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Autore: Viviane Danglars    09/06/2009    2 recensioni
Ichigo è un investigatore, ha un cliente e un “caso” da risolvere.
Non è pulito, non è delicato e non finisce bene.
[ Respirò a fondo nell’aria ancora fresca della mattina, senza aprire gli occhi. Non ne aveva bisogno per visualizzare il luogo dove si trovava; sapeva com’era fatta la ringhiera di ferro che sentiva premergli, fredda, contro le reni. E sapeva che, sotto di lui, c’erano numerosi piani e poi soltanto l’asfalto, non liscio né propriamente grigio, ma sicuramente duro.
Numerosi piani di poveracci e disperati, prostitute e drogati, ubriaconi e malati e, sopra di loro, lui: Renji Abarai, con i suoi tatuaggi, le mani robuste infilate nelle tasche, la maglietta lisa che profumava della lavanderia di Momo e i capelli rossi raccolti in una coda spettinata.
]
~ [Liberamente ispirato al film Million Dollar Hotel.]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Renji Abarai
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Capitolo undicesimo.
Gypsy




[ We strangers know each other now
as part of the whole design
And we'll blow away forever soon
and go on to different lands -
and please do not ever look for me,
but with me you will stay;
and you will hear yourself in song,
blowing by one day. ]




Cosa sta facendo?
Faccio come lei, comunico.
Daniel Pennac, La prosivendola




Il profilo di Izuru era assolutamente identico a come Tatsuki lo ricordava. Sottile, magro, appuntito, quasi troppo appuntito e timoroso di fare del male a se stesso. Il ragazzo aveva gli occhi socchiusi e abbassati, l’espressione di chi è profondamente a disagio, mentre stava in piedi in quel vicolo, la testa bionda perfettamente inquadrata dalla forma di una finestra impolverata e rotta sul muro dietro di lui.
Quando l’aveva visto ricomparire, quella mattina, Tatsuki aveva deciso che era inutile continuare ad evitarlo. Izuru continuava ad insistere, con una costanza che non era da lui; eccolo là. Per lei. E allora gli avrebbe dato quello che voleva, si era detta.
Ma, ora che erano lì faccia a faccia, Izuru non sembrava per nulla più forte. Era ancora il ragazzino che Tatsuki conosceva.
Da un lato ne era felice. Sarebbe stato strano scoprire che era cambiato.
Eppure era un peso, in un certo senso, scoprire che era lei la più forte. Ancora. Persino così.
Fino ad allora il ragazzo non aveva detto nulla, se non qualche tentativo balbettato mentre lei se lo tirava dietro sul retro del Million Dollar Hotel, e Tatsuki si era accesa una sigaretta. Ma a quel punto Izuru aveva parlato e nella sua voce c’erano tutti i ricordi, tutto il dolore del bambino Izuru orfano e del giovane Izuru povero e dell’adulto Izuru abbandonato, una tonalità che Tatsuki non si sentiva di poter definire né infantile né debole.
- Grazie per… - Izuru mosse una mano, sollevando il capo quasi con fastidio, e non completò la frase.
- Per cosa? -
- Per avere smesso di evitarmi, suppongo. -
Tatsuki serrò le labbra. – Be’. Si può sapere che cosa vuoi, Izuru? -
Si pentì subito quando lui le restituì uno sguardo ferito. – Davvero, - concluse tra sé il ragazzo, dopo un istante – non sei per nulla felice di vedermi… -
Tatsuki si stava innervosendo, e lo manifestò muovendo i piedi sul marciapiedi sporco, la sigaretta stretta con forza tra le dita.
- Forse dovrei andarmene – concluse il ragazzo.
Non la guardava più in viso. E che se ne andasse era proprio quello che Tatsuki voleva, ma quando si rese conto che lui voleva farlo davvero, che stava per lasciarla lì e rinunciarci, come al solito, come sempre, la rabbia la fece parlare in modo contrario persino al suo interesse.
- Izuru! Fermati, accidenti! Ma dove vuoi andare? Non volevi parlarmi? – sbraitò serrando i pugni. – Perché cazzo rinunci così, eh? Mi hai cercato per settimane, adesso sono qui e tu te ne vai? Sono qui, cosa volevi dirmi? Dimmelo! -
Aveva alzato la voce più del necessario, perché poteva vedere soltanto le spalle di Izuru e non sapeva che espressione c’era adesso sul suo viso, e perché era stanca e nervosa, combattuta tra speranza e diffidenza. Ma lui si era fermato e si girò, la fronte corrugata, il viso ferito e duro insieme, e non parlò.
- Sei sempre il solito vigliacco – sbuffò lei, e buttò la sigaretta, esasperata. – Arrivi a quello che vuoi e poi rinunci! Non hai ancora imparato a combattere per quello che vuoi? -
Ma a quel punto lui la interruppe tornandole davanti, tanto da sfiorarla col petto. Tatsuki si zittì ancor prima che lui si mettesse a parlare. – Chi è che non sa combattere per quello che vuole? – sibilò. La sua voce ora era bassa, e arrabbiata, e non aveva niente dell’Izuru petulante di diciassette anni, eccetto chiaramente il dolore. – Tutto quello che ho l’ho ottenuto combattendo, e tu lo sai. Anche essere qua, adesso, di fronte a te, per farmi urlare contro… eppure me ne andrò se la cosa ti arreca dolore. – Disse l’ultima frase in un modo che le diede i brividi. Izuru si mordeva le labbra, come se non parlasse del dolore di un altro, ma del proprio. – Questo tu lo chiami essere vigliacchi? -
Tatsuki lo guardava dal basso, senza parole ma con un groppo in gola e la sensazione di sentire gli occhi bruciare. Perché sentiva il desiderio di piangere?
- No, - balbettò distogliendo lo sguardo. – Non è da vigliacchi. Scusa – disse in fretta. Tutto ciò che le importava era non guardarlo in viso e avrebbe tanto voluto che anche Izuru non potesse vedere il suo viso, perché provava vergogna.
Ci fu ancora un po’ di silenzio, che a Tatsuki parve lunghissimo, perché con lo sguardo puntato al suolo poteva vedere soltanto il marciapiede sporco, e non sapeva con quali occhi lui la guardasse.
Poi la mano di Izuru si sollevò entrando nella sua visuale, mentre lui accennava, a malapena, a toccarla.
- Il motivo per il quale ti cercavo… - mormorò il ragazzo, la voce bassissima ma ferma – è salutarti. Me ne vado, Tatsuki. -

Orihime sorbiva in silenzio il suo caffè, gli occhi bassi e la testa altrove. Per gli altri avventori del bar dell’ospedale, era una figurina bianca seduta tutta sola, con una testa castana china su una manciata di cartelle e su un cellulare. Spento.
Non era un problema. Diceva sempre ad Uryuu di non chiamarla in ospedale.
Anche se ora avrebbe dovuto prendere su le sue cose e tornarsene a casa, non restare lì.
Ma non riusciva a decidersi a farlo e rimaneva a rimuginare, cincischiando con i fogli che avrebbe dovuto riordinare; circondata dal rilassante ambiente candido e ordinato dell’ospedale, che la aiutava sempre, a distrarsi e sentirsi in qualche modo utile.
- Orihime? -
La ragazza sobbalzò, anche se la voce che aveva interrotto il corso dei suoi pensieri era tanto delicata e gentile che un altro, forse, non la avrebbe neanche sentita.
Nemu era in piedi di fianco a lei e vedendo la sua reazione parve pentirsi immediatamente di averla chiamata.
- Scusami, non volevo disturbarti… -
- Non mi disturbi affatto, Nemu! – Orihime rise e agitò le mani, imbarazzata. – Scusami, ero sovrapensiero… -
L’altra non sembrava convinta, ed esprimeva quel sentimento con una garbata perplessità.
- Davvero! – insisté Orihime. – Ecco, cosa volevi dirmi? -
- Mi chiedevo solo se… - Nemu lanciò un’occhiata al posto vuoto di fronte ad Orihime. – Posso sedermi qui? -
- Oh. Certo! -
E osservò l’altra sedersi compostamente, lisciandosi la gonna e posando a sua volta un mucchio di cartelle sul tavolo. Nemu era bella: aveva occhi grandi e vellutati e lisci capelli scuri. Era sempre posata, calma, tanto da apparire distante rispetto alle altre persone che Orihime incontrava quotidianamente; e anche per questo era piacevolmente stupita di vederla avvicinarsi spontaneamente a lei.
Nemu, Orihime lo sapeva, stava sempre da sola. La si sarebbe potuta scambiare per una novellina timida, magari una ragazza introversa che faceva fatica a prendere confidenza con le colleghe; ma non era così: Nemu lavorava in ospedale da anni e Orihime sapeva che in quel lavoro era molto apprezzata da chi ormai la conosceva.
Eppure, in mezzo alle altre, sembrava sempre l’ultima ruota del carro, messa in disparte persino dalle studentesse.
All’inizio, Orihime si era stupita. Qualche amica le aveva sussurrato di non farci caso:
- E’ strana, è fatta così. -
- Comunque non ha mai mostrato interesse ad uscire con noi… -
Ma, a lei, Nemu piaceva. Ed Orihime sapeva che anche alla dottoressa Unohana la ragazza piaceva. Forse perché il suo viso era così dolce, anche se i gesti erano quelli professionali di chi non batte ciglio di fronte alle ferite più brutte e ai pazienti più riottosi. Era proprio il suo viso liscio e grazioso che la svantaggiava, perché, guardandolo, si tendeva a dimenticare la bravura e l’esperienza che stavano dietro la superficie.
Anche adesso, mentre la vedeva ordinare un tè, Orihime faceva fatica a ricordarsi che Nemu era più grande di lei. Però ora sapeva qualcosa che i primi tempi ignorava, e che aveva influenzato molto la sua opinione su Nemu.
Era stata un’infermiera più grande a raccontarle la storia, una volta che Orihime si era fermata ad osservare le foto allineate nel corridoio degli uffici dell’ospedale.
- Cosa guardi? – aveva chiesto Isane fermandosi di fianco a lei.
- Be’, mi era sembrato… - Orihime aveva indicato l’uomo nella foto di fronte a sé. – E’ lo stesso cognome di Nemu? -
- Già. – Annuendo, Isane aveva infilato i suoi documenti sotto un braccio e aveva sollevato l’altra mano per ticchettare sul vetro. – E’ suo padre. -
- Cosa? Davvero?! Non lo sapevo! -
- Be’, non è che faccia piacere ricordarglielo. – Isane si era stretta nelle spalle. – Mi stupisce che nessuna delle infermiere te l’abbia detto, comunque. Adorano questa storia… - e aveva roteato gli occhi, esprimendo così un chiaro giudizio sulle colleghe più giovani.
- Ah? C’è una storia? -
Orihime si sentiva un po’ sciocca a porre quelle domande e aveva temuto di aver curiosato troppo; ma, con lei, Isane era sempre gentile e anche quella volta aveva sorriso. – Sì, ma non tirarla fuori con lei, okay? Comunque la storia è semplice… vedi che c’è scritto qui? – E aveva indicato la targhetta sulla cornice. - Il dottor Kurotsuchi è stato uno dei medici più famosi di questo ospedale, grazie alle sue ricerche ci ha fatto guadagnare un sacco di soldi, in passato. Era molto rispettato, però sembra che avesse un carattere davvero difficile. -
Orihime non stentava a crederlo, perché, anche se non conosceva la persona che ora osservava soltanto in una riproduzione bidimensionale, di sicuro sapeva che quell’uomo aveva qualcosa di arrogante e scostante nello sguardo.
- Era un tipo un po’ strano… Geniale, comunque – aveva riconosciuto Isane. – Io l’ho conosciuto pochissimo. E’ stato professore della dottoressa Unohana, sai? – aveva aggiunto, l’ammirazione per la donna più grande ben evidente nella voce. – Ma non si piacevano. Litigavano sempre. Avevano metodi troppo diversi… sai, credo che forse, se dedichi tutto te stesso alla ricerca, perdi di vista il lato umano del nostro lavoro… -
- Tutto il contrario della dottoressa Unohana. -
- Sì, infatti. – Ma mentre ascoltava il tono entusiastico di Isane, Orihime si chiedeva se era poi vero che la dottoressa Unohana era ancora “tutto il contrario”. E si ricordava dell’espressione con la quale aveva lasciato andare Grimmjow e Ulquiorra.
- E poi è successo quel che è successo, - aveva continuato Isane.
Così, in quel modo – e piuttosto in ritardo - Orihime aveva scoperto la storia di Mayuri Kurotsuchi e di sua figlia, da lui indirizzata verso gli studi di medicina. Nessuno sapeva che cosa avrebbe fatto Nemu se non ci fosse stato suo padre a scegliere per lei; forse esattamente la stessa cosa.
Però, quando aveva iniziato a lavorare in ospedale, nessuno aveva fiducia in lei: il suo cognome aveva una fama pesante da portare, soprattutto se le infermiere invidiose bisbigliavano che fosse stata raccomandata dal padre. Inoltre Mayuri poteva essere stimato come medico, ma di sicuro non aveva molti amici in ospedale, e la reputazione della sua scarsa simpatia non aveva aiutato Nemu.
- Quando poi è impazzito, la cosa è diventata addirittura sinistra. Ci pensi? Ha dedicato tutta la vita a quest’ospedale ed è finito proprio qui, nel reparto psichiatrico. Probabilmente troppo lavoro, troppo contatto con i malati… Non lo so: ero appena arrivata, a quel tempo. A me sembra molto triste, poveraccio… Ma le altre dicono che lo penso solo perché non ho avuto il tempo di conoscerlo meglio. -
Orihime era rimasta impressionata e non ne aveva fatto mistero. Per un istante, aveva rivisto gli occhi inquietanti di Ulquiorra, ma si era affrettata a scacciare il pensiero.
- Nemu lavora nell’ospedale dove è ricoverato suo padre? – aveva chiesto esitante.
Isane aveva scosso la testa. – Non più. E’ morto qualche anno fa. -
Ora, di fronte ad Orihime, Nemu mescolava lo zucchero nel suo tè, l’espressione vagamente assente. Da quel che Orihime aveva sentito dire, la ragazza si era presa cura del padre ed era sempre stata molto leale verso di lui, nonostante Mayuri fosse il primo a trattarla male.
Anche per questo, Orihime aveva cominciato a stimare Nemu.
- Lavoro, eh? – chiese, indicando le cartelle, nel tentativo di iniziare una conversazione.
Nemu annuì con un gesto impercettibile, per poi prendere un piccolo sorso dalla sua tazza.
- Anche io… - Orihime abbassò lo sguardo sui suoi fogli. Non si faceva abbattere dal silenzio di un interlocutore, ma neppure riempiva quel silenzio con parole invasive. Forse anche per questo Nemu aveva chiesto di sedersi vicino a lei.
- E’ un brutto periodo? -
- Cosa? – Stupefatta, Orihime aveva sollevato la testa. Nemu la osservava compunta, un po’ stupita dalla sua reazione. – In che senso? Io? -
- Ho notato alcuni piccoli fattori. Distrazione, solitudine, stanchezza… - Parlava come se elencasse i sintomi di una malattia, eppure riusciva a farlo con tanta delicatezza da non risultare sgarbata.
- Be’… forse… ma nulla di grave… -
Ed Orihime si era ritrovata assolutamente meravigliata nello scoprire che la solitaria Nemu, in tutto quel tempo, si era preoccupata per lei, come fa un senpai verso un collega più giovane.
Per un attimo si sentì in imbarazzo, rendendosi conto che fino ad allora aveva creduto di essere lei, quella che si preoccupava per Nemu. Ma scoprì che l’imbarazzo non era poi tanto grave e quando Nemu le rivolse uno sguardo incoraggiante, Orihime riuscì a sorridere.

- Vai dove? -
La ragazza aveva sollevato il viso di scatto. Izuru la guardava dall’alto, la fronte corrugata, la bocca costretta in una scomodissima piega che non sapeva decidere che forma prendere.
- In Europa – rispose, la voce ancora bassa. – Ho finito i miei studi. Vado lì a lavorare. -
Tatsuki dischiuse le labbra, ma non disse nulla.
- Qui, oramai… - Per la prima volta anche Izuru distolse lo sguardo, con un piccolo gesto amaro. Un segno di cedimento. – Non ho mai avuto molti amici, lo sai. Della nostra classe, tanti sono morti. Non ho parenti. – Prese un breve respiro. – Non so quando tornerò. -
Tatsuki era rimasta senza parole, ma avrebbe tanto voluto trovare qualcosa da dire, pur di fermarlo, pur di non dover ascoltare altro. Stringeva i pugni fissando le labbra sottili di Izuru che continuavano: - Quando ho scoperto dov’eri… ho pensato… volevo salutarti, be’, almeno tu… - e poi si interruppe e Tatsuki lo vide mordersi il labbro inferiore per quelle due parole così sincere.
Non la guardava, forse perché sapeva che lei lo stava fissando intensamente. Adesso era lui ad evitare il suo sguardo. Per un istante Tatsuki pensò in preda al panico che non sapeva assolutamente cosa fare, e l’istante dopo quello che fece fu aggrapparsi ad Izuru e cominciare a piangere.
Pianse rumorosamente con la guancia contro il suo petto, aggrappando le mani alle sue spalle, e dopo poco lo sentì sollevare le braccia e cingerle gentilmente la schiena. Tatsuki sapeva di essere crudele, sapeva che per lui doveva essere tremendo vederla così, essere costretto a consolarla, quando lei aveva sempre finto di ignorare quello che lui avrebbe davvero voluto…
Ma non poteva farne a meno. Aveva bisogno di piangere contro di lui, almeno una volta. E Izuru non si lamentò.
Le accarezzò le spalle e la testa in silenzio finché lei non strinse i pugni asciutti contro la sua camicia, cercando di recuperare il respiro. Poi, si staccarono e lei si passò i pugni sugli occhi dove il trucco aveva sbavato rendendo il suo viso ancora più smunto.
Non si mentirono. Si salutarono senza provare a dirsi “Fatti sentire” o “Ci vediamo” e senza neppure scambiarsi indirizzi o numeri di telefono.
- Stammi bene – disse Izuru con dolcezza, guardandola, e Tatsuki abbozzò un sorriso stentato dagli occhi lucidi, tirando su col naso.
- Anche tu. -



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Aggiorn aggiorn! >w<
Iccumi qua, con l'undicesimo capitolohhh... e vi devo dire che io questo capitolo lo amoh. °C° Izuruuuu °C° Qui si conclude la loro storia e, si spera, si capisce cosa mi ha colpito in questi due personaggi e nella possibilità di metterli in "comunicazione" tra loro (che è una cosa abbastanza inspiegabile, lo so... XD). Se non si capisce ho fallito. U_____________U''''
Allora, devo dirvi che... ragassssse grazieh *C* Davvero, sono commossa che mi abbiate risposto nonostante tutto questo tempo che ho lasciato passare! Come sono cattifah. ;___;

@Ino_Chan: Che lettrice fedeleh *__*'' Oltre che creatrice di videossss, come si è scoperto *___*'' Wah sì la tua recensione è perfetta, hai inquadrato tutto perfectly U_U ne sono molto felice perchè sentivo bisogno di un capitolo di "stasi", di far respirare un po' l'atmosfera dell'hotel (in realtà mi ha ispirato il video d The Ground Benath her Feet, ammetto! XD) e di fare finalmente un po' di "zoom" su alcuni personaggi finora solo nominati... come Momo e Grimm... mi piacciono le storie con molti diversi pg "sul fuoco" ma poi è difficile seguirli tutti e renderle equilibrate, e, soprattutto, portare a compimento ogni "filo" della storia, in un modo che lasci soddisfatti i lettori ò.ò

@kikafei: ... superbo, fa molto fransceseh *__*'' ma non lo merito °////° In verità non merito tutti questi complimenti, però devo dire che, se davvero leggere quello che scrivo ti piace, ne sono estremamente felice. Forse alla fine la "bravura" si riduce alla capacità di "toccare" chi legge, o forse no, in ogni caso scoprire di riuscirci è davvero stupendo... quindi grazie :D
   
 
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