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Autore: Amatus    11/05/2017    1 recensioni
I grandi eroi esistono per sconfiggere grandi nemici e pericoli mortali. E se il confine fra eroe e mostro non fosse così evidente? Se l'eroe non sapesse contro cosa realmente combatte? Se il nemico fosse convinto di essere un eroe?
E se il nemico più pericoloso fosse l'eroe pronto a combattere per la propria giusta causa a dispetto di tutto il resto?
Una storia può essere raccontata da diversi punti di vista. Questa storia ne presenta due. Due potenziali eroi. Due potenziali mostri. Distinguere l'uno dall'altro potrebbe essere più difficile di quanto si pensi.
Era troppo tempo che qualcuno non gli rivolgeva una parola gentile e fare nuove conoscenze era una cosa così tanto al di fuori delle sue aspettative che non sapeva come reagire. Quando alla fine pronunciò il suo nome quelle lettere così scandite suonarono buffe alle sue orecchie. Non avevano più nessun significato da tempo immemorabile. Solas. Da quanto tempo nessuno lo chiamava così, sentire quel nome, anche se pronunciato dal nano lo fece sentire meglio.
[IN REVISIONE]
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Inquisitore, Solas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Fen'Len - Figlia del Lupo'
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Vir Assan - The way of the Arrow, fly straight and do not waver
 
XLV

Lena non aveva più lasciato le stanze di Varric da quando aveva fatto ritorno a Skyhold. Non riusciva a comprendere quanto accaduto, il frenetico susseguirsi di una felicità sconosciuta e di una disperazione sconfinata l'aveva lasciata frastornata, incapace di reagire perché incapace di comprendere.
Di ritorno dallo strano viaggio, intrapreso con Solas e concluso da sola, Lena aveva imboccato decisa l'ingresso della stanza dell'amico, si era raggomitolata sulla grande poltrona tanto cara a Varric ed era rimasta lì, senza parlare e senza muoversi per quasi due giorni, senza versare neanche una lacrima. Le spiegazioni erano arrivate col tempo e centellinate, come se ogni parola pronunciata strappasse a Lena un pezzo di sé. Varric era stato paziente ed accogliente come sempre, l'aveva lasciata prendersi i suoi tempi e gestire il dolore a suo modo, avrebbe potuto sommergerla con fiumi di “te l'avevo detto” ma non pronunciò una parola che non fosse colma di comprensione e di calore. Lena non si chiese dove il nano avesse riposto il suo innato sarcasmo, ma più avanti le capitò di pensarci.
La testa continuava a riempirsi di pensieri che non sempre Lena era in grado di distinguere, sentiva voci lontane e indistinte ripetere parole senza significato confondersi con la sua voce chiara e persistente che continuava a ripetere la stessa domanda: perché?
Nei rari momenti in cui il sonno aveva avuto la meglio le voci si erano fate più forti, mostrando immagini confuse, e dando ordini imprecisi ai quali Lena non avrebbe saputo come obbedire.
La terza mattina Varric rientrò nella stanza portando un vassoio pieno di biscotti, frutta e focacce, lo posò su un basso tavolino accanto alla poltrona e si sedette su un bracciolo di questa. Fece passare un braccio attorno alle spalle di Lena che si accasciò sulla sua spalla e il nano le stampò un bacio sulla testa, era divenuto stranamente affettuoso in quei giorni e i suoi gesti erano in grado di scaldare il cuore affaticato di Lena.
“Buongiorno ragazzina, come stai? Sei riuscita a dormire un pochino?”
Lena eluse la domanda e disse invece decisa: “So che i consiglieri hanno fatto ritorno durante la notte, devo incontrare Leliana e Cullen e ho bisogni di parlare con Morrigan, se vorrà ancora aiutarmi. Ci sono cose che devo chiarire e ci sono mosse da programmare.”
“Bene. Però dovresti mangiare qualcosa prima.”
“Non ho fame, ma vorrei davvero poter fare un bagno. Potrei farlo qui? Poi me ne andrò, tornerò nelle mie stanze, ti restituirò la tua poltrona.” Pronunciò l'ultima frase accompagnata da un flebile sorriso a cui Varric rispose illuminandosi con gioia. Si mise subito all'opera, chiese dell'acqua calda e nell'attesa fece sistemare la tinozza dietro un paravento.
“È bello vederti recuperare le forze ed è bello avere indietro la mia poltrona.”
Lena si alzò tentennante come scoprendo la capacità di camminare per la prima volta. Raggiunto il paravento si spogliò con lentezza togliendo ogni indumento come un serpente si disfa di una muta ormai vecchia e altrettanto lentamente si immerse nell'acqua calda. La voce di Varric che ciarlava leggero la raggiungeva dall'altra parte della stanza ma sembrava provenire da miglia e miglia di distanza. Piegò le ginocchia il più possibile per arrivare ad immergere completamente la testa, l'acqua nelle orecchie ovattava i rumori e ripuliva i pensieri.
Le voci nella testa avevano finito per soffocare il resto, avevano urgenza di farsi ascoltare, di farsi obbedire. Ormai non solo la sua vita, anche i suoi pensieri avevano iniziato a non appartenerle più e questo era per Lena stranamente rilassante.
Uscì dalla piccola vasca e guardò disgustata i vestiti sparsi a terra, non sarebbe rientrata nella sua vecchia pelle. Si avvolse in un telo continuando a gocciolare sul pavimento freddo, Varric le aveva fatto portare dei vestiti puliti li indossò in fretta e senza troppa cura, era ora di tornare a lavoro, allacciò sulla lunga tunica la cintura a cui erano fermati i suoi pugnali e fu pronta per uscire.
Ringraziò Varric e lo abbracciò come se a quel saluto fosse dovuto seguire un lunghissimo viaggio, come se la promessa di rivedersi per cena in taverna non dovesse mai essere mantenuta. Varric le rivolse ancora una volta lo sguardo pieno di tenerezza che solo in quegli strani giorni le aveva riservato, Lena avrebbe voluto lasciarlo con una battuta che fosse in grado di ristabilire la normalità, di cancellare quello sguardo dai suoi occhi, avrebbe voluto trovare qualcosa da dire che facesse tornare sul viso dell'amico l'irriverenza di sempre ma le parole le sfuggirono, le voci nella testa erano sempre più esigenti. Si voltò senza dire nulla ed uscì dalla stanza del nano.
Si sarebbe aspettata di essere investita dalla luce del sole, ma il cielo era coperto e solo una luce fioca entrava da una finestrella in fondo allo stretto corridoio con l'unico effetto di far sembrare tutto più angusto e soffocante.
Si diresse decisa verso la sala dei consiglieri certa di trovare tutti già in attesa ma entrata nella grande stanza vi trovò solamente Leliana. Qualcosa non andava, come mai Cullen non era lì?
Lo sguardo della donna era tagliente come e più del solito, sembrava preoccupata. Con poche parole dure come pietra spiegò che il figlio della strega era scomparso e Morrigan si era messa sulle sue tracce sconvolta.
“Inquisitore,” disse ancora Leliana prima di lasciarla andare “Se la strega dovesse creare problemi, spero agirai per il bene dell'Inquisizione. La lotta non è ancora finita, le istanze personali devono rimanere circoscritte, almeno finché il nemico non sarà sconfitto. Questo vale per ciascuno di noi”
Lena uscì senza mostrare di aver compreso le parole della donna, sapeva bene che erano rivolte a lei più che alla strega ma non aveva bisogno di rimbrotti per sapere quale fosse il suo dovere.
Seguendo le voci nella testa che le indicavano la via, attraversò la sala centrale come una furia, non voleva rischiare di incontrare nessuno, si intrufolò nella stanzetta in cui l'Eluvian di solito riposava inerte e che quella volta era invece illuminata dal suo strano bagliore, Morrigan doveva essere entrata lì dentro. Trasse un lungo respiro ricacciando indietro ricordi spaventosi e affidandosi unicamente alle voci insistenti che le chiedevano di attraversare lo specchio, obbedì entrandovi con passo deciso. Non poteva immaginare cosa avrebbe trovato dall'altra parte. Non poteva credere che la poca fede che aveva nelle storie dell'antico popolo sarebbe stata messa in discussione con tanta forza e che le sue convinzioni a riguardo, già piuttosto labili, sarebbero state stracciate come carta vecchia.
Non poteva certo supporre che attraversando lo specchio avrebbe trovato Mythal. Quante domande avrebbe voluto rivolgerle, ma quella donna aggressiva e irrispettosa non avrebbe risposto quindi Lena si limitò ad ascoltare. Una volta fatto ritorno tutto ciò che aveva visto fino a quel momento iniziò a riprendere forma nella sua mente. I Numi adorati dalla sua gente non avevano che una scintilla di divinità, donata loro dalla magia più che da una natura ultraterrena, non aveva mai avuto fede e ora sentiva a buon diritto di essere nel giusto. Mythal era solo una donna, una maga potente certo, ma pur sempre una donna. Come Abelas anche lei era rimasta in silenzio a guardare gli elfi essere resi schiavi o rifugiarsi nei boschi come bestie, tutti coloro che avrebbero dovuto ergersi come protettori del popolo, avevano invece riso delle difficoltà della sua gente, avevano volto lo sguardo altrove. Mythal, madre degli elfi, era stata uccisa e il suo spirito era entrato in una donna senza scrupoli che usava il corpo delle sue figlie per mantenersi in vita. Questa era la sua giustizia.
Per un istante le tornarono alla mente parole confuse che dipingevano Fen'harel come il dio del popolo, se solo lui aveva a cuore la sua gente era forse per questo stato additato come traditore? E che fine aveva poi fatto? Aveva anche lui infine abbandonato il popolo? In materia di fede era sempre stata piuttosto scettica, ma quelle nuove scoperte rimettevano tutto in discussione, per la prima volta provava indignazione per il destino della sua gente. Se gli dei erano reali, gli elfi erano davvero stati abbandonati e non meritavano quindi il terribile destino che la storia aveva loro risevato.
Un'incoerente voglia di rivalsa la rendeva ansiosa di condividere con i consiglieri le nuove scoperte. Erano umani, la loro stirpe aveva combattuto per secoli per negare l'esistenza degli antichi dei e ora le donava un piacere sadico poter provare loro il terribile errore. Cullen, Josephine e Leliana erano in attesa di notizie e Lena li accontentò senza dilungarsi troppo in spiegazioni, lo stupore di quegli umani non la interessava, il loro mondo cambiava sotto i colpi sferrati dalle sue parole ma non c'era pietà nella sua voce ma una malcelata ferocia.
“Sorella Usignolo, suggerisce di lasciare da parte le questioni personali, i dubbi e le incertezze. Abbiamo un compito. Abbiamo un drago da trovare e domare.”
Vide lo sguardo del comandante accendersi “Non vorrai dare ascolto a quella strega? Come facciamo a sapere che non sia in combutta con il nemico?”
“Le parole di spiriti antichi parlano nella mia testa, le voci del pozzo dicono che posso e devo fidarmi, inoltre quella con cui ho parlato è Mythal come dubitare della guardiana della giustizia.”
Lena non era certa che che i consiglieri potessero cogliere il sarcasmo acido delle sue parole, ma non fece niente per fermarle. Cullen accennò una replica ma ingoiò le proteste, non aveva mai avuto la meglio su di lei e non l'avrebbe avuta quella volta. Lasciò ai consiglieri la gestione dei preparativi per la missione che non sarebbe iniziata prima del giorno successivo, dopo di che fu libera.
Un tempo infinito sembrava stendersi davanti a lei.
Come se la memoria si rifiutasse di funzionare a dovere, un pensiero continuava ad affacciarsi alla sua mente a intervalli regolari. Affiorava lieve e piacevole da lontano, come un'eco di un ricordo felice. Aveva incontrato Mythal, avrebbe dovuto parlarne con... E subito la memoria meschina riprendeva il controllo, un attimo troppo tardi pronta a strappare quel pensiero sul nascere, mai un istante prima. Si ritrovava all'improvviso con un'intera giornata tra le mani senza sapere che farne.
Leliana arrivò a toglierla d'impaccio con un messaggio ricevuto, a suo dire, in quel momento. 
Uno degli esploratori scomparsi durante la missione in aiuto del clan Lavellan era stato liberato dopo un lungo periodo di prigionia e scriveva per informare che il suo clan era stato distrutto.  Un certo Duca Antoine aveva avuto la sua rivincita, a quanto pareva, spinto da Coripheus o da un genuino razzismo Lena non avrebbe potuto dirlo.
“Non dobbiamo lasciarci distrarre da questioni personali, giusto?” 
“Esatto.” rispose Leliana con consueto il tono controllato e lo sguardo stranamente  inquietante che la contraddistingueva.
Lena si allontanò con un senso insopprimibile di disgusto ma era la donna a disgustarla non la notizia che le aveva portato. L'informazione infatti la lasciò quasi indifferente, prona al volere della sorte, incapace di lottare ancora. Sentiva un vago rimorso ma non riusciva a dare corpo al sentimento, ogni emozione sembrava repressa, stipata nell'angolo più profondo della sua coscienza.

Si diresse spedita in taverna e la bottiglia di sidro era ormai vuota per metà quando la voce profonda del Toro la distolse da sé.
“Boss, non è presto per bere? Che ci fai qui?”
Lena non rispose, continuando a bere tranquillamente, lo sguardo piantato testardamente sul piano scalfito del tavolo.
“Se vuoi bere qualcosa di forte lascia da parte quel succo di frutta e tieni questo.”
Così dicendo posò sul tavolo un piccolo otre che una volta stappato lasciò uscire un liquido scuro e denso dall'odore pungente. L'elfa bevve senza pensarci due volte e quando una tosse impetuosa la scosse non poté impedirsi di incrociare lo sguardo divertito del qunari e ridere della propria difficoltà. Tutt'altro che demoralizzata bevve un altro sorso di quel veleno tossendo ancora, la gola in fiamme e il respiro strozzato.
“Alla salute Boss! Tranquilla, dopo le prime tre o quattro volte ci farai l'abitudine.”
“Credo mi bastino un paio di sorsi per farmi essere più brilla di quanto vorrei.”
“Una bella sbronza non ha mai ucciso nessuno, magari ferito gravemente sì, ma ucciso mai. E tu sembri averne decisamente bisogno.”
Lena si attaccò per la terza volta al piccolo otre riuscendo questa volta a trattenere la tosse almeno per un po'. Il qunari aveva lo stesso sguardo che gli si poteva vedere in battaglia: attento e divertito. Evidentemente la stava studiando. L'elfa sentiva la testa ronzare, temeva che se si fosse alzata in quel momento sarebbe rovinata a terra, quindi rimase.
“Come fate voi qunari a sapere che quello che fate è davvero la cosa giusta?”
“E' con un Tal Vashot che stai parlando, io non so più se ciò che faccio sia giusto o meno, non più di quanto lo sappia tu.”
“Ed era più facile prima? Il Qun ha davvero una risposta a tutto?”
“La vita secondo il Qun è semplice e giusta. Sai qual è il tuo dovere, sai cosa devi fare, sai che il prezzo che paghi per le tue azioni è sempre ripagato da un bene superiore. Ora posso solo cercare di divertirmi evitando il più possibile situazioni che mi ingarbuglino la testa. Una vita piuttosto semplice anche questa e di questi tempi potrei dire particolarmente piacevole.”
Effettivamente Lena sapeva che nonostante il continuo mascherare e nascondere Dorian era molto felice e non era difficile immaginare che il Toro dovesse esserlo altrettanto, in modo più semplice e diretto probabilmente.
“Ma sei libero finalmente, dovrebbe essere un sollievo.”
“Tu non mi sembri godere molto della tua libertà.” Il qunari come al solito aveva visto bene. “Come ti ha aiutato la tua presunta libertà? Hai mai fatto una scelta che non fosse condizionata dalla necessità o dalle aspettative di qualcuno? La differenza tra chi segue il Qun e chi non lo fa è che il qunari vede la strada che sta percorrendo per intero, non può scegliere le svolte nel sentiero ma sa esattamente dove sta andando, gli altri seguono ad ogni svolta una legge non scritta che non li rende più liberi ma che presto o tardi li fa smarrire.”
“Bull, credo tu abbia ragione e credo di essermi persa. Credi che se avessi seguito il qun ora, saprei che lasciar morire il mio clan è stata la cosa giusta? Che essere davvero e definitivamente sola è a il prezzo da pagare per servire un bene più grande? Che la mia rabbia, il mio dolore, sono solo incidenti di percorso necessari per riuscire a rimanere sulla giusta strada?”
“Boss, mi stai chiedendo se le tue azioni sono giuste o inevitabili? Se è un assoluzione che cerchi, dovresti andare da una delle tante madri della chiesa che vagano incomprensibilmente per questa fortezza. Io non ho assoluzioni da dispensare né condanne. Credo che tu abbia fatto ciò che potevi, non è cercando giustificazioni per le tue azioni che il loro risultato cambierà, quindi a che pro continuare a pensare al perché? Se fossi certa di aver fatto la cosa giusta, soffriresti meno per la morte del tuo clan? E' il senso di colpa a fregarvi tutti. Per quanto vi sentiate liberi di scegliere, il senso di colpa annulla completamente ogni vostra libertà. Forse questa è la cosa peggiore dell'essere un tal vashot, o un bas nel tuo caso.” Il Toro fece una pausa per bere un goccio dell'orribile liquore che sembrava non avere alcun effetto su di lui e poi riprese: “C'è una massima a cui chiunque abbia mai combattuto nel Seheron si attiene rigidamente: se sei perso nella nebbia o nella foresta il modo più sicuro per ritrovare la strada sta nel proseguire sempre nella stessa direzione, in questo modo prima o poi troverai il limite della foresta. Ti assicuro che questa direttiva ha salvato la vita a più di una delle mie vecchie conoscenze, è un atteggiamento più saggio di quanto non sembri. Cambiando direzione ad ogni svolta rischi di non rivedere più la luce oltre il fitto del bosco. Non importa se la strada presa è la più difficile, la più lunga o la più pericolosa, è l'unica che puoi seguire se non vuoi continuare a tornare continuamente sui tuoi passi.”
Lena rimase per un po' in silenzio senza alzare lo sguardo dal tavolaccio.
“Anche i dalish hanno un principio piuttosto simile a questo, è uno dei tre principi su cui si fonda il sentiero del cacciatore. Viene chiamato Vir Assan, la via della freccia: vola dritto e non tentennare.” Alzò lo sguardo sull'occhio limpido e pacifico del qunari, sorrise e aggiunse: “Per ora la mia strada mi porta a domare un drago, verrai con me?”
“Ci sono sentieri che promettono di essere più divertenti di altri, e sai che non potrei mai rifiutare una proposta del genere”

 

 

 

XLIV

L'intera Inquisizione era presa da un fervore folle e frenetico, l'Inquisitore aveva domato un drago, Varric e Il Toro avevano alimentato quell'insana euforia con racconti mirabolanti, l'eccitazione per la battaglia appena vinta aveva fatto il resto. A Solas sembrava di essere circondato da invasati assetati di battaglia e di sangue, per la prima volta da quando si era unito all'inquisizione sentì tutto il peso di essere circondato da soldati. La sua strada lo avrebbe portato a circondarsi ancora di animi bellicosi chissà per quanto tempo, eppure il suo spirito non agognava altro che pace e sapere. Da quando le truppe avevano iniziato a far ritorno alla fortezza, Solas era rimasto testardamente chiuso nella rotonda, studiando antichi libri che avrebbero permesso all'Inquisitore di affrontare lo scontro finale.
Quel lavoro poteva sembrare inutile, ma in qualche modo era necessario. Sapeva infatti di avere ormai recuperato il potere di controllare la sfera, i suoi poteri potevano dirsi quasi del tutto risvegliati, eppure Solas era convinto di non poter affrontare il Ladro in prima persona. Il suo pensiero razionale suggeriva che essere riconosciuto nel pieno delle forze avrebbe spinto il ladro alla fuga, rischiando così di perdere le sue tracce per chissà quanto tempo. Le voci di Skyhold, però, additavano il piano come frutto dei suoi timori ed effettivamente Solas non poteva negare la paura di vedere se stesso rispecchiato in quel volto mostruoso, in cosa erano poi dissimili lui e quell'orribile bestia? Non era forse più mostruoso lui deciso a perseguire il suo compito nonostante questo significasse ferire le persone che amava? Non era più colpevole lui che riconosceva ora, malgrado tutto, le bellezze e i pregi di questo mondo? Ma non avrebbe commesso gli stessi errori del passato, non avrebbe lasciato morire di stenti o di paura persone innocenti. Grazie all'esperienza, avrebbe sfruttato la sfera in modo che il cambiamento non risultasse brutale e netto. Avrebbe accompagnato il passaggio con più cura, non avrebbe lasciato dietro di sé una scia di sangue più lunga del necessario, avrebbe evitato inutile sofferenza. Doveva solo riavere la sua sfera e tutto sarebbe tornato in ordine, tutto avrebbe riavuto senso. Finalmente spiriti quieti e benevoli sarebbero tornati ad essere i suoi compagni e lui avrebbe posato per sempre le armi non avrebbe più dovuto combattere, avrebbe potuto leccarsi le ferite, risanare il proprio cuore, si sarebbe potuto persino permettere il lusso dell'autocommiserazione. Avrebbe potuto tormentare il proprio cuore con ricordi e sensazioni che non sarebbero tornate, ma il dolore del suo cuore avrebbe avuto come sfondo un mondo vero, bello, sterminato e pieno di infinite possibilità. Ma questo sarebbe potuto essere solo in futuro, per il momento c'era ancora una missione da portare a termine.
Continuava ad evitare il pensiero della notte trascorsa tra le montagne assieme all'Inquisitore, continuava a temere e ad attendere trepidante il momento in cui lei sarebbe apparsa nella rotonda per parlare con lui. Era rimasta lontana, come lui aveva immaginato, e questo era stato un bene per tutti sebbene l'emicrania che puntuale come sempre era tornata a tormentarlo sembrava voler rimarcare la sua perdita.
Attese molti giorni prima di scorgere la sua figura, la vide per un attimo appoggiata alla balaustra davanti alla biblioteca in cui Dorian passava gran parte del suo tempo. Il suono della sua voce lo colpì particolarmente, era una voce controllata e determinata un suono che aveva sentito solo in battaglia. Ignorò il crepitio del proprio cuore, riprese a leggere uno dei messaggi cifrati ricevuti da uno dei suoi agenti. Ormai non dipingeva più da giorni ma non riusciva a lasciare la rotonda. Avrebbe potuto tranquillamente rimanere nella propria stanzetta, evitando così inutili rischi e soprattutto evitando la possibilità di imbattersi in lei, ma le sue gambe sembravano ostinate nel rimanere all'interno della rotonda, anche quando si allontanavano era solo per poco, in un modo o nell'altro riuscivano sempre a ricondurlo lì dentro. Era piena notte quando l'Inquisitore fece finalmente il suo ingresso. Erano passate settimane interminabili dal loro ultimo incontro. Solas aveva la testa pesante e gli occhi continuavano a chiudersi sopra un grosso librone, ma quando il passo leggero di lei attrasse la sua attenzione la testa tornò improvvisamente lucida e lui si trovò in piedi in un attimo come saltando sull'attenti, le mani accuratamente ancorate dietro la schiena.
“Posso fare qualcosa per te, Inquisitore?” Quelle parole affondarono nella sua carne con tutta la loro ipocrisia, ma vide la giovane elfa rimanere imperturbabile, una statua di cera. Cosa aveva fatto?
“Siamo alla ricerca del quartier generale di Corypheus, non dobbiamo lasciargli il tempo di organizzare le forze, dobbiamo trovarlo e sconfiggerlo una volta per tutte. Hai forse raccolto informazioni a riguardo?”
“Un'ora strana per discutere strategie di guerra, non ti pare?” Il pensiero di lasciar correre aveva attraversato la sua mente ma non era riuscito a trattenerlo. Vide gli occhi dell'Inquisitore accendersi di rabbia per un istante.
“Non sarei dovuta venire. Buona notte.” La ragazza si stava allontanando e la mente del mago sovrappose a quella scene diverse, ricordi confusi, il dolore prese il sopravvento.
“Da'len.” Avrebbe dovuto lasciarla allontanare, lasciare che i loro cuori soffrissero in silenzio e rimarginassero le loro ferite lontano l'uno dall'altra, invece era un debole. Voleva averla vicina ancora per un po', voleva ascoltare ancora la sua voce cercando in quei toni freddi richiami a parole delicate e suoni morbidi che in un passato non troppo lontano gli avevano accarezzato la mente. “Ho saputo del tuo clan, non ho parole per esprimere il mio rammarico.”
La ragazza era ferma si voltò appena e lo fissò con uno sguardo duro e impenetrabile.
“Perché?” La domanda era incoerente e lasciò Solas senza parole.
“Perché?” Ripeté ancora una volta la ragazza e Solas non poté più mentire a sé stesso sapeva perfettamente cosa la ragazza stesse chiedendo. Le mentì apertamente per la prima volta da quando l'aveva conosciuta: “Dopo la battaglia, quando il nemico sarà sconfitto potrai rivolgermi qualunque domanda. Ora ogni domanda ne genererebbe di nuove, e non faremmo altro che farci ancora più male. Lasciamo tacere i nostri cuori per un po', la guerra non è mai teatro adatto a sentimenti delicati, inevitabilmente questi rimangono vittime dell'orrore che li circonda.”
La ragazza si allontanò lentamente con passo pesante come se fosse costretta a portare con sé il peso insostenibile di quelle parole.
Non parlarono più.
Pochi giorni dopo il nemico trovò loro, probabilmente cercando lo stesso vantaggio che l'Inquisizione aveva sperato di guadagnare. L'esercito era infatti ancora disorganico e nessuno era davvero pronto ad una nuova battaglia in quel momento.

Solas rimase impotente a guardare l'Inquisitore affrontare la battaglia senza esitazione e senza timore. Quando il Ladro la strappò alla sua vista un terrore irrazionale lo colse e fu il primo a mettersi all'inseguimento. Un'intera ala della fortezza era stata spostata in alto sulle montagne le forze dell'Inquisizione non potevano raggiungerla l'Inquisitore era sola contro quel mostro fatta eccezione per i pochi compagni che le erano rimasti accanto.
Solas era venuto meno alla propria promessa, aveva giurato che le sarebbe rimasto vicino fino alla fine della battaglia invece aveva mentito, lei ora stava affrontando la minaccia senza di lui. Senza pensare, mettendo a tacere la propria ragione e i propri timori si gettò all'inseguimento. L'aria gelida delle montagne bruciava nei polmoni man a mano che la folle corsa rendeva il respiro più rapido. Ogni idea spazzata via dal pensiero di lei, ancora una volta, solo lei, la sua vita in pericolo, il tradimento, il dolore che le aveva procurato. Doveva raggiungerla e proteggerla, doveva fare ammenda. Ombre e demoni cercarono di sbarrargli la strada ma nulla poteva rallentarlo. La strada era scoscesa e più di una volta si trovò ginocchia terra sopra il sentiero sdrucciolevole. Ogni volta rialzarsi era doloroso ed inevitabile. Corse per un tempo che sembrò infinito. Quando raggiunse il centro della battaglia ebbe modo di vedere la sua bella dalish ergersi contro il nemico in tutta la sua grandezza. Il Ladro era piegato, spezzato, umiliato dalla maestosità di lei. Con una forza che non le apparteneva la vide bandire quel mostro dalla realtà, esiliato per sempre nel nulla.
Era ammaliato da tanta potenza, l'esile corpo di lei scosso dal respiro affannoso, lo sguardo acceso dalla battaglia. Solas lasciò vagare lo sguardo era sola, il suo destino era compiuto. Fece per avvicinarsi a lei quando la sua attenzione venne attirata da uno spettacolo ben più triste e decisamente sconvolgente. La sua sfera era rotta.
Si inginocchiò accanto ai resti fumanti del manufatto, tutte le sue speranze giacevano inerti, distrutte tra le sue mani con i resti della sfera. Tutto il suo potere era inutile senza la sfera, aveva sbagliato tutto di nuovo e ora tutte le strade si chiudevano davanti a lui. Aveva perso di vista la realtà, si era lasciato corrompere da se stesso e aveva di nuovo condannato il mondo. Una mano delicata si posò sulla sua spalla bruciando come il rimorso e la rabbia che sentiva verso se stesso.
"Mi dispiace. So quanto fosse importante per te.” La voce era tornata calda, la voce che conosceva e che l'aveva portato a questo.

“Non è colpa tua.” La risposta in contrasto suonava fredda come la notte, un gelo che portava con sé distanze incolmabili ma che era carico di verità. La colpa non poteva che essere di Solas, la colpa di tutto. Si era lasciato ingannare da quel mondo, da lei, sacrificando al proprio egoismo la vita di molti.
Si alzò in piedi Si trovò a fronteggiare gli occhi limpidi e vivi della ragazza. Era così ingiusto, non era per dare spazio a verità sublimi come la bellezza di quegli occhi che continuava a lottare? E allora perché continuava ad essere tutto sbagliato? Non poteva rimanere sotto la malia di quegli occhi si voltò.
“Qualunque cosa accada d'ora in avanti sappi che quello che c'è stato tra noi, quello che provo per te è vero. L'unica cosa che sono certo sia vera.” Solas si allontanò senza guardarsi indietro neanche una volta, senza fermarsi senza rallentare la marcia. Doveva lasciare quel mondo e continuare dritto per la sua strada. Il compito si faceva più arduo ora, doveva trovare il modo per rimpiazzare il potere della sfera. Aveva bisogno di un nuovo piano e di infinito più potere. Sapeva perfettamente dove trovare entrambi. Aveva bisogno della sua vecchia amica. Era ora di tornare a casa.

   
 
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