò, cattivo: « sali! »
Tirò con violenza, come un allevatore farebbe con una bestia da macello, ed attese. Dall'oscurità quindi emerse la figura di un uomo che Arya conosceva bene. Era alto, forte e con una tunica nera indosso. Sul viso magro, deturpato da una terribile ustione, brillavano due fulgide ametiste incastonate tra le rughe. Cadde a terra, divertito.
« Che cosa ci fai qui? » Arya lottò contro l'istinto di prenderlo a calci.
« Sorpresa! » Esclamò Markos, la corda stretta al collo: « come sta? »
« Non fare l'idiota e spiegami subito che cosa ci fai qui! »
La compagnia restò a guardarli, chiedendosi che tipo di rapporto avessero.
Arya li ignorò e lo stesso fece l'uomo.
« Volevo partecipare alla missione » iniziò lui: « perché si agita tanto? »
« Perché il tuo nome non era nella lista! Doveva trattarsi di una missione segreta! »
« Vuoi che lo faccia rinchiudere? » Le chiese il capitano.
Arya annuì: « ma prima voglio sapere il motivo per il quale sei venuto ».
Markos sorrise ancora una volta: « gliel'ho detto! Volevo partecipare alla missione, conoscere la celebre Zehelena. Tutto qui! »
« Continui a raccontare menzogne. Sbattetelo subito in cella! Al ritorno, Rhona dovrà esserne informata ».
Così l'uomo venne condotto lontano dalla riserve di cibo – dove era stato trovato da Cassandra – e spinto sottocoperta, nella più misera delle prigioni. Dalla prima volta in cui Arya lo aveva incontrato alla Muraglia del Drago, non aveva potuto fare a meno di reputarlo una sorta di maniaco. Era certa che nascondesse qualcosa e, presto o tardi, l'avrebbe costretto a parlare.
Come un lenzuolo nero bucherellato qua e là da piccoli puntini bianchi, il firmamento diede il suo arrivederci al giorno. L'ambiente sulla nave era terribilmente umido, gelido. Persino nelle camere in cui avrebbero dovuto trascorrere la notte si respirava muffa e polvere. Beckah, poco prima di addormentarsi, pregò affinché si risvegliasse con i polmoni ancora integri. Arya sorrise, augurandoglielo.
La loro stanza era piccola, dotata esclusivamente di un paio di letti, un armadio ed una vecchia toeletta. Le ragnatele e tutto quel sudiciume che trionfava sullo specchio, occultarono la sua immagine mentre si accingeva a pettinarsi i capelli con il pigiama di flanella indosso. Al loro risveglio, si sarebbero trovate nel Continente Europeo.
Quindi trascorse la notte, senza alcun guaio; ma che razza di ore fossero e quanto avessero riposato quando il galeone attraccò sulle Scogliere, Arya lo ignorava. Dalla luce che filtrava attraverso il vetro delle finestre, non poté intuire alcunché.
Varcò la soglia della stanza e raggiunse il timone, dove si trovava anche Jaadir che le fece cenno di osservare il panorama.
Le Scogliere di Moher si stendevano fino alle foschie dell'orizzonte. Una terra tanto quieta, quanto misteriosa. Il prato era verdissimo, punteggiato di piccoli granelli di sabbia nera, mentre il vento scorreva libero e sovrano.
Le onde dell'oceano s'infrangevano imperterrite contro la superficie frastagliata delle mura di pietra, come anime dell'Inferno che tentano invano di raggiungere la salvezza.
Arya ne contemplò la meraviglia e la desolazione. Era un luogo antico, familiare alla magia.
La luce del sole non era però in grado di oltrepassare quell'immenso velo grigiastro che si stagliava sopra le loro teste, rendendo ogni elemento complice della nebbia e del vuoto.
« È bellissimo, vero? » Soara spuntò dal nulla, le pieghe del letto ancora impresse sulle guance: « dove pensate che si trovi Zehelena? »
Arya fece spallucce: « non lo so! »
Benché fosse Luglio inoltrato, il clima si mostrò loro piuttosto rigido; prima di calarsi dalla nave, quindi, Arya si mise indosso l'uniforme ed una cappa di pelo nero.
Quando i suoi anfibi schiacciarono finalmente il territorio, le parve di essere piombata in un ennesimo sogno. No... adesso era tutto reale; si trovava lì, dove Zehelena aveva congedato Hazelle per l'ultima volta e dove la magia aveva intrapreso un nuovo cammino.
Inspirò profondamente, aspettando che tutti gli altri scendessero – utilizzando le funi, inutile dirlo.
Con sua grande e sgradevole sorpresa, notò che Haramir aveva preferito trascinarsi dietro anche Markos.
« Non potevamo lasciarlo sulla nave! » Le disse in un orecchio: « potrebbe essere un ladro! »
« D'accordo, ma te ne occuperai tu ».
Si misero in marcia: il comandante ed Arya in testa, seguiti da Markos, Cassandra, Beckah, Soara e Jaadir. L'unico che non partecipò alla missione fu Aaron, che rimase in cucina a preparare uno stufato di maiale. « Vi aspetto qui! » Aveva esclamato, fin troppo allegro: « con i miei manicaretti! La mia Arte è questa, no? »
Camminarono a zonzo per decine e decine di minuti, senza che il paesaggio cambiasse mai di una virgola. Ovunque si posasse l'occhio, c'era erba e abbandono. Il vento lottava contro le loro figure, come se li reputasse ospiti malaccetti, e sussurrava parole incomprensibili – parole che Arya non riuscì subito ad intendere.
La pazienza, non solo quella di Cassandra, vacillò all'ottavo giro di perlustrazione: Soara, proprio come avrebbe fatto anche Taissa, fece finta di ronfare e, divertita dal gesto, scoppiò a ridere da sola in maniera tutt'altro che femminile. Beckah non poté evitare di rimbeccarla, tornando indietro nel tempo.
« Arya? » Il capitano la prese in disparte: « non possiamo proseguire così ».
« Lo so. Ma che facciamo? » Rispose lei, una mano tra i capelli.
« Prova a concentrarti. Chiudi gli occhi e vedi cosa succede » egli continuò, alzando le spalle: « alla fine, è stata Zehelena a condurci qui... ti indicherà lei la via ».
Arya annuì, poco convinta. Non sapeva il motivo per il quale il suo cuore fosse tanto agitato. Era per la presenza di Markos? Di Cassandra? L'idea di dover incontrare una sua antenata, lo spirito di una strega tanto celebre? Deglutì, serrando le palpebre.
Il vento, quindi, tornò a farneticare nella sua mente con sibili sconosciuti, pronunciati in una lingua arcaica.
Un lampo si accese nell'oscurità. Un'immagine. Figure di colossi di pietra. L'oceano.
Corrugò la fronte, il polso accelerato.
Vieni.
« Arya? » Si sentì chiamare: « Arya? Tutto a posto? »
Riaprì gli occhi, come se fosse stato un gesto che non compiva da anni, ed esclamò euforica: « Zehelena sta continuando a parlarmi! È vero! »
« Cosa? » Le domandò Beckah: « hai capito dove dobbiamo andare? »
Arya annuì e prese a rincorrere l'orizzonte; quando arrivarono dinanzi ad un dirupo, Haramir l'afferrò per un braccio – credendo che si volesse lanciare tra le onde.
« È qui sotto! » Tornò a dire lei: « c'è un'entrata segreta all'interno della roccia! »
« Come ci arriviamo? » Ribatté Cassandra, scettica.
« Volando! » Esclamò Markos: « ci lanceremo nel vuoto e andremo a toccare la pietra! Più semplice farlo che dirlo ».
Arya non l'avrebbe ammesso neppure a se stessa, però la ritenne un'ottima idea. Dunque, recuperò dal suo borsello una manciata di piume di corvo e le consegnò ai presenti.
« Questa è una cosa che non si potrebbe fare, sai? » La rimproverò Cassandra: « ogni Congrega dovrebbe scoprire da sola il modo in cui le è più facile volare».
« Sì, ma lo Scisma ormai si è infranto! » Esclamò Jaadir, pacato: « abbiamo molte più libertà, adesso ».
« Certo, come volete! »
Le ali apparvero sul dorso di tutti – nere, pesanti, lunghe e caldissime.
Haramir, sebbene fosse un uomo di eccezionale forza fisica, soffrì lo stesso dolore che Arya ebbe la prima volta. Si mise in ginocchio e sputò una bestemmia.
L'unico che non batté ciglio fu Markos. Era probabile che l'incidente che gli aveva rovinato la faccia l'avesse abituato a delle cose simili.
Infine abbandonarono la terra e si tuffarono verso il blu, sfiorando le mura di roccia. Erano così alte e così sconfinate che Arya non seppe proprio dove mettere il naso.
Ne toccò ogni singolo centimetro, mantenendosi stabile tra le nubi e le onde. Realizzò poi che si trattava di un'impresa indicibile, che non le avrebbe offerto alcun esito.
« Prova a rimetterti in contatto con lei, no? » Le suggerì Markos.
« Ti stai prendendo troppe libertà. Lasciami in pace ».
Però anche quella le parve un'idea eccellente, quindi chiuse gli occhi e si lasciò guidare da Zehelena.
Le dita, tremanti, presero a cercare chissà cosa e la costrinsero a muoversi di qualche altro metro. Si fermarono soltanto quando tutta la compagnia spuntò dinanzi ad una parete buia. Al loro primo tocco, la pietra tuonò e prese vita. « Chi osa intrufolarsi nelle rovine di Meeragonthur? » Essa si sgranchì le braccia possenti, tirò fuori la testa – coronata di radici – e accese i suoi grandi occhi verdi, tondi e minacciosi. Non aveva gambe, terminava nella scogliera stessa, ed i movimenti del suo corpo erano piuttosto limitati. Provò immediatamente ad annientare gli intrusi, spremendoli nel palmo sinistro, ma si placò quando Arya aprì bocca.
« Fermati! Fermati! Non siamo tuoi nemici! »
« Ah, no? E chi sareste, ordunque? » Rispose il titano.
« Guardami » gli sussurrò Arya: « osserva il mio aspetto ».
Le onde dell'oceano imperversavano contro la sua figura, ma non gli procurarono alcun fastidio. Inarcò quella che doveva essere la fronte e prese ad agitare le braccia, attento. « Oh, che sciagura... » sibilò, accostando la mano sotto i piedi della ragazza: « la prigioniera... è stata lei a chiamarti, non è vero? »
Arya percepì il terreno e serrò le ali: « sì, è stata lei ».
« E ne conosci la ragione? »
« No, non ne so nulla ».
Da quella posizione, ella poté carpire ogni segreto del suo viso: era colmo di muschio, fradicio e attraversato da profonde venature nere. Ogni tanto capitava che vi si staccassero dei ciottoli, ai quali dovette prestare attenzione prima che le sfondassero il cranio.
« Arya » la chiamò Beckah, a debita distanza: « torna qui. Può essere pericoloso ».
« No! Lasciala fare » l'ammonì Haramir: « è l'unico modo per arrivare da Zehelena ».
Il titano, con estrema disinvoltura, finse di non averli uditi: « io e mio fratello siamo i Guardiani di questa prigione – si concesse una pausa e indicò a destra, dove la barriera presentava i suoi stessi tratti, ma non era uscita allo scoperto – potremmo anche farvi entrare, prenderci la responsabilità di codesta azione...»
Arya strinse i denti, preparandosi al peggio. Nella mente le vorticavano troppi pensieri, ingarbugliandosi l'uno con l'altro e rendendo la confusione una degna regina. Di che posto si trattava? Perché Zehelena era definita come “la prigioniera”?
« Tuttavia, l'ingresso è consentito una sola volta » proseguì, calmo: « entrate, uscite, e poi scordatevi di questo infausto luogo. Non provate a tornare, o sarà peggio per voi ».
« Ce lo consenti solo perché sono identica a lei, non è vero? » Precisò la ragazza.
« Esatto, mia giovane amica » il titano annuì: « è tempo che tu scopra la verità, le tue origini ed il tuo destino. Spero che tu riesca a starvi di fronte. Hai il mio sostegno ».
Quindi allargò la bocca – una galleria umida e nera come la pece. Le scogliere, tutt'intorno, tremarono come se vittime del più devastante dei terremoti. Arya si avvicinò, incuriosita. Laggiù, verso la fine, brillava una stella.
« Cioè, mi state dicendo che dovremmo entrare nella sua bocca? » Domandò Cassandra, riluttante.
« Proprio così » rispose Markos: « andiamo? »
Volarono sopra la lingua del gigante, attorniati da grosse pietre calcaree e fasciati in una nebbia di sgradevoli odori. A mano a mano che si avvicinavano alla stella, essa cambiava le sue forme – era un varco, l'unico mezzo in grado di congiungere il mondo degli umani a quello di Zehelena.
« Bene » esclamò Haramir, attendendo che tutti ne fossero usciti: « siamo arrivati ».
Una città antica, consumata dall'inesorabile scorrere del tempo, diede loro il benvenuto.
Il sole, inspiegabilmente, batteva caldo sulle loro teste ed il vento era fresco, sereno.
Ovunque ci si voltasse, era possibile individuare le macerie di templi e colonne corinzie, mentre il terreno era percorso da stradine serpeggianti, disegnate nella polvere.
Arya si spogliò della cappa ed iniziò a notare il numero spropositato di pavoni famelici che vagava lì in giro. Che razza di posto era mai quello? Avanzarono tra i resti con cautela. I colori che risaltavano maggiormente erano il bianco delle costruzioni e il verde dell'edera che imballava ogni cosa.
I vicoli erano quieti, ambigui. Scoprirono un cavallo col muso chino intento a divorare un serpente, macchie di sangue sparse sulle pareti delle casupole ancora integre e un inquietante rumore di sonagli nascere da poco più giù.
Arya non sapeva cosa stessero provando i suoi compagni, ma la sua agitazione cresceva di minuto in minuto.
Proseguendo in un largo corridoio di pietra, in un'immensa foresta di colonne, Haramir le fece segno di osservare in alto: appollaiati sui capitelli, si trovavano uomini dalla carnagione bluastra, gli abiti neri e gli occhi rossi. Rabbrividì.
« Non mi piace » disse Cassandra: « chi sono questi tizi? »
« Non farti sentire » sussurrò il capitano: « è probabile che non abbiano mai visto gente come noi ».
Li superarono, mascherando il sospetto ed il timore. Adesso vagavano in un dedalo di palazzi, contrassegnati da volte policentriche e splendide decorazioni gotiche.
Il rumore dei sonagli s'intrecciò con quello dei loro passi. Arya deglutì, nervosa. Chi o cosa stesse provocando un tale baccano era assai vicino.
Anche Haramir sembrò coglierne la minaccia e pertanto trascinò la compagnia all'interno di un appartamento – privo di una qualsiasi porta ed effetti personali.
La musica aumentò, tintinnante, ed un sacro corteo di individui vestiti di arancione prese a sfilare nella strada. In testa vi era un anziano dalla carnagione scura, uno scettro nel pugno ed un mantello che fluttuava nell'aria, leggiadro.
« Io conosco quel tipo » rivelò Arya, le lacrime agli occhi: « era nella mia visione quando ho recuperato i Frammenti nella libreria del signor Hancock... »
« Ci troviamo nel posto giusto, allora » rispose Beckah: « dobbiamo seguirli! »
« Non sarà troppo rischioso? » Commentò Soara.
« Siamo venuti qui apposta » Jaadir sorrise: « dai, andiamo! »
Quindi si misero in marcia, in ritardo di qualche metro rispetto alla processione.
La fragranza mistica che si originava dallo scettro dell'anziano si propagò ovunque – purificando l'atmosfera. I monaci al suo seguito tacquero. Si erano accorti della presenza degli estranei? Li ignoravano volontariamente?
Arya si abituò così tanto al silenzio che per poco non cacciò un grido quando un volatile, in cielo, prese a gracchiare il suo lamento. Il cuore le finì in gola.
Giunsero nel centro della città – una piazza spoglia, con il pavimento intarsiato in marmo e percorso da una ragnatela di fratture. Non vi erano decorazioni ad abbellirla, ma soltanto una gradinata in laterizio con in cima uno scranno composto da ossa e teschi. Una coppia di obelischi, ai lati dell'entrata, accolse il corteo. Qui, il vecchio si scisse dalle altre figure, poggiò a terra il bastone e arretrò di un passo. Con il capo chino ed un rosario tra le mani, recitò una preghiera antica, ed i discepoli, autentici automi, lo imitarono.
Il canto echeggiò in eterno, in ogni angolo e valle, richiamando la pronta risposta di un ruggito che scosse la terra – lontano, pericoloso. Si zittirono, aspettando l'apparizione di una chissà quale divinità, poi, delusi, raccolsero il bastone e fecero per ripartire. Alla vista di Arya e degli altri, ancora in piedi tra le colonne, balzarono all'indietro coi volti macilenti marcati dalla sorpresa.
« Non vi preoccupate » provò Cassandra: « non vogliamo farvi del male ».
Benché si trattasse di una dichiarazione pacifica, essa non sortì alcun buon risultato.
I monaci tirarono fuori le lingue, sibilando come dei rettili e sguainando gli artigli e le zanne.
Arya percepì un brivido percorrerle la schiena ed il Fuoco Aureo avanzarle sino ai palmi delle mani.
Doveva ucciderli. Doveva difendersi.
« Fermatevi! » Esclamò qualcuno: « fermatevi, ho detto! Sono miei ospiti! »
L'anziano – l'unico che non aveva subito la trasformazione – tentennò per un istante, poi si avvicinò alle creature e le chiamò con durezza. Docili come animali da compagnia, queste ripresero il loro aspetto e fecero per andarsene, come se nulla fosse.
Arya non ricambiò affatto i loro ossequi, ma si trattenne ad analizzarli con incredulità fino a che non si dileguarono dalla piazza.
« Chi ha parlato? » Cominciò Haramir ad alta voce: « chi è stato a cacciare i monaci? »
La domanda si perse nel nulla, sfumando nel vento.
« Sei tu? » Insistette lui: « ti prego, Zehelena... mostrati a noi ».
Un silenzio carico di attesa tramontò sulle loro teste.
Arya deglutì, nervosa – il petto palpitante e le ginocchia deboli. Aveva la fronte imperlata di sudore, lo stomaco in subbuglio ed un formicolio crescente all'altezza degli zigomi. D'improvviso, sentì l'uniforme irritarle la pelle e gli scarponi si fecero scomodi. Si dovette imporre la calma. Qualcuno avrebbe potuto notare il suo disagio e reputarla una ragazzina.
Il vento frusciò sulla gradinata, caotico. La terra ed il cielo si arrestarono.
Il trono di ossa vibrò ed il sole, impotente, venne derubato della sua luce.
« Arriva » ripeté Markos, contento: « arriva! »
Un'esplosione di cenere argentea rivelò la figura esile di una donna, la cui bellezza era un dono privo di eguali. Aveva la carnagione color pesca, il volto fiero e le labbra sottili, rosse come una rosa. I suoi occhi erano in verità due pietre di smeraldo, tanto accese da offuscarne le pupille. Al contrario, i suoi capelli scorrevano come l'acqua lenta di un ruscello – spargendosi a terra, delicati.
L'unico ornamento che portava indosso era una corona di foglie bianche, con un ordinario abito di seta che le celava le caviglie.
Era una dea; il fiore più raro dell'estate.
« Benvenuti » esordì Zehelena: « vi stavo aspettando ».

 

 

 

 

 

 

  
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