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Autore: Dakota Blood    14/05/2017    0 recensioni
Una serie di storie che vi toglierà il sonno.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Incubi. -Lei mi sta dicendo che non dorme da due settimane?- Il medico era esterrefatto. Aveva già avuto a che fare con parecchi pazienti che non riuscivano a dormire per diverse notti consecutive, ma questa volta era davvero senza parole. Due settimane sono un lasso di tempo piuttosto breve, certo, ma non per un paziente che soffre di insonnia. Non dormire per oltre tredici notti poteva avere delle gravi conseguenze, e prima tra tutte, quella di avere dei problemi cardiovascolari. Il cuore avrebbe cessato di battere se il ‘ proprietario ‘ si fosse privato del sonno per tutto quel periodo, un bisogno primario quasi quanto quello di cibarsi. -Si,- rispose il paziente, -Non dormo da tutto questo tempo, perché non si vede forse?- Il medico lo guardò meglio, non che ancora non lo avesse già visto abbastanza durante quei dieci minuti appena trascorsi, ma ora che gli aveva raccontato qual era il vero problema, il dottore si rese conto che era peggio di quanto gli era sembrato non appena quell’uomo aveva varcato al porta e sdraiatosi sul lettino. Gli occhi erano iniettati di sangue, il corpo era piuttosto gracile, sintomo che l’uomo non mangiava più come prima e che la mancanza di sonno ( che dovrebbe essere intorno alle otto ore, di norma) lo stava consumando lentamente. Agli occhi del dottor Heller, specializzato in malattie mentali e nervose, quell’uomo era una specie di zombie. Appariva troppo stanco, come un uomo che era appena tornato da una battaglia durata quaranta giorni senza un attimo di tregua. Gli faceva pena, perché, anche se non lo conosceva e anche se un medico deve sempre mantenere la sua massima professionalità, quell’uomo avrebbe provocato tenerezza anche ai nazisti, senza dubbio. -Allora.. signor.. - Chiuse gli occhi ma proprio il suo nome non gli veniva in mente. Lo aiutò, vedendolo così in difficoltà, -Signor Salter- -Oh si, è vero! Allora Signor Salter, mi vuole spiegare com’è iniziata questa insonnia? Cioè come si è accorto che c’era qualcosa che non stava più funzionando bene ecco.. Perché ovviamente lei è conscio del fatto che un uomo normale non può privarsi del sonno per tutto questo tempo, vero? - -Bhe certo.. ecco, io .. sembrerò strano, son sicuro anzi che lei non mi crederà nemmeno.. eppure..- -Eppure io sono qui per questo, mi creda.. Per aiutarla non per giudicarla.. io cercherò di capire qualsiasi problema l’affligga.- -Grazie.. ecco..- Il medico lo bloccò solo un momento.. -Vuole un bicchier d’acqua per caso?- - Oh, molto gentile.. ma no grazie!- Gli sorrise e lo incitò a proseguire -Ecco, come le stavo per dire.. Tutto è iniziato due settimane fa appunto.. Ecco, io conduco una vita normale, niente eccessi..- -Ha mai fatto uso di sostanze stupefacenti, per caso?- -Dio, no.. non sono mai stato attratto da questo genere di cose, anzi ho sempre cercato di inculcare il mio stesso modo di pensare, nella testa di mio figlio.. che invece.. beh- Fece un gesto come per intendere che era meglio lasciar stare e cambiare argomento, e il medico fece un cenno di consenso. Chiaramente aveva capito che il figlio era morto a causa della droga, e che quindi non c’era bisogno di fare tanti giri di parole. -Non c’è bisogno che lei vada oltre, ho capito perfettamente- e gli sorrise in modo triste. Il paziente fece un profondo respiro, chiuse gli occhi come per cercare di scacciare quel pensiero dalla mente e continuò a raccontare tutto ciò che doveva assolutamente dire al medico. - Ecco, io non so bene come e cosa mi sia successo.. so solo che una notte mi sono svegliato di soprassalto, come se un peso enorme mi avesse invaso il corpo, come se una mano enorme.. Ha presente quei vecchi film dell’orrore?- Il medico fece un cenno approssimativo e lo invitò in poche parole a non perdersi in stupidaggini. - Ecco.. come uno di quegli enormi artigli.. un dinosauro.. o King Kong! Il gorilla.. una manona del genere.. che però non mi ha trattenuto in alto e non ha mi ha posato su di un grattacielo perché ero l’amore della sua vita, no mi ha ridestato dal sonno e non mi ha più permesso di dormire per tutto questo tempo.- L’aria si era fatta abbastanza pesante e il medico andò ad aprire la finestra, deciso sul fatto che quell’uomo lo stava mettendo abbastanza a disagio, lo stava come si può dire.. Contagiando? Non proprio.. perché lui non era un medico generico, non aveva a che fare con nessuna malattia contagiosa, quest’uomo non gli stava esponendo un problema di allergie, un virus preso chissà dove o in un viaggio in un luogo esotico. Lui si era soltanto recato nel suo ambulatorio per raccontargli la sua disavventura.. ma non c’è da temere quando si parla di queste cose, semplicemente perché rimangono li e basta.. Se ne vanno assieme al paziente che richiude la porta alle sue spalle e se ne torna a casa sua, magari con il mal di testa, ma almeno è ben lontano dal medico che ha cercato di curarlo. Questa era una sorta di ‘estrema suscettibilità’ lui non stava di certo avendo paura, anche perché ancora non aveva quasi raccontato praticamente niente, ma era bastato quel poco perché il medico capisse che era un caso che trascendeva la normalità di tutti i giorni.. Decise comunque che ormai l’avrebbe ascoltato fino alla fine, nonostante le conseguenze. Hey aspetta! Quali conseguenze? Questo è sempre stato il tuo lavoro, hai sempre ascoltato i pazienti che avevano ogni sorta di depressione, male incurabile. Non ti ricordi forse di quella volta in cui una ragazza accompagnata dalla madre, ti aveva supplicato di esorcizzarla affinché scacciasse dal suo corpo e dalla sua mente, il demonio? E tu, anche in quel momento non avevi perso al testa, avevi detto, con un sorriso, che lui non era un prete e che se voleva essere aiutata l’avrebbe anche accompagnata in chiesa, ma lui non poteva fare altro. Ma questo, e tu lo sai bene, vecchio mio, non è un caso da cui ci si può sbarazzare così da un giorno all’altro. No, no. Questa è roba seria, che ti gela il sangue, e forse la finestra non era il caso di aprirla. Un cornacchia nera si posa proprio sul cornicione e il medico quasi grida riparandosi il volto con entrambe le braccia. -Sta bene?- Se lo chiede anche lui, ormai. Non riesce a controllarsi, il racconto di quell’uomo gli ha messo una fifa addosso che ormai non riesce nemmeno più a parlare. Deglutisce e cerca di respirare profondamente, per non dare l’impressione di essersela appena fatta addosso -Non si preoccupi, è stato solo un incidente.. una cornacchia si è posata qui sopra e avevo paura che stesse per entrare.. sa ho paura degli uccelli.,soprattutto neri.. - -Beh, le cornacchie hanno la buona fama di togliere gli occhi alla gente, e i corvi di fare da tramite tra i morti ed i vivi.. ha ragione a detestarli.. quelle sono bestiacce arrivate dritte dall’inferno.. non ci fanno proprio nulla qua da noi..- Il medico cercò di ricomporsi e pregò il paziente affinché la conversazione avesse fine e continuasse a spiegargli i suoi sintomi e problemi.. Ma aveva veramente voglia di starlo a sentire? Non era più così tanto sicuro. Sudava, e nonostante l’aria ora fosse abbastanza fresca e il venticello entrasse, riuscendo persino a far muovere i petali delle rose posate su quel vecchio vasetto nero, lui si sentiva soffocare. Allentò il nodo della cravatta e sorrise debolmente.. -Signore, ma è parecchio pallido, sa?- - Oh, non è un problema, sono anemico ecco.. non c’è da aver paura.. ( No? Ne sei sicuro?) piuttosto la prego, mi dica pure il seguito del racconto.. io prendo appunti.. d’altra parte questo è il mio lavoro.. e oggi sembra che i ruoli si stiano invertendo.. sembra quasi che quello che deve andare da uno psichiatra, in questo momento, sia io – E rise, ma la sua risata non aveva niente di divertente, anzi sembrava quella di una persona che è sul punto di scoppiare a piangere. -e infatti, ci andrà, presto- Aveva sentito bene? Oppure era solo la sua immaginazione? - Ha detto qualcosa?- L’uomo sorrise -No, non ho aperto bocca- Il dottore lo guardò come se di fronte a lui ci fosse un mostro, e non un uomo stanco e deperito, che ormai sembrava anche volerlo far impazzire. -Ah, allora ho preso un abbaglio, forse sto lavorando troppo in questo periodo e la mente mi sta facendo ciao un po’ troppo spesso- Abbozzò un leggero sorriso e si sedette meglio. -Bene, prosegua, abbiamo già perso piuttosto tempo mi pare.. e io tra un ora devo tornare a casa.. mia moglie mi aspetta- -certo, la capisco.. Beh le stavo giusto dicendo che mi era sembrato di avere un peso enorme sullo stomaco, sulla schiena. Ho acceso la luce ed ero completamente sudato. Sono andato in bagno, ho bevuto un bicchier d’acqua- -Ha bevuto l’acqua del rubinetto?- L’uomo si interruppe e lo guardò come se avesse sparato una barzelletta o una minaccia. -Perché, ha qualcosa contro chi beve l’acqua corrente?- -Io non intendevo dire questo, non volevo di certo criticare o offendere qualcuno.. stavo solo pensando che di questi tempi è meglio non fidarsi, sa tutti i microbi che si possono trovare, è molto meglio far prima depurare l’acqua o addirittura comprarla al supermercato e non si ha nessun tipo di problema- Lo guardò come se per questa volta lo avesse perdonato, come se gli avesse realmente mancato di rispetto. Quell’uomo era sicuramente un folle, o qualcosa di molto simile. -Mi racconti il resto della storia la prego, sono tutto orecchi- Il paziente rimase a fissarlo come se fosse ancora arrabbiato con lui, e si girò dalla parte della finestra, che era ancora aperta e da cui filtravano i raggi del sole, che quel mattino scaldavano come non mai. - Va bene, ecco stavo dicendo che mi ero alzato a bere un sorso d’acqua. ACQUA POTABILE, ha capito?- Il medico stava quasi tremando, vedendo che l’uomo si stava quasi stritolando le mani, come se con quel gesto in realtà volesse nascondere l’imminente bisogno di spaccare il naso al medico, o farlo direttamente fuori. -Certo, ho capito- Doveva assecondarlo in qualunque modo, e non poteva permettersi di respingerlo o rispondergli male, altrimenti molto probabilmente si sarebbe giocato la sua vita. -Bene, meglio così. Ecco, poi mi sono fermato al lavandino, giusto per guardare un po’ che viso avevo, e mi creda, sembrava come se mi avessero preso a pugni in faccia. Avevo il contorno degli occhi viola, e addirittura in certe zone ci si avvicinava molto al nero, al nero pece. Quel peso che sentivo, quell’artiglio o manona, mi aveva indubbiamente picchiato durante il sonno, mi aveva costretto a svegliarmi, voleva che io rimanessi vigile, quel fottuto demone voleva che restassi in piedi tutta la notte. E sono in piedi infatti, da tredici notti di seguito!- -Poi, cosa è successo?- -Poi? Beh dopo sono entrato in cucina e mi son preparato due tramezzini, anche se guardando l’orario erano le due del mattino. Ma, avevo fame! E poi non riuscivo a dormire, quindi le scelte erano due mi pare. O mangiavo, o guardavo la televisione. Non volevo disturbare i vicini e gli inquilini del piano di sopra, così ho deciso di starmene buono buono e non rompere le scatole a nessuno. Ci mancava solo che qualcuno bussasse alle ore più impensabili del mattino perché il volume era troppo alto.- -Avrebbe sempre potuto guardare la tv senza audio- Il paziente lo guardò e si avvicinò sempre di più a lui, quasi costringendolo a schiantarsi con tanto di poltrona e taccuino, contro la parete dietro di lui, rischiando di far crollare il calendario con disegnata sopra la ricetta del mese. ‘ Tagliatelle ai funghi porcini’ diceva la nonna che con amore imboccava i nipotini che le sorridevano. In quel momento il medico si maledisse per ciò che aveva fatto. Accidenti, perché non si era morsicato la lingua piuttosto che dire quella cavolata? Questo era un uomo indubbiamente pazzo, malato di mente ( ovvio, tu sei uno strizzacervelli, non lo scordare mai!) ma non come gli altri pazienti che aveva avuto in cura. Questo era molto pericoloso. Quella parola iniziò a risuonargli nella mente, a pungerlo, come un ape che inietta il suo dolce veleno. Era come un martello che continuava a battere sullo stesso chiodo per ore e ore.. PERICOLOSO. PERICOLOSO. Sei nella tua stanza preferita, o meglio quella in cui trascorri praticamente gran parte della tua giornata, solo con un uomo che t sta praticamente raccontando ciò che gli sta succedendo, ciò che lo sta affliggendo, senza però parlare chiaramente. Si ferma di continuo, sembra si appelli a qualcosa che è più grande di lui, sembra voglia incuterti paura, una paura folle. E tu, sei solo, con lui. -Certo, che potevo guardarla senza ascoltarla, non sono mica scemo- -Non l’ho mai detto questo- -Ma l’ha pensato, ne sono certo- -Io…- e rimase in silenzio, non riuscì a proseguire. -Senta…- Era giunto il momento di sospendere quella visita, immediatamente. - Io credo che sia meglio se blocchiamo qui la cosa. Credo che lei abbia bisogno di un altro tipo di aiuto, forse io non sono la persona adatta a lei, ecco tutto. Forse, e sicuramente è proprio così, sto diventando troppo vecchio per questo mestiere e non posso essere più d’aiuto. Sento il peso degli anni e credo che me ne andrò a casa, a riposare un po’. Se vuole le posso fissare un altro appuntamento per la prossima settimana giusto per non dirci addio così su due piedi, oppure le do il numero di un mio caro amico molto più giovane di me.. eccolo aspetti che prendo il foglietto..dovrebbe essere….- In quel momento cadde il silenzio. Robert gli fu vicino, talmente vicino da poter sentire il suo respiro pesante sul suo collo, come una belva insaziabile che vuole strapparti le viscere e farti a pezzettini. -Non si disturbi, mio caro. Me ne andrò per sempre, stia tranquillo. Volevo solo farle sapere che non dormo da troppo tempo, ma ora credo che starò molto meglio, oh si, molto meglio. Le conviene farsi vedere da qualcuno, uno molto bravo, perché il suo colorito non mi piace per niente, e per di più dovrebbe proprio farsi una bella pennichella. - Si chiuse la porta alle spalle, senza dire niente. Nella stanza era sceso il gelo, ma non perché la temperatura si fosse improvvisamente sollevata, perché quell’uomo che se n’era appena andato, lo aveva letteralmente sconvolto. Ripose il taccuino dentro il cassetto, prese il soprabito e fece per andarsene, quando improvvisamente un rumore alle sue spalle lo costrinse a girarsi. Proveniva dalla finestra, e sulle prime il medico non volle girarsi perché aveva il terribile sospetto di potersi trovare faccia a faccia con il suo maledetto paziente. Non voleva rivederlo, ora che finalmente era riuscito a sbarazzarsene, non voleva ritrovarselo di nuovo tra i piedi. Che avesse fatto il giro e volesse entrare dalla finestra? Non doveva succedere una cosa del genere! Si voltò e maledisse ciò che vide, nonostante si sentisse rasserenato. Non era ciò che aveva immaginato lui. Essendosi completamente dimenticato della cornacchia di poco prima, non aveva proprio pensato che il rumore potesse provenire da quell’animale. E invece, era stata proprio quella stronza! La vide proprio mentre beccava il vetro, cercando di forarlo o di penetrare con forza all’interno della stanza. Ne aveva abbastanza di quella giornata di merda! Riprese in mano il taccuino e lo usò per spostare l’uccello, per convincerlo a togliersi di mezzo una volta per tutte -Maledetto uccellaccio! Vai via.. ne ho già abbastanza per oggi, vorrei solo andare a casa e rilassarmi- Lo disse come un uomo che aveva appena finito un turno massacrante di lavoro, e beh effettivamente avere avuto a che fare con quell’uomo anche solo per un ora, era peggio di qualsiasi altro impiego stressante. Voleva andare a casa e abbracciare la moglie, che riusciva sempre a risollevarlo da ogni malumore, almeno sperava che ci riuscisse anche questa volta. Quando la cornacchia lo guardò, lui non vide gli occhi di un semplice pennuto, ma gli sembrò di scorgere qualcosa del paziente matto da legare che aveva appena cacciato via. Non c’era niente di animale in quello sguardo, no si vedeva chiaramente che quell’uccellaccio aveva qualcosa di malefico.. Cosa gli aveva detto quel pazzoide? Loro sono conosciute per la fama di cavare gli occhi alle persone! Non voleva diventare la sua cena, così se ne sbarazzò una volta per tutte, cercando di allontanarla con le forze. La cornacchia decise di lasciarlo in pace, forse capendo che quell’uomo era quasi in preda ad una crisi di nervi, ed ebbe un briciolo di pietà. Spiegò le ali, salutò per l’ultima volta gracchiandogli in faccia e il suo corpo gigantesco, nel giro di due secondi divenne un minuscolo puntino lontano. Sembrava quasi del fumo che fuoriusciva da una fornace enorme, che lo stava inghiottendo in un sol boccone. Ripensò subito a Robert, quell’uomo che lo stava lentamente consumando, e nel giro di qualche ora. Erano passate quante? Due ore da quando si erano incontrati, dal momento in cui lo aveva contagiato con quelle sue stronzate sui suoi demoni che non lo facevano dormire e dal momento esatto in cui aveva deciso di andarsene. Ma, la sua presenza forse non era ancora li accanto a lui? Adesso che aveva lasciato l’ambulatorio, era cambiato qualcosa? Ora si sentiva rassicurato oppure era come se un boa gigante o uno di quegli esemplari di anaconda lo stessero strangolando, togliendogli il respiro? Doveva assolutamente chiudere baracca per il momento. Staccare la spina, mollare tutto, certo non chiudere definitivamente e abbandonare il suo lavoro questo no, ma di certo doveva prendersi almeno due giorni liberi, lontani dallo stress, lontani dallo sguardo malefico di Robert di quella cornacchia che lo aveva infastidito per un bel pezzo. Era arrivata proprio mentre stavano parlando, mentre aveva deciso di aprire la finestra, che fosse solo un caso? E se invece quel tizio strambo avesse avuto un qualche tipo di collegamento con quell’uccellaccio? Se per caso, avesse cercato, tramite la sua follia di intercettare i suoi pensieri e lo avesse condotto qua da me? Non poteva certo trascorrere la nottata li, accanto al lettino, a farneticare su tutto quello che gli era successo poco prima. Doveva darci un taglio, subito. Prese quel poco che gli era rimasto ormai, tanto non aveva più nulla. Per fortuna, aveva sua moglie, Gloria, che lo stava aspettando, e forse sarebbe stata davvero in apprensione se avesse saputo tutto quello che gli era capitato. Era meglio non raccontarle niente. Con quel pensiero uscì sbattendosi la porta alle spalle, mentre la cornacchia era tornata sui suoi passi e lo scrutava con attenzione, gracchiando, come se gli volesse dire di fare attenzione, che certe cose non finiscono tanto facilmente. Ma lui non lo poteva certo sapere, lui aveva chiuso la porta su ciò che gli era appena successo, e stava per varcare la soglia della follia più pura. La casa distava appena quindici minuti, e nel tragitto aveva iniziato a piovere ininterrottamente. I lampioni non erano molto diffusi, perciò si vide costretto ad accendere gli abbaglianti che però non migliorarono molto la situazione. -Accidenti, ma quand’è che si potrà guidare in modo decente!- Arrivò giusto in tempo, prima che un furgoncino che trasportava gelati, sterzasse bruscamente e per poco non lo catapultasse dall’altro lato della strada. Guardò il conducente a bocca aperta -Ma siamo tutti pazzi, stasera?? Ma dico, questo si mette al volante quando è ubriaco?!- Abbassò il finestrino e gridò a pieni polmoni -Sta per caso consegnando delle birre? E poi, ma ha visto che ore sono? Il turno di lavoro dovrebbe essere già finito da un pezzo, idiota!- Imprecò nonostante il tizio molto probabilmente non lo avesse nemmeno sentito, imboccò la stradina che portava al vialetto di ghiaia, finalmente seguito dalle lucine che aveva fatto posizionare intorno al giardino. Grazie a Dio era stata più che altro un’idea di Gloria, quella santa donna che pensava sempre a tutto! Gliel’avrebbe detto non appena sarebbe entrato in casa, sicuramente l’avrebbe trovata a preparare qualcosa di buono nella cucina accogliente, con Plu, il gatto arancione, che annusava gli avanzi della cena precedente. Scese, chiuse la macchina e si mise le chiavi in tasca, fischiettando per raggiungere l’entrata. Si sentivano i grilli che frinivano e in lontananza, proprio in direzione del laghetto dove andavano spesso lui e Gloria da adolescenti, si potevano sentire le rane che gracidavano seguite da un mucchio di lucciole che lasciavano dietro di loro una scia luminosa, proprio come tante stelle comete. Sorrise, contento di essere tornato a casa. Casa è dove vive il tuo cuore, e in qualsiasi posto ti trovi, o ti troverai per il resto dei tuoi giorni, basterà chiudere gli occhi e immaginare di essere a casa, nel posto più accogliente e magico di sempre. Basterà immaginare che quei grilli siano gli stessi del lago in cui da piccoli giocavi o pescavi solo per il gusto di vedere da vicino le squame del pesce gatto, basterà pensare che la risata di una donna li vicino sia quella di tua moglie, ed ecco che ti troverai a casa, sempre, nonostante aprendo gli occhi ti renderai conto di essere magari in un posto di cui non ricordi nemmeno il nome. Lo faceva sentire sempre giovane, il fato di trovarsi su quel vialetto, ogni volta che rientrava dal lavoro, e ora, come non mai, aveva bisogno di tornare indietro nel tempo, di ritornare ai periodo infantili, belli, in cui non esisteva nessuna cornacchia dannata e nessun uomo insonne. Un brivido gli percorse la schiena, se lo scrollò di dosso cercando di concentrarsi sul frinire dei grilli, e girò la manopola. La casa è dove ha inizio tutto. Gloria, come lui ben aveva immaginato, era diretta ai fornelli, mentre con una mano cercava di dar da mangiare a Bob, che miagolava affamato. Non era una grande famiglia allargata, non erano mai riusciti ad avere un figlio, ma tutto sommato non c’era niente che turbasse l’equilibrio. Erano in due, anzi volendo considerare il gatto, che soprattutto per lei era come un figlio, erano in tre, ed era il numero perfetto, perciò non c’era niente che dovesse essere sistemato o modificato. Aveva una bella vita e una bella casa, quando arrivava a casa la moglie era li ad aspettarlo e non usciva ogni sera con quelle oche delle sue amiche che si incontravano ogni giovedì per andare al pub London’s flag, a vedere gli spogliarellisti che si facevano mettere tre dollari dentro le mutande. Di, che schifo, come si fa a chiamare donne quelle così? Lui invece era stato un uomo fortunato, non doveva mai chiedersi perché la moglie fosse in ritardo, perché gli avesse mentito dicendogli che andava a comprare lo zucchero e invece l’aveva beccata a chiacchierare con il ragazzo che portava i giornali. Niente di tutto questo. Bastava quindi per considerarsi felice, fortunato e amato. Tre parole che insieme formavano una vita perfetta, o quasi. -Amore, sei tornato! La cena è quasi pronta, ti conviene appoggiare tutto sul divano, perché questa si raffredda subito- Guardò il contenuto poggiato sul ripiano accanto ai fornelli, e vide che aveva preparato il suo piatto preferito. Spaghetti italiani al sugo. Perfetto per scrollarsi di dosso quella giornata di merda! Beh che altro nome poteva meritarsi quella mattinata? Non era stata un gran che, non lo aveva certo rilassato e non gli aveva scrollato via di dosso l’ansia del duro lavoro che svolgeva ogni giorno. Anzi, si sentiva quasi depresso, come se il mondo gli fosse crollato addosso nel giro di due ore. -Hey c’è nessuno in casa?- Si spaventò, quasi pensando che le mani della moglie si fossero improvvisamene trasformate in due ali nere, giganti, che lo volevano soffocare. Gridò e si vide riflesso nell’enorme vetrata della cucina, quella posta proprio vicino all’entrata. Non era lo stesso uomo che era uscito presto quella mattina, per recarsi in ambulatorio, no, quella che vedeva adesso era l’esatta fotocopia dell’uomo che lo aveva sconvolto. Aveva gli stessi occhi rossi, come se anche lui fosse insonne da chissà quanto, il colorito era emaciato, come se un vampiro gli avesse succhiato via tutto il sangue nel giro di poche ore. Era cadaverico, completamente bianco, e sudava copiosamente. -Scusa, Gloria, è stata una giornata davvero stressante, non mi sento molto bene, credo che me andrò a letto presto stasera- Lei lo guardò preoccupata come se stesse guardando l’uomo che lei non aveva mai visto né conosciuto. Gli posò una mano sulla fronte - Sei freddo, sembri un cubetto di ghiaccio, Rorò << Gli sorrise cercando di risollevarlo ma non trovò alcun sorriso sulle labbra di lui. Rorò era la loro parola, più che altro era stata un’idea di Gloria, l’amante delle parole ad ‘effetto’ quelle che inventi ma solo in parte. Aveva preso spunto dalla gelatina che usava ogni giorno lui, e dal fatto che la confezione fosse rossa…due più due, ed ecco che in un attimo aveva creato Rorò. Non era che una stupidaggine, una di quelle cose che si inventano quando hai diciassette anni e sei annoiato perché l’autobus non ne vuole sapere di arrivare, quei momenti in cui sbuffi perché hai i piedi congelati, il sedere incollato alla sedia durante cinque ore di lezione, allora scrivi una parola stupida su un foglio, lo appallottoli, lo lanci sperando che la maestra non ti veda e quello silenziosamente arriva dritto dritto verso il tuo nuovo compagno o amico. Così nasce l’amicizia e forse l’amore. Questa volta però quell’emozione, quel sorriso anche forzato, non emersero dal viso stralunato e distorto di Daniel. Gloria lo abbracciò calorosamente, -Cosa è successo? Oddio!- E solo in quel momento sembrò ritrovare quell’energia che ormai sembrava averlo abbandonato completamente, solo allora ebbe la forza di voltarsi verso la direzione che stava prendendo la moglie per andare a spegnere il fuoco. Forse aveva paura che un assassino avesse forzato la porta e li volesse tenere in ostaggio tutti e due ( anzi tutti e tre, c’è anche Bob!) giusto il tempo di pensare a come li avrebbe potuti condire successivamente. Un cannibale, un ladro o qualcosa di simile. Invece, Gloria stava urlando perché aveva visto qualcosa alla finestra, si.. ma non si trattava ne si uno psicopatico, ne di un fuggitivo che li avrebbe messi in pericolo seriamente, no si trattava di un particolare specie di volatile, completamente nero e lucente. Piume completamente nere corvine. Una cornacchia, anzi uno stormo intero! Volava proprio sopra la loro casa, circondandoli completamente. L’urlo si sollevò quando entrambi si resero conto che l’uccello stava rompendo il vetro, e che bisognava per forza prendere qualcosa per tappare il foro che si era appena creato, era incredibile quanto quel becco fosse adunco e pericoloso ‘ Hanno la fama di togliere gli occhi alle persone’ S’un tratto sbarrò gli occhi,ripensando all’avviso di quella stessa mattina, datogli proprio dalla persona meno rassicurante che avesse mai incontrato. -Gloria- disse, con voce quasi rauca, e si spaventò al suono di quella voce così tanto simile al verso della cornacchia che avevano di fronte. Sussultò portandosi una mano alla gola come per cercare di schiarirsi la voce e inghiottì quel poco di saliva che gli era rimasta. –Gloria!- ripeté e stavolta il suono che emise fu più chiaro e molto più ‘umano’. -Allontanati, immediatamente! Non sai..- Che cosa non sapeva? Che quella stessa mattina un tizio strambo gli aveva raccontato che non dormiva da tre settimane e che le cornacchie, è risaputo, tolgano gli occhi alle persone? Beh, sicuramente Gloria poteva anche saperlo già, era una donna brillante e intelligente, e in passato proprio quando si stavano frequentando da pochi mesi, aveva trascorso gran parte del suo tempo a parlargli di ornitologia, di birdwatching e attività simili. Ora, il subbio stava nel fatto se quegli studi fossero veri o se gli avesse raccontato tutte quelle cose solo per ammazzare il tempo o per noia, o ancora per deviare altri discorsi e concentrarsi solo sulla passione per i volatili. Quella però era vera. Lei era da sempre stata un’amante di tutti gli animali, ma in particolar modo degli uccelli, soprattutto aquile, grifoni e passerotti. Quando ci siamo conosciuti mi raccontava che da piccola, sua nonna aveva un canarino chiuso nella sua gabbietta, e di notte spesso, si alzava e andava a liberarlo e quello se ne stava a svolazzare allegramente per tutta la camera. Il mattino seguente, la nonna si alzava preoccupata perché la gabbietta era aperta e il canarino se ne stava sulla cima dell’armadio, tranquillo e beato, la guardava e cinguettava tutto contento. Davvero strana, mia moglie, ma almeno quello era un periodo di gioventù, ma io ora sono un uomo adulto eppure mi sento come se fossi un alieno, come se stessi vivendo in una realtà ben diversa da quella che tutti conosciamo. La cornacchia puntò dritta verso Gloria, cercando sicuramente di toglierle gli occhi ( ormai quella fissazione non si levava dalla sua mente dannazione) e repentinamente John si parò davanti alla finestra, cercando di proteggere la moglie. - Allontanati, subito! Mi hai sentito?- Lei fece un gesto disperato con la mano, come se stesse per svenire, implorandolo di calmarsi, cercando di non fargli perdere la ragione. -Rob ma che ti prende? Mi stai facendo preoccupare seriamente- -Non è niente, sono solo un po’ stanco, davvero, credo che andrò a riposarmi- Le diede un bacio leggero e sparì dalla sua vista. Bob sbadigliò e si rannicchiò su se stesso facendo le fusa. Non devo pensarci troppo, non devo pensarci troppo. Nel buio della stanza, vide quell’uomo mentre gli sorrideva e gli parlava del suo problema. Si sdraiò sul letto, chiuse gli occhi e cercò di non pensare a niente, svuotò completamente il suo cervello.. diamine era un medico, non poteva lasciarsi condizionare! Sognò qualcosa… un uomo che rideva e lo inseguiva lungo un labirinto intricato, bellissimo ma pericoloso,un po’ come quello di Minosse… Si voltò in cerca di un’uscita e una cornacchia enorme gli bloccò il passaggio, la guardò meglio, facendo attenzione ai più piccoli particolari, i suoi occhi neri e penetranti.. e vide Gloria. Ad un certo punto quella che sembrava essere sua moglie gracchiò e gli rise in faccia, cercando di strappargli gli occhi. Era spacciato. Si ritrovò madido di sudore, con le lacrime che gli scorrevano lungo le guancie e un coltello sul fianco destro, spiaccicato contro il materasso. Si alzò respirando a fatica, si guardò allo specchio e vide un uomo pallidissimo e con delle occhiaie da far paura, ma ciò che lo spaventò veramente furono le sue mani. Rosse. Il sangue era ovunque, sul pavimento, nel letto e lungo le sue gambe fino a raggiungere le Nike bianche che aveva comprato da poco proprio perché era da troppo tempo che non si faceva un regalo. Non gridò, non perché non volesse ma perché la sua gola non glielo permise, era bloccata e se provava a deglutire, non riusciva proprio a mandar giù la saliva. Si avviò verso la cucina con le mani e le gambe che gli tremavano come quando da piccolo doveva andare al bagno ma aveva paura dei fantasmi e rischiava di farsela addosso. La vide distesa a terra in una pozza di sangue. Chiuse gli occhi per non dover guardare sua moglie che lo fissava da due orbite vuote da cui spuntavano fuori dei grossi vermi che lentamente formavano dei piccoli cerchi. Li riaprì e vide una grossa cornacchia, la stessa che gli era apparsa in sogno, la stessa che aveva cercato di fargli del male quando era tornato a casa quella sera stessa e che adesso gli sorrideva e diventava sempre più grande, sempre di più, fino a diventare un grosso topo di fogna nero come la pece. Indietreggiò e chiamò sua moglie… -Gloria! Gloriaaaa!- Non gli rispose nessuno e di fronte ai suoi occhi si materializzò un uomo vestito di nero con gli occhi sporgenti e una cosa lunghissima, come quella di alcuni draghi visti nei film fantastici che gli piacevano da ragazzo. L’uomo rise e roteò gli occhi in un susseguirsi di capriole e giravolte, come in una danza africana, e gli balzò davanti, quasi toccandolo con quelle mani sporche di sangue. -Tu, tu… tu sei l’uomo che ho visto stamattina nel mio ambulatorio, non può essere reale, tutto questo deve essere un incubo , non può esserci altra spiegazione… qualcuno verrà a soccorrermi..- Il mostro rise di gusto. -Quanto siete ingenui voi uomini, non credete mai a ciò che vedete vero? Tua moglie è morta, fattene una ragione.. io sono reale così come lo sei tu. Se volessi potrei ucciderti anche in questo stesso istante- -Allora fallo- -Aahahhaahha, no no no non lo farò, sarebbe troppo semplice, mentre io sto iniziando davvero a divertirmi. Non riuscirai a distogliermi dal mio compito. Sei spacciato. Ti ho distrutto la vita questa mattina e non te la restituirò intatta come lo era un tempo. Dimentica tua moglie- -Bastardo!!!!- Cercò di muoversi ma era paralizzato, come se fosse diventato una statua di marmo. Pianse come non gli succedeva da tanto tempo e chiuse gli occhi, iniziando a contare fino a dieci. Uno, due, tre… siamo solo io e te, quattro, cinque sei… devo tornare da lei… sette otto nove… ti prego non abbandonarmi mio signore… DIECI… devi solo creder… CI- Aprì gli occhi e si ritrovò nella sua camera da letto, lontano dai mostri che vivevano solo nelle fiabe e nella sua fervida immaginazione. Il letto era pulito, candido come sempre e al suo lato non vi era alcun coltello ma la sua rivista preferita, quella di macchine e moto. Sorrise debolmente. -Amore, la cena è pronta, vieni altrimenti si raffredda- Si vestì e canticchiò qualcosa fischiettando tra un ritornello e l’altro, poi aprì la porta e vide sua moglie, splendida nel suo tubino nero e nel suo portamento elegante di sempre. La sua Gloria. -Tesoro, che ti succede? Non dirmi che hai ancora paura di quell’incidente di stasera? Quella cornacchia è andata via da un pezzo- gli sistemò i capelli all’indietro e lui le sorrise nascondendo un leggero brivido lungo la schiena. -Non è niente, è che ho avuto un incubo terribile.. Tu eri morta, non eri più tu, c’era la cornacchia di questa sera.. è stato orribile- Gli scesero le lacrime e lei gliele asciugò, facendolo sentire al sicuro ma anche uno stupido bambino di nove anni. -Non pensarci più ora, mangiamo- Alle sette del mattino seguente, impeccabile nel suo camice bianco, varcò la soglia del suo studio e mise in ordine la stanza, sistemando vecchi fascicoli sulla scrivania e sorridendo sul nuovo giorno che stava iniziando. Poi qualcuno bussò alla porta, aprì e si ritrovò un uomo molto strano, serio ma allo stesso tempo sorridente. Non gli piacque per niente. -Noi ci conosciamo non è vero?- Lo guardò dalla testa ai piedi e scosse la testa. -Andiamo, guardi meglio, so che mi riconoscerà- Guardò attentamente e solo in quel momento capì. Gli cadde la penna di mano, quella che teneva ben salda e un urlo gli morì in gola. L’uomo sorrise ed entrò nell’ambulatorio, agitando la lunga coda. -Non.. non puoi essere reale, tu tu non esisti… ci siamo visti ieri per caso?? Ma lei era un uomo in carne e ossa.. che cazzo vuol dire questo??- Pianse e si gettò a terra, ormai esausto. -L’uomo drago gli accarezzò la testa, poi gliela tenne ferma e sollevò in alto l’ascia. Quando la lasciò ricadere sul suo collo, le pareti bianche si ricoprirono velocemente di una forte tinta rossa, un rosso sangue d’effetto.- Gloria canticchiava sotto la doccia e si preparava ad uscire per andare a fare la spesa, ormai era sicura che avrebbe potuto pranzare con suo marito almeno per il loro decimo anniversario di nozze. L’uomo rise di gusto mentre contemplava le sue mani vermiglie, come un pazzo. All’esterno, sul cornicione della finestra, una grossa cornacchia gli fece l’occhiolino sbattendo il becco sul vetro. L’incubo divenne realtà. L’incontro notturno. Il castello era situato nei pressi della vecchia città di Weller, quella dove erano state impiccate tre donne accusate di stregoneria nel lontano 1666. Ma noi non avevamo paura, no. Arrivammo alle tre del mattino, bussammo al grande portone ma non rispose nessuno. Affranti, voltammo le spalle alla vecchia dimora diroccata e iniziammo ad allontanarci spostando lo sguardo sul vecchio cimitero. Le statue degli angeli marmorei ci fissavano con aria tremenda, il ghiaccio aveva ricoperto le loro ali fino a farle scomparire del tutto. Non guardammo le tombe antiche e proseguimmo il sentiero in silenzio, poi proprio quando ormai eravamo abbastanza lontani, il portone si aprì. Fu Andrew ad accorgersene, il più giovane di noi quattro. Non dicemmo nulla, ci guardammo soltanto e questo bastò per metterci d’accordo e prendere all’unisono la decisione. Due minuti dopo tornammo di fronte al castello, proprio sotto all’immenso portone. Non vedevamo niente perché il buio era immenso ma dopo poco i nostri occhi si abituarono a quell’oscurità e qualcosa riuscimmo a scorgerla. Era una luce rossa, molto intensa, che subito ci fece pensare a quella prodotta dai lumicini, soprattutto il 2 Novembre, quando tutti vanno a porgere un saluto ai cari defunti lasciandogli un piccolo pensiero. Dal rosso si passò velocemente al giallo e poi all’arancione, come un bizzarro semaforo. Kid, il più fifone tra tutti noi, iniziò a tremare e a dire che voleva la mamma, che voleva immediatamente tornare a casa, che era stata un’idea stupida quella di visitare il castello del diavolo. -Smettila- gli dissi, sorridendo e porgendogli una mano che poi gli misi sulla spalla, -non c’è ness….- Un odore intenso, di bruciato, ci invase totalmente e pensai a quel lontano giorno in cui da piccolo avevo rubato le sigarette a mio padre per fare il figo con gli amici per poi dimenticarmi di spegnerle come si deve. Ma qua non aveva fumato nessuno. -Finalmente le mie preghiere sono state esaudite- Non vedevamo niente ma quella voce bastò per far scappare Kid e traumatizzare Anthony, che tra noi era stato sempre il più coraggioso. Kid era già lontano, non osai voltarmi, ormai ero intrappolato in quel turbinio di colori… rosso, arancione, giallo… quelle sfumature mi richiamarono come una sirena nel mare. L’uomo si avvicinò a me ed Anthony, ci toccò per verificare che fossimo abbastanza grassi e poi sentimmo chiaramente la sua lingua mentre passava tra i suoi denti ruvidi e spessi, pregustando ciò che avrebbe divorato successivamente con ingordigia. La mia faccia si infiammò nel momento stesso in cui il suo alito si gettò sulla mia pelle e il dolore provocato da quelle fiamme che mi picchiavano come bastoni ardenti mi fece urlare a pieni polmoni. L’uomo avanzò, con i suoi piedi caprini e rise in modo quasi isterico. L’unica cosa che riuscii a vedere per bene furono i suoi occhi rossi che si fissarono nei miei, azzurri, e allora lì seppi di essere impazzito del tutto. I miei amici non c’erano più, rimasi solo con quell’uomo che, vestito di nero, si muoveva come un animale e mi graffiava il volto con i suoi artigli acuminati. Prima che il buio totale si impadronisse completamente del mio cuore, vidi le sue corna, lunghissime e gigantesche, che arrivavano fino al soffitto. Spalancò la bocca, la vidi enorme, era una stanza immensa dalle pareti dipinte di un rosso sangue accecante e prima di chiudere per sempre gli occhi sentii le urla di tutte le anime dannate che giacevano nel suo corpo immondo. Non avrei potuto raccontare a nessuno di quell’incontro notturno con il diavolo in persona. La famosa leggenda testimonierà per me.
   
 
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