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Autore: Sospiri_amore    11/05/2017    1 recensioni
All'età di sedici anni Elena si trasferisce a New Heaven, USA, con il padre.
Qui vivono gli Husher, una famiglia con la quale sono grandi amici da sempre.
Elena frequenterà il Trinity Institute, una scuola esclusivissima, che la catapulterà in un realtà fatta di bugie, ambizione, menzogne e rivalità che la porterà a scontrarsi con parecchi studenti.
Un amico appena conosciuto le ruberà il cuore o qualcun altro riuscirà a farla innamorare?
Chi ha lasciato quello strano biglietto sul suo armadietto?
Chi ha scattato la foto scandalosa che gira per la scuola?
Elena riuscirà a non rivelare un grande segreto alla persona che ama?
© Tutti i diritti sono riservati
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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IERI:
Buon Natale

Sono furiosa. Giuro che se non mi sfogo spacco qualcosa.

Sbatto così forte la porta che il rimbombo fa tremare i muri dell'appartamento. Cavolo, quanto mi fa arrabbiare, ho messo più di un'ora per prepararmi, e solo adesso mi dice che non posso andare da James. Si comporta come un bambino piccolo, quanto lo detesto.

 

"Elena Voli. Non osare mai più rispondermi in quel modo. Capito? Non sei la principessa di casa a cui tutto è dovuto", gli occhi grigi di mio padre lanciano saette. 

"Potevi dirmelo i giorni scorsi che non volevi che andassi da James", cammino avanti e indietro come un animale in gabbia.

"Credevo di essere stato chiaro. Tu da quel coso, il giorno di Natale, non ci vai!".

"Per prima cosa chiamalo con il suo nome. J A M E S. Seconda cosa, i mugugni, i borbottii che hai fatto per giorni NON credevo significassero: non voglio che tu vada da James", imito la voce di papà malamente.

"Tu mi hai detto che ti stai frequentando con questo ragazzo. Il fatto che ti inviti a casa sua il giorno di Natale, per conoscere i suoi, significa che siete F I D A N Z A T I, il che vuol dire che avete fatto... Fatto... Insomma hai capito cosa intendo", papà pare indemoniato.

Furiosa prendo il mio cuscino e glielo lancio urlando: "Non ho mai fatto sesso con James, mi invita a casa sua solo perché è educato".

"Educato? Scherzi vero? Se non sei andata a letto con lui significa che fa tutto questo per rubare la tua purezza, il tuo candor...".

Urlo più forte per zittirlo: "Lui non ruba nulla! Non ti passa dal cervello che forse potrei essere io a voler fare l'amore con lui?".

 

Che diamine ho detto?

Sono impazzita?

Panico.

 

La faccia di mio padre inizia a cambiare colore, sembra stia per vomitare. Le occhiaie sembrano più scure, gli occhi paiono uscire dalle orbite. Sta per esplodere.

 

Dlin Dlon.

Suona il campanello di casa.

 

"Chi è?", urliamo in italiano sia io che mio padre. Il nostro tono non è certo tra i più accoglienti possibili.

"Se è quel coso lo caccio via di casa", papà percorre il corridoio a lunghi passi, con il corpo mi impedisce di superarlo. Se osa far una cosa del genere non gli rivolgerò mai più la parola.

 

Il campanello risuona.

Dlin Dlon.

 

Papà apre di scatto la porta deciso a mandare via James a calci nel sedere: "Cosa credi di far...", Ma il ragazzo che si ritrova davanti non è James, ma Jo.

"Tu chi diavolo sei?", mio padre lo scruta da cima a fondo.

"So-sono Jonathan un compagno di scuola di Elena".

"Vieni", prendo per mano Jo e lo trascino dentro casa, "Vorrei scusarmi con te per i modi bruschi di mio padre a quanto pare ha dimenticato le buone maniere".

Jo pare confuso, non sa cosa fare. Stringe al petto un pacchetto con un piccolo nastro: "Non volevo disturbare", dice impacciato.

"Non disturbi, figurati", abbraccio Jonathan e faccio la linguaccia a mio padre.

 

Da buona padrona di casa invito il mio amico a sedersi in salotto, gli offro dei dolcetti che ho messo in un cestino. Cerco di ristabilire l'ordine e la normalità, faccio finta che la discussione con mio padre non sua mai avvenuta. Mi infilo in bocca un torroncino, Jo ne prende uno senza smettere di tenere d'occhio mio padre che lo segue a braccia conserte.

 

"Senti coso... Anche tu fai la corte a mia figlia?".

"N-no Signore. Siamo solo amici. Le ho portato un regalo per Natale".

"Papà smettila. Ti prego, sembri pazzo", con tutta la forza che possiedo lo faccio sedere su una poltrona poco distante da noi. Adesso sta esagerando, deve smetterla.

Inizio a chiacchierare con il mio amico, gli chiedo di sua madre, dei compiti. Parlo a ruota libera cercando di sollevare l'umore a tutti. Nonostante provi ad alleggerire la situazione mio padre ci mette il carico da cento e inizia ad interrogare Jo.

 

"Come ti chiami? Quali sono i tuoi voti a scuola? Cosa vorresti fare da adulto? Quale è il tuo sogno più grande?".

"Mi chiamo Jonathan Kurtz. Ho la media del nove e sono al Trinity con una borsa di studio. Da adulto voglio fare l'avvocato. Il mio sogno più grande è fare in modo che mia madre possa avere una vita serena e non sia più costretta a fare due lavori".

 

Io me ne sto con le mani sul volto. Sono rossa per l'imbarazzo. 

Possibile che l'amabile e l'intelligente padre, che ho sempre conosciuto, si sia trasformato in un rozzo, maleducato uomo delle caverne?

 

"Hmm. Quindi sei venuto solo per portare un regalo ad Elena. Niente doppi fini?".

"No, Signore", Jo mi allunga il pacchettino con la mano tremante.

"Grazie papà. Ciao papà", non ho la minima intenzione di aprire il pacchetto davanti a lui. Con le braccia incrociate lo fisso. Non mi muovo finché non se ne sarà andato.

"Ok, ho capito", grugnisce, "Dimmi coso... Perché non le hai dato il regalo a scuola?".

"Pe-perché oggi è Natale, mi sembrava carino passare oggi a darle il regalo. Poi Elena sta con James. Non credo che lui avrebbe visto di buon occhio il mio gesto".

 

Il broncio di mio padre pian piano si scioglie. Sul suo volto compare un sorriso tra il diabolico e il folle. È come se un'idea improvvisa lo avesse illuminato.

 

"Carissimo Jonathan. Chiedo scusa per i miei modi bruschi... Vuoi una tazza di cioccolata calda?", papà sta cingendo il mio amico per le spalle che lo guarda atterrito.

"Adesso basta! Sembri schizofrenico. Che ti prende?", ho ripreso ad urlare. Non mi importa di nulla, questa storia sta rasentando il ridicolo.

"Signorina, modera i termini. Non credere che io mi sia dimenticato del discorso di prima su quello che vuoi o non vuoi fare con quell'altro coso".

 

Il campanello suona.

Dlin Dlon.

 

Merda, questo è James.

 

"Visto! Parli del diavolo e spuntano le corna", dice mio padre divertito mentre apre la porta d'ingresso.

 

James con un elegantissimo cappotto blu è sulla soglia di casa. Sta per entrare quando si accorge di Jo. La sua espressione serena diventa tutto ad un tratto cupa.

 

"Ciao coso... Non mi ricordo. Com'è che ti chiami?", papà picchietta l'indice sulla barba come se cercasse di ricordare il nome. È un pessimo attore.

"James McArthur, Signore".

"Ah ecco. Elena, qui c'è coso Mcqualcosa che ti cerca. Penso io al carissimo Jonathan, che così amorevolmente ti ha portato un regalo il giorno di Natale. Che classe e che educazione il mio caro amico Jonathan". 

 

Furiosa allontano malamente mio padre dalla porta. Mi sento così male. Lo sguardo freddo di James mi ferisce l'anima. Tutta questa situazione è paradossale.

Vorrei poter spiegare e farmi capire, ma dalla mia bocca non esce nessun suono. Mi sento in trappola, mi manca l'aria. Devo andarmene da lì il prima possibile.

 

Prendo il mio cappotto e lo indosso.

Metto in tasca il regalo di Jo.

Infilo nella borsa il cellulare e le chiavi di casa.

 

"Grazie per avermi fatto passare il più brutto Natale della mia vita. Quasi più brutto di quello passato senza mamma per la prima volta. Mi auguro che tu sia soddisfatto adesso", le parole mi scivolano di bocca con una cattiveria che mai ho provato in vita mia. Mai lo ho odiato, mai mi sono opposta a lui. Mai ho desiderato che lui non fosse mio padre.

 

James e Jo mi seguono senza emettere fiato.

L'eco della porta d'ingresso sbattuta è come un pugno nello stomaco. Il silenzio assordante è rotto dai passi veloci sulle scale. 

Voglio andarmene via.

Voglio fuggire.

Le gambe mi tremano, appena metto piede sulla strada crollo sul marciapiede come un sacco di patate. Sono così mortificata che il mio volto rispecchia alla perfezione come mi sento: un fantasma smunto è scolorito.

Sono svuotata, non ho energie. Non ho il coraggio di guardare in faccia nessuno.

 

James e Jo si siedono vicino a me. 

 

"Bevi un po d'acqua", Jo apre una bottiglietta che tiene nello zaino.

"Sei pallida pivella. Hai bisogno di una dose doppia di cioccolata", il sorrisetto furbo di James mi da forza, "E pensare che credevo di essere l'unico ad avere i parenti strani. Mia nonna Geltrude prima di tutte, poi ho una serie di lontane cugine che proprio normali non sono".

"Dovresti conoscere mia zia Anna. Parla con la televisione. A volte ci litiga pure", dice Jo.

 

Inizio a ridere, non riesco a trattenermi: "Chi credeva che mio padre fosse un tale idiota. Mi dispiace per tutto. Credo sia spaventato, non ho mai frequentato ragazzi prima. Non seriamente almeno".

James trattiene un sorriso mentre mi prende per mano: "Tanto prima o poi doveva succedere. Credo che a parte il suo amico Jonathan non gli vada a genio nessun altro".

"Ehi. Non voglio intromettermi. Ok? Il padre pazzoide te lo becchi tu James. Io alzo bandiera bianca. Ero venuto solo a dare un regalo a Elena".

 

Prendo il pacchetto dalla tasca del cappotto, rompo con attenzione la carta. Tolgo un bracciale multicolore di fili intrecciati con attaccati piccole decorazioni. Jo lo appoggia intono al mio polso e lo annoda stretto.

"Questo bracciale l'ho fatto io. Da piccolo mia mamma mi ha insegnato come intrecciarlo, è una vecchia tecnica messicana. Rappresenta il simbolo dell'amicizia. Vedi il ciondoli d'argento che sono attaccati? Ognuno di loro ha un significato preciso: la chiave è quando ci siamo conosciuti all'armadietto del Trinity, la penna quando ci siamo iscritti ai club, la maschera quando ci siamo... Ehm...", Jo tentenna.

"Coraggio dillo pure, giuro che non ti picchio", risponde James divertito.

"Dicevo... La maschera quando ci siamo baciati a casa di Rebecca e infine il computer quando abbiamo chiarito e capito che funzioniamo meglio come amici. Vedi tutto lo spazio che manca sul braccialetto? In teoria si dovrebbe riempire con tanti ciondoli. È di buon auspicio, vuole significare che la nostra amicizia durerà per molto tempo".

 

Sono stupita. Quel bellissimo regalo è il segnale che Jonathan ed io siamo legati da un sentimento forte. Forse non siamo adatti per stare insieme, ma siamo perfetti per essere amici. 

 

Faccio tintinnare i ciondoli divertita: "Mi auguro di poter aggiungere decine di nuovi ciondoli", poi abbraccio stretto Jo, "Grazie", gli sussurro in un orecchio.

Jonathan risponde al mio abbraccio con trasporto: "Adesso devo andare. Devo passare da mia zia Anna... Quella che parla con la TV", dice sghignazzando mentre da una pacca sulla spalla a James.

"Buon Natale", dico mentre lo guardo allontanarsi per andare verso la fermata del bus.

 

James ed io siamo finalmente soli.

Quello che gli ho fatto passare a casa mia non ha scuse. È stato orribile. 

A testa bassa vado verso la sua macchina parcheggiata poco lontano.

 

"Allora pivella è vero che non hai mai frequentato ragazzi seriamente prima di me?", James mi abbraccia da dietro. Mi sta bisbigliando ad un orecchio con la voce profonda. Sento il suo corpo appiccicarsi contro al mio e le sue mani intrecciarsi con le mie.

"Mai", ansimo leggermente per la vicinanza della sua bocca al mio collo. Una cascata di brividi mi percorre della punta dei capelli a quella dei piedi.

"Bene Elena... Bene", i baci di James sulla nuca, i morsi leggeri sulle orecchie e il suono dei suoi respiri affannosi, mi sciolgono. Tutto lo stress provato prima con mio padre è un ricordo lontano, archiviato.

Mi giro e lo bacio come se volessi entrare nel suo corpo, come se volessi fondermi con lui. Il desiderio di amarlo cresce dentro di me. James mi spinge contro la macchina e solleva leggermente una mia gamba, accarezzando la coscia.

 

"Sei rilassata adesso?", Dice James staccandosi improvvisamente da me.

"Co-cosa?", rispondo confusa.

James sfodera il suo solito sorrisetto furbo: "Io ho dovuto conoscere tuo padre. Tu sei pronta ad incontrare il mio?".

 
 

-------


La neve cade lenta. Piccoli fiocchi danzano davanti al finestrino. Un lieve manto bianco ricopre gli alberi, i prati, i tetti delle case. Per strada c'è poca gente, quasi tutti se ne stanno a casa a festeggiare con i parenti. 

Vorrei che la giornata di oggi fosse andata diversamente, vorrei che mio padre non fosse impazzito dalla gelosia e vorrei che mia madre fosse viva per potergli spiegare come mi sento. Mi sento in colpa, anche se non ho fatto nulla. Crescere, diventare adulta, cambia le carte in tavola. Desiderare di essere amata, esplorare i sentimenti e le sensazioni, non può essere considerato uno sbaglio. 

Volere James non è uno sbaglio.

 

"Tutto ok? Non ti preoccupare, tuo padre vuole solo proteggerti. Capirà che ha esagerato e ti chiederà scusa", James sta guidando attraverso il centro di New Heaven.

"Lo spero", dico mentre gioco con il braccialetto che mi ha regalato Jo.

 

L'attico di James è nel palazzo più antico della città, a pochi passi dalla piazza principale. Ci fermiamo all'ingresso di un parcheggio privato, una serranda metallica si alza appena ci avviciniamo. 

Sono agitata. L'idea di conoscere il padre di James mi stressa molto. So che è uno stimatissimo avvocato, nulla di più. James non ha mai voluto parlarmene in maniera approfondita.

 

"Che ne dici se ci scambiamo i regali adesso", James guida per una rampa sotterranea fino ad una serie di garage privati. Parcheggia la macchina in un posto libero vicino a diverse auto di lusso.

"Hai mantenuto la promessa?", chiedo.

"Come no", mi dice divertito, "Non più di quindici dollari per il regalo. A dire il vero ne ho spesi solo poco più di dodici".

"Bravo", sono felice di avere un attimo da sola con lui. D'istinto mi avvicino e lo bacio dolcemente, gli accarezzo il volto per poi passare la mano tra i capelli.

"Come facciamo a scambiarcelo?", mi chiede. 

"Facciamo in contemporanea... Sei pronto?".

 

Estraggo dalla borsetta un cartoncino ripiegato, mentre James prende un pacco dal sedile posteriore.

 

"3... 2... 1...", diciamo in coro. 

 

Mi ritrovo in mano un plico rettangolare, alla prima impressione sembra un libro.

Lo scarto.

Estraggo un fascicolo piuttosto alto tenuto insieme da una spirale di plastica. non capisco di cosa si tratta. Aspetto un secondo prima di chiedergli spiegazioni perché James sta leggendo il mio cartoncino: "Non vale! Hai detto che dovevamo stare sotto i quindici dollari... Il materiale ti costerà molto di più".

"Il cartoncino costa 20 cent. il regalo è quello, non avevamo specificato che se ci fosse stato scritto qualcosa che costa di più non sarebbe andato bene. E poi ho già parecchi colori a casa, non ho ispirazioni e voglio dipingere qualcosa di diverso dai fondali per Miss Scarlett", ridacchio.

"La prossima volta scriverò un contratto vagliando ogni opzione possibile. Tu mi hai truffato. Il mio regalo non è così bello, un quadro fatto da te è meraviglioso mentre il mio è una stupidata", James prende il fascicolo dalle mie mani.

"Fermo. È mio. Spiegami di cosa di tratta", gli dico riprendendo il regalo.

 

James mi guarda di striscio, se non lo conoscessi bene direi che è arrossito.

 

"Direi che è una specie di guida per capirmi. Trovi diversi capitoli: etica, gusti personali, sogni e... Paure", James passa le mani sul volante fingendo di ignorarmi, "Non sapevo cosa comprarti per così poco pivella".

Sono senza parole, l'idea che abbia passato del tempo a scrivere quella guida per me mi lusinga molto: "È la cosa più bella che potessi regalarmi. Credo che lo leggerò molto volentieri", gli dico stringendolo al petto. 

"Sai non sono bravo con i regali, ho pensato che sapere qualcosa in più...", dice James mordendosi il labbro. 

 

Quando è così insicuro mi fa scattare qualcosa dentro. Lo strapazzerei di baci, lo riempirei di abbracci. Intravedere la sua dolcezza dietro alla faccia tosta che ha di solito, mi fa impazzire.

 

"Perché mi guardi così?", James ha l'aria interrogativa, non capisce perché lo stia fissando con tanta intensità.

"Perché mi fai impazzire. Sei a tratti odioso e insopportabile, ma poi te ne esci con un regalo del genere. A volte sembra che tu legga i miei pensieri".

James si avvicina, le sue labbra sfiorano le mie: "Se i miei poteri funzionano, leggo nella tua mente che adesso hai voglia di uno di questi".

Mi aspetta un bacio epico, come ogni nostro bacio.

 

Stop al momento romantico!

 

Un ticchettio proviene dal finestrino.

La Signora McArthur sta picchiettando un anello, farcito di pietre preziose, sul finestrino.

 

"Volete sbrigarvi voi due? Ad una certa ora voglio tornare a casa. Sai quanto detesti il Natale e feste simili", la vecchia sbraita senza un minimo di classe.

"Ciao nonna", James scende dall'auto e viene dalla mia parte per aprirmi lo sportello, "Conosci già Elena. Vero?".

"Non fare lo stupido, caro ragazzo", nel frattempo mi squadra da capo a piedi, "Con una bella sistemata e un filo di trucco in più, non sei niente male ragazza".

A modo suo quello era un complimento.

 

James mi prende per mano e tutti e tre andiamo verso un ascensore che ci porterà direttamente all'attico.

La Signora McArthur ha in mano un sacchetto colmo di pacchetti. Non la smette di parlare lamentandosi di tutto: dalla luce fioca nel garage, dell'aria viziata dell'ascensore e del traffico del centro città.

 

"Fortuna siamo arrivati", sbotta la vecchia appena le porte dell'ascensore si aprono.

Il viaggio sarà durato, sì e no, dieci secondi.

 

Mi ritrovo in un ampio salone, grande quanto il mio appartamento. Un enorme albero decorato con fiori e foglie di stoffa color oro, palle di vetro azzurre e fiocchi color panna, svetta per la stanza. Una scala, con un'enorme vetrata, porta al piano superiore.

Posso vedere i tetti di tutta New Heaven, mi sembra di stare tra le nuvole.

 

"Cara Elena", Demetra mi abbraccia stretta, indossa un bellissimo abito dorato con una parure di gioielli in diamanti. Il mio abito comprato al centro commerciale sfigura, tutti gli altri sembrano usciti da una rivista di alta moda.

"Buon Natale Demetra", le dico ricambiando l'abbraccio.

James mi raggiunge, mi cinge la vita mentre mi porta da suo padre.

 

"Papà, lei è Elena Voli".

L'uomo mi guarda come se fossi trasparente. Poi si volta per ammirare il panorama fuori dalla finestra senza degnarmi di una parola.

"Papà, lei è la mia ragazza Elena Voli", James ha un tono freddo. 

 

Il taglio degli occhi e il naso dell'uomo sono identici a quelli del figlio. I capelli brizzolati e le rughe d'espressione non tolgono fascino, anzi gli donano.

 

"Molto piacere signorina, ho saputo che anche lei frequenta il Club di Dibattito. Quando ero ragazzo l'ho frequentato pure io. Non c'era spazio per tutti allora".

Fingo di non cogliere l'allusione: "Sì, frequento il Club, ma non sono brava come James. Lui è il primo della lista".

"Da lui non mi aspetto meno di quello, ma evidentemente non è per tutti lo stesso".

Se non fosse il padre di James credo che lo manderei a quel paese.

"Elena segue anche il Club di Teatro. Si occupa delle scenografie, è un'ottima pittrice", James mi sorride anche se scorgo nei suoi occhi emozioni contrastanti.

"... Una pittrice che fa ripetizioni a mia moglie e la badante a mia madre. Te la sei scelta bene figliolo".

"George!", la Signora McArthur rimbecca il figlio, "La ragazza ci è stata utile e non è la mia badante. Demetra ha recuperato perfettamente l'italiano. Certo, la fanciulla non ha nemmeno un po' di classe ed eleganza, ma son cose che può sempre imparare".

 

Imparare?

Ma chi si credono di essere?

 

"Nonna, smettila. Elena va bene come è. Non deve cambiare per fare felice te o papà".

"Se vuole stare con te deve per forza cambiare. Non può mica restare la timida provincialotta Italiana in cerca di marito per avere la carta verde", l'uomo si riempie un bicchiere di whisky per poi berlo in un sorso. 

"Scusi?", la mia voce raggiunge un tono così acuto che sembra un ultrasuono.

"Sei carina, non posso negarlo, ma nel nostro mondo tu sei la sguattera, la serva, quella che paghiamo per fare cose. Per intenderci, quella che viene pagata per fare tutto quello che vogliamo", il fiato dell'uomo puzza di alcool in maniera impressionante.

 

James scatta e si mette di fronte al padre: "Ma ti senti quando parli?".

Sono muso contro muso. 

"George. James", Demetra si mette in mezzo si due, "È Natale, cerchiamo di comportarci bene".

"Bene? È talmente ovvio che papà non abbia voglia di stare qui. Non puoi proprio staccarti dal tuo ufficio a Boston? Se ti mancano le tue scartoffie non trattare male Elena, lei non c'entra nulla".

"Appunto. Lei non c'entra nulla. Porta solo guai", il padre di James pare arrabbiato, non capisco perché mi porti rancore.

"George, è stata mia la decisione. Capito? Lei non c'entra nulla", Demetra alza il tono della voce. Anche da arrabbiata è così armoniosa che sembra stia cantando.

"Che diavolo significa?", James mi sta stritolando la mano è su tutte le furie.

"Quell'asino di mio figlio non vuole che tua madre riprenda a cantare", dice la Signora McArthur.

"Demetra... Tu...", il padre di James stringe la mascella. Nonostante sia apparso freddo, cinico e distaccato, nel momento che ha pronunciato il nome della moglie è sembrato un altro uomo. Triste, immensamente triste.

"George. Te l'ho ripetuto mille volte, sono io che lo voglio. Lo faccio solo per me", la donna si avvicina al marito baciandolo sulla guancia. L'uomo si ritrae andando al bancone dei liquori a farsi un altro whisky.

 

"Idiota di un asino", la vecchia si siede su un divano e mi fa cenno di sedermi vicino a lei. James raggiunge la madre che pare impallidita. 

"Non fare caso a lui. Anni fa ha fatto smettere Demetra di cantare per gelosia. È molto possessivo purtroppo", la vecchia sbircia il figlio e la nuora discutere.

 

Mi dispiace che stiano litigando per colpa mia.

 

"Tieni", la vecchia mi allunga una scatola con i cioccolatini che tanto amo. Deve aver saputo della razzia di cioccolatini che faccio ogni volta che viaggio sulla sua Rolls Royce.

"Grazie. Non doveva. Io non ho nulla da...", dico sorpresa.

"Figurati ragazza. Non voglio nulla a parte uno al pistacchio", mi dice mentre adocchia un cioccolatino.

Io ne assaggio subito uno al ripieno di fragola. Quella squisitezza mi catapulta, per un paio di secondi, in un mondo perfetto dove io non sto antipatica al padre di James, dove papà non è un pazzo geloso e dove tutti si vogliono bene.

 

Ripeto. Un paio di secondi.

Poi basta.

Una voce troppo famigliare mi riporta alla realtà.

 

Rebecca saluta con il suo braccio ricoperto di bracciali d'oro. È appena uscita dall'ascensore.

Demetra e George smettono di discutere e accolgono la famiglia Parson con entusiasmo.

James abbraccia Rebecca che non manca di lanciarmi un'occhiata divertita.

 

Io quella strega la strozzo.

 

In preda ad un raptus di gelosia mi infilo quattro cioccolatini in bocca pentendomene subito amaramente. La mia bocca si è talmente impastata che mi è impossibile pronunciare una parola.

 

La madre di Rebecca, con indosso un abito nero talmente attillato da sembrare la sua seconda pelle, mi guarda schifata: "Ciao Elena. Ti becco sempre a mangiare cioccolato".

Io sorrido cercando di ingoiare il blob cioccolatoso che ho in bocca.

Il padre di Rebecca ha lo stesso sguardo tagliente della figlia: "Che ne dici George di un goccetto?". I due uomini vanno verso il bar a riempire i bicchieri.

"Pure per me caro", la madre di Rebecca prende sotto braccio Demetra e la Signora McArthur e insieme si allontanano a chiacchierare.

 

James, Rebecca ed io, siamo rimasti soli.

 

"Buon Natale JJ", Rebecca butta le braccia al collo a James, "Lo chiamo così fin da quando siamo piccoli. Vero JJuccio?".

"Smettila Rebecca! Sai che detesto quando fai così", James allontana l'amica, "Vuoi qualcosa da bere Elena?".

Annuisco. Non ho il coraggio di aprire la bocca, sento il sapore forte del cioccolato ancora in bocca, sicuramente ho i denti tutti sporchi.

"Prima che tu vada James, devo dirti una cosa. Gli Smith ci hanno invitato per il solito aperitivo natalizio. Credo che lo facciano per mostrarci la loro ridicola collezione di orologi d'epoca. Quei due ragazzini sono patetici, farebbero di tutto per attirare la nostra attenzione. Se non fosse per il ruolo che ha suo padre a New Heaven, credo che nessuno li calcolerebbe", Rebecca parla con confidenza su argomenti che non conosco. Non ho idea di chi siano gli Smith e non so nulla di orologi d'epoca.

 James mi accarezza una guancia parlandomi a bassa voce: "Tranquilla. Se non vuoi venire posso andarci da solo dagli Smith. Sono amici di famiglia che ci invitano ogni anno, ti annoieresti".

Annuisco, sempre a bocca serrata, mentre lo vedo allontanarsi per andare a prendere un bicchiere d'acqua. 

 

Resto sola con Rebecca che mi sta squadrando da capo a piedi.

 

"Pessimo esordio, feccia. Non credere che lasci James nelle tue mani. Lui è mio", Rebecca sfiora il colletto del mio vestito, pare schifata, "Del resto ha già scelto da che parte stare... Non ti ha voluta portare dagli Smith perché si vergogna di te. È così evidente, no?!".

 

L'eco della sua risata maligna mi rimbomba nel cervello.

Giuro, se potessi prenderei a calci quel suo sedere striminzito e le distruggerei i gioielli che indossa. Le urlerei che si sbaglia, che James tiene a me e non si vergogna di come sono fatta.

James non si vergogna di me.

Vergogna.

Io ho vergogna di me.

Mi sento brutta in mezzo a loro.

Tutto quel lusso, quello sfarzo e poi ci sono io.

Una sguattera, ecco come mi ha chiamata il padre di James.

Quella che viene pagata per fare tutto quello che vogliono loro, i padroni di New Heaven.

Forse non valgo quanto loro.

James si vergogna veramente di me?

 
   
 
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