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Autore: Koa__    17/05/2017    13 recensioni
John Watson, un medico reduce di guerra finito nelle Indie Occidentali, cerca di sopravvivere a una vita di solitudine e senza un briciolo di avventura. Un giorno, John fa però un incontro straordinario e del tutto inaspettato. Nella sua monotona esistenza, entrano così Sherlock Holmes, pirata della peggior specie, e la sua stramba ciurma.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Let's Pirate!'
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Il vergine e l’imbattibile
(Cronaca di un duello, nascita di un amore)






La scelta dell’arma, proprio come aveva detto Victor, spettò a John. Senza che fosse necessaria un’accurata spiegazione circa lo svolgimento del duello in questione, fu chiaro che le opzioni erano non più di due: spada o lotta. Da quel che gli era parso d’intuire, lo scopo di simili scontri era principalmente quello di intrattenere l’equipaggio, divertire ed emozionare ma pareva che nessuno avesse cattive intenzioni. Come il prete gli aveva ricordato, Sherlock non cercava l’ultimo sangue, né aveva intenzione di ferire per davvero qualcuno. * Sembrava che per lui fosse più importante vincere e dimostrare di essere il migliore di fronte al proprio equipaggio o davanti a Dio, o chissà a chi altri. Per queste ragioni, a John non occorse troppo tempo per prendere una decisione. Certamente non si riteneva tanto pazzo da volerlo affrontare con una spada, per quanto notevole sembrasse quell’armamentario e stupende fossero le strisce ** che ora giacevano tra le braccia di Lestrade, John non aveva alcuna intenzione di utilizzare delle armi. Sarebbe stato sciocco optare per la scherma e soprattutto quando si ritrovava a dover affrontare un uomo che era evidentemente molto allenato, oltre che uno spadaccino decisamente esperto. Scelse per il combattimento corpo a corpo senza neanche rifletterci e non preoccupandosi delle possibili conseguenze di un incontro ravvicinato. Lottare contro Sherlock, dunque era la migliore delle possibilità. Uno Sherlock nudo dalla vita in su, bello, attraente e con quel fare appena un poco selvaggio che era in grado di stordirlo come avrebbe fatto un colpo di pistola. Sherlock che era il capitano, ma anche la persona per cui John stava letteralmente perdendo la testa. Una rissa con lui avrebbe potuto portare a ripercussioni inaspettate, a spiacevoli incidenti sui quali, però, poco rifletté in quei frangenti. Non pensò davvero a niente se non alla prospettiva di poter toccare la sua pelle pallida e di rotolarsi con lui sul pavimento del ponte. Victor aveva ragione, un po’ di movimento non avrebbe fatto del male a nessuno. Pertanto, fomentato dalle grida della ciurma, lo spirito del soldato non impiegò altro tempo per risvegliarsi. Si sentiva caricato e pronto, scattante come prima di una battaglia. Eccitato come se avesse dovuto farci l’amore lì, di fronte a ogni marinaio presente. Avrebbe voluto urlare, John Watson, gridare e battersi i pugni al petto. Tutto ciò che fece, però, fu limitarsi a borbottare poche parole mentre annuiva e alzava le braccia al cielo, quasi stesse cercando di reclamare attenzioni. Gli fu concesso il silenzio e gli occhi di tutti i pirati de la Norbury su di sé, a guardarlo e a sondargli brutalmente l’anima come in un implacabile giudizio. Gli permisero anche di godere del sorriso di capitan Holmes che, ora, sagace e furbo, lo occhieggiava da poco lontano. Era ancora svestito e privato di cappello e camicia, che erano stati raccolti da Bill. Nudo e baciato dal sole, il pirata bianco era bellissimo. Aveva i ricci che gli ricadevano sulla fronte e oscuravano in parte quel suo sguardo brillante di divertimento ed eccitazione. Era ben chiaro, dalla maniera quasi soffocante che aveva di fissarlo, che la prospettiva di uno scontro gli facesse molto più che piacere. Mentre formulava simili pensieri, la mente di John prese pericolosamente a vagare. Fili di mezze parole e illusioni malcelate si allacciarono come sbuffi di fumo attorno a quelle stesse frasi che Victor andava ripetendo da giorni. Non era indifferente al capitano, questo lo aveva compreso ma esistevano molte maniere di piacere a qualcuno. Che fosse veramente attratto da lui? Che quel prete dicesse la verità per una volta? Non aveva mai seriamente creduto a una simile prospettiva, eppure cominciò a farlo allora. Poiché mai nessuno lo aveva guardato a quel modo, nemmeno la sua cara sorella o la sua povera madre. Quegli occhi comunicavano fin troppo, in effetti. Era come se Sherlock stesse faticando a trattenere la natura dei propri sentimenti e a reprimere l’emozione. Ora, a studiargli il viso, si aveva quasi l’impressione che fosse impaziente e che scalpitasse al pari di un cavallo imbizzarrito.

«Accetto la sfida» gridò John dopo minuti di teso silenzio, rivolgendo il naso e all’insù sino a offrire il proprio parlare a quella nobile ciurma piratesca, di fronte alla quale s’inchinò appena. Così facendo, non soltanto era certissimo di star facendo felice Victor (in un modo perverso che era decisamente saggio non approfondire), ma sapeva che quella era la sola possibilità che aveva per non fare una pessima figura. Non era mai stato un uomo orgoglioso o desideroso di mostrare a tutti i costi il proprio valore, ma in quel momento sembrava che mantenere saldo l’onore fosse l’unica cosa che avesse un senso. Sebbene si trovasse in netto svantaggio fisico, non dava segno di star eccessivamente subendo il carisma che il pirata bianco indiscutibilmente possedeva. Anche se c’erano tutte le ragioni per temerlo, preferì non preoccuparsi delle evidenti doti naturali che tanto presuntuosamente sfoggiava. Anzitutto, Sherlock era molto alto. Aveva gambe e braccia più lunghe delle sue ed era piuttosto forte. La corporatura asciutta e l’assenza quasi totale di peso in eccesso, o di una pancia prominente, gli permetteva di essere agile e tutt’altro che lento. Probabilmente era ancora più idiota ad alimentare talune speranze, ma era sicuro di avere almeno una qualche risorsa dalla propria. Era conscio di essere molto più forzuto rispetto al capitano e inoltre aveva una discreta esperienza nella lotta, accumulata nel periodo in cui si trovava sotto le armi. Ancora conservava nella memoria gli addestramenti al campo militare, le dure sedute di allenamento che avevano drasticamente mutato la larghezza del suo torace e la potenza delle spalle. Al di sopra di ogni cosa gli sarebbero tornati utili i ricordi di quei combattimenti illeciti che, assieme ad altri commilitoni, faceva la notte o nei momenti di tranquillità tra una battaglia e l’altra. A nulla servivano quelle baruffe idiote, se non a distrarre la mente e a non pensare ai compagni caduti o a chi di loro sarebbe morto il giorno successivo. Spesso erano lotte brutali e violente, ma a quei tempi non gli importava di niente e nessuno e smettere di rimuginare era la sola prospettiva valida. Il che era esattamente quel che si ritrovava a fare, gettandosi a testa bassa in risse prive della galanteria piratesca che gli uomini de la Norbury mostravano. Era sopravvissuto, chissà come o per quale ragione ce l’aveva fatta a non stramazzare per colpa di un pugno alla testa inferto con eccessiva forza da un gallese furioso e, anzi, nel proprio reggimento era diventato relativamente famoso. Conosciuto principalmente con il nome di Watson “l’imbattibile” perché non una volta si era lasciato sconfiggere da un avversario. Naturalmente era un’altra epoca, allora era più giovane, più in forze, più sano… Allora, John aveva poco più di vent'anni e il corpo non lo aveva ancora odiosamente tradito. Adesso invece e con la figura del leggendario capitan Holmes che sostava a pochi palmi, Watson l’imbattibile sperava soltanto di non passare per l’idiota di turno.

Fu Fortebraccio, il corpulento timoniere, a intervenire prima che il tutto avesse inizio. Si frappose tra loro con determinato stoicismo e mostrando una certa durezza nei modi che lo contraddistingueva prepotentemente, differenziandolo dagli altri pirati. Senza dire nulla e forse già sapendo che non sarebbero state necessarie troppi salamelecchi, egli sollevò lo sguardo al cielo e solamente allora prese a parlare. Voce chiara, tono elevato, iridi accese e brillanti e un ghigno di scherno a stirar le labbra.
«Lo sfidante, il dottor Watson ha diritto alla scelta dell’arma» urlò questi, guardando John con un fare eccessivamente insistente che ebbe il potere di fargli aggrovigliare lo stomaco. Non aveva idea della ragione per cui lo stesse fissando, se per deriderlo o che cos’altro, ma era sicuro che non doveva essergli un granché simpatico. Angelo aveva ragione: ancora non si fidavano di lui e chi poteva dire se mai lo avessero fatto. Purtroppo, le fila dei ragionamenti del timoniere Fortebraccio, John le perse ancor prima di riuscire a muovere un solo passo. Neanche era riuscito a prender fiato, che questi si era voltato e adesso gli dava le spalle. Scelse di non pensarci e di lasciar da parte simili riflessioni. Poi, inspirato profondamente, si fece avanti.
«Scelgo la lotta corpo a corpo» enunciò prima che i pirati si esprimessero in un grido gioioso, a cui seguirono cori d’incitamento. C’era chi inneggiava al capitano, chi cantava alla gloria del pirata bianco e chi, invece, domandava il favore di battere quel nuovo venuto. Volevano che il capitano sconfiggesse quel certo John Watson e che gli dimostrasse di che cosa era capace il grande capitan Holmes, il terrore dei sette mari. Parevano davvero desiderosi di fargli fare una pessima figura ma per sua fortuna, Sherlock non mostrava altrettanti sentimenti. Invece che parlare, questi limitò il tutto a un cenno del viso e a un lieve inchino rispettoso, che espresse in un incurvarsi in avanti.
«Il primo di voi che verrà messo schiena a terra per tre volte, avrà perso» intervenne Lestrade mentre la voce di padre Trevor sovrastava le altre e correva a incitarlo. Probabilmente era l’unico che in quel momento si era preso la briga di pensare anche a lui.
«Dai, dolcezza» urlò. «Mostragli ciò che sai fare» aggiunse, sollevando i pugni all’aria che agitò come in un gesto di vittoria. Fu allora che John ebbe l’audacia di guardare verso l’alto, incoraggiato prese a fissare uno a uno tutti quei pirati. Lo fece accennando un sorriso mentre cacciava via l’ombra di paura che per un breve istante gli aveva ritorto lo stomaco. Adesso, viva fierezza e uno sfacciato divertimento cominciavano a crescere. Forse era vero che in ben pochi a bordo si fidavano di lui, ma in quei frangenti riuscì comunque a cogliere lo spirito goliardico di quell’insolito teatro. Più precisamente erano stati gli occhi di Sherlock a suggerirglielo, oltre che all’espressione vivace che aveva adesso in viso. John era sicuro di non aver mai incontrato uomo capace di godersi una sfida così profondamente e in una maniera che aveva dell’infantile; che avesse simili forme l’anima briosa e allegra a cui si faceva riferimento nei racconti di giovinezza narrati da Victor? L’eccitamento candido e spensierato sbocciato al pari di un fiore nelle campagne francesi, tanti e tanti anni prima? Non poteva davvero saperlo, eppure, se soltanto avesse voltato il viso e si fosse preso la briga di studiare anche le espressioni di padre Trevor, avrebbe capito che la fiammella (la fiamma di vita, ormai spenta, che tanto cupamente corrucciava i sentimenti dell’impudente monaco) in Sherlock Holmes si era finalmente riaccesa. Che fosse il merito fosse suo, non volle proprio pensarci.
«Ehi, pirata» esordì John dopo momenti di silenzio. Già stavano combattendo, comprese mentre tendeva le labbra in un accenno di sorriso e già tutti si erano fatti da parte, studiando espressioni e movimenti come se null’altro avesse reale importanza. Sherlock era appena un poco ricurvo in avanti, le braccia contratte come se stesse cercando di afferrare l’aria e le ginocchia piegate pronte a scattare. La distanza era eccessiva perché riuscissero a toccarsi, eppure sapeva che a un individuo di quell’altezza sarebbe bastato un niente per raggiungerlo. Aveva davvero una qualche possibilità di batterlo? Giunto a questo punto dubitava davvero.
«Non credevo fossi uno che ama fare conversazione mentre fa attività fisica» lo rimproverò il capitano, saccente.
«Oh, beh» ribatté prontamente e con giusto un velo di malizia a caricar la voce. Quindi fece un passo in avanti e nel contempo alzò la guardia, contraendo i muscoli e preparandosi a balzare in avanti. «Dipende dal tipo di attività che svolgo. Se si tratta di lotta, ritengo quantomeno doveroso lo scambiare delle chiacchiere con il proprio avversario. Aiuta a capire chi ci si ritrova ad aver di fronte e quanto idiota egli sia. Ma se è all’arte di letto ciò a cui ti riferisci, mh, no in quel caso preferisco aprir la bocca per fare dell’altro.» A sentirlo parlare a quel modo, Sherlock si tese e seppur in maniera impercettibile, ne rimase allibito. Non poteva dirsene sicuro, ma gli era parso di aver intravisto anche un accenno di rossore colorargli le guance, ma probabilmente quello era dovuto al caldo o allo sforzo appena compiuto. Decise di non sognarci troppo e al primo affondo da parte del suo avversario, il quale aveva cercato di afferrarlo per un fianco, capì che non era il caso di farsi distrarre.

Capitan Holmes era estremamente intelligente, questo era un dato di fatto come il carisma o la prepotente bellezza. Se era stato in grado di dedurre la sua intera vita al primo incontro, sarebbe sicuramente stato capace d’intuire mosse prevedibili. Si sarebbe quasi certamente aspettato un colpo al viso o un altro nella parte bassa del corpo, poiché non difficile da raggiungere. Quindi un calcio alle ginocchia sarebbe stato inutile, ma anche un pugno allo stomaco avrebbe potuto mettere John in seria difficoltà. In dubbio sul da farsi, scelse quindi di cominciare con un trucchetto che aveva imparato da quel povero diavolo del vecchio Joe, la cosa migliore era sempre atterrare il proprio avversario, distraendolo grazie a uno stratagemma. Avrebbe sfruttato quel rossore alle guance, sì, ma anche l’imbarazzo e la ritrosia che non si premurava di nascondere e che invece sbandierava tanto sfacciatamente. Tentare il tutto e per tutto in un gesto che aveva del disperato non gli parve neanche così patetico.
«Che c’è?» sputò fuori, con un giusto un pizzico di provocazione a cui seguì una risata di scherno, i cui toni erano fin troppo falsati. Non poteva negare di non divertirsi, anche perché se si fosse soffermato a riflettere su quanto assurda fosse quella situazione, non ne sarebbe più uscito. La verità era che mai avrebbe pensato di poter sfidare il celebre pirata bianco in un duello, eppure era ciò che stava facendo. Forse il John Watson di qualche tempo prima non sarebbe stato tanto spavaldo, che Sherlock lo stesse cambiando anche in questo? E se oltre al fidarsi di pirati sconosciuti, anche un po’ di orgoglio fosse tornato a farsi vivo? John ostentava se stesso e lo faceva in una maniera che gli era del tutto sconosciuta, perché mai si era comportato a quel modo. Aveva addirittura contratto i muscoli, così che l’ampiezza del torace e quella delle braccia fosse più evidente e anche attraverso la stoffa della camicia. Sherlock non era sensibile alla virilità maschile? Così gli aveva detto Victor, ma chi poteva dire se si trattava di una bugia o meno. Ma poi, se John aveva realmente un ascendente su di lui, se il capitano stava iniziando a provare un sentimento, non sarebbe stato meschino l’approfittarsene? In fondo, però, non si trattava che di un gioco e poi chi poteva dire che cosa sarebbe successo? Magari il buttarlo a terra avrebbe potuto portare a dei piacevoli risvolti, come sentire la consistenza della sua pelle, percepirne l’odore, il calore o il battito del cuore divenire più accelerato.
«L’accenno alle attività amatorie ti ha ammutolito, capitano?» gli chiese, ghignando appena. Aveva optato per un po’ di provocazione, giusto un pizzico e prendendo spunto da quella maniera sorniona che Victor sfoggiava più che volentieri. Dubitava potesse offenderlo, ma in quel caso era pronto anche a domandare scusa. In effetti, rifletté mentre barlumi di lucidità gli rischiaravano la mente, per Sherlock Holmes era pronto a questo e molto altro.

Dopo minuti dall’inizio del combattimento, ancora non si erano toccarti una volta, quasi fossero in bilico tra il desiderio di restare a guardarsi e la volontà di chiudere fuori il resto del mondo. Restavano a studiarsi da una discreta distanza, ondeggiando un poco sul posto ma mai, per tutto quel tempo, avevano levato lo sguardo da quello dell’altro. Come in attesa, come se preferissero far quello invece che lottare. Il capitano aveva occhi bellissimi, stupefacenti e dal colore non propriamente definito. Chi mai avrebbe potuto pensare a una stupida lotta? Non era forse meglio perdersi nell’azzurro intenso di quelle iridi e, come un naufrago, mai più tornare indietro? Oh, si sarebbe volentieri perduto negli occhi di Sherlock.
«Non vedo che cosa avrei da commentare, John» gli rispose, pacifico e spezzando brutalmente il fruire di sconce fantasie. «Di solito non sono interessato a ciò che i miei avversari fanno a letto, sei tu che hai introdotto l’argomento e se posso permettermi, era inopportuno.»
«Sarà anche come dici, eppure poco fa mi è sembrato di vederti arrossire come una verginella. Di certo stavo sbagliato, anche se non posso fare a meno di chiedermi se davvero non basti così poco per imbarazzarti. La sola idea che un pirata terrificante come te, sia in realtà un casto e pudico ragazzetto che arrossisce a menzionare un po’ di vivace fornicazione, è quantomeno insolito. Sai mi domando se tu conosca la carnalità o se invece non sei vergine come sostiene il tuo amico Victor. Definiamola una curiosità personale.» Sì, gli disse proprio così e naturalmente fu allora che successe. Proprio come aveva previsto, Sherlock s’irrigidì per una seconda volta e senza che riuscisse a controllarsi a dovere, le guance si tinsero di un bel porpora e mentre gli occhi si allargavano di sincero stupore, i muscoli si rilassavano. Fu quando abbassò la guardia, distendendo le braccia sino a farle cadere giù lungo il corpo, che John colpì. Gli fu addosso prima di subito, gettandosi con forza e prepotenza. Senza l’intenzione di fargli del male e stando ovviamente attento a non gravare eccessivamente col proprio peso, lo fece finire a terra, schiacciandolo contro il pavimento. Incurante delle grida, adirate ma sorprese (e forse qualcuna addirittura pregna di ammirazione) degli uomini della ciurma e di quel loro invitare il capitano a rialzarsi, John lo afferrò per gli avambracci e strinse con vigore. Assurdo era il fatto che Sherlock non tentasse neanche di divincolarsi, ma che si limitasse a fissarlo a occhi sgranati e bocca aperta. Di certo non lo aveva ancora battuto, anche perché avrebbe dovuto metterlo schiena a terra per tre volte, ma che la prospettiva di una sconfitta bruciasse a tal punto? Oppure aveva tutto a che vedere con l’altra faccenda? No, a farci l’amore non doveva proprio pensarci. Era necessario, vitale essere stoici e determinati. Ciononostante... Dio, che fatica! Anche volendo rimaner concentrati su un qualcosa, doveva ammettere che era piuttosto difficile pensare con lucidità. Sherlock era, oh, bellissimo. Semplicemente bellissimo. Appena un poco sudato, con le labbra aperte e gli occhi ancora spalancati e, dannazione, i suoi zigomi erano sempre stati così affilati? Come aveva fatto a non notarli prima? E cielo, quanto gli sarebbe piaciuto poter passare la punta delle dita su tutto il viso, segnare con il pollice i contorni del volto o magari prendersi la libertà di baciarlo, affondando dentro di lui in tutte le maniere possibili. Voleva ogni cosa, tutto di lui gli piaceva, tutto lo eccitava. Tutto stava imparando ad amare, persino quel ricciolo che, selvaggio quanto l’animo del pirata bianco, ricadeva di continuo sulla tempia. Come si poteva pensare a dell’altro, quando aveva una simile meraviglia sotto di sé?
«Sei stato sleale» ringhiò Sherlock a un certo momento, era arrabbiato e anzi, furioso addirittura. Sembrava più attivo di quanto non lo fosse stato sino a quel momento, si muoveva e scalciava con ritrovato vigore e al punto che stava diventando difficile anche solo il trattenerlo. John fu costretto a gravargli addosso con tutto il peso per impedire che potesse rialzarsi, pur tuttavia non esagerando in maniera eccessiva.

«Sentir professare lealtà da te che fai il pirata è a dir poco ridicolo, capitano» sputò, con un accenno di divertimento mascherato da livore. «Ad ogni modo non si tratta slealtà ma di tattica, caro mio. Non hai punti deboli perché, Cristo santo, se sei perfetto! Sei molto più alto e sano di me, considerato che non stiamo facendo sul serio, volevo evitare di romperti quel tuo bel naso o di spaccarti le labbra, questo poi non me lo sarei mai perdonato. Quindi ho azzardato a qualcosa di differente. Sai, Joe lo faceva spesso: ingannava i propri avversari per avere la meglio. Victor mi aveva raccontato alcune cose di te e vederti arrossire, spaventato per aver semplicemente nominato della fornicazione, mi ha dato l’idea.»
«Le arti di letto, come le chiami tu con quel nome ridicolo (e a proposito, non c’è niente di artistico nell’andare a letto con qualcuno) non mi spaventano affatto» reclamò, piccato e ancora tentando di svicolare. Questa volta e al contrario delle precedenti, riuscì in azioni più concrete. Qualcosa era infatti mutato in capitan Holmes, tutto lo stupore e l’imbarazzo provati e mostrati poco prima, erano svaniti. Aveva messo maggior insistenza e determinazione nei movimenti, era ben deciso a ribaltare la situazione rigirandola a proprio vantaggio e nemmeno John dubitava che ci sarebbe presto riuscito. Che fosse forte lo si era intuito ma che la sua prestanza arrivasse sino a quel punto, mai avrebbe potuto immaginarlo. Non seppe davvero dire come riuscì a liberare una delle due mani, però lo fece. Dopo, e senza che quasi se ne rendesse conto, Watson l’imbattibile si ritrovò strattonato brutalmente per la camicia. Poteva apparire assurdo, eppure non gli dispiacque nemmeno troppo. Al contrario, era giusto un poco eccitato e tanto che, mentre veniva tirato verso il basso, si disse che avrebbe anche potuto viverci lì sopra o che farsi strattonare da un feroce filibustiere non era così male.
«Io dico, caro il mio bel capitano» sussurrò, parlandogli direttamente a un orecchio dopo essersi chinato in avanti. Quasi ne fu stordito e tanto che rischiò seriamente di cedere e baciarlo; dannazione, erano fin troppe le sensazioni che provava. Troppo intenso era il suo profumo, troppo accelerati i battiti dei loro cuori e ora che l’eccitazione d’entrambi era più che evidente, John ne fu meravigliato e stupito. Pur provando tutto questo, però, non volle lasciarsi andare. Mantenne invece un’espressione dura in viso, quindi si risollevò e tornò a parlare. Mostrarsi cattivo e bellicoso, farsi vedere indifferente fu forse più difficile che tenere a bada il proprio sesso già odiosamente indurito. Inspirò profondamente, chiuse di poco gli occhi e mentre un lieve ghigno malizioso si dipingeva sul volto di Sherlock, John riprese parola: «Io dico che ci vogliono inventiva e acume per far godere degnamente qualcuno, quindi la si potrebbe paragonare a un’arte, ma se a te fa paura…» ribatté con fare sagace, facendo addirittura finta di non aver intuito quale gioco il capitano stava mettendo in atto. Ne sapeva abbastanza di lotta da sapere che quello strofinarsi di cosce poco aveva a che fare la sensualità, stava infatti incastrando una gamba tra le sue, annodando assieme i loro polpacci e nel contempo, con la mano libera, teneva saldamente la sua casacca. Di lì a poco, John sarebbe stato messo schiena a terra e sconfitto. Probabilmente era da sciocchi, eppure ormai poco gliene importava e tanto che si lasciò andare appena, rilassandosi impercettibilmente. Adesso sì che si sentiva come un naufrago in balìa della corrente, e quanto gli piaceva! Serrò le palpebre e inspirò lentamente e si lasciò trasportare e cullare, prendere e avvolgere da quel sentimento violento e sconquassante. Successe a quel punto, naturalmente, con un movimento agile e svelto, Holmes il pirata ribaltò le posizioni e John l’imbattibile fu sconfitto per la prima volta.
«Io sono il capitano di questa nave, soldato Watson e niente mi spaventa.» Aveva parlato a voce fioca, Sherlock il bianco e un sibilo di poco percettibile, sussurrato con incredibile determinazione, aveva lasciato quelle sue labbra carnose.
«Inoltre» riprese qualche istante dopo «dovresti anche ser…» No, John non seppe mai che cosa stesse per dire in quei frangenti. Proprio mentre stava parlando, ancora sopra di lui e intento a premerlo con forza contro il pavimento del ponte, questi si sollevò con uno scatto lasciandolo libero. Senza dargli spiegazioni, ma limitandosi a una veloce occhiata (grazie alla quale, John aveva notato la paura dilagargli in viso), il capitano se ne andò. Prima di oltrepassare la soglia annunciò che i giochi erano finiti e ordinava a un’ammutolita ciurma di tornare a lavoro. Poi, capitan Holmes scese frettolosamente giù per le scale, sparendo dalla sua vista. Soltanto allora e tra lo stupore e il silenzio di un equipaggio evidentemente stupefatto, lì col soffiare dei venti che scompigliavano i capelli e accarezzavano la pelle del viso, John l’imbattibile capì cos’era successo. La camicia si era strappata, la sua camicia per esser precisi. Quella nera, indossata unicamente per nascondere l’oscuro segreto che si portava appresso e che come un macigno gli gravava sul cuore. Era tutto finito, il petto era ben visibile e con lui anche il tatuaggio e l’isola del tesoro. Spaventato, si levò frettolosamente da terra e, con un vivo terrore a serpeggiargli nelle viscere, corse giù per le scale.

Pochi attimi più tardi, una volta chiusa a chiave la porta della cabina, col fiato corto e lo sguardo sgranato per la paura, si rese conto che il capitano era lì. Seduto sul suo letto, rannicchiato in una posa che lo faceva apparire come più piccolo e indifeso di quanto in realtà non fosse. Ora, Sherlock Holmes lo guardava con occhi spalancati e colmi di tristezza. Occhi che sì, John l'imbattibile amava e che a guardarli in quegli attimi faceva quasi male. Soffriva a tal punto quanto successo? Era vero che provava un sentimento per lui?
«Mi dispiace» sussurrò rompendo il silenzio e scacciando via quelle domande, prima di affondare il viso tra le ginocchia, forse perché dominato dalla volontà di nascondere una qualche delusione nei confronti di se stesso. Ovviamente non aveva fatto apposta, sapeva che la camicia si era lacerata per via di uno sfortunato incidente, eppure pareva che in qualche modo stupido, Sherlock se ne stesse dando la colpa. Avrebbero dovuto affrontare l’argomento, parlarne a viso aperto e prendere una decisione sul da farsi. Ciononostante, John, in tutta risposta non disse niente. Si lasciò semplicemente cadere, sconfitto, distrutto e completamente impotente. Non c’erano più pensieri, non parole o cose da poter fare per rimediare. Non c’era più niente. Solo terrore.
 

 

Continua



 
*La faccenda dei duelli è parecchio complicata, perciò non mi dilungherò e mi limiterò a sottolineare la differenza tra “primo sangue” e “ultimo sangue”. Il primo riguardava un’offesa non grave, per la quale era sufficiente versare del sangue. Nel secondo caso ci si riteneva soddisfatti solo alla morte del proprio avversario. Info.
**La striscia o “spada all’italiana” era l’antenata del fioretto (che arriverà nel 18° secolo) ed era molto usata nel 1600. Più sottile e lunga rispetto alla spada, aveva un’elsa particolare che proteggeva la mano del combattente grazie a un elaborato intreccio. Info.

Breve avviso importante. Il prossimo capitolo sarà molto lungo e concluderà questa parte della storia. Dopodiché ci sarà un salto temporale in avanti (è impensabile che io racconti di due settimane di navigazione), quel lasso di giorni verrà parzialmente riassunto nella prima parte del capitolo 18, che introdurrà il giorno precedente all’arrivo sull’isola (che occuperà diversi capitoli). Sì, se non si fosse capito e per citare qualcuno, c’ho tutto in testa e anche se non sembra, so quel che faccio. Circa. Comunque, grazie a tutti per essere arrivati fin qui e naturalmente grazie a chi sostiene questa storia con le recensioni.
Koa

 
   
 
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