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Autore: Dakota Blood    14/05/2017    0 recensioni
Una serie di storie che vi toglierà il sonno.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Le trentun streghe. La ragazza sgranò gli occhi e respirò a fatica, come se avesse percorso chilometri e chilometri inseguita dal diavolo in persona. Aveva un volto talmente emaciato che quando la signora Elena la vide entrare dalla porta principale, pensò di avere di fronte un vampiro. -O Gesù! Franco, Franco, vieni subito qui! Abbiamo una visita stanotte!- Le si avvicinò con un misto di sorriso e terrore dipinto sul suo viso e le porse un bicchiere d’acqua. Dopodiché le avvicinò uno sgabello e la fece accomodare. -Ma che diamine urli, donna? Stavo riposando!- Da una delle camere apparve un signore di media statura, spettinato e con la faccia tipica di chi si è appena svegliato in malo modo. -Stavo chiudendo la taverna quando è apparsa questa fanciulla spaventatissima- Le sorrise accarezzandole una guancia. -Dio santissimo, ma sei gelata! Franco, vai immediatamente a prendere una coperta e dell’acqua calda! La ragazza sta tremando- -Non voglio causarvi alcun problema, non disturberò nessuno- Dicendo queste parole, si guardò alle spalle, nel vento impetuoso che fischiava come un forestiero ubriaco, nella notte più temuta da tutti, quella di Halloween. La donna si rese conto che qualcosa la turbava e guardò il marito aggrottando la fronte. -Vado a prendere qualcosa. Ragazza, come ti chiami?- Si voltò verso l’uomo e le lacrime le scivolarono lungo le guance, bagnandole il vestito nero che aderiva perfettamente al suo corpo gracile e snello. -Mi chiamo Marie, signore, sono francese e anche mio marito lo era- -Oh poverina- disse la donna portandosi le mani alla bocca come se avesse appena visto un immagine oscena. -Hai detto era?- - Si signora, Vincent è morto questa stessa notte... qualche ora fa. Non posso non raccontarvi tutto! Dovete aiutarmi vi prego!- Il signor Franco non disse nulla e si avviò verso il bagno in cerca di qualche asciugamano pulito a bagnare con dell’acqua calda. Elena si avvicinò e la abbracciò forte. -Povera piccola, potresti essere mia figlia!- Lei sorrise e abbassò la testa velocemente. -Ma no, fatti guardare un po’, sei davvero una bellissima ragazza, povera piccola chissà quanto starai soffrendo. Sai, noi avevamo una figlia giovanissima che è stata portata via da un delinquente che le ha tagliato la strada. Me la ricordi moltissimo- Le si inumidirono gli occhi ma ricacciò indietro quel lieve luccichio, per non fare la parte della vittima proprio davanti d una donna che aveva tutto il diritto di scoppiare in lacrime per la prematura morte del caro coniuge. -La ringrazio signora, siete due persone gentilissime. E mi dispiace per vostra figlia, davvero- -Grazie, ma non devi sentirti in debito con noi. Qui a Roma ci conoscono in molti e chiunque voglia un po’ di compagnia può venire qua da noi e trovare sempre un pasto caldo. Cerchiamo di accogliere i turisti nel migliore dei modi per farli sentire a casa anche se sono a mille chilometri dalla propria terra. Qui siamo tutte persone per bene…gente comune- -Io non vorrei davvero disturbarvi, non vorrei ami approfittare della vostra bontà- -Non devi assolutamente preoccuparti di questo- Dalla porta sbucò il signor Franco con l’occorrente e una bacinella viola per farle immergere le gambe e rilassarsi. -La ringrazio ancora gentile signore- -Non devi, avrai camminato tanto, ti serve un pediluvio, qualcosa che ti faccia star meglio risollevi lo spirito- Riempita la bacinella di acqua calda e appoggiatigli asciugamani caldi sulla schiena, la ragazza chiuse gli occhi e si rilassò distendendo per bene in nervi. -Ora, se vuoi rimanere da sola, noi andiamo a dormire e se hai bisogno di qualcosa chiamaci- La ragazza si mosse repentina, come se fosse stata morsa da un grosso ragno. -No! Dovete starmi ad ascoltare, vi prego! La storia che vi racconterò forse vi sembrerà assurda ma h un assoluto bisogno di sfogarmi con qualcuno e sento che voi siete le persone adatte. Ve ne prego… Sedetevi e prestatemi attenzione. Non vi ruberò tutta la notte. I coniugi si guardarono,obbedirono e stettero in assoluto silenzio mentre fuori dalla locanda il vento raccontava le sue bizzarre storie alle piccole stelle. Marie e Vincent erano due giovani sposi in vacanza, avevano deciso di recarsi in Italia perché era sempre stato il sogno di lei e soprattutto di sua madre, deceduta qualche anno prima. Roma, la capitale, la città famosa per la fontana di Trevi, bellissima in tutto il suo splendore, il Colosseo utilizzato un tempo come arena in cui i gladiatori e i leoni si sfidavano in una lotta all’ultimo sangue. Quale altra città poteva affascinare così tanto due donne contemporaneamente? E così partirono, fecero le valigie dando le spalle per la prima volta nella loro vita a quello che era sempre stato il loro nido d’amore, Parigi. Per qualche settimana non avrebbero sostato nei ristoranti della maestosa Tour Eiffel e avrebbero invece goduto della buona cucina italiana. Tra i due, soprattutto Marie era curiosa di assaggiare la pasta al sugo che aveva sempre sentito nominare da tutti ma che in Francia veniva dimenticata o sostituita con semplici purè. Arrivarono in Italia il 29 Ottobre, scesero dall’aereo sorridenti come sanno esserlo le coppie di giovani innamorati, con il loro portamento un po’ altalenante, sono in questa terra per metà e per l’altra stanno su una nuvola di romanticismo e pensieri dolci che forse un giorno li farà addirittura sorridere con una punta di imbarazzo. Le strade romane erano completamente diverse da quelle parigine, niente luci immense tanto da sembrare sempre sotto i riflettori come una diva del cinema, nessun castello del Disneyland Paris da ammirare in lontananza. Niente di tutto ciò. Eppure era proprio questo che la affascinava, la semplicità del traffico di una città che vive la giornata come se non ci fosse un domani certo, come se non stesse aspettando di essere inquadrata dall’ennesimo fotografo parigino o dal turista di turno che vuole immortalare i monumenti sacri della Parigi sempre impeccabile. Per Marie, Roma era una delle poche città semplici e vere. Proprio come lo era lei. Arrivarono in una stradina poco trafficata e parcheggiarono la vecchia macchina presa a noleggio vicino ad altre vetture che sostavano lì a fianco, cercando con lo sguardo qualche vigile e un qualsiasi cartello che potesse indicargli dove si trovavano e se per caso ci fosse il rischio di beccarsi qualche multa. Non trovarono niente di tutto ciò. Entrarono nel primo albergo carino della zona e alla reception trovarono un ragazzo dai capelli lunghi corvini e dagli occhi altrettanto scuri e intensi. Disse loro che avevano una deliziosa suite per neosposi che sembrava fatta apposta per loro, e così accettarono senza troppi ripensamenti. Salirono al piano di sopra, non optarono per l’ascensore data la forte claustrofobia di Marie e così trascinarono i pesanti bagagli per le scale, interrompendo così quel magico silenzio che è tipico dei vecchi alberghi. Finalmente entrarono nella camera che gli era stata consigliata. La 311. Accesero le luci e videro qualcosa di magico. La stanza si presentava come una graziosissima riproduzione di quelle camere in stile vittoriano che si vedono nei film antichi o in quelle soap opera ambientate agli inizi dell’800, talmente delicata e antica da risultare anacronistica e bizzarra. I quadri alle pareti raffiguravano volti di uomini caduti in battaglia, con i classici baffi arricciati e portati verso l’alto, come a voler sottolineare l’importanza avuta nella loro valorosa vita da soldati. Al centro vi era un tavolino in legno di ciliegio con sopra un vaso di fiori gialli e arancioni, anch’esso molto antico. Ma ciò che catturò l’attenzione della ragazza, benché avesse apprezzato tutto l’arredamento e l’ordine circostante, fu la scrivania posizionata accanto al muro, vicino alla finestra. Sopra di essa vi erano vari libri, tomi, enciclopedie e opuscoli di vario genere e autore. -Guarda tesoro, sicuramente questi sono stati dimenticati da qualcuno- disse Marie, avvicinandosi e sfogliandone uno con la copertina assolutamente priva di qualunque traccia di autore o titolo. Le si avvicinò Vincent un po’ preoccupato e infastidito e le pose delicatamente la mano sul braccio allungando lo sguardo per controllare costa stesse leggendo. -Cara, forse non dovremmo curiosare in questa roba, dai chiudi tutto e vieni ad occuparti di me piuttosto- Così dicendo la strinse forte a sé e il libro si chiuse candendole di mano e finendo a terra. Marie baciò a lungo il marito, lasciandosi trasportare da quel fantastico turbinio di emozioni, come se quello fosse il loro primo bacio. Ma c’era qualcosa di strano in lei… Le immagini iniziarono a invaderle il cervello come una vera ossessione e il suo corpo iniziò a muoversi contro al sua volontà, come se una forza oscura si stesse impossessando di lei. Si staccò dalle morbide labbra del marito e respirò a fatica, sconvolta da quel bacio così deciso e sensuale. Si inginocchiò a terra per raccogliere il libro e lo trovò aperto sulla pagina 31, dove un nerissimo inchiostro parlava una lingua arcaica che nessuno di loro aveva mai visto prima o poteva conoscere. Solo una parola era evidente e chiara come il sole. Marie. Il suo nome sottolineato in rosso come se fosse un lembo di pelle punto dalla spina avvelenata di una rosa maligna. Indietreggiò urlando e andò a sbattere la testa sul parquet durissimo. Si risvegliò su un comodo letto matrimoniale qualche minuto dopo, dolorante e angosciata. Vincent le stringeva affettuosamente la mano, baciandole il palmo e di tanto in tanto la fronte sudata. -Marie, bruci come un forno, santo cielo!- La donna lo guardò dritto negli occhi senza proferire parola, come se all’improvviso la lingua le si fosse immobilizzata o l’avesse inghiottita. Era una situazione assurda per Vincent! Decise di chiamare qualcuno ma la porta risultava bloccata e chiusa dall’interno e quando si diresse verso il telefono, questo risultò muto, come se dall’altro capo ci fosse il nulla. Il panico iniziò a prendere il sopravvento e ad investirlo come un treno in corsa e si mise le mani tra i capelli come un uomo che aveva appena perso la sanità mentale. -Marie, Marie!- Guardò la giovane moglie stesa sul letto mentre lo fissava al contrario con quegli occhi sbarrati e bianchissimi, privi di conoscenza. Poi la vide alzarsi e andare verso di lui, muovendosi come se fosse un ragno, posizionando testa e braccia all’indietro e il bacino rivolto al soffitto. I suoi occhi divennero arancioni e mentre la lingua fuoriusciva dalla bocca putrida solleticando il mento del marito sgomento, egli cadde e svenne, abbracciando così un lungo sonno profondo e tormentato. Si risvegliò di notte, tra i rumori degli animali notturni e le risate lontanissime di alcune donne. Gli faceva male la testa, come se qualcuno o qualcosa gliela avesse ripetutamente sbattuta contro un tavolo o un sasso. Cercò di issarsi in piedi ma non ci riuscì e si lasciò ricadere a terra esausto. Dov’era finito? Dal punto in cui si trovava riusciva a vedere ben poco, gli sembrava di essere in una piazza enorme circondata da un muro pieno di fiori, ma non capiva altro. Un rumore fortissimo seguito da delle risate fragorose lo fecero sussultare e si nascose tra due massi enormi che facevano proprio al caso suo. Davanti ai suoi occhi si materializzarono due donne vestite di nero, ma all’improvviso ne arrivarono molte altre, cinque, sei, dieci venti… Vincent arrivò a contarne addirittura trenta. Erano incappucciate e di fronte a loro i era un pentolone che bolliva, mentre con le loro mani grassocce e bianchissime minute di dita più lunghe del solito, giravano l’acqua sporca con un mestolo fatto di ossa umane e animali. Le donne iniziarono a ridere sempre più forte e bisbigliare dei nomi assurdi, come di una qualunque ipotetica divinità infernale. Poi, una di loro estrasse dalla tasca della tunica un voluminoso libro senza nessun nome scritto sopra e Vincent lo riconobbe subito. Fu quasi tentato di muoversi di lì e strapparglielo di mano ma non lo fece perché la ragione ebbe il sopravvento sull’istinto e decise di attendere. Un coro maligno si levò in aria arrivando dritto al cielo, un insieme di voci spettrali che divenne quasi uno squittio sinistro e demoniaco. Vincent si tappò le orecchie ma questo non fece altro che peggiorare le cose infatti sembrava quasi che quelle donne lo stessero controllando, capissero che era infastidito e avessero intenzione di farlo impazzire completamente. L’uomo, ormai allo stremo delle forze, ebbe giusto il tempo di dare un’ultima occhiata alle strane figure e riconobbe il viso di una donna che lui conosceva quanto il suo stesso cuore… La sua Marie, che si unì solo successivamente al gruppo delle trenta donne. Lei era la trentunesima prescelta chissà da quanto tempo. Gli occhi di lui si riempirono di lacrime mentre pronunciò, per l’ultima volta a bassa voce e con le labbra dischiuse, il nome della moglie. -Marie, Marie… ti amerò per sempre- Mentre si assopiva e giaceva a terra riuscì a sentire le continue voci delle malefiche figure mentre tramite uno strano rito provocavano tremendi dolori proprio al centro della sua testa, sconvolgendolo terrorizzandolo. Pronunciarono il suo nome per ben 31 volte, come se volessero resuscitare un mostro deforme o stessero invocando un antico demone e ogni volta che da quelle nere labbra fuoriuscivano quei maledetti suoni che componevano la parola Vincent, un nuovo dolore lo attanagliava, come un pugnale conficcato in gola. Capì di avere poco tempo a disposizione. Cercò di alzarsi ma senza mostrarsi troppo, perciò strisciò tra i pochi cespugli e la dura terra ricca di sassolini aguzzi che lo graffiarono ovunque e gli sbucciarono le ginocchia strappandogli quasi un urlo. Arrivò vicino al pentolone che ora ribolliva animatamente come se là dentro stessero bruciando le anime stesse dell’inferno e un liquido arancione iniziò a sgorgare arrivando tra le sue gambe e inzuppandogli i pantaloni. Si ritrasse ma una spruzzo di una sostanza collosa lo colpì in pieno viso rendendolo cieco. Si portò le mani in faccia e questa volta sì che urlò a pieni polmoni, mentre il Colosseo intero si riempiva delle grida di gioia e stupore delle vecchie streghe. La sua cecità per fortuna non era totale… o forse per sfortuna? Poiché non appena i suoi occhi velati e indolenziti si posarono sul vecchio calderone videro una sorta di animale che assomigliava vagamente ad un piccolo drago, con quattro teste e munito di coda verdastra con piccole squame. L’essere sputò fuoco intorno alla sua stessa figura e mentre il monumento iniziava ad andare in fiamme, quello iniziò a ridere emettendo suoni gutturali e spaventosi. Vincent, ancora quasi non vedente, indietreggiò e nascose il viso fra le mani, mentre un forte tremore si impossessava del suo corpo ormai esausto e privo di forze. Alcuni passi si avvicinarono sempre più a lui, a tal punto da sentire il respiro pesante della persona a cui appartenevano, e sollevò pian piano la testa, lentamente per timore di ciò che avrebbe potuto vedere. Forse se le sue pupille avessero incontrato quelle ipnotiche del mostro-drago, il suo terrore si sarebbe attutito, ma ciò che vide lo paralizzò all’istante. Incappucciata, prostrata dinnanzi a lui, vi era la donna che aveva sempre amato, Marie. Sollevò la verga pesante sul cranio del povero uomo, senza dargli nemmeno il tempo di fargli dire le sue ultime preghiere. Ormai Vincent era cibo per i vermi. Le streghe urlarono di gioia e danzarono sul corpo senza vita dell’uomo, sputandoci sopra e augurandogli che la sua anima finisse dritta tra le fiamme dell’inferno. Così, tra le rovine infuocate del Colosseo e le grida animalesche delle donne, finì quell’incubo dannato, mentre nel cielo le delicate stelle illuminavano quel misero cadavere, quasi accarezzandolo. La ragazza finì il suo racconto tra le lacrime, mentre si dondolava sulla sedia abbracciando il proprio corpo impaurita. -Questo è ciò che dovevo raccontare. Ora siete liberi di credermi o no, ma io vi dico che è tutto vero, che non mi sono inventata proprio niente- Continuò a guardare fuori dalla finestra, tra gli alberi che ormai danzavano assieme al vento, esausti e rapiti dalla sua incredibile forza. Fu la donna ad avvicinarsi a lei con cautela, come se quasi si fosse pentita di averla accolta nella sua casa. -Marie, vuoi forse dici che la trentunesima strega sei davvero tu, non è vero?- Continuò ad avvicinarsi a lei fino a sfiorarle i capelli con la punta delle dita. La ragazza finalmente si voltò con un’espressione di terrore dipinta negli occhi cerchiati di rosso. Poi si alzò e si mise di fronte alla donna. -Mi dispiace tantissimo, io non avrei mai voluto causarvi dei problemi- La donna non capì a cosa alludesse e si voltò verso il marito che si trovava dietro il bancone intento a versarsi qualcosa di forte. -Marie, cosa dici? Non ci stai dando alcun problema… Solo, vorremmo capire meglio questa storia della strega… sei, sei veramente tu, ma come??- -Signora, io ho ucciso mio marito perché dal giorno in cui ho messo piede in quella stanza d’albergo non sono più stata la stessa persona . Ho aperto un varco tremendo tra questo e l’altro mondo, quello delle ombre maledette. Non avrei mai dovuto curiosare tra gli oggetti dei morti. Ma d’altronde il mio destino era già segnato, sono una strega da sempre era tutto scritto in quel libro- Linda iniziò a tremare e chiamò il marito. Nel momento in cui la ragazza fiutò il loro timore, iniziò a cambiare, qualcosa mutò in lei fino a renderla quasi irriconoscibile. Iniziò a ridere a gran voce come se quella situazione la stesse divertendo da morire e tirò la testa all’indietro quasi spezzandosi l’osso del collo. Li guardò da quella posizione, roteando le pupille in modo ossessivo e frenetico, fino a trasformarle in due bocce che giravano impazzite. Quando finalmente si bloccarono, erano due fori bianchi, come se al loro interno ci fosse del fumo o della neve. La signora iniziò ad urlare e a dirigersi vero il marito, mentre la ragazza continuava a ridere senza sosta e ad avanzare verso di loro con fare minaccioso. -Io ho aperto un mondo! Ho aperto un varco tra voi e noi, tra ciò che si vede e ciò che rimane ben celato! Non si può omettere ciò che risulta evidente!- Rise e si buttò a terra con un tonfo sordo. -Franco, sbrigati! Non vedi che siamo in pericolo? Devi fare qualcosa!!- -Si… io ecco, va bene ora vado, tu rimani qui con lei nel caso si risvegli- -Fai presto!- Si diedero un bacio casto e si separarono per sempre. Ora Linda era sola in quella grande stanza dove ogni giorno vedeva le stesse persone, clienti abituali che si fermavano da loro per ristorarsi e condividere risate, gioie e dolori. Persone serie che quando terminavano la dura giornata lavorativa si recavano lì da loro per chiacchierare su qualsiasi argomento. Si guardò intorno e non riconobbe più quello che da una vita era il suo mondo, tutto ciò in cui aveva sempre creduto. Adesso quella grande sala sembrava l’entrata per l’inferno e la ragazza stesa accanto a lei assomigliava ad un demone che forse non sarebbe mai andato via. Erano trascorsi circa venti minuti dall’ultima volta che aveva parlato con suo marito e guardando dietro di lei sul grande orologio a muro, le sembrò che il tempo si fosse fermato. Anche fuori era successo qualcosa di molto strano, il vento aveva incredibilmente smesso di attirare la loro attenzione e sembrava essersi dissolto come polvere. C’era un silenzio incredibile. I secondi passarono, dieci, venti, fino a raggiungere il minuto… ma non accadde nulla e il silenzio continuò insistentemente a fare da padrone assoluto della situazione. Linda chiuse gli occhi e respirò profondamente, poi si portò una mano sul cuore e iniziò a pregare senza emettere alcun suono. -Ave o Maria piena di grazia, il signore è con te…- ( rumori dietro di lei, qualcosa che striscia e si avvicina lentamente furtivo) -…Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno Gesù…- ( un respiro pesante e cattivo) -…e liberaci dal male…- -AMEN STRONZA!!!- La donna si voltò e non disse niente, non una sola parola. Marie era di fronte a lei mentre sghignazzava e mostrava una lingua che poteva benissimo raggiungere il volto della donna se solo l’avesse voluto. -No ragazza mia, ti prego… sono io, la donna che ti ha aiutata, non mi riconosci?- Respirò a fatica in preda al panico. La ragazza gettò pesantemente la testa all’indietro e quando si ricompose Linda vide che aveva la pelle verde con tanti filamenti neri, come uno zombie. -non sono Marie, lurida stronza! Ahaahahaahha, sei una povera illusa se pensi di potermi battere… io sarò il tuo dolore più grande!- Roteò gli occhi e le sgorgarono lacrime di sangue che finirono sul pavimento corrodendolo come acido. -Oh Cristo Santo!-disse Linda indietreggiando e sbattendo il fianco sinistro contro il legno massiccio del bancone. Marie le si fece sempre più vicina e la guardò dritta negli occhi. -Non nominare quell’infame, puttana!- In quell’istante per Linda, guardare quegli occhi fu come fissare il fuoco dell’inferno. Urlò a pieni polmoni tra i singhiozzi e le lacrime. -Francoooooooooo, Francoooo aiutami!!- Ma il marito non c’era e non poteva fare nulla per lei. -Aahahahahaha sei sola con me tesoro!- Allungò il corpo verso di lei, quasi le strisciò addosso e lei sentì la pelle della ragazza che bruciava come un tizzone ardente e viscida come una rana. Non ci pensò due volte, si voltò per afferrare qualcosa con cui difendersi e poterla colpire ma un dolore acuto la paralizzò all’istante arrestando così anche il corso dei suoi pensieri. Un colpo alla testa la fece scivolare giù fino a terra quasi priva di sensi, senza permetterle di gridare per chiedere ancora una volta aiuto. Poi qualcuno le strinse forte la caviglia sinistra frantumandole l’osso che già sbatteva contro il duro cinturino in pelle della scarpa. -Ora tu vieni con me- La fece voltare verso di lei e l’ultima cosa che la donna vide assieme al grande lampadario fu la lurida lingua della ragazza che si avvicinava al suo ventre. Circa un’ora dopo, anche se fu difficile stabilirlo con esattezza, qualcuno entrò nella locanda infreddolito e stanco. -Linda eccomi, ho cercato di…- Vide qualcosa sul pavimento proprio di fronte a lui, all’inizio non seppe dire con esattezza se si trattasse di un animale morto o di un viandante che smarrendosi, era finito lì per caso, ma quando toccò i resti di quel corpo con la punta dello scarpone, quel tanto che bastò per voltarlo, non dovette più fantasticare. Linda lo stava guardando da quelle fessure vuote dove fino a qualche ora prima c’erano stati i suoi occhi. Fu certo di averla riconosciuta all’istante solo perché l’amava davvero, perché per il resto era un cumulo di carne ammassata e poltiglia rossa. Fu sul punto di vomitare quando una mano pesante dalle unghie acuminate fece forza sulla sua spalla, distogliendolo dal pensiero di Linda. -Salve, signor Franco- Nell’udire quelle parole, quel tono rassicurante e dolce, si sentì molto meglio, un po’ come accade quando qualcuno si avvina a te nel momento in cui stai assistendo ad un grave incidente stradale. È come se si esca da quel tunnel di paura e isolamento e ci si senta protetti. Quando si girò e vide Marie che gli sorrideva con i denti aguzzi e sporchi del sangue di sua moglie, si rese conto che a volte è meglio rimanere soli di fronti a delle scene tanto orribili e scioccanti. -Marie… che cosa hai fatto?- La squadrò dalla testa ai piedi e vide un essere infernale, della ragazza dolce e carina non era rimasto niente in lei, in quel corpo che ormai trasudava orrore. -Io no sono Marie, avvicinati tesoro mio, adesso siamo soli, vieni qui che ho qualcosa per te. Finalmente quella stronza non può mettersi tra noi- Ipnotizzato, come un serpente che spia lentamente dalla cesta richiamato dai suoni che adora, obbedì restando immobile ed affascinato, tra le braccia di lei. Lo baciò intensamente, ma quel contatto non aveva neanche lontanamente lo stesso sapore o ricordo di quello scambiato con Vincent. Quello era un bacio che sapeva di menzogna e morte. Uno spruzzo di sangue investì il legno del bancone, e il vecchio Jack Daniel’s ( per chi fosse entrato in quell’esatto momento) non era altro che una vecchia bottiglia sporca di succo di pomodoro dal nome bizzarro, qualcosa come Ack Niel’s, roba poco nota insomma. Le grida dapprima soffocate si sollevarono e come per un bizzarro eco, il vento iniziò ad ululare e far sbattere le imposte, felice di potersi esibire in una macabra danza infernale. -L…rida… starda!- Non poteva più parlare come prima, ormai la sua lingua era stata staccata per metà e riposava nell’avido stomaco di Marie. Lei rise di gusto con voce demoniaca, mentre il sangue nero le colava ovunque e finiva a terra, trasformando la locanda in un luogo maledetto. Poi gli si avvicinò come aveva fatto con sua moglie, solo che ora non c’era nemmeno il bisogno di usare troppa violenza. Gli uomini non sono così furbi come le donne. Basta poco per abbindolarli. -Vieni da me, tesoro, Vincent- Il signor Franco scosse la testa perché non voleva assolutamente andare da lei, ma la strega-donna gli si avvicinò e lo trascinò verso di sé spingendogli la testa verso il suo ventre. Le sue budella fuoriuscirono da sole, scivolando come gelatina su un dolce saporito e penetrando insistenti nella bocca dell’uomo, soffocandolo lentamente. Franco morì guardando la donna che lo aveva ucciso, con la bocca spalancata come se andandosene via fosse rimasto scioccato. Marie si sedette tra i due cadaveri, guardò le sue mani intrise di sangue, guardò la stanza intorno a sé, le parti vermiglie, il pavimento che era una sorta di Nilo in una delle dieci piaghe d’Egitto e urlò. Gridò fino a che non cadde lunga distesa per terra, con le braccia rivolte verso Linda. Dopodiché svenne. Era l’alba del primo Novembre quando la ragazza aprì gli occhi e provò un senso di nausea e dolore incredibili al petto. Cercò di alzarsi ma non appena appoggiò le mani per terra con l’intento di spostarsi da quel punto, sentì delle fitte lancinanti ai palmi e un formicolio incredibile le tolse la sensibilità agli arti. Si lasciò cadere sul pavimento, distesa, con lo sguardo rivolto verso le prime luci del sole nascente e iniziò a piangere. L’odore del sangue le si insinuò nelle narici, un tanfo di morte e disperazione. Sentiva la testa completamente vuota, priva di memoria. -Che cos’è successo qua…- Sussurrò quelle parole mentre osservava ciò che rimaneva dei due coniugi che l’avevano aiutata, senza avere la minima idea di chi diavolo fossero quelle persone, senza capire… Con un grido disumano si alzò per ritrovarsi un secondo dopo rigida su di una paio di gambe che sentiva pesanti e paralizzate. Corse nonostante i forti dolori all’anca destra, senza riuscire a capire perché si sentisse così debole e perché fosse lontana mille miglia dalla Francia. Aprì la porta che dava verso l’esterno e gridò. -Vinceeeeeeeeeeeeeeent, dove sei??- Ma lui non poteva salvarla e mai più lo avrebbe potuto fare. Attese qualche minuto con le braccia conserte, tremando mentre guardava il cielo sopra di lei. Non c’era nessuno per lei. Presa dal panico iniziò a fuggire senza una meta precisa, correndo con la stessa velocità di una donna inseguita da una belva feroce. -Vi prego aiutatemi! Aiutooooo! Qualcuno ha ucciso delle persone, aiuto!- Sentì la propria voce rimbombare intorno a lei, come se si trovasse dentro una bolla e questo non le piacque per niente. Poi un barlume di speranza, una lucina lontana che proveniva dal sentiero di fronte a lei le spianò la strada, strappandole un sorriso. Dei passi, delle voci umane e rassicuranti. Marie sorrise e si passò le dita tra i capelli umidi di lacrime e sangue. -Finalmente!- Dal bosco apparvero delle donne incappucciate e vestite di nero che le si avvicinarono fluttuando nell’aria. Era un gruppo piuttosto numeroso. Erano trenta. -Sono venute per me, sono libera!- Corse verso di loro emozionata. Mentre da uno dei grossi rami del vecchio ulivo un enorme gufo spiegava le ali, Marie si ritrovò tra le braccia di una delle donne, certa di essere finalmente salva. Un urlo lacerò il silenzio, poi più nulla.
   
 
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