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Autore: MaxB    03/05/2017    7 recensioni
Non avete mai pensato, giocando con un videogame, leggendo un libro o guardando un film: "Questi due mi ricordano tantissimo i protagonisti di ***"?
Ecco come nasce questa raccolta di crossover: una rivisitazione di storie che hanno per protagonisti personaggi che mi ricordano da matti Gajeel e Levy. Alcune sono semplici sostituzioni di persona con dettagli cambiati, altre saranno leggermente stravolte.
Le ambientazioni saranno le più disparate, ma avranno come unico filo conduttore l'amore dei nostri due meravigliosi Gajeel e Levy.
1. Il Trono di Spade
2. Mulan
3. Uncharted
4. Titanic (...meno terribilmente triste dell'originale... circa)
Genere: Fantasy, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil Redfox, Levy McGarden, Pantherlily
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note pre-lettura: adattamento del celebre cartone della Disney per un pubblico di lettori leggermente più maturo. La storia viene abbastanza stravolta, ma spero che questo cambiamento venga capito e apprezzato, e che vi aiuti ad amare ancora di più l'originale, che io adoro. Buona lettura^^


Mulan

Personaggi sostituiti
Li Shang: comandante Gajeel Redfox
Fa Mulan: Levy McGarden
Chi Fu (consigliere dell'imperatore, il tipo antipatico per intenderci): primo ufficiale Pantherlily
Chien Po, Ling e Yao: Droy, Jet e Ichiya


 
Levy si diresse verso la sua tenda storta sforzandosi di non zoppicare. L’allenamento di quel giorno era stato più duro del previsto e come al solito lei non aveva concluso nulla. L’unica cosa che aveva ottenuto erano botte e stiramenti di muscoli di cui non conosceva nemmeno l’esistenza.
Si trascinò all’interno della sua dimora di lusso e solo quando fu lontana da sguardi indiscreti si permise di crollare a terra, sull’erba soffice coperta da stuoie e dal sacco a pelo. Si raggomitolò su se stessa tenendosi con le mani la caviglia offesa e mormorando lamenti d’agonia.
Era piccola. Magra. Debole. Ed era una donna. Come poteva sperare di sopravvivere alla guerra se non era nemmeno in grado di portare a termine l’addestramento?
- Ev? – chiamò una voce profonda e baritonale, facendola sobbalzare.
Levy si affrettò a mettersi seduta e asciugarsi gli occhi, ringraziando i suoi antenati e gli dei per non essersi ancora sciolta i capelli. Uscì dalla tenda più in fretta che poté e sbatté contro il primo ufficiale, Pantherlily, un mastodontico guerriero dalla pelle scura e i modi spicci. Aveva una cicatrice all’occhio destro e persino i suoi peli dovevano essere muscolosi, a detta di Levy, ma non era cattivo. Massiccio, sì, più del comandante, ma non cattivo. Anzi, forse era la persona a cui si era affezionata di più, l’unico che le avesse mostrato un po’ di riguardo. O pietà.
Levy si affrettò a togliersi da lui, allontanandosi e mettendosi sull’attenti. Il primo ufficiale le lanciò un’occhiata stranita e poi le allungò una sacca di ghiaccio.
- Non sei passato in infermeria quindi ti abbiamo portato questo, per la caviglia – le spiegò, mentre lei annuiva mascolinamente e si rigirava il ghiaccio tra le mani.
Alle sue spalle notò il comandante, Gajeel, forte e agguerrito che metà bastava, incluso nell’”abbiamo” di Lily. Gajeel parlava solo per impartire ordini secchi o sbraitare rimproveri, ordinare allenamenti extra o insultare con ferocia.
Non era soddisfatto dei suoi guerrieri e non perdeva occasione di farlo sapere a tutti. A dire il vero, Levy era meravigliata che avesse deciso di andare fino alla sua tenda per lei, la più debole del gruppo, separata da tutte le altre tende per ovvi motivi noti solo a lei.
- Grazie – borbottò con la voce grossa che faceva quando impersonava Ev, il ragazzo che aveva preso il posto del padre nella recluta.
- Questa sera la cena è anticipata di un’ora – la informò Lily. – La mensa, quindi, apre tra cinque minuti.
- Grazie, primo ufficiale, ma non ho appetito questa s…
- Tra cinque minuti tu verrai in mensa, Ev, e mangerai una porzione abbondante di quella roba proteica che speriamo ti aiuti a mettere su massa. Sei uno stuzzicadenti e, a meno che tu non voglia essere usato come arma al posto di una spada, in guerra, faresti meglio a incrementare il tuo peso – la redarguì il comandante, perentorio e asciutto come solo un capo in grado di farsi rispettare sa essere.
Dopo tutte le botte prese quel giorno e l’allenamento ininterrotto, Levy sentì lo stomaco rimescolarsi all’idea della cena. Ma si costrinse ad annuire. – Sissignore – rispose, osservando il comandante che sfilava via senza degnarla di una seconda occhiata.
Lily la osservò un po’ più a lungo con una leggera aria di compatimento che la fece sentire ancora più piccola e debole.
Quando rientrò nella tenda e si mise il ghiaccio sulla caviglia, Levy se ne fregò delle lacrime che le inondavano il viso e, sdraiandosi nel suo letto scarno e improvvisato, si addormentò in un minuto.
 
Si svegliò sobbalzando quando la luna era già alta nel cielo. Il ghiaccio che aveva ancora premuto contro la caviglia aveva perso il suo gelo e al tatto era quasi tiepido.
La parte lesa stava decisamente meglio, però, anche se il corpo era indolenzito e appiccicoso per la stanchezza e il sudore. Levy decise che la cosa migliore da fare era un bel bagno, per pulirsi e rigenerarsi prima di tornare a dormire per ricaricarsi e prepararsi ad un’altra umiliante giornata di addestramento. Silenziosamente prese un asciugamano e della biancheria pulita e si diresse al placido lago poco lontano dalla sua tenda. Dopo essersi assicurata che nessuno fosse nei paraggi, si spogliò ed entrò in acqua lentamente, sospirando di freddo e di piacere.
Nuotò in silenzio per un po’, immergendosi fin quasi a toccare il fondale roccioso del laghetto, cercando di osservare i pesci che nuotavano pigramente attraverso la scarsa luce lunare che filtrava nell’acqua. Quando riemerse per la quarta volta, ridacchiando cristallinamente per l’espressione di un pesce spaurito, seppe che qualcosa non andava.
- Ah, sei tu – sentì dire a qualcuno alle sue spalle.
Dimenticandosi per un momento di pinneggiare per restare a galla, Levy bevve l’acqua, che le andò di traverso, e cominciò a tossire.
- Ohi, tutto bene? – chiese ancora la voce, avvicinandosi.
Levy sapeva benissimo chi era la persona che parlava alle sue spalle, e pregò che in quel momento una lampreda o qualsiasi altro strano animale d’acqua dolce la rapisse e la trascinasse in fondo al lago.
- Sto bene, sto bene – tossì, cercando di riprendere fiato, allungando una mano per bloccare l’avvicinamento del comandante.
Proprio lui, tra tutti, doveva farsi il bagno.
Non poteva rimanere sporco e puzzolente?
- Sei venuto a pescare qualcosa da mangiare? – lo derise il comandante Gajeel quando Levy si fu calmata ed ebbe ripreso fiato. – Potevi venire in mensa come tutti gli altri, come ti avevo ordinato, oltretutto.
Levy roteò gli occhi e si voltò a fronteggiarlo, cercando di sembrare il più mascolina possibile. E allontanandosi per coprire la curva inconfondibile del seno, che non era esageratamente visibile, cosa che l’aiutava con il travestimento, ma c’era. C’era eccome. – Ho lasciato riposare la caviglia e mi sono addormentato – borbottò con voce grossa, quasi scocciata.
- Va meglio adesso?
Levy annuì seccamente e restò in silenzio, cercando di non guardarlo. Si stava rendendo conto molto lentamente del fatto che erano entrambi nudi a distanza ravvicinata. La cosa non andava bene per nulla.
- Non sei un tipo di molte parole, vero? – lo incalzò il comandante, sdraiandosi sull’acqua e aprendo gambe e braccia, simulando la posizione del morto.
Levy distolse lo sguardo e cercò di non arrossire. Fece per slegarsi i capelli, ma si rese conto che sciogliere l’austero chignon sarebbe stato un suicidio e ringraziò mentalmente i suoi antenati e quelli di tutti gli altri per non essersi sciolta la capigliatura. Di nuovo.
- No.
- E non sei nemmeno forte o particolarmente sveglio. Sembri un bambino – lo schernì il comandante, senza traccia di crudeltà nel tono di voce.
- Lo so.
Abbattuta, Levy dimenticò per un attimo il ruolo che impersonava, e si sentì fragile e donna come mai si era sentita prima.
Gajeel sospirò e tornò in posizione eretta. – Stai nelle retrovie durante la guerra. Voglio evitare massacri inutili e tu sei l’anello debole di tutto l’esercito. L’esercito nazionale, intendo.
A colpire pesantemente non era il suo tono di voce, ma la dura verità delle sue parole.
Una verità scomoda è più tagliente di parole false e cariche di odio.
Levy voleva piangere per quello schifo di situazione, però non poteva farlo davanti al comandante. Non poteva proprio.
Così trattenne il respiro, immerse la testa in acqua e deglutì per mandare giù il magone.
Gajeel le passò accanto e le diede una pacca sulla schiena nel momento in cui riaffiorò, una cosa amichevole e maschile.
- Un altro po’ di duro lavoro e sono certo che sopravvivrai – la incoraggiò uscendo dall’acqua, dandole le spalle.
Levy lo guardò allontanarsi in silenzio e non provò vergona nell’osservare senza realmente vedere i suoi glutei scolpiti e sodi. Era troppo impegnata a sorridere e cercare di contenere l’ondata di calore che le partiva dal cuore per notare alcunché. Non era stato malvagio, solo sincero, le sue parole erano innegabili. Ma quelle stesse frasi di condanna le avevano dimostrato che un minimo a lei ci teneva.
Certo, ci teneva a lui in quanto membro del suo esercito. Ovvio.
- Levy, non è proprio il momento di innamorarsi, né il luogo né l’uomo – intimò a se stessa, finendo di lavarsi per poi uscire in fretta dall’acqua e tornare alla tenda.
Ma era troppo intelligente per non sapere che la guerra è un campo di battaglia meno temibile dell’amore.
 
Ev, l’alter ego di Levy, il ragazzo esile e debole che faceva ridere tutti per la sua imbranataggine e poca virilità, si diede da fare come nessun altro.
Si svegliava prima della tromba del raduno mattutino per correre e allenare il fiato, mangiava di più per cercare di mantenere il suo peso, che veniva prosciugato dagli allenamenti, e nel tardo pomeriggio, prima della cena, continuava ad allenarsi con esercizi muscolari per sviluppare la forza e il controllo del corpo.
La prima volta che il comandante Gajeel l’aveva sorpresa a fare quegli allenamenti un po’ bizzarri ma efficaci, aveva alzato un sopracciglio, perplesso, e si era allontanato in silenzio mormorando che tra un ubriaco rumoroso e uno alternativo era sempre meglio quello che faceva meno casino.
Levy gli dimostrò di non essere ubriaca nei giorni successivi, continuando ad allenarsi, vivendo per temprare il corpo, e migliorando ad una velocità doppia rispetto agli altri.
Nel giro di qualche giorno riuscì persino a farsi amici tre ragazzi con i quali aveva avuto qualche screzio il primo giorno al campo, per un’incomprensione e una sua incapacità di relazionarsi con il sesso opposto. Ora andava d’accordo con Jet, il ragazzo più veloce del campo, alto e magro come un fuso con esplosivi capelli rossi, Droy, il ciccione che mangiava ogni giorno di più per colpa dello stress, ma ti atterrava senza quasi muovere un dito, e Ichiya, che…
Be’, Ichiya non poteva essere descritto. Era un giovane adulto con la mania del profumo, modi da seduttore che applicava anche con le pietre e un’altezza che nemmeno le nutrie invidiavano. Ichiya non rientrava nei parametri di categorizzazione di nessun altro essere umano e molti si chiedevano cosa diavolo ci facesse lì, nel campo per militari. Certo, la leva era obbligatoria, ma chiunque avrebbe escluso lui.
Insomma, stava andando tutto per il meglio, quando accadde il peggio.
Levy si stava allenando al chiaro di luna insieme al primo ufficiale, Panther Lily. Il braccio destro del comandante, più loquace e disponibile rispetto a quest’ultimo, simile ad un orso, si era affezionato a Levy, o meglio, ad Ev, dopo aver visto l’impegno che profondeva in ciò che faceva. Così si era proposto di aiutarla negli allenamenti con le katane, dove era più carente.
Levy aveva insistito tanto affinché potessero usare quelle vere, non quelle di legno, che alla fine Lily aveva ceduto.
E anche Levy aveva rischiato di cedere.
Il fatto era che Lily giocava la parte del poliziotto buono tanto bene quanto Gajeel giocava quella del poliziotto cattivo. Si sentiva a suo agio con quel mastodontico guerriero che a volte aveva l’animo tenero e magnanimo di un gattino, sebbene fosse aggressivo come una pantera, in battaglia.
- Vuoi una pausa, pivello? – la punzecchiò Lily dopo un’incessante ora di stoccate e colpi tattici. Il respiro non era meno affannato di quello di Levy.
- Io? Non sono stanco la metà di quanto lo sei tu. Rimpiangi la tua stazza goffa e giganteggiante, ora? – ribatté lei, partendo all’attacco rapida come un furetto. E feroce alla stessa maniera.
Lily sbuffò una risata. – Vacci piano, nanerottolo.
Caricò, chinandosi per parare un fendente e per essere più vicino al corpo di Levy, che gli sgattaiolava attorno come uno scoiattolo, e non misurò bene la forza. La ragazza, stremata, non vide arrivare il colpo.
- Ahi! – esclamò, dimenticando per un attimo di mantenere la voce grossa.
Lily si bloccò, sgranando gli occhi nel momento in cui il sangue filtrò lentamente dal taglio sulla casacca. Lui era a petto nudo, sul quale svettavano tagli recenti e antiche cicatrici, ma per qualche motivo il ragazzo di fronte a sé si era rifiutato di spogliarsi. Il primo ufficiale aveva attribuito quel comportamento ad una sorta di pudore dovuto al fatto che la differenza muscolare tra loro era notevole, e magari Ev si vergognava del suo fisico tonico ma asciutto.
Lily si avvicinò, preoccupato, ma Levy arretrò di un passo, spaventata.
- Tutto a posto, tranquillo – disse, cercando di darsi un tono. Raddrizzò le spalle e represse una smorfia al movimento, stringendo la mano sul taglio. – Non è profondo, però brucia. Con il tuo permesso, per questa sera concluderei qui l’incontro. Complimenti per la vittoria.
- Ti accompagno alla tenda, ti do una mano con la medicazione – si offrì Lily, provando ad approcciare in un altro modo il ragazzo che aveva davanti.
Levy si asciugò il sudore dalla fronte e gli girò le spalle. – Nessun problema, davvero. Ci vediamo domani, buonanotte – lo salutò, affrettandosi verso la sua postazione.
Lily la guardò allontanarsi con un sopracciglio inarcato, sempre più confuso di fronte a quello strano atteggiamento. Ma decise di lasciar correre.
 
Levy imprecava a mezza voce mentre si spogliava. Aveva impiegato quasi venti minuti prima di mettersi seduta sul suo letto improvvisato, nella sua tenda, e prendere i medicamenti. Aveva dovuto prima racimolare dell’acqua pura dal laghetto ai piedi dell’accampamento, insieme a delle erbe curative che avrebbero favorito la guarigione naturale e non avrebbero lasciato cicatrici.
Si sciolse i capelli, stizzita, e si tolse la casacca da allenamento, larga e sformata per nascondere le sue curve, fortunatamente non abbondanti, e la lanciò in un angolo della tenda. Avrebbe dovuto prima di tutto lavarla, poi forse ricucirla. Il magazzino del campo era pieno di abiti da allenamento, ma tutti di taglie… maschili, anche le più piccole. Levy era quasi certa che quella indossata da lei fosse stata fatta per un bambino, l’unica piccola che aveva trovato, pertanto non poteva permettersi fare la schizzinosa nei confronti di una casacca rammendata.
Il taglio al costato le bruciava ancora e liquido plasmatico misto a sangue continuava a bagnare la ferita rendendola appiccicosa e attraente per le infezioni. Come aveva detto a Lily, non era molto profonda. Lunga, sì. In una posizione scomoda, decisamente sì.
Gran parte delle fasce bianche di lino che usava per schiacciarsi il seno in modo che non si vedesse erano state tagliate dalla spada e si erano impregnate di sangue, rendendole sporche e inservibili. Levy fece per sciogliersele di dosso quando sentì l’aria fresca della notte frustarle la schiena, e una presenza incombere alle sue spalle.
- Ehi, Ev, Lily mi ha detto che…
La voce graffiante e cavernosa del comandante si interruppe di botto quando i suoi occhi si soffermarono sulla schiena di Ev, sui suoi capelli lunghi fino alle spalle, ondulati e morbidi… e sulla curva della vita e dei fianchi, del candore della pelle liscia e della totale assenza di qualsiasi pelo.
Levy, immobile dalla paura, si girò meccanicamente verso di lui facendo fare una mezza torsione al busto, mettendo così in mostra i suoi occhi color caramello contornati da ciglia lunghe e folte, l’arco elegante del collo, la curva del seno e il ventre decisamente non maschile.
Il comandante boccheggiò in cerca d’aria prima di darsi un tono, contenere lo shock e chiudere la bocca con un clangore quasi metallico, increspando le sopracciglia.
Chiuse l’entrata della tenda dietro di sé e si accovacciò per non stare chinato con la schiena, in maniera scomoda che metteva soggezione.
Levy arretrò con uno squittio, prima di riuscire a trattenersi. Il movimento le fece sgorgare altro sangue dalla ferita, facendola dolere.
- Che è successo? – chiese ruvidamente il comandante, dando voce alla prima domanda che gli vorticava nel cervello, non per ordine di importanza, ma per chiarezza.
- Mi sono ferito ad un allenamento con il primo ufficiale, comandante. Nulla di grave – rispose Levy, dandogli le spalle e cercando di salvare l’insalvabile.
Poteva dire di avere una specie di disfunzione fisica che la portava ad avere un accumulo di adipe nella zona pettorale. No? Era una buona scusa…
- Mh-mh – concordò lui, adocchiando le erbe curative, l’acqua pulita e le garze sterili che la ragazza stava per usare.
Il silenzio piombò su di loro come un temporale, e Levy poté sentire un fastidioso fischio all’orecchio causato dalla tensione nervosa.
- Posso aiutarti? – chiese il comandante quando capì che la ragazza, perché questo era, una ragazza, non accingeva a muoversi.
- Ah, ehm… no, grazie, comandante. Posso cavarmela da solo.
Gajeel quasi scoppiò a ridere a quelle parole. Davvero cercava ancora di far credere di essere un maschio?
- Perché non posso aiutarti? Se non sbaglio, alcune tecniche di pronto soccorso ve le ho insegnate io, cadetto – la incalzò.
- Perché, ehm… io…
- …tu? Tu cosa?
- Io ho una disfunzione fisica che mi causa un accumulo di ciccia nella zona pettorale – sputò fuori Levy, parlando talmente velocemente da rendere le sue parole quasi indistinguibili. – Mi vergogno un po’ per questo, ecco. Non potrò mai avere i pettorali scolpiti come lei, comandante.
Gajeel la guardò con tanto d’occhi, e quando Levy si voltò per sondare la sua reazione seppe di essere spacciata.
- Tu hai… un accumulo di ciccia nella zona pettorale? – ripeté Gajeel, incredulo.
Levy annuì con poca convinzione, l’espressione confusa.
- Cioè hai le tette – concluse lui, ghignando sadicamente.
Levy avvampò e gli diede di nuovo le spalle, a disagio come non mai. – Non è molto carino dire a un ragazzo che ha le tette come una donna, comandante. È… poco virile? – gli fece notare, ma la sua asserzione suonò più come una domanda di conferma.
Questa volta, Gajeel scoppiò a ridere. – Ma tu sei una donna.
Levy scosse la testa vigorosamente. – No, comandante, io…
- Tu stai zitta e ti sdrai, ora – le intimò lui, la voce talmente glaciale che l’aria nella tenda divenne improvvisamente invernale.
Levy poté quasi percepire la mancanza di battiti del suo cuore, il sangue che si coagulava, immobile, nelle vene. La pena per un crimine come il suo era quella capitale. Dunque sarebbe finita così quel suo atto eroico per salvare suo padre? Sarebbe morta nella sua tenda, nel suo campo, per mano di quel comandante che l’aveva smascherata per un’inezia?
Ma che differenza faceva morire sul campo di battaglia o lì, in quel momento? Non aveva speranze di sopravvivere, tanto valeva farla finita subito invece di rischiare di agonizzare per ore in guerra prima di abbandonarsi al sonno eterno della morte.
- Ev – la incalzò lui, mettendole una mano fredda e gigantesca sul fianco, spingendola verso il materasso.
Lei rabbrividì e si sbrigò ad obbedire, sdraiandosi prona e osservandolo con la coda dell’occhio.
Sembrava a disagio, il comandante, e si grattò la testa nervosamente prima di aprire la bocca nuovamente. – A pancia in su, Ev.
Un terrore gelido e viscido le strinse il cuore in una morsa mentre, ancora, lei obbediva ai suoi ordini, chiedendosi se l’avrebbe stuprata prima di ucciderla.
Qualcosa in lui, però, nel suo sguardo sfuggente, quasi timido e imbarazzato, nel suo nervosismo e nel suo tentativo di non guardare il suo corpo, le fece capire che se avesse voluto farle qualcosa l’avrebbe già fatto. Senza chiederle nulla, oltretutto.
Levy, ora sdraiata supina, lo osservò mentre iniziava a mescolare le erbe e preparare lo stesso unguento cicatrizzante che lei voleva applicare alla sua ferita.
Dopo alcuni minuti passati in completo silenzio il comandante Gajeel le mise una mano bagnata sullo stomaco, facendola sussultare e sopprimere un urlo di sorpresa.
- Scusa, scusa… - si affrettò a dire lui, dimentico per un attimo della situazione e del fatto che non stava curando un cadetto come al solito.
Levy si schiarì la voce. – Non fa nulla… - mormorò, muovendosi un poco per mettersi più comoda.
Gajeel respirò profondamente prima di voltarsi verso di lei, trovando i suoi occhi fissi su di lui, lucidi e profondi. Era da mesi che non vedeva una ragazza, era facile prendere una sbandata per via degli ormoni. Ma astinenza o no, era certo di non aver mai visto degli occhi così grandi ed espressivi.
Per fortuna Levy li chiuse poco dopo, facendogli intendere che si fidava di lui, liberandolo dal suo incantesimo.
- Forse ti brucerà un po’ – la avvertì lui, avvicinando la lampada ad olio per far luce nella notte.
- Lo so…
- Cerca di non urlare.
Levy aprì gli occhi di scatto e lo fulminò. – Non urlerò, comandante. Non sono mica una ragazzin… ah!
Levy si tappò la bocca con la mano per soffocare il gemito di dolore, facendo ridacchiare Gajeel. Le stava togliendo il sangue secco dalla ferita con un panno disinfettato e imbevuto d’acqua. Lo sfregamento della stoffa sulla carne viva non era esattamente un massaggio rilassante.
La ragazza trattenne il respiro, strinse gli occhi per impedire alle lacrime causate dal bruciore di uscire e tolse la mano dalla bocca, irrigidendosi come un bastoncino.
- Se fai resistenza è peggio – mormorò Gajeel posandole la mano libera sul fianco.
Obbediente, si rilassò poco a poco in balìa di quelle mani capaci di uccidere e di essere delicate allo stesso tempo.
Gajeel la curò con delicatezza e premura, pulendole bene la ferita e applicandole il cataplasma che avrebbe favorito la guarigione. Prima di fasciarle il busto si umettò le labbra, prendendo coraggio, e avvicinò le dita al suo seno. Alzò al limite del possibile le bende che le stringevano il seno, sporche di sangue. Non gliele avrebbe tolte lui, non si sarebbe permesso, ma le spostò per poter applicare la fasciatura prima che l’unguento appena applicato si bagnasse con il suo sangue.
Levy non aprì mai gli occhi, non mosse un muscolo nemmeno quando le dita del comandante indugiarono sulla pelle sensibile dell’addome, facendolo sorridere per quella dimostrazione di fiducia.
Oppure si era addormentata, stremata dall’allenamento.
Gajeel però capì che non dormiva quando le passò le mani sotto la schiena per fargliela inarcare, in modo da applicare la fasciatura. Levy rispose ai suoi comandi e piegò la schiena come un gatto senza mai aprire gli occhi. Le sfuggì anche un sospiro che fece perdere un battito al cuore di Gajeel.
Quando ebbe finito, Levy riappoggiò la schiena a terra e posò una mano sulla sua ferita bendata, premendo piano. Gajeel mise via erbe, acqua, creme e garze e si concesse di studiare la ragazza sdraiata accanto a lui.
Indossava i pantaloni larghi da allenamento, con il cavallo basso per nascondere ciò che non aveva. I fianchi erano morbidi e nudi e la fasciatura stretta attorno al petto non poteva nascondere totalmente le curve femminili nascoste sotto ad essa. Gajeel si ritrovò a deglutire mentre con gli occhi correva su, lungo le clavicole e le spalle decisamente non maschili, al di sopra del collo bianco. Si soffermò sulla mascella elegante, sul naso morbido e sulle labbra piene e rosate, sulle ciglia lunghe e sui capelli che si aprivano come una nuvola attorno al suo volto.
Quando Gajeel tornò a soffermarsi sui suoi occhi, li trovò aperti e vigili mentre lo esaminavano con il suo stesso interesse.
- Grazie – sussurrò Levy, mettendosi a sedere lentamente senza smettere di tenersi l’addome.
D’un tratto si vergognò ad essere quasi nuda di fronte a lui, così si strinse su se stessa in un tentativo di coprirsi.
Gajeel capì la situazione, adocchiò la sua casacca sporca nell’angolo della tenda e distolse gli occhi, togliendosi la sua e allungandogliela. – Metti questa – le disse.
Levy sorrise e l’accettò coprendosi. – Grazie, di nuovo.
Rimasero in silenzio per un tempo che parve protrarsi all’infinito, che venne interrotto da Gajeel.
- Domani sei esonerat…o, esonerato dall’addestramento, Ev.
- No, io…
- Tu niente, Ev. Un cavallo zoppo è carne da macello, tu domani ti rimetti e non si discute.
Levy annuì riconoscente. – Mi chiamo Levy, comunque.
- Levy… - ripeté lui. – E dimmi, Levy, cosa ti spinge qui? Ti sei persa e, vergognandoti di chiedere indicazioni, ti sei mimetizzata nell’ambiente?
Il tono del comandante era sarcastico, sferzante, e Levy si rese conto per la prima volta delle sue assurde azioni. – No, io… ho preso il posto di mio padre, di proposito. Ma lui non sapeva che l’avrei fatto. È molto malato, comandante, andando in guerra sarebbe sicuramente morto, è certo come il sole che sorge. Volevo dargli una possibilità, volevo che vivesse, volevo salvarlo.
- Devi amare molto tuo padre – riconobbe lui, segretamente ammirato.
- Più di quanto possa esprimere a parole – confermò lei, sorridendo malinconicamente. – Non avrei potuto vivere con il pensiero di lui morto in battaglia solo a causa mia.
- Tua?
- Sì mia. I miei genitori hanno avuto solo un figlio, me. Una femmina. Se fossi nata maschio sarebbe stato meglio per tutti. Come donna sono negata – rivelò, appoggiando il mento sulle gambe piegate.
- Andiamo, non puoi essere così male! – esclamò lui, poco avvezzo agli incoraggiamenti.
Levy rise senza gioia. – Sì, fidati. Ho fallito l’esame con la septa, che mi ha detto che non porterò mai onore alla mia famiglia e che nessun uomo di buona famiglia sarà mai attratto dai miei modi. Il pomeriggio dell’esame è arrivata anche la notizia dell’arruolamento. Ho pensato che, visto che tanto non avrei potuto recare onore alla mia famiglia, almeno avrei potuto provare a fare qualcosa di buono che recasse onore a me personalmente.
Liberatasi da quel fardello che portava dentro da settimane, Levy si sentì rinascere ed ebbe voglia di piangere. Avvertì gli occhi del comandante su di sé e alzò timidamente lo sguardo, non riuscendo però a sondare quello sguardo rosso imperscrutabile. Si sentì stupida.
- Scusi, comandante, non avrei dovuto… cioè, non dovevo farlo, spacciarmi per chi non sono e sfogarmi con lei. Scusi, davvero. Se lo desidera posso andarmene, anche subito, ora. Comandi e io obbedirò.
Gajeel non batté ciglio. – E dove andresti ora, ferita, stanca, sola e donna? No, rimarrai qui all’accampamento, Ev. Sei un membro del mio squadrone e sei capace.
Levy rischiò di far cadere la casacca del comandante al suono di quelle parole. – Sta dicendo che non mi caccerà o ucciderà?
Gajeel scosse la testa. – Che senso avrebbe ucciderti dopo averti curata? O cacciarti? Hai dimostrato di essere valorosa e determinata, qualità fondamentali non solo in guerra, ma anche all’interno di un plotone. E io proteggo i miei cadetti, tutti.
Levy annuì, grata, e in un moto di sollievo e riconoscenza scattò per abbracciare il comandante, stupito dalla reazione.
Dopo poco storse la bocca per il dolore e si scostò tornando a premersi la mano sull’addome. – Scusi comandante, non so cosa mi abbia preso. Temo sia la stanchezza.
Un sorriso quasi invisibile aleggiava sul volto divertito del ragazzo, che la guardava come se fosse una buffa novità. – Chiamami Gajeel, non siamo mica sul campo in questo momento. Ora riposa e non scappare, puoi star certa che ti troverò e ti riporterò indietro se tenterai la fuga.
Levy sorrise. – Non dirai a nessuno di me, vero? – lo supplicò.
Gajeel non era pronto a condividerla. Uno slancio di possessività lo travolse, e si ritrovò a digrignare i denti all’idea che qualcuno potesse scoprire la verità e girarle attorno come un’ape su un fiore. – Certo che no, non penso che saranno indulgenti quanto me – commentò, alzandosi per andarsene.
- Grazie, Gajeel – disse Levy, spostandosi per lasciarlo uscire.
Il comandante se ne andò senza aggiungere altro, senza nemmeno percepire il freddo della notte sulla pelle. Non quando aveva il fuoco nelle vene.
Quando entrò nella tenda che condivideva con il suo primo ufficiale trovò Lily sveglio a sbrigare la corrispondenza. Il suo amico alzò lo sguardo al suo arrivo, e lo fissò come se fosse diventato blu. – Dove sei stato? Dov’è la casacca, e cosa ci fai mezzo nudo nel cuore della notte?
Gajeel scosse le spalle e si buttò sul suo giaciglio. – Perlustrazione. Camminare mi ha fatto venire caldo e devo aver lasciato la maglia da qualche parte.
Lily grugnì. – Ed Ev?
Gajeel fece saettare gli occhi verso di lui al suono di quel nome, ma ovviamente Lily non sapeva nulla. – Tutto a posto, l’ho aiutata a…
- Aiutata? – lo interruppe Lily, confuso.
Gajeel non mutò espressione. – Sì, la ferita. Ho aiutato la sua ferita, dovresti andarci più piano con gli allenamenti. L’ho curata. Ora il ragazzo sta dormendo, ma domani è sospeso dall’addestramento.
- Buona idea – ammise Lily, tornando alle sue carte.
Gajeel gli diede le spalle e lo lasciò alle sue faccende amministrative.
Prese sonno riscaldandosi al ricordo delle sue mani a contatto con la pelle di Levy.
 
La mattina successiva Levy seppe di essere sola. Non c’era un singolo rumore in tutto l’accampamento, sebbene il sole fosse alto e la giornata splendente. Probabilmente Lily e Gajeel avevano portato il gruppo a fare una specie di esercitazione escursionistica, una maratona o un allenamento acquatico.
La ragazza ne approfittò per rassettare la sua tenda, raggruppando gli abiti da lavare e rammendare e cambiandosi la fasciatura al seno. Si sentì libera quando la tolse, scusandosi con il suo corpo per quella fastidiosa costrizione. Dato che in giro non c’era nessuno, decise di non usare le bende per quel giorno, tanto non avrebbe rischiato di essere scoperta in ogni caso.
La ferita le pulsava decisamente meno e la garza sapientemente applicata da Gajeel non era nemmeno sporca.
Solo quando fece per uscire dalla tenda Levy si accorse della colazione che il comandante le aveva posato nell’angolo, coperta e ancora tiepida.
La ragazza sorrise mentre mangiava, perdendosi nel ricordo di quella serata fuori dagli schemi. Non era mai stata così vicina ad un uomo. O meglio, non era mai stata così vicina ad un uomo che sapeva che lei era una donna, che la osservava con gli occhi curiosi e attratti che aveva sfoggiato Gajeel.
Il romanticismo non era una cosa da guerra, da maschi e men che meno da accampamento militare, però Levy non poté non rammentare il modo in cui le sue mani l’avevano calmata e rilassata, letteralmente curata. Chi se lo sarebbe mai aspettato, poi, che il comandante avrebbe reagito così bene di fronte alla verità?
Confessare era stata per Levy una liberazione, non una catastrofe come aveva preventivato.
La ragazza si fece un giretto per il campo deserto, camminando a piedi nudi sull’erba morbida. Provò ad allenarsi con i bastoni, ma rinunciò quando la ferita protestò minacciosamente. Alla fine decise di fare il bucato e sbirciare all’interno della tenda del comandante. Mera curiosità, ovviamente.
Levy entrò di soppiatto nella tenda gigantesca, riconoscibile in qualsiasi punto dell’accampamento. La bandiera del loro squadrone svettava sopra essa, ondeggiando lentamente, ballando insieme al vento.
L’interno, decisamente più grande rispetto a quello dove dormiva lei, in cui non riusciva nemmeno a stare in piedi, era occupato da due materassi che fungevano da letto, posti ai lati opposti della tenda. Al centro c’era una specie di bassa scrivania contornata da cuscini, piena di carte, mappe, penne e lettere, iniziate, ricevute o da spedire. Levy non le lesse per rispettare la privacy dei due ufficiali e la segretezza di quelle informazioni, ma non poté fare a meno di dare un’occhiata al mobiletto che conteneva diversi libri, di fronte all’entrata.
Erano per lo più manuali di combattimento o guide all’insegnamento, ma Levy trovò anche un volume di storia, due atlanti e un registro di lettere e date.
Amava leggere, a casa non faceva altro che divorare libri uno dietro l’altro, però in guerra non c’era tempo per la letteratura, e nella sua concitata fuga da casa non aveva nemmeno pensato di prendere uno o due dei suoi libri preferiti. Non ce n’era stato il tempo.
Prendendo in prestito il volume di storia, Levy si sedette su una roccia in riva al laghetto e lesse per ciò che restava del pomeriggio, finché sentì il proprio corpo diventare rigido e stanco come il masso su cui era seduta. Allora si stiracchiò ammirando il tramonto, godendosi le ultime carezze dei raggi di sole sul viso, e si spogliò per lavarsi. Entrò in acqua completamente nuda, eccezion fatta per la fasciatura sulla ferita, e si immerse fino all’addome, fermandosi prima che l’acqua arrivasse a lambirle le bende. Si lavò le braccia strofinando con forza, rimpiangendo il sapone profumato che sua nonna creava personalmente e che fin da bambina le spalmava addosso durante il bagno. Sciolse i capelli e li lasciò liberi, desiderando sentirsi un po’ donna, anche se per poco tempo. Era meglio che si abituasse ad essere uomo, e prima lo avesse fatto, meglio sarebbe stato per lei.
- Ehi, Ev… oh.
Levy voltò la testa di scatto mentre le braccia correvano a coprirle il seno, e ringraziò la provvidenza che aveva fatto arrivare lo sconosciuto quando lei gli era di spalle.
La sua fortuna però finì lì, dato che il visitatore si scoprì essere il comandante.
- Gajeel…
- Ehm… - borbottò lui, a disagio. – Siamo tornati e tra poco si mangia, ero venuto a vedere come stavi.
Levy si morse il labbro e tornò a fissare l’orizzonte di fronte a sé. – Tutto bene, grazie, Gajeel. Spero che l’allenamento sia proceduto per il meglio.
Il ragazzo grugnì un assenso e rimase fermo lì, con lo sguardo calamitato dalla schiena lattea della ragazza, incapace di distoglierlo.
- Dovrei uscire dall’acqua, Gajeel – borbottò Levy poco dopo, sempre senza guardarlo in volto.
- Oh, sì, scusa Ev… cioè Levy… ehm…
La ragazza ridacchiò nonostante l’imbarazzo, facendolo ammutolire.
- Io… vado, allora. A dopo. O domani.
Levy sentì i suoi balbettii confusi mentre si allontanava, e rise sciogliendo le braccia dal suo corpo. Si assicurò di essere sola, al riparo da occhi indiscreti, e corse verso la roccia con i suoi indumenti. Si coprì con l’asciugamano gigantesco e corse verso la tenda facendo attenzione a non incrociare i soldati che andavano a lavarsi o si spostavano di tenda in tenda.
Si vestì in fretta e si legò i capelli. Quando fu pronta uscì e si diresse verso il tendone della mensa, da cui provenivano già i rumori che solo un branco di maschi affamati può produrre. Al suo arrivo, Jet, Droy e Ichiya gridarono di gioia e le fecero segno di accomodarsi accanto a loro.
La ragazza sorrise genuinamente e, quando se ne accorse, cercò di fare una smorfia per dissimulare la dolcezza della sua espressione. Prese una ciotola di riso bianco e del pollo prima di accomodarsi accanto a loro.
- Ciao, ragazzi – esclamò, mascherando la voce femminile. – Allora com’è andata oggi?
- Niente di che, una noia mortale – asserì Jet.
- Una tortura mortale! – piagnucolò invece Droy, mangiando come se non vedesse cibo da giorni. – Abbiamo saltato il pranzo, pensavo di morire.
Levy represse una risata.
- Tu invece? – le chiese Jet. – Come mai non sei venuto oggi?
- Oh, ieri mi sono allenato con il primo ufficiale, una specie di combattimento amichevole, e mi sono ferito al torace. Nulla che un vero uomo non possa sopportare, ma il comandante mi ha ordinato di restare a riposo oggi. Dice che è meglio una giornata di riposo per una buona guarigione piuttosto che l’esasperazione della ferita solo per un allenamento fiacco e inutile.
Jet la guardò con gli occhi spalancati, il riso che gli cadeva dalle bacchette e tornava a tuffarsi nella ciotola da cui era stato prelevato. – Il comandante dice questo?
Levy cercò di non arrossire. – Be’, un po’ parafrasato, ma il succo era questo.
Droy continuò a mangiare imperterrito mentre Ichiya si annusava le ascelle, alzando gli occhi al cielo in estasi.
Poi Levy sentì una presenza incombente alle sue spalle. – Ev, ti attendo nella mia tenda per dare un’occhiata alla ferita e discutere il da farsi.
Silenzioso com’era arrivato, Gajeel se ne andò senza che Levy avesse il tempo di vederlo. La ragazza avrebbe persino dubitato di averlo sentito parlare se Jet, Droy e Ichiya non avessero seguito con la testa il percorso dell’uomo alle sue spalle.
- Non è che gay ed è interessato a te, Ev? – bisbigliò Jet di punto in bianco.
Levy rimase paralizzata. Voleva scoppiare a ridere. – Gay? Non penso proprio. Ieri mi ha aiutato con la ferita e non aveva atteggiamenti ambigui.
Jet la guardò con poca convinzione mentre Droy tornava a mangiare, fissando loro invece del piatto, però.
- Penso che a questo punto dell’addestramento gli scoccerebbe perdere un uomo, seppur piccolo e inutile quanto me – fece notare, piluccando un po’ il pollo.
- Sarai anche piccolo, Ev, ma sei quello che ha fatto più progressi. I comandanti e gli ufficiali le notano queste cose – commentò Jet.
- È come il miglior profumo – disse Ichiya, sovrappensiero.
Levy e gli altri mangiarono in silenzio, persi nelle loro elucubrazioni, finché lei si alzò in piedi.
- Droy, finisci il mio riso se vuoi. Non ho molto appetito, oggi non ho fatto granché. Ci vediamo domani, ragazzi.
Conscia di avere i loro occhi puntati come laser sulla schiena, cercò di placare il suo cuore mentre si dirigeva verso la tenda del comandante.
- Vuole solo controllare che io stia bene, assicurarsi di avere un altro uomo per la guerra, nient’altro – cercò di convincersi. – Ma lui sa che non sono un uomo, forse vuole… punirmi. Che altro potrebbe volere?
Una piccola parte di lei sperava che volesse vederla, in quanto ragazza, ma concedersi quel lusso era come sparare ai propri alleati in battaglia: un suicido, fisico ed emotivo.
 
I lembi della tenda che fungevano da porta nel tendone del comandante erano aperti, lasciando intravedere il cupo interno.
- Comandante, primo ufficiale – salutò Levy mentre entrava.
Lily alzò gli occhi da una lettera che stava scrivendo e le sorrise. – Ehi, Ev! – la salutò. Per un attimo la ragazza pensò che Gajeel gli avesse detto il suo segreto, dubbio che venne subito fugato dall’atteggiamento rilassato e consueto di Lily. – Tutto bene? La ferita come va?
- Molto meglio Lily, grazie. Non era niente di che, alla fine. Sono certo di poter tornare ad allenarmi domani.
- E invece no – la contraddisse Gajeel, togliendosi la maglia e rimanendo a petto nudo di fronte a lei.
Levy trattenne il respiro e, notandolo, il comandante ghignò maliziosamente.
- Domani a riposo, potrai riprendere dopodomani gli allenamenti. Guai a te se affatichi la ferita, mi occuperò personalmente di procurartene una molto più dolorosa se così non fosse.
Lily grugnì e si alzò. – A presto Ev, vado a spedire le lettere – si congedò.
Gajeel attese qualche istante prima di avvicinarsi all’entrata della tenda, assicurarsi che fossero tutti in mensa e chiudere le porte.
- Scusa per prima, non ho visto nulla e non avevo intenzione di violare la tua privacy – esordì attraversando lo spazio per prendere una casacca pulita, che infilò senza chiuderla.
Levy distolse lo sguardo e si mostrò per ciò che realmente era, smettendo di tenere le spalle rigide nel tentativo di farle sembrare più grosse, incurvandosi leggermente e addolcendo i tratti del volto. – Non fa niente, so che non era voluto quel… cioè, va bene, non importa – mugugnò, mettendosi dietro alle orecchie un ciuffo ribelle sfuggito all’austera acconciatura.
Gajeel le si parò davanti. – Vuoi che dia un’occhiata alla ferita?
Levy arrossì e scosse la testa. – Temo che togliendo la fasciatura si possa disturbare il processo di cicatrizzazione. La toglierò domani per controllare.
Il comandante annuì seccamente. – Allora, d’accordo. Domani sei esonerata e… be’, rimettiti.
Levy gli sorrise calorosamente e annuì. – Certo, grazie.
Gajeel ondeggiò di fronte a lei, indeciso sul da farsi. – Riguardo al problema del… sì, di te, insomma. Dovrei ucciderti pubblicamente, lo sai vero?
Levy annuì senza mostrarsi intimorita. – Lo so e accetto le conseguenze.
Gajeel buttò la testa indietro e si massaggiò il viso, stanco. – In guerra abbiamo bisogno di ogni spada a disposizione, non importa il sesso di chi la impugna, purché sia abbastanza preparato da non rappresentare una minaccia per sé e per i propri compagni. Quindi vedi di rigare dritto, migliorare e non farti scoprire, perché non tutti sarebbero indulgenti quanto me.
- Sicuramente, comandante. La ringrazio, non la deluderò – rispose formalmente lei, per far capire la serietà del suo impegno.
Levy si congedò senza aggiungere altro e Gajeel fissò il punto da cui era uscita per molto tempo dopo la sua dipartita.
- Non ne dubito, Levy. Non ne dubito.
 
La ferita guarì perfettamente e dopo tre giorni dall’incidente solo una lieve crosticina ormai cicatrizzata aveva preso il posto del taglio sanguinante. Il comandante alla fine non le aveva più chiesto di fargliela controllare, non quando lei lo aveva prevenuto ringraziandolo per il suo cataplasma formidabile che l’aveva fatta guarire meglio di un’arte magica.
Jet, Droy e Ichiya l’avevano accolta con sonore pacche sulle spalle al suo ritorno agli allenamenti, cosa a cui lei si era disabituata nel giro di soli tre giorni. Perciò fu grata quando, dopo aver ricevuto un’amichevole botta frontale sulla spalla da Droy, Gajeel le passò dietro e le diede una spintarella in avanti per evitare che cadesse all’indietro come un sacco di patate. Le lanciò una breve occhiata ammonitrice prima di ordinare la formazione delle righe e cominciare l’addestramento.
Se per gli altri membri dello squadrone nulla era cambiato, però, per Levy e Gajeel era tutto sottosopra. Il comandante non riusciva ad ignorarla, non poteva fare a meno di pensare a lei, a come avrebbe reagito agli allenamenti o a come avrebbe affrontato una determinata situazione quando impartiva gli ordini relativi alle nuove disposizioni.
Perciò le gravitava attorno, come un satellite del pianeta Levy, consigliandola a bassa voce e aggiustandole le posizioni quando osservava l’operato del commando, aiutandola ad alzarsi quando i cadetti si trovavano per terra o spronandola silenziosamente. Certe volte la esonerava dagli esercizi mandandola a sbrigare alcune faccende burocratiche, cosa di cui Levy non era affatto contenta. Così rischiavano solo di far saltare la puzza sotto il naso di qualcuno.
Qualcuno come Lily.
Il primo ufficiale si era interessato molto ad Ev, un po’ per scusarsi per la ferita inflitta e un po’ per ammirazione nei confronti di quel ragazzo mingherlino che profondeva negli addestramenti più impegno di tutti gli altri messi insieme. Lo osservò, contento di vederlo tornare ad allenarsi senza difficoltà, notando come quel ragazzo non si lasciasse mettere al tappeto da nulla.
E notando anche lo strano atteggiamento del comandante nei suoi confronti.
Così strano da indurlo a preoccuparsi.
Gajeel lo… toccava. Quando faceva la ronda per correggere l’operato dei suoi sottoposti sbraitava correzioni mantenendosi a debita distanza, ma con Ev si avvicinava e gli mostrava la giusta posizione da tenere, usando le mani per aiutarlo ad imitarla. Lo usava come segretario addirittura, risparmiandogli gli esercizi più duri, e… lo osservava. Lo osservava in modo del tutto diverso da come studiava gli altri, cioè in modo del tutto apatico e disinteressato.
Il colmo arrivò quando Gajeel insegnò le basi del pronto soccorso militare.
- Bene, marmaglia, oggi imparerete come trasportare un compagno ferito lontano dalla zona di fuoco. Lily?
Il primo ufficiale lasciò cadere le braccia che aveva incrociato sul petto, si tolse la maglia, restando a petto nudo, e si mise di fronte a Gajeel.
- Ora – esordì il comandante da dietro il primo ufficiale, parzialmente occultato da quel gigante che era più alto e largo di lui, paradossalmente. – Quando siete colpiti dal nemico e tutto attorno piovono frecce e sembra che katane e scimitarre abbiano una volontà propria e colpiscano ogni cosa che incontrano nell’arco di dieci metri, ragionare è molto difficile. La cosa migliore da fare per salvare un compagno sarebbe salvarne uno leggermente più piccolo e leggero di voi. Ad esempio, vedo molta dura che Ichiya possa salvare Droy usando questa presa che sto per mostrarvi.
I ragazzi del gruppo sorrisero e alcuni ridacchiarono, ma Levy sentì del gelido sudore correrle giù per la schiena, facendole venire i brividi. Quella lezione non le piaceva. Per niente.
- Questo però non significa che se Ichiya trova Droy accanto lui, ferito e incapace di combattere, debba lasciarlo lì e andare a chiamare qualcuno di più grosso, tipo Lily, per andare a salvarlo. Siamo in guerra, non all’asilo. Le vite dei nostri alleati sono le nostre, dobbiamo perdere il minor numero possibile di vite, salvare i feriti e tornare a combattere.
Fece una pausa ad effetto per assicurarsi di avere l’attenzione di tutti i cadetti, che pendevano dalle sue labbra.
Lanciò un’occhiata più accurata ad Ev, notando la sua preoccupazione ma ritrovandosi a pensare a quanto fossero luminosi e grandi i suoi occhi rispetto agli altri. Come facevano a non vedere la verità dietro quello chignon austero e quella postura rigida?
- Quando un vostro compagno è ferito, come lo prendete per portarlo lontano dal casino? Lo prendete come se fosse la vostra mogliettina? – li schernì.
- Nossignore – gridarono tutti in coro.
- Bene. Lo tirate in piedi e vi mettete un suo braccio attorno al collo mentre camminate insieme?
- Nossignore – urlarono ancora, ma leggermente meno convinti.
- Mh, alcuni di voi a quanto pare lo farebbero. Fantastico, è la cosa migliore da fare, in effetti, far camminare qualcuno con una gamba mutilata. Comunque non siamo qua per giocare agli indovinelli. Dovete prendere il cadetto in questo modo – annunciò, sdraiandosi a terra.
Lily si chinò e si inginocchiò davanti a lui, ruotando il torso per aiutarlo. Gajeel allungò un braccio e lo passò attorno al collo del primo ufficiale, sollevandosi da terra senza l’uso delle gambe, mentre Lily gli passava un braccio tra le gambe e se ne caricava una attorno alla spalla. Alla fine della manovra, rapida e quasi elegante, Gajeel si ritrovò sdraiato sulle spalle del gigante dalla pelle scura, con quest’ultimo che lo reggeva per le gambe e dietro alla schiena, sotto al collo.
- Vedete? In questo modo, sebbene sia difficile prendere una persona così nel mezzo della guerra, avete le braccia che non si appesantiscono, perché il peso è caricato sulle spalle del sostenitore -. Mentre parlava, Lily girava su se stesso per mostrare da varie angolazioni la presa corretta. – Il ferito è pressoché comodo e sistemato in posizione di sicurezza. Il salvatore deve solo pregare che non vomiti perché davanti alla sua bocca ci siete voi, ecco.
I cadetti risero e Gajeel scese agilmente dalle spalle dell’amico.
- Ora mettetevi a coppie. Vi ho detto che in guerra non c’è tempo per capire il peso e la stazza di un ferito, se ne trovate uno ve lo caricate addosso e basta, ma siccome è la prima volta che proviamo questa presa vi permetterò di scegliere un partner che vi sia facile prendere in spalla.
Mentre le coppie si formavano, Levy rimase bloccata al suo posto, terrorizzata come un cervo. Solo che i cervi poi scappano e nessuno li prende più.
Con orrore si rese conto che erano tutti più grandi e grossi di lei, e che uno dei pochi che rimanevano fuori era Ichiya. Ichiya poteva riuscire a prenderlo su, questo era certo, ma… il problema sarebbe stato tirare su lei e le sue curve. Per quanto le nascondesse con casacche e fasciature, c’erano cose che al tatto erano impossibili da occultare.
Levy vide l’amico puntarla e avvicinarsi, e pregò di farsi male nel caricarsi lui sulle spalle, in modo da evitare di farsi prendere a sua volta. Quando Ichiya fece per aprire bocca, però, un braccio olivastro e solcato da cicatrici si frappose tra loro in modo quasi possessivo.
- Ichiya, vai da Lily che ti assegnerà ad un altro cadetto. Ev, tu vieni con me.
Il soldato chinò rispettosamente la testa e si allontanò mentre Lily lanciava un’occhiata perplessa a Gajeel ed Ev. Voleva forse costringere il ragazzino a prendersi quell’ammasso di muscoli sulle spalle?
- Che stai facendo? – sibilò Levy quando gli altri cominciarono a provare le prese. – Ti pare che possa riuscire a prendere te sulle spalle?
Gajeel ghignò e le diede la schiena. – Dimostrazione. Tu non sei in grado di prendere qualcuno sulla schiena, e non è il caso che qualcuno prenda te, no? A meno che questo qualcuno non voglia appoggiare la testa su un cuscino naturale che un maschio non dovrebbe avere.
Levy arrossì e roteò gli occhi, buttando il petto in fuori per confermare le sue parole con rabbia. La ragazza lanciò uno sguardo al di là del comandante, che la fissava divertito, e beccò Lily che li osservava con le sopracciglia aggrottate.
- Il primo ufficiale ti sta guardando – gli fece notare, a disagio.
Gajeel ridacchiò e, mentre si sedeva per terra, fece un gestaccio a Lily, che lasciò cadere le braccia e alzò la testa al cielo, esasperato.
- Ora non ci guarda più – la tranquillizzò. – Dài Ev, sali, muoviti. Poi passiamo tra quei pappamolle e gli mostriamo la presa corretta. Guarda, solo Jet è riuscito a prendere sulle spalle qualcuno, ma se sposta un po’ il braccio lo castra.
Gajeel scoppiò a ridere da solo mentre Levy guardava l’amico, che effettivamente teneva letteralmente per i testicoli il suo partner. Fece una smorfia di dolore e mosse i piedi alla ricerca del modo migliore per salire sulle spalle del comandante.
- Inginocchiati – le suggerì lui, aiutandola.
Levy obbedì e si chinò alle spalle del comandante, che le sembrava ancora più solido e imponente visto da dietro.
- Passami un braccio attorno al collo – la istruì. Levy obbedì e successivamente alzò una gamba e la allungò sulla spalla di Gajeel senza che lui dovesse dirle nulla. – Perfetto. Ora, non allarmarti.
Le passò un braccio in mezzo alle gambe e le afferrò la parte superiore della coscia mentre lei, messa in posizione orizzontale, faceva del suo meglio per non urlare come una ragazzina.
Levy gli passò il braccio libero attorno al collo, per davanti, congiungendo le mani e aggrappandosi a lui. Cercò di non pensare al modo in cui la testa del comandante si stava appoggiando sul suo seno fasciato, e pregò che lui non ci facesse troppo caso.
- Sì va be’, dimmi come avresti fatto a cavarti da questo impiccio senza di me… - le chiese a bruciapelo alzandosi, facendole capire che, sì, stava facendo caso a quelle curve che lui non aveva.
- Stai zitto e fai il tuo dovere, Gajeel – sibilò, imbarazzata.
Gajeel passò il successivo quarto d’ora a correggere le posizioni altrui mostrando come modello quella in cui era Levy. La ragazza si limitò a pensare ad altro per non fare caso alla mano di Gajeel sulla sua coscia e alla sua vicinanza, ai suoi capelli che ogni tanto le solleticavano il viso.
Quando il ragazzo congedò i soldati per l’ora di pranzo, per far scendere Levy la sollevò sopra la sua testa e se la fece cadere addosso, prendendola in braccio e appoggiandola a terra alcuni istanti dopo.
Lei gli lanciò un’occhiata stupita e spaesata, assicurandosi che nessuno li avesse visti. Solo Lily li stava osservando, arcigno e confuso, e Levy si affrettò ad allontanarsi senza degnare di una parola il comandante.
Quando fu sparita nel tendone che fungeva da mensa, Lily gli si accostò. – Dì un po’, Gajeel, è per caso successo qualcosa ultimamente? Hai… cambiato orientamento, visioni, idee?
Preso in causa, Gajeel lo osservò inespressivo. – Eh?
Lily lo fissò in silenzio. – Ev…
- Ev cosa?
- Ti piace?
Per un attimo Gajeel aprì la bocca per parlare, ma la richiuse, incapace di dargli una risposta. Lily non sapeva la verità, dunque gli stava chiedendo se gli piaceva un maschio. Tecnicamente Ev non gli piaceva… però Levy sì. Troppo anche.
Mano a mano che passavano i giorni scopriva che quella che provava per lei non era una fugace attrazione dovuta all’astinenza e alla lontananza da donne, ma un vero e proprio interesse. Si era reso conto che Levy gli sarebbe piaciuta a prescindere dalla situazione, l’avrebbe scelta in mezzo ad una folla di donne.
- Non sono gay – disse laconico, facendo per allontanarsi.
Lily lo bloccò per un braccio, costringendolo ad arrestarsi. – Sicuro? Non ti giudicherò, comandante. Permettimi però di farti notare che il tuo atteggiamento nei confronti del ragazzo mingherlino è alquanto bizzarro e i soldati potrebbero iniziare a parlare.
- Che parlino pure – concesse lui con un’alzata di spalle. – Io non sono gay e non mi comporto in nessun modo con Lev… Ev. Con Ev.
Lily strinse gli occhi, provando a scavargli dentro, ma Gajeel, lo sapeva, nascondeva la sua anima dietro la fortezza inespugnabile della sua espressione impassibile. Infatti il comandante si allontanò senza batter ciglio, lasciando il primo ufficiale solo e confuso.
Qualcosa gli puzzava, e prima o poi avrebbe scoperto cosa.
 
I giorni passarono pigri e allo stesso tempo frenetici, tra allenamenti seri, insegnamenti teorici ed escursioni per temprare corpo, mente e muscoli che Levy non pensava nemmeno potessero esistere.
Gajeel iniziò ad interagire meno con lei, dopo la chiacchierata con Lily, ma alla ragazza non passavano inosservate le lunghe occhiate che il comandante le lanciava. All’inizio pensava di essere paranoica o, peggio, egocentrica. Insomma, perché il comandante avrebbe dovuto prestarle attenzione e interessarsi a lei? Certo, era l’unica donna del campo, ma era sicuramente al di sotto degli standard cui poteva aspirare un uomo della risma di Gajeel. Non era facile innamorarsi di lei, nessun uomo l’aveva mai fatto quando era stata se stessa, figuriamoci infatuarsi di lei quando era disordinata e vestita come un uomo. Probabilmente Gajeel la squadrava con… disgusto, confusione addirittura, di fronte alla sua decisione di travestirsi da maschio e arruolarsi. Probabilmente la guardava con curiosità, chiedendosi cosa frullasse nel cervello di quella strana creatura che era.
Fu solo dopo qualche settimana che si rese conto che, indubbiamente, Gajeel la osservava come donna. Diverse volte a pranzo o a cena, durante gli allenamenti o quando si incrociavano nell’accampamento, Levy lo beccava con gli occhi puntati su di lei come laser, e lui si affrettava subito a distoglierli, imbarazzato. Una volta l’aveva addirittura scoperto a squadrarla con la testa inclinata mentre lei si abbassava, cercando di guardare al di là della brutta casacca larga che indossava. Invece di arrabbiarsi o sentirsi a disagio per la malizia che c’era negli occhi del comandante, si era messa a ridere e si era allontanata divertita di fronte al suo rossore e al suo imbarazzo. Lily li aveva ovviamente visti e aveva scosso la testa, infastidito dal loro tenerlo all’oscuro di qualcosa di molto importante.
Un paio di mesi dopo era arrivata la lettera.
- Silenzio – intimò Gajeel una sera a cena, alzandosi sopra un tavolo, imitato da Lily che era in piedi al suo fianco.
Nel giro di qualche secondo fu come se qualcuno avesse spento la radio all’interno del capannone della mensa. Nemmeno le mosche facevano più rumore.
- Il comandante della truppa del fronte ci ha fatto pervenire una lettera, oggi. La linea nemica avanza inesorabilmente e loro sono allo stremo delle forze. Hanno bisogno di tutto l’aiuto disponibile per uscire vittoriosi dalla battaglia e hanno chiesto a noi questo aiuto. Partiremo domani all’alba e marceremo per una settimana per raggiungere la truppa principale. Allenamenti ed esercizi sono sospesi, non abbiamo più nulla da insegnarvi. Ci aspetta la guerra vera, adesso.
Senza attendere reazioni o domande, Gajeel scese dal tavolo e uscì dalla tenda.
Il cicaleccio allegro di pochi minuti prima venne sostituito da mormorii di paura, eccitazione e tristezza, ansia e aspettativa, che si spensero anch’essi dopo poco. Ognuno finì il proprio pasto in silenzio, riflettendo su ciò che li aspettava.
Levy osservò il suo piatto ancora pieno e cercò di afferrare dei pensieri coerenti che le vorticavano nel cervello, ma non ce n’era nemmeno uno. Non si possono dare una spiegazione e un senso a delle emozioni confuse.
Così si alzò e uscì senza dire una parola.
 
- Avevo la certezza che ti avrei trovata qui.
Levy sussultò al suono di quella voce roca e si voltò di scatto verso la sua provenienza.
Il comandante si stava avvicinando a lei con la casacca aperta e i capelli sciolti sulle spalle come raramente li portava. Sotto la luce della luna sembravano bianchi sulla sommità, lisci e lucidi come un mantello sulla sua schiena. Levy tornò a fissare il laghetto di fronte a sé quando incrociò i suoi ardenti occhi rossi.
- Indovinato – mormorò mentre Gajeel si sedeva accanto a lei sul masso in riva al lago dove era solita farsi il bagno, lontana dall’accampamento quel tanto che bastava ad avere una privacy sicura.
Gajeel le lanciò un’occhiata prima di raccogliere qualche sasso e lanciarne uno sull’acqua, facendogli fare quattro salti prima di vederlo affondare.
Levy rimase immobile, in attesa, e quando Gajeel restò in silenzio, senza intenzione di aprir bocca, si sciolse i capelli e iniziò a pettinarli come sua madre faceva prima di darle la buonanotte.
Non sarebbe più stata sola, lontana dagli altri soldati, nell’arco di quella settimana, e in guerra chi lo sapeva cosa sarebbe accaduto. Quella notte era l’ultima occasione che aveva per sentirsi donna. La fasciatura che era solita mettere a copertura del seno giaceva ai piedi del masso e per una volta aveva indossato una stretta casacca della sua taglia, che lasciava intravedere ciò che era.
Gajeel lanciò altri due sassi prima che Levy posasse la spazzola e allungasse una mano per rubargliene uno.
Oggetto della curiosità del comandante, lanciò il sassolino e gli fece fare ben sette salti, superando in lunghezza il salto di tutti quelli tirati dal suo avversario.
Gajeel fischiò e ghignò. – Tiri meglio di un maschio – le concesse. – E sotto certi versi, combatti anche meglio di un maschio.
Levy sorrise, leggermente triste, e ricominciò a sistemarsi i capelli ribelli che le formavano una nuvola attorno alla testa.
Il comandante finalmente alzò lo sguardo e la guardò in faccia, lanciando una fugace occhiata priva di cupidigia al modo in cui la casacca le fasciava il tronco e metteva in mostra il seno per una volta non schiacciato.
Levy era davvero bellissima nella sua semplicità.
- Se ti vede qualcuno sei nei guai, piccoletta – la mise in guardia Gajeel, accennando alle sue curve e ai suoi capelli.
La ragazza scrollò le spalle e lo osservò di sottecchi. – Non mi vedrà nessuno. A quest’ora dormono tutti.
- Ancora non capisco per quale motivo sei venuta qui. Ci sono modi più semplici per suicidarsi.
Levy sorrise leggermente e strinse le ginocchia al petto, appoggiandovi il mento. Guardò Gajeel in un modo che gli fece bloccare il cuore e perdere il filo dei pensieri.
- Per amore, comandante.
- Per un uomo?
- No – rise lei, scuotendo la testa. – Ci sono diversi tipi di amore. È stato quello per mio padre a spingermi fino a qui. Non potevo permettere che, alla sua età, con una gamba zoppa e per colpa mia venisse qui a morire. Non era giusto.
- Colpa tua?
Lei annuì. Gajeel le aveva già fatto quelle domande, nella sua tenda, quando aveva scoperto la verità mentre le fasciava il petto. Ma era comprensibile che si fosse scordato la conversazione. Del resto, la sua attenzione doveva essere ai minimi storici dopo aver appurato che in un accampamento maschile non tutti erano maschi. – I miei hanno avuto solo una figlia, me. E dopo tre aborti, per giunta. È un miracolo che io sia riuscita a nascere. Mio padre mi ama più della sua stessa vita, ma io non sono un maschio. Non posso essere selezionata al posto suo per la leva obbligatoria. È colpa mia che non sono ciò che lui voleva.
Gajeel scrutò la sua tristezza e le incastrò una ciocca di capelli dietro l’orecchio per guardarla negli occhi. Poi girò mezzo busto verso di lei, avvicinandosi senza nemmeno farci caso.
- Per amare una persona nel modo in cui tu ami tuo padre, bisogna ricevere a propria volta lo stesso amore.
Levy alzò il viso e lo osservò, in attesa.
- Se tu ami tuo padre così tanto, significa che lui ti ama allo stesso modo. Non credo, quindi, che lui sarebbe venuto qui a morire per colpa tua. Sarebbe venuto qui a proteggere te dai nemici. Sarebbe morto per te, consapevole di aver fatto tutto ciò che poteva per te.
Levy sentì le lacrime salirle agli occhi. – Ma io non voglio che lui muoia per me. Voglio che viva per me, che mi accompagni all’altare quando mi sposerò, se troverò un uomo che mi voglia, che insegni ai nipotini tutto quello che ha insegnato a me, che mi aiuti a crescere ancora.
Una lacrima sfuggì al suo controllo e cadde sopra la mano di Gajeel mentre lei abbassava lo sguardo.
- Non sono pentita di essere venuta qui, lo rifarei altre cento volte pur di salvarlo. Avrei solo voluto avere un po’ più di tempo al suo fianco, ecco. Avrei voluto dirgli addio come si deve, pregarlo di essere forte e… non lo so, di continuare a ricordarmi senza avere rimpianti. Io…
Gajeel l’abbracciò proprio nel momento in cui Levy perse il controllo, scoppiando in singhiozzi che le scossero il corpo e le impedirono di respirare. Il comandante la strinse a sé per la vita mentre con una mano le accarezzava la testa premuta contro il suo petto. Cullò dolcemente il suo corpo tremante e lasciò che si sfogasse, che si liberasse dal male che portava dentro, senza dire una parola. Tutto sarebbe stato superfluo in quel momento. Persino la consapevolezza di essere profondamente e indissolubilmente innamorato di quella donna che nel suo piccolo corpo nascondeva un coraggio infinito. E un amore ancora più grande.
Alla fine, dopo diversi minuti di disperazione, Levy allungò la mano e prese un panno alla base del masso su cui si soffiò il naso, placandosi pian piano al suono del battito del cuore di Gajeel contro il suo orecchio. Le parve di sentire una leggera resistenza delle sue braccia quando si scostò da lui, come se avesse voluto tenerla ancora premuta contro di sé.
- Sc-scusa, Gajeel – bisbigliò, il respiro ancora interrotto dai singhiozzi. – Non avrei dovuto… non volevo… non…
Il ragazzo, fulminato sul posto dai suoi lucidi occhi rossi così dolci e insieme sofferenti, sconnetté il cervello e si sporse per baciarla con un impeto che mai aveva adoperato, con una foga alimentata dalla sua stessa ansia e dalla consapevolezza di ciò che provava per lei e del poco tempo che avevano a disposizione.
Levy spalancò gli occhi quando sentì la bocca di Gajeel premere e muoversi contro la sua, ma l’iniziale sbigottimento lasciò il posto ad una sensazione che la scaldò dentro come un fuoco. Chiuse gli occhi quando lo fece anche lui e la timidezza e l’inesperienza l’abbandonarono come vecchi nemici ormai sconfitti.
Il suo corpo reagì da solo e lei gli infilò le mani nei capelli per avvicinare ancora di più la sua bocca, che si staccò per un solo secondo alla ricerca del fiato che gli mancava. Le mani di lui le accarezzarono il viso e i capelli prima di scendere lungo la sua schiena e afferrarla per i fianchi, tirandosela addosso fino a far aggrovigliare i loro corpi. Alla fine si posizionarono sotto la sua casacca, sulla schiena calda, dove percorsero con le dita l’intera spina dorsale, dall’alto al basso e viceversa. Levy gli accarezzò il collo e il petto prima di circondargli la vita e le spalle con le braccia.
Ben presto si ritrovò ad ansimare e, a dispetto di ciò che credeva, non provò alcuna vergogna. Gajeel la faceva sentire forte grazie alle sue reazioni positive, la faceva sentire donna mentre lei prendeva confidenza con le sue labbra e la sua bocca, mordendolo, leccandolo e giocando prima timidamente e poi audacemente con la sua lingua.
Alla fine sorrise mentre si sistemava meglio sul masso, in modo da sedersi in braccio a lui, e lo sentì incurvare le labbra a sua volta, felice.
- Ma che diavolo…?!
Levy si allontanò da Gajeel così in fretta da dimenticare di essere sopra un masso relativamente stretto, e se non fosse stato per i riflessi pronti del ragazzo che le artigliò un polso e la tirò nuovamente contro di sé sarebbe finita per terra in malo modo.
Alle loro spalle, Lily li stava fissando con gli occhi fuori dalle orbite, facendo passare lo sguardo dal viso di lui a quello di lei senza realmente vederli.
Alla fine alzò un dito e mosse le dita annichilite della mano in modo sconclusionato, dando prova pratica della confusione che aveva in testa.
- Lily – lo chiamò Gajeel, riprendendo fiato. – Posso spiegare.
- Mi hai detto di non essere gay! – lo accusò Lily urlando, ritrovando l’uso della voce.
- Sh! – gli intimò il comandante, guardandosi attorno alla ricerca di eventuali spie od origliatori casuali. – Ma che fai, scemo? Sveglia tutto il campo, già che ci sei – sibilò, circondando la vita di Levy come a proteggerla.
- Non parlare a denti stretti con me, sai?! Mi hai mentito, e non me ne frega niente se sei il comandante, chiaro?! Prima di essere il mio superiore sei mio amico e non posso credere che tu mi abbia nascosto il tuo orientamento sessuale per tutto questo tempo. Pensavi che ti avrei giudicato, eh?! Ma cosa ti passa per…
- Lily, Ev è una ragazza! – sbottò Gajeel, esasperato.
Il primo ufficiale, livido di rabbia, si zittì e fissò Levy con l’intenzione di scavarle un buco nell’anima. Per prima cosa notò i capelli voluminosi e ribelli nonostante la spazzolata, che le ricadevano sulle spalle e le circondavano il viso morbido. Troppo morbido per essere quello di un maschio. Poi i suoi occhi corsero giù lungo il collo del cadetto e si soffermarono su una sporgenza che un uomo non avrebbe dovuto avere. Infine risalì e la guardò in volto, arrossato per mille motivi, e vide i suoi occhi. Li vide davvero, per la prima volta.
- Ev è una… donna?
La ragazza annuì timidamente mentre con la mano si sistemava la casacca a copertura del seno già coperto, in un gesto istintivo. – Mi chiamo Levy – mormorò quando nessuno dei due uomini aggiunse altro. – Mi dispiace…
- Quando l’hai… come… ma lo sapevi? – borbottò Lily, avvicinandosi a loro, ancora sbalordito. – Ora mi spieghi tutto Gajeel, o giuro che in battaglia dovrai trovarti un altro disposto a guardarti le spalle!
- Calmati, Lily – disse perentoriamente il comandante, ordinandoglielo più che incoraggiandolo. – L’ho scoperto a causa tua.
- Mia?!
Levy annuì e sollevò la casacca per scoprire la rosea cicatrice che il primo ufficiale le aveva procurato. – Quando ci siamo allenati con le katane e tu mi hai ferita, Gajeel è venuto a vedere come stavo e… mi ha scoperta proprio mentre mi medicavo. Mi ha protetta non dicendo a nessuno della mia identità e ha mentito a te per lo stesso motivo.
Lily finalmente capì, quelle ultime, bizzarre settimane acquistarono un senso per lui. Il rifiuto di Ev… di Levy a volersi togliere la casacca, la sua agitazione quando lui le aveva proposto di aiutarla a curare la sua ferita, gli strani ordini di Gajeel per esonerarla da certi addestramenti compromettenti, il suo pronto aiuto dopo giornate particolarmente dure e le occhiate lunghe e incuriosite che lanciava sempre più spesso a quel soldato piccolo e particolare.
Sorrise quando i suoi ricordi acquisirono un nuovo significato. – Be’, questo spiega molte cose.
Levy annuì, sollevata ma non ancora del tutto tranquilla. – Io non volevo mentire o ingannarvi, spero che tu lo capisca Lily. Ti chiedo solo di non uccidermi o rivelare il mio segreto, perché non tutti sarebbero indulgenti come Gajeel – disse prendendo la mano del diretto interessato, che gliela strinse. – Non ho il diritto di chiederti alcunché, lo so, in fondo sono una bugiarda, ma…
- Non ho intenzione di fare la spia, Levy – la bloccò Lily, con un tono di voce più solenne di una promessa. – Sei uno dei miei uomini, sei una valida guerriera, sei sveglia e sei sopravvissuta per mesi in un campo militare maschile. Di fronte all’ammirazione che nutro nei tuoi confronti, la tua bugia è una macchia sbiadita su uno sfondo nero.
La ragazza rischiò di commuoversi alle parole del primo ufficiale e per evitare di piangere saltò giù dalla roccia e si fiondò ad abbracciare Lily, facendolo rotolare sull’erba. Il mastodontico soldato scoppiò a ridere dopo un momento di spaesamento, abbracciando la giovane e dandole lievi pacche sulla schiena.
- Non è molto virile questo, soldato Ev – le fece notare.
Ridacchiando, lei si tirò su e annuì prima di mettersi sull’attenti e gonfiare petto e spalle. – Signorsì, signore. Domando scusa per il mio gesto da ragazzina.
Gajeel e Lily risero ancora.
Una ragazza era proprio quello di cui avevano bisogno dopo mesi di contatti con soli uomini, e Lily sentì nascere nel suo cuore un profondo affetto per quella piccola creatura che aveva il coraggio di un leone. E lo sguardo famelico di Gajeel gli confermò che era off-limits per chiunque, marcata stretta dal primo scopritore del suo segreto.
Lily li vedeva bene insieme, tutto sommato. Chi, del resto, se non una donna-soldato, poteva tenere testa ad un testone come il suo comandante? Si sarebbero incornati come due caproni in calore, ne era certo, ma avrebbe trionfato l’amore tra di loro. L’amore, e quella calamita che sembrava unirli naturalmente, attrarli l’uno verso l’altra come due poli opposti.
- Vado a sorvegliare i ragazzi che sono di ronda, ci vediamo domani mattina all’alba, Levy – si congedò il primo ufficiale, scompigliando i capelli morbidi della ragazza.
Lei annuì e lo salutò con la mano ed un sorriso che lo contagiò, facendo rifulgere i suoi denti bianchi sulla pelle scura.
- Sarà meglio che vada anche io – la informò Gajeel, scendendo dalla roccia e affiancandola. – Non vorrei che qualcuno ci vedesse insieme e… be’, devo preparare la partenza e per colpa tua sono in ritardo.
- Colpa mia? – sbottò Levy, offesa. – Io non ho fatto proprio…
Le labbra del comandante la zittirono nuovamente, ma lei non riuscì ad arrabbiarsi per quel metodo poco ortodosso che Gajeel usava per farle cambiare discorso. O farglielo dimenticare.
Levy scoprì quanto dolce può essere un bacio grazie a quel lieve contatto. Se prima il loro bacio era puro fuoco, ora era un piccolo sole caldo e luminoso che le riempiva le vene di luce.
Le sue mani e le sue braccia forti la strinsero con delicatezza, non con la possessività di prima, i tocchi che le lasciava sulla pelle erano quasi timorosi. Le accarezzò il viso gentilmente e la baciò lentamente, piano, senza fretta.
Troppo presto interruppe il contatto per baciarla sulla fronte e allontanarsi con un ghigno furbesco sulle labbra.
Levy rimase impalata lì, guardandolo andare via anche quando ormai il comandante era fuori dalla sua portata visiva, a chiedersi in che modo una storia romantica poteva aiutare il loro squadrone, la sua patria, a vincere la guerra.
Mentre raccattava le sue cose per tornare alla tenda, però, pensò che non le interessava. L’importante era vincere quella battaglia, rimanere in vita.
Se era stato l’amore di suo padre a farla partire per arruolarsi nell’esercito, sarebbe stato l’amore per Gajeel a farla tornare a casa sana e salva, da suo padre e sua madre, vittoriosa, per renderli orgogliosi.
Con l’amore non si vince la guerra.
Si vince la vita.
 
Più tardi, quella sera, quando Lily finì il giro di ricognizione, tornò nella tenda principale che divideva con Gajeel, che se ne stava steso sul suo letto a fissare il soffitto arancione sbiadito.
Lily lo guardò a lungo mentre si spogliava per prepararsi a dormire, ma non riuscì a carpire nulla dall’espressione sul viso dell’amico. Solo quando spense le candele e si sdraiò a sua volta lo sentì trovare la forza per parlargli.
- Lily?
- Sì?
Il comandante tacque. E Lily aspettò.
- Grazie.
Fu il turno del primo ufficiale di tacere. Non aveva proprio nulla di cui ringraziarlo, Gajeel.
- Aiutami a tenerla in vita, ti prego – lo supplicò in un sussurro, troppo vergognoso per ripetere quelle parole così vere e importanti a voce alta.
Lily seppe per certo che Gajeel era perdutamente innamorato di quel minuscolo soldato che valeva per tre uomini robusti.
- Qualcosa mi dice che sarà lei a tenere in vita noi, Gajeel – lo rassicurò. – Te la porterai a casa, la vittoria. Ce la porteremo a casa.
- Non mi interessa della vittoria. Voglio solo portare lei da suo padre e chiedergli la sua mano.
Lily sorrise. Mai avrebbe pensato di udire quelle parole uscire dalla bocca del suo più vecchio e scontroso amico.
- Parlando di vittoria mi riferivo a lei, Gajeel. Vincerai tutte le battaglie legate a lei, ne sono certo. Ora dormi, però, o toccherà a lei salvarti le chiappe sul campo di battaglia.
Il ragazzo annuì nel buio, certo che Lily avrebbe capito, e si addormentò subito.
Avrebbe vinto.
Con Lily al fianco e Levy come trofeo, non poteva permettersi di perdere.
Avrebbe vinto tutto.



MaxB
Vi prego non odiatemi se ho stravolto la storia. Il fatto è che me ne innamoravo mano a mano che scrivevo e mi è successo davvero poche volte con le cose che scrivevo io, quindi...Cioè, si è scritta da sola, mettiamola così.
Volevo ringraziarvi tuttissimi perché non mi aspettavo un'accoglienza così calorosa per questa raccolta, davvero, sono rmasta piacevolmente sorpresa. E vi ringrazio di cuore anche per i suggerimenti. Molti di quelli che mi avete consigliato purtroppo non li conosco, ma se un giorno troverò un po' di tempo proverò a documentarmi per procedere con gli adattamenti^^
Grazie ancora,
MaxB

A porposito... non ho idea di quando uscirà il prossimo capitolo ahahahahah. Iniziamo con i ritardi, beneeeeee. Sorry^^"
  
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