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Autore: Lucius Etruscus    12/05/2017    1 recensioni
Boyka e il maggiore Dunja, dopo la disfatta dell'ultima missione, accettano l'accoglienza della Casata Yutani, offerta non certo per bontà di cuore. C'è un importante torneo da vincere, il DOA (Dead Or Alive), dal cui esito dipende il futuro della vasta famiglia. Molti sono i contendenti, molte sono le prove, ma Boyka e Dunja hanno un asso nella manica, anzi... una Regina! Eloise, la xeno-ginoide creata in laboratorio da DNA alieno: è in tutto e per tutto una donna, ma con la forza e la violenza di uno xenomorfo.
Genere: Azione, Horror, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cinque anni prima

Nel carcere duro di Gorgon le sfide erano all’ordine del giorno. Una struttura nota per gli infiniti incontri clandestini che vi si svolgevano non poteva evitarlo. Giochi di bustarelle e corruzione varia facevano sì che arrivassero sempre nuovi criminali esperti di lotta, campioni di varie discipline da poter far scontrare per offrire agli spettatori on line uno spettacolo sempre appassionante. Tanti lottatori in una sola prigione davano spesso vita a sfide molto personali.

Così quella sera Boyka, il campione incontrastato, il big boss finale da abbattere, aveva un motivo in più per mandare a tappeto il suo avversario. Non solo era un appunto un avversario, e quindi come suo solito avrebbe fatto di tutto per battere, ma perché l’aveva sfidato apertamente.

Ogni nuovo criminale, appena entrato nel carcere ed informatosi su chi fosse il più duro, si presentava da Boyka con la strafottenza tipica dell’inesperienza. Dimostrarsi spavaldi con il più duro poteva evitare di dover affrontare tutti i meno duri del carcere, e di solito questi inutili screzi duravano molto poco: Boyka non cedeva mai alle provocazioni, combatteva solo sul ring, a meno che la cosa non diventasse personale. E Gogol aveva fatto di tutto perché lo diventasse.

Nessuno sapeva per quale crimine fosse stato condannato, ma Gogol era un uomo abbastanza sgradevole da averne compiuto qualcuno odioso. Sin dal primo giorno stuzzicò Boyka ad ogni occasione, senza che il lottatore cedesse. «Se vuoi combattere, sali sul ring» rispondeva sempre lui, e Gogol cominciava ad offenderlo per non dover salire sul serio, su quel ring. La storia andò avanti per qualche giorno, finché il giovane arrogante decise di alzare il livello: mentre Boyka stava lasciando la mensa, gli si avvicinò e velocemente estrasse una sbarra di ferro, trovata chissà dove, sferrandola con rabbia contro una gamba del lottatore. Il colpo non fu preciso, data la tensione, ma il dolore accecò Boyka e lo fece cadere: per diversi giorni non riuscì a muovere il ginocchio.

Dopo un breve periodo di isolamento, Gogol fu prelevato dalla sua cella buia e trascinato sul ring del carcere, immerso nella semi-oscurità.

«Volevi sfidarmi», disse lentamente Boyka, uscendo dall’ombra, «e ci sei riuscito.» Non c’era nessuno sugli spalti e le guardie lasciarono subito la stanza. «Siamo soli, io e te. Forza: impediscimi di massacrarti.»

Gogol disse frasi sconclusionate, mosse sicuramente dalla paura, ma Boyka non lo stava più a sentire. Zoppicando vistosamente gli si avvicinò e lo colpì con una sequenza di pugni che mandò l’avversario a tappeto. «Alzati, non farmi inchinare: come vedi il ginocchio mi fa ancora male, anche se per tua fortuna guarirà. I dottori me l’hanno assicurato, ed è solo per questo che tu sei su un ring invece che in qualche angolo buio con la testa spaccata.»

Non c’era rabbia nella sua voce, era passata quella fase: ora c’era solo cieca determinazione nel punire chi aveva chiesto in ogni modo di essere punito.

Gogol scalciava da terra, cercando di far cadere l’avversario, finché decise di alzarsi e provare a colpirlo sulla gamba dolorante: scoprì che era meno facile del previsto. Fingeva tecniche di pugno ma poi partiva in spazzate che avrebbero dovuto colpire Boyka sul ginocchio, mandandolo a terra dal dolore, ma ovviamente il lottatore era più esperto del giovane irruente ed evitava tutte le tecniche. Rispondendo con potenza. Ad ogni tentativo di mandare a terra Boyka, Gogol riceveva moltiplicata la dose del dolore che avrebbe voluto infliggere.

«Rialzati, abbiamo ancora tanto da fare», diceva Boyka quando l’avversario cadeva e cercava di riprendere fiato. «Sei tu che l’hai voluto, sei tu che mi hai cercato: ora sono qua, ed esaudirò ogni tuo desiderio.» Il lottatore non colpiva mai il giovane in punti che l’avrebbero fatto svenire o immobilizzare, per via di una qualche frattura: era un massacro scientifico in modo che durasse il più a lungo possibile. E spesso Boyka dovette far rialzare l’avversario tirandolo su per i capelli con la mano sinistra e prendendolo a piccoli pugni con la destra, finché quello non si decideva a rimettersi in piedi: solo allora poteva affondare le sue tecniche più forti.

A notte inoltrata Gogol da per terra bofonchiava parole difficili da capire. «Qualsiasi cosa tu stia dicendo, avresti dovuto dirla giorni fa», gli rispose Boyka. «Se volevi un incontro “pulito”, avresti dovuto sfidarmi sul ring, davanti al pubblico dei nostri compagni di cella e davanti agli scommettitori. Allora sì che mi sarei limitato a mandarti nel mondo dei sogni, con un k.o. pulito. Invece hai voluto comportarti come un topo di fogna, e come tale io ti sto trattando.»

Tirato su per l’ennesima volta dai capelli, Boyka capì che Gogol non era più in grado di sentirlo: non era svenuto ma non era più neanche in sé. «Siamo alla fine dell’incontro, un ultimo sforzo.» Cercò di chinarsi ma il dolore al ginocchio lo bloccò. «Giusto il tempo di lasciarti un ricordino, perché non ti passi più per la testa di storpiare un lottatore. Ed è proprio per la tua testa che passerà il ricordino.»

Tirato su l’uomo, Boyka lo afferrò saldamente con entrambe le mani per i capelli, poi con una smorfia di dolore saltò con il ginocchio malandato facendolo poi cadere al suolo: fu molto doloroso, ma gli servì per caricare la forza da sprigionare con l’altra gamba, che spintonò la schiena di Gogol così forte... da farlo volare in avanti... mentre i suoi capelli rimanevano nelle mani di Boyka.

L’infermeria del carcere non garantiva certo la chirurgia estetica ai detenuti, così che il cranio deturpato di Gogol fu curato alla meno peggio, ma alla fine ottenne quel che voleva: nessuno del carcere si azzardò ad infastidirlo. Tutti sapevano che da quel giorno si stava allenando per diventare più forte, tutti sapevano che era una bomba ad orologeria, che un giorno avrebbe presentato il conto a chiunque gli avesse dato fastidio. Da quel giorno, quindi, nessuno diede fastidio a Testa di Cuoio.

~

Oggi

Il soldato mostrò sbrigativamente a Boyka la stanza che gli era stata riservata nella caserma locale dei Colonial Marines. «Le caserme sono tutte miste», spiegò il giovane militare, «quindi la tua amica si dovrà accontentare.»

«La mia allieva starà benissimo, qui con me», rispose Boyka senza guardare l’uomo ma studiando la piccola stanza.

Il compito del soldato era solo quello di accompagnare l’“ospite”, quello che poi avrebbe fatto non gli interessava. Prima di uscire accese il grande schermo che campeggiava su una delle pareti e poi imprecò. «Sta per iniziare!» Detto questo uscì velocemente dalla stanza.

Boyka ed Eloise si guardarono. Ormai la ginoide si era ripromessa di non fare domande in continuazione, visto che sembrava impossibile capire il comportamento degli umani. Stavolta però anche Boyka era confuso. Guardando la TV capì che il DOA stava per iniziare, in diretta, e questo gli fece ricordare quando era lui la star degli incontri clandestini mandati on line da Gorgon, visti da milioni di scommettitori sparsi nell’universo. Era un divo che faceva spostare enormi quantità di denaro ogni volta che appariva in video, e non poteva negare che quella sensazione lo inebriasse.

Mentre i presentatori introducevano l’incontro e citavano nomi ed eventi che entrambi ignoravano, Boyka ed Eloise si misero seduti in silenzio sulla brandina. «Sono curioso di scoprire la qualità degli incontri di questo torneo», si limitò a dire il lottatore, quasi che volesse ammantare di “studio di approfondimento” la semplice curiosità che lo spingeva.

Eloise non rispose: non provava particolare curiosità ma seguiva le indicazioni del suo maestro, sperando che prima o poi portassero a qualcosa. Cercava di smetterla di stupirsi di tutto, cercava di iniziare a pensare come un’umana – sebbene ogni goccia di sangue alieno le opponesse strenua resistenza – eppure non riuscì a mascherare un’espressione di totale stupore quando Boyka la spinse ad alzarsi, con fare ansioso. «Che succede?» chiese.

«Dobbiamo andare, ora», premette il lottatore. «Dobbiamo approfittare che tutti staranno con gli occhi fissi sugli schermi per lasciare questo posto. Ti ricordi il discorso che siamo armi, e dobbiamo stare in un cassetto?» La ginoide annuì. «Be’, è arrivato il momento di scuotere quel cassetto...»

Questo non rispondeva ad alcuna domanda ma Eloise c’era abituata e si limitò a seguire Boyka, che da impassibile si era trasformato ad un fascio di nervi.

Quando i due uscirono di soppiatto dalla stanza, i presentatori in TV stavano annunciando l’inizio del primo incontro, e introducendo il lottatore che avrebbe gareggiato per la Yutani. Un lottatore dalle vistose cicatrici rosso scuro che gli solcavano la testa. Un lottatore di nome Testa di Cuoio.

~

«Andiamo, ragazzi, mi avete appena accolto nella Casata: non potete almeno farmi riposare un po’», stava piagnucolando Dunja mentre i due soldati non la degnavano di uno sguardo. Il viaggio non era stato lungo e si era svolto in silenzio, perché il maggiore era impegnata a contare le curve e ogni altro elemento che le facesse memorizzare il percorso. Una volta arrivati, poteva anche iniziare la recita.

Pianse e scalciò mentre i due soldati la estraevano dall’auto e la portavano davanti ad un sentiero di montagna: immaginò che portasse alla zona dove si sarebbe svolto il DOA, ma nessuno dei due militari le rivolse la parola o le diede spiegazioni. Si appellò ad ogni sacro valore della Yutani e si gettò in ginocchio addosso ad uno dei soldati: l’uomo era così vistosamente disgustato dallo spettacolo che non volle guardarla, così non si rese conto di nulla quando Dunja gli sfilò la pistola d’ordinanza, mise una pallottola nella nuca del suo compagno e poi sparò in fronte a lui. Se loro non volevano dirle nulla, lei non aveva certo qualcosa da dire a loro.

Dunja guardò verso il sentiero boscoso che avrebbe dovuto portarla ad affrontare la morte, e disse tra sé: «Nessun posto è bello come casa mia.»

   
 
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