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Autore: TheHellion    17/05/2017    0 recensioni
L'oscurità allunga la mano sul mondo. Dopo la sconfitta della dea della guerra giusta, Atena, Ade, signore degli Inferi ha l'unico obiettivo di sfogare il suo rancore sull'umanità, tanto cara alla sua acerrima nemica. Il piano del dio dell'Oltretomba è chiaro: cancellare la vita dalla terra.
Il destino del mondo è in mano agli uomini che hanno ereditato potere e speranza dalla Dea e sta a loro organizzarsi contro le orde di guerrieri infernali che non lasciano scampo a chiunque le incontri.
Sei pronto ad mettere piede sul campo di battaglia?
***Ispirato all'opera magna di Masami Kurumada, "Antichi echi delle Stelle" narra la storia della primissima generazione dei celeberrimi Cavalieri dello Zodiaco.***
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gold Saints, Hades
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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INAZUMA

 
Non credo che riuscirò ad abituarmi a questo luogo né alla separazione forzata che mi tiene lontano da Sarya. Una volta arrivati alle porte del Grande Tempio di Atene ho dovuto seguire Angelòs fino ai dormitori comuni, mentre mia sorella è stata presa in consegna da una donna con il viso coperto da una maschera argentea. Non aveva nemmeno gli occhi scoperti, tanto che mi sono chiesto come facesse a vedere ciò che le stava attorno. L'ha portata via senza che si opponesse. Al contrario di me, Sarya non era sorpresa di ciò che stava accadendo.
Sono già passati tre giorni da quando siamo arrivati qui e mi sembra di essere diventato muto. Per quanto gli altri ragazzi che condividono queste enormi stanze con me vogliano parlarmi, io mi isolo. Sono arrabbiato con il mondo intero, dopo aver scoperto che mio padre e mia sorella mi hanno tenuto all'oscuro di tutto ciò che sta succedendo. A sentire i racconti degli apprendisti più grandi, l'esercito degli Spectre di Ade sta attaccando ogni angolo del mondo. Il potere di Atena ha raggiunto tanto i gelidi paesi del glaciale nord che le calde distese desertiche del sud. Molti dei ragazzi che vivono qui non provengono dalle terre di Grecia, infatti il mio vicino di letto che si chiama Nikanor, proviene da un posto perennemente assediato dal ghiaccio. La sua carnagione pallida non si è ancora abituata al sole di Atene, dice. Parla in continuazione, senza che io gli risponda, perché è convinto che così facendo la smetterò di evitare tutti.
Anche adesso mi tormenta, chiedendomi il motivo per cui non mi reco al campo di addestramento. Il motivo è semplice: non farò niente finché non potrò vedere Sarya, ma non parlerò di questo con Nikanor. Lui non ha il potere di aiutarmi. Aspetto con ansia il ritorno di Angelòs, piuttosto.
  «"Se non impari a combattere come si deve, perderai tutto." questo è il primo insegnamento del mio maestro, il nobile  Demyan. "Il nemico non aspetta che tu sia pronto."»
Gli rivolgo un'occhiata fiammeggiante e in reazione lui gonfia le guance per poi sbuffare.
«Te ne accorgerai da solo!» sottolinea. Mi innervosisce che lui parli di perdere qualcosa proprio a me che mi sono lasciato alle spalle mio padre e il luogo dove sono nato. Io so che cosa vuol dire perdere tutto!
«Lo so già» dico sottovoce. Nikanor sorride tutto soddisfatto, come se avesse vinto a un gioco.
«Allora sai parlare!»
Mi volto, in modo da dargli le spalle.
«Da quando il nobile Angelòs ti ha portato qui, non hai detto una parola...» continua.
Al sentire il nome di Sagitter mi volto di scatto e inizio a gridare.
«Non muoverò un dito, finché non rivedrò Sarya!»
Nikanor mi fissa interdetto.
«Chi?»
«Mia sorella! Voglio rivedere mia sorella! Ci hanno divisi quando siamo arrivati e lei è stata portata via da una donna mascherata! Angelòs ci aveva detto che...»
«" Il NOBILE" Angelòs! Non dimenticarti mai di sottolineare la sua superiorità. Lui è un Cavaliere d'oro, forse il più forte dei Dodici.»
«È un bugiardo!»
«Come ti permetti?»
«Mi permetto, perché è la verità!»
Nikanor si avvicina a me abbastanza da stringere la mano destra al tessuto della casacca di lino grezzo che indosso.
«I Cavalieri d'Oro sono gli eroi più vicini ad Atena! Sono loro che proteggono il mondo dal Male e che ci insegnano a lottare! Se eri con Angelòs significa che è stato lui a salvarti la vita o sbaglio?»
No, non sbaglia. Angelòs ci ha salvato entrambi e forse ciò che gli ho detto è ingiusto, però è vero che mi ha diviso da Sarya! Non mi aveva avvertito che sarei rimasto senza di lei.
«Non lamentarti perché è normale che ti abbiano separato da tua sorella, stupido! Quando una donna giura fedeltà ad Atena, diviene una sacerdotessa guerriera. Le sacerdotesse seguono un addestramento diverso dal nostro e devono sempre tenere una maschera sul viso. Nessun maschio può più guardarle a volto scoperto, a meno che non si tratti dell'uomo che loro ameranno per tutta la vita. Se qualcun altro si permettesse di trasgredire e le privasse della maschera senza il loro consenso, le disonorerebbe. Solo uccidendo chi ha compiuto l'oltraggio, riuscirebbero a recuperare la dignità perduta.»
Il suo racconto è assurdo. Perché una ragazza bella come Sarya dovrebbe nascondere il viso? Perché una dea descritta come giusta dovrebbe condannare le sue giovani fedeli a non mostrarsi?
«Non è giusto! Perché una ragazza dovrebbe nascondere il viso?»
«Perché tra le sacerdotesse di Atena non deve esistere vanità.»
«Mia sorella non è vanitosa!» protesto.
«Smettetela» tuona una voce pacata che anticipa la risposta di Nikanor. Entrambi ci voltiamo verso l'uomo dalle cui labbra è uscita. È alto e snello. I suoi occhi blu come il fondo del mare sembrano volermi scrutare l'anima. Sono gelidi, privi di emozione e questo mi spaventa. Sembra di guardare un pozzo profondo. Le labbra sono assottigliate e irrigidite: è l'unico dettaglio che mi fa pensare che sia innervosito, arrabbiato con noi, oltre al suo Cosmo immenso, gelido e ostile. I lunghi e folti capelli sono dello stesso colore degli occhi e scivolano lisci lungo tutta la schiena, coprendo il tessuto della casacca scura e leggera, priva di rinforzi al contrario di quelle che indossiamo noi, rese più coriacee da bande di cuoio che proteggono il petto all'altezza del cuore.
«M-Maestro Demyan?» balbetta Nikanor.
«Che non ti sorprenda mai più a sprecare tempo in così futili dibattiti, Nikanor» lo rimprovera. Io rimango immobile e muto, come se il suo sguardo mi avesse congelato, anche se non vorrei.
«E tu...»
Trasalisco quando si rivolge a me.
«Dovresti uscire dal tuo ridicolo isolamento e provvedere alla scarsezza del tuo potere. Non posso credere che Sophos ti abbia lasciato in eredità soltanto le lamentele e le lacrime.»
Tra me e mia sorella io sono sempre stato quello più indolente verso gli insegnamenti di mio padre. Non che non li ritenessi importanti, però non ho creduto a essi fino in fondo finché non ho visto gli Spectre di Ade con i miei occhi. Era già troppo tardi.
«Comportandoti così lo stai insultando. Alla tue età dovresti già allenarti per ottenere il titolo di Cavaliere.»
«Cavaliere? Io?» indico il mio stesso viso, incredulo. Inaspettatamente il mio gesto fa innervosire Demyan ancora di più.
«Secondo te, Angelòs di Sagitter ti ha portato qui per farti mettere radici all'interno del dormitorio delle reclute? Quell'uomo è stato troppo indulgente. Doveva accertarsi meglio delle sue supposizioni.»
Non seguo il discorso, ma allo stesso tempo non ho coraggio di porre domande poiché il suo sguardo mi mette in agitazione, mi spaventa.
Tiro un respiro di sollievo quando si volta verso Nikanor.
«E tu, Nikanor, evita di perdere tempo prezioso. Non ti permetterò un altro ritardo. Sbrigati a raggiungere il campo di addestramento. Hai un obiettivo da raggiungere.»
Nikanor annuisce timoroso e, dopo avermi rivolto un rapido saluto, supera il suo maestro e corre in direzione dell'uscita. Quel ragazzino biondo e il suo continuo chiacchiericcio mi avrebbero aiutato a sostenere la sola presenza dell'uomo di ghiaccio che ho di fronte.
«Un Cavaliere non piagnucola, non si lamenta, ma soprattutto ha un solo obiettivo: diventare abbastanza forte da combattere per la salvezza di Atena e della giustizia.»
«La...salvezza di Atena?» chiedo incerto. Mio padre mi ha parlato di Atena come divinità, creatura immortale e irraggiungibilmente superiore. Che cosa può fare un uomo per proteggere una dea?
«Ma...non è Atena che protegge noi con la sua benedizione dall'alto del monte Olimpo?»
Le labbra di Demyan si assottigliano e gli occhi si spalancano per qualche istante, come se avesse avvertito un dolore improvviso.
«...Sophos non ti ha parlato dello scopo dei Cavalieri?»
«I guerrieri di Atena devono proteggere la speranza nel mondo. Nostro padre ci ha detto questo e sì, ha parlato di persone come Sagitter, ma io...»
Stringo la mano destra sulla sinistra e dopo aver abbassato il capo, serro i denti.
«Io non lo ascoltavo, perché sapevo che in caso di pericolo ci sarebbe stato lui a sistemare le cose. Lui e Sarya...»
 E invece non ho più nessuno dei due accanto. Sono solo in un luogo che non conosco e non so che cosa fare.
«E lui ti permetteva di non prestare attenzione alle sue parole? Uno stolto privo di polso: ecco che cosa è sempre stato il tuo genitore. Ora non mi sorprende più che tu sia uno smidollato. Non differisci molto da lui.»
Le sue parole sono dure e gelide come una lama di ghiaccio. Mi feriscono a fondo andando ad allargare il taglio sanguinante che mi affligge il cuore. Mio padre era il mio grande eroe, l'esempio che voglio seguire. Non era uno stolto e nemmeno uno smidollato: lui era gentile e amorevole.
"La violenza non insegna, le urla non spiegano e i pugni non parlano. Cerca sempre di essere gentile, Inazuma. Usa la forza solo quando non c'è altro modo."
Io credo nelle parole di mio padre e non sarà quest'uomo a farmi cambiare idea.
«Non permetto che si parli così di mio padre.»
Il mio sguardo è deciso, la voce ferma.
«Ho solo detto la verità» risponde. «Ho chiamato uno smidollato senza nerbo con il suo nome.»
«Mio padre non era uno smidollato! Era gentile e saggio!»
«Eppure dai suoi insegnamenti è uscito un figlio imbelle. Evidentemente Sophos del monte Eta non è l'eroe di cui tutto il Grande Tempio parla. Se tu sei la sua eredità, aveva da dare ben poco alla causa per cui diceva di essere votato.»
«Non si vive solo combattendo! Ci sono tante altre cose a cui dedicarsi!» controbatto, alzando il tono di voce.
«Ti sbagli, ragazzino» afferma brusco. «Noi che siamo stati scelti dalla dea Atena non possiamo dedicarci ad altro. Siamo destinati a combattere fino alla fine dei nostri giorni. Combattiamo per coloro che non hanno la forza per farlo, per proteggere i nostri cari e per noi stessi. Ho saputo da Sagitter che tua sorella ha rischiato di morire di fronte ai tuoi occhi e che tu hai utilizzato la forza del Cosmo per proteggerla. Hai superato il livello dei ragazzini della tua età in quel momento e sei riuscito a difendere entrambi.»
«Se non fosse arrivato Angelòs...»
«Sì, hai avuto bisogno del suo aiuto. E questo non ti umilia? Non ti accende di insoddisfazione? Non vorresti essere capace di affrontare la vita da solo?»
«Non sono come Sagitter...Io non ho la sua forza.»
«Ti sbagli ancora. Forse non sarai al livello di uno dei dodici, ma sicuramente puoi fare cose molto più grandi di quelle che immagini.»
Rimango stupito del tono pacato, quasi gentile di Demyan e inevitabilmente le sue parole richiamano un ricordo caro e lontano.
"Hai il potere dell'universo in te, figlio mio, devi solo comprenderlo e capire come utilizzarlo" mi disse mio padre quando compii dieci anni. Io annuii, credendo che le sue parole non fossero importanti, che non mi servissero.
Sposto lo sguardo sui miei pugni sollevati e chiusi.
«In quelle mani hai il potere del Cosmo. Puoi espanderlo fino ai limiti, creare prodigi. Tutto quello che devi sapere...»
Si volta verso l'uscita e la indica.
«Si trova là fuori.»
 Io seguo il suo gesto con gli occhi spalancati e le labbra chiuse. Ricordo il momento in cui mia sorella ha rischiato di morire. Sono riuscito a proteggerla solo grazie al potere del Cosmo, ma l'ho esposta a un pericolo terribile perché non sono stato capace di comandare il mio corpo. Se seguissi il consiglio velato di Demyan e uscissi là fuori, la prossima volta sarei capace di agire per tempo e cancellare il buio con la mia luce splendente, esattamente come Angelòs.
Senza aggiungere altro, Demyan se ne va, lasciandomi solo. Ho ancora tante domande da fare, ma i miei dubbi non saranno chiariti se rimango qui, al buio di questo dormitorio deserto. È giunto il momento di uscire allo scoperto, per questo compio incerti passi fino all'uscita. Il sole di Atene ferisce il mio sguardo e riscalda la pelle. La notte è finita. Non è più tempo di dormire e sognare ricordi.
Mi basta uscire dai dormitori per ritrovarmi di fronte il terreno polveroso dell'arena dove si sono riuniti diversi ragazzi vestiti come me. Alcuni di loro si girano a guardarmi come se i miei passi facciano più rumore del trambusto che comporta una confusa assemblea di giovani. L'attenzione su di me mi mette a disagio. Sorrido timido e nervoso agli sguardi enigmatici, forse ostili di due ragazzini a pochi passi da me.
«Finalmente ti sei deciso a uscire!» mi schernisce uno di loro, mentre mi fissa con un ghigno sulle labbra.
«Pensavamo che non ne avessi il fegato» continua.
«Ho affrontato cinque Spectre, pensi davvero che abbia paura di confrontarmi con ragazzi miei pari?» rispondo.
«Tutti qui ce la siamo vista brutta contro gli Spectre di Ade, quindi non farne motivo di vanto» controbatte. I suoi occhi azzurro scuro mi trasmettono una profonda inquietudine come la sua sola presenza. La sensazione che provo ad averlo vicino è poco diversa da quella che ho avvertito quando gli Spectre ci hanno attaccati.
«Non mi vanto di nulla» lo sfido, sollevando il capo con fierezza.
«Sei tu piuttosto che hai riso di me per primo.»
«Se ho riso di te è perché non sono abituato a vedere un poppante in lacrime nell'arena.»
«Non mi sembra che io stia piangendo.»
«Ah no?»
Mi coglie di sorpresa con un velocissimo pugno allo stomaco che mi costringe a piegarmi in avanti. Rimango senza fiato per qualche istante. Il dolore che provo è lancinante. Lui è un ragazzino come me...dove trova tutta questa forza?
Non faccio in tempo a sollevare lo sguardo che vengo duramente colpito al capo.
«Fratello! Basta! Non ti ha fatto nulla!» irrompe la voce del ragazzo che affianca il mio aggressore. Quest'ultimo ferma il pugno a pochi centimetri dalla mia testa.
«Tutti sanno che è un debole che ha passato tre giorni a piangere come una femminuccia. Perdere tempo in lamenti è una mancanza grave nei confronti della dea e di tutti gli uomini che muoiono ogni giorno per colpa degli Spectre. Vedere cotanta debolezza...mi disgusta.»
Stringe i miei capelli e mi costringe a sollevare il viso, a guardarlo.
«Ringrazia Ertemios, mio fratello. La sua pietà ti ha salvato. La prossima volta che incrocerai il mio sguardo, non sarai così fortunato.»
Mi lascia e mi spinge via, facendomi barcollare all'indietro fino a farmi cadere seduto. Si allontana dopo avermi rivolto uno sguardo di profondo sdegno. Il ragazzino dai capelli castani che era con lui accorre in mio soccorso. Mi aiuta ad alzarmi e, premuroso, mi chiede se sto bene.
Rispondo annuendo, prima di allontanarlo in malo modo da me. Mi pento subito, quando noto l'espressione dolorante del piccolo sconosciuto.
«Scusami» dico con un tono di voce appena udibile. Questo ragazzino sembra il completo opposto di quello che mi ha picchiato. Non so come facciano a essere davvero fratelli. Tendo una mano verso di lui, che esitante la afferra. È più basso e esile di me: mi chiedo come faccia a sopravvivere in un luogo come questo.
«Mi chiamo Ertemios» si presenta, curvando le labbra in un ampio sorriso.
«Inazuma» rispondo io e sorrido, contagiato dalla sua timida allegria.
«Hai un nome strano» mi fa notare.
«In una lingua orientale che ora non ricordo, questo nome significa "fulmine". Mio padre mi raccontò che mia madre scelse questo nome per me. Lei non era nata in terra di Grecia.»
«Suona molto bene! Tua madre ti ha fatto davvero un bel regalo.»
Il mio sorriso si indebolisce al pensiero di quella donna sconosciuta. A pensarci, so pochissimo di lei e questo mi ferisce, anche se non vorrei. Cerco di portare il discorso verso un'altra direzione, ma e Ertemios a riprendere parola.
«Ti chiedo di perdonare il comportamento di mio fratello. Lo so che è stato molto duro, ma lui non è una persona cattiva.»
 Faccio fatica a credere alle sue parole, ma non me la sento di dirglielo, così fingo che non sia accaduto niente e sollevo le spalle a far cenno d'indifferenza.
«I suoi pugni? Sono stati poco più che carezze per me.»
«Sei sicuro, Inazuma?»
Ertemios abbassa lo sguardo, mentre la sua espressione si incupisce.
«Da quando è tornato dall'Isola della Regina Nera, Makarios non è più lo stesso. Un tempo, quando vivevamo a Rodorio assieme ai nostri genitori, lui era felice e sorridente, ancora più di me, ma adesso...»
I suoi occhi si riempiono di lacrime e i primi singhiozzi gli spezzano la voce.
«...Adesso pensa soltanto a divenire un Cavaliere e vendicarsi sugli Spectre che hanno distrutto la nostra famiglia. Ha accettato di sottoporsi allo strenuo addestramento in quel luogo soltanto per questo.»
Ho sentito parlare di quel luogo. Mio padre mi ha raccontato delle condizioni climatiche invivibili e dell'oscuro segreto che si cela ai piedi del vulcano attivo che mai smette di eruttare. "All'inferno si trova un dono splendido. La dea lo ha lì posto per rendere impervia la strada verso un potere incommensurabile."
«Tu dove sei stato addestrato, Inazuma?»
«Io?» chiedo, in difficoltà. Non sono stato addestrato da nessuno.
«Be'...io non ho ancora...»
«Significa che tu...non sei stato addestrato?»
 Per celare l'imbarazzo, mi lascio andare a una tanto breve quanto squillante risata.
«Io non ne ho bisogno!»
«Sei sicuro?»
«Ma certo! Io sono già forte! Tuo fratello mi ha colpito perché non ero pronto! È stato un attacco a sorpresa! Credimi, se ci fossimo confrontati in un duello, avrei vinto utilizzando solo un dito.»
 Lo sguardo incredulo di Ertemios mi fa rendere meglio conto delle idiozie che ho appena detto e le sue parole mi smontano immediatamente.
«Ma...Tu sai già a quale costellazione appartieni, anche senza l'aiuto di un maestro?»
«Costellazione?»
«Sì! Ogni armatura che Atena affida ai suoi Cavalieri rappresenta una costellazione. Le stelle di quest'ultima guidano e proteggono il guerriero. Io per esempio sono in lizza per l'armatura di bronzo di Andromeda. Mio fratello per quella della Fenice, Nikanor per quella del Cigno e Rhadia per quella del Drago, uhm...poi c'è Aho che si è allenato per ottenere quella del Lupo...»
«Aspetta! Tutto questo che significa?»
  - Addirittura Esperante concorre per l'armatura d'oro del Leone. Incredibile, vero? Ha la nostra età ed è già pronto a diventare uno dei Dodici.»
«Armature? Spiegami! Non ti seguo!»
«Inazuma, sei al Grande Tempio e non sai nulla delle armature?» chiede Ertemios interdetto dallo stupore.
«Io...»
  Devo ammettere la mia mancanza, non ho scelta. Ho sempre fatto fatica ad arrendermi alle sconfitte di questo tipo. Tanto con Sarya, quanto con mio padre, ho sempre voluto avere l'ultima parola.
«Non so niente di tutto questo. Se fosse stato per me, sarei rimasto volentieri sul monte Eta.»
Ertemios non mi degna di alcuna risposta. Lui come tutti gli altri ragazzi si volta verso le gradinate di pietra che circondano l'Arena.
  «A...Atena!» sussurra, rapito da un moto di ammirazione e sorpresa. Io assottiglio lo sguardo in modo da renderlo più acuto. Sulla gradinata più alta distinguo una ragazza dai lunghi capelli dall'insolito colore viola come i petali di un fiore. Indossa una lunga veste bianca che copre il suo corpo fino ai piedi. Stringe nella mano destra uno scettro d'oro, acceso dalla luce del sole. È giovane, forse ancora più di me. Una ragazzina. Come può trattarsi di Atena? Mio padre l'ha sempre descritta come una donna meravigliosa e inflessibile, una solenne divinità maggiore.
Non è sola: al suo fianco si erge un uomo alto, coperto da un'ampia tonaca scura. Il suo capo è coperto da un pesante elmo che non lascia vedere neppure gli occhi. I lunghi capelli rossi che da esso evadono, danzano al vento caldo di Atene.
«Guerrieri qui riuniti» inizia la ragazza. «Chiedo venia per non essermi presentata prima di fronte ai vostri occhi. La strada è stata irta di pericoli anche per me. Le forze oscure hanno provato a porre fine alla mia nuova vita, nata nell'inferno di Tracia. Sono riuscita ad arrivare di fronte a voi grazie a innumerevoli sacrifici di uomini e donne che hanno affidato i loro sogni alla speranza che incarno.»
La ragazza si inginocchia a terra e posa il pesante scettro al suo fianco. Si china poi, finché la fronte non preme contro la pietra riscaldata dal sole.
«Chiedo scusa a tutti voi» la sua voce si fa tremula a causa del pianto. «che avete abbandonato le vostre dimore, impauriti e feriti da aggressori letali, cacciatori di vita. Chiedo scusa a tutti voi che siete stati costretti a dure prove per saggiare il vostro spirito guerriero, chiedo scusa a tutti voi che mi avete donato fiducia senza chiedere nulla in cambio.»
Il suo pianto si fa più disperato e le impedisce di continuare io discorso. L'uomo al suo fianco si inginocchia e posa una mano sulla sua schiena. Non dice niente, ma basta il suo gesto per placare la disperazione di lei. Si alza poi in piedi e tende una mano alla ragazza e una volta che lei gliela afferra, la aiuta a sollevarsi in piedi.
«Non ho dimenticato tutto quello che avete fatto per me» riprende lei, solenne. «Sono pronta a qualsiasi cosa pur di far trionfare la giustizia, pur di restituire ciò che vi è stato tolto a causa mia.»
Belle parole le sue, peccato che i morti non ritornino in vita. Ciò che abbiamo perso tanto io quanto, Ertemios, Makarios, Sarya...non ritornerà nemmeno grazie a questa bambina che si atteggia da dea.
«Lo so che ora sembra impossibile, ma la luce non teme l'ombra, mai! Io non temo Ade, perché non può sconfiggermi e non potrà farlo nemmeno con voi.»
All'unisono si innalzano le voci degli uomini radunati nell'arena, si uniscono in una semplice frase, quasi fosse un grido di trionfo:
«Per Atena, per la speranza, per la giustizia!»
 La folla si distanzia dalla gradinata e costringe anche noi a fare diversi passi indietro. Si distribuisce ai lati di un camminamento immaginario che attraversa tutta l'arena, sul quale sfilano solenni e pacati i guerrieri dorati. Non sono dodici, ma soltanto otto. Riconosco Angelòs e Demyan, che sono affiancati da due ragazzini. Uno e Nikanor e cammina al fianco del suo maestro, mentre quello che affianca Sagitter mi è completamente sconosciuto. Passa a pochi metri da me e mi dà modo di guardare bene il suo viso. È molto simile a quello di Angelòs, soltanto che la sua espressione è dura e inflessibile. I suoi occhi sono più chiari e i capelli biondi. Si accorge che lo sto fissando e accenna un sorriso. Non so ben dire se esprime pietà o semplice educazione.
Una volta salita la gradinata, gli otto Cavalieri d'Oro rendono omaggio alla ragazza e si dispongono un po' alla sua destra, un po' alla sua sinistra. Solo Sagitter e Demyan si fermano di fronte a lei.
«Questo è Nikanor, natio di Ural, primo allievo di Demyan dell'Acquario. Dopo un lungo allenamento nelle più fredde terre del mondo, egli è riuscito a riportare in terra di Grecia le vestigia del Cigno. Non è ancora pronto all'investitura, ma ben presto lo sarà, dea Atena.»
La ragazzina è più presa a salutare Nikanor che ad ascoltare le parole altisonanti del suo maestro. Demyan dell' Acquario... Ma certo! Ho capito come funziona.
«E lui è Esperante, mio fratello minore» prende parola Angelòs. «Egli compete con i suoi stessi limiti, qui, nel sacro suolo di Atene, per ottenere l’armatura d'oro del Leone. Comprendo che la sua giovane età potrebbe portare a qualche perplessità, però...»
«Nessuno mette in dubbio il tuo giudizio, Angelòs» lo rassicura l'uomo al fianco di Atena.
«Vi ringrazio della fiducia, Grande Sacerdote.»
Grande Sacerdote...Ho già sentito questa formalità, ma non ricordo a che proposito. Sono troppo occupato a osservare i Cavalieri d'Oro. Se Angelòs è il Sagittario, Demyan l'Acquario, allora assieme agli altri rappresentano le dodici case dello zodiaco!
«Quindi loro sono i Cavalieri delle dodici case!» affermo, richiamando l'attenzione di Ertemios. Lui annuisce e sorride.
«Esatto! Partendo da sinistra...»
 Indica il Cavaliere dai lunghi capelli folti e biondi. I suoi occhi sono grandi e tranquilli, di un profondo colore castano, rosso se illuminato dal sole. Egli indossa un'armatura d'oro molto pesante e il dettaglio che più mi colpisce e la coppia di corna ricurve che si estendono dal coprispalle al pettorale.
«Quello è Dhiren dell'Ariete. Presiede alla prima casa, l'edificio che si trova laggiù, lo vedi?»
 I miei occhi si spostano dalla figura del Cavaliere d'Ariete fino al tempio che Ertemios mi ha indicato. Noto che è soltanto il primo posto ai fianchi di un cammino che si inerpica sullo sperone di roccia che conduce alla gigantesca statua di Atena, posta sulla sua sommità. Li conto. I templi sono dodici, no, tredici.
«Tredici...case?» chiedo confuso.
«Non sono tredici case, irrispettoso! Il tempio vicino alla statua di Atena racchiude le stanze del Grande Sacerdote.»
 Non è stata la voce di Ertemios a rispondermi, ma quella di qualcun' altro alle mie spalle. Mi volto per identificarlo.
«E tu chi sei?» chiedo al ragazzo che mi ha appena parlato. È più alto di me. I lunghissimi capelli neri scendono ordinati e lisci attorno al suo viso. Ha gli occhi verdi come uno profondo e cheto specchio d'acqua.
«Il mio nome è Rhadia, sono il futuro Cavaliere della costellazione del Drago» mi risponde. La sua espressione trasuda spocchia e un senso di superiorità che mi dà sui nervi.
«E dovresti portarmi immenso rispetto, visto che io sono l'allievo del Grande Sacerdote!»
«Non sono molto attento alle gerarchie. Sono stato educato a considerare gli uomini tutti uguali.»
La mia affermazione lo fa sorridere. Scuote il capo e si lascia andare a un sospiro.
«Mi arrendo... È proprio come dice Nikanor: sei un completo inetto.»
Inetto? Io? Sono stanco di essere trattato in questo modo. Digrigno i denti come un animale furioso e alzo il pugno destro. Ho la bocca già aperta, ma non faccio in tempo a parlare che Rhadia scoppia a ridere.
«Abbassa quel pugno. Non cerco lite, amico!»
Il suo tono di voce è radicalmente cambiato. Ora sembra affabile e comprensivo.
«Il mio maestro mi ha mandato a chiamarti. Vuole vederti.»
«Per quale motivo?» chiedo, stupito.
«Seguimi e basta. Sarà lui a spiegarti ogni cosa alla fine della cerimonia della manifestazione di Atena.»
Rivolgo un ultimo sguardo agli otto guerrieri dorati. Mi sarebbe piaciuto conoscere anche i nomi degli altri, ma mi preme di più capire che cosa voglia dirmi questo Grande Sacerdote. Seguo Rhadia tra la folla, urtando di volta in volta qualche presente che mi rivolge uno sguardo torvo in risposta.
Dall'arena, la gradinata sembrava molto più vicina. Iniziamo a salire solo dopo svariati minuti e Rhadia mi intima di fermarmi a più di una decina di metri dal Sacerdote e la ragazza. Uno dei guerrieri dorati ci guarda di sottecchi, con le labbra irrigidite.
«Non lo fissare» mi suggerisce Rhadia in un sussurro.
«Perché?»
«È meglio così.»
 Protesterei della sua mezza risposta, se non fossimo così vicini al Cavaliere che non smette di fissarmi. I suoi lunghi capelli bianchi hanno riflessi azzurri, come se fossero di vetro. Gli occhi sono dello stesso colore e il suo sguardo è reso più perforante dalle lunghe ciglia. L'unica imperfezione sulla sua pelle è un piccolo neo sotto l'occhio sinistro. Le sue labbra perfettamente definite da una tonalità più scura e calda, simile a quella dei petali di una rosa, si curvano in un sorriso che spiazza tanto me quanto Rhadia.
Ricambio per educazione, dopodiché imito la mia guida e mi volto verso l'arena, rimanendo in assoluto silenzio.
«Chi è quello?» non riesco a trattenere la curiosità.
«Quello è Narciso, Cavaliere d'Oro della costellazione dei Pesci. Tra i Dodici è il più bello e pericoloso. Dicono che sia figlio illegittimo di una sacerdotessa di Afrodite, che, morta di parto ha affidato suo figlio alla cura diretta della dea. Bellissima ma volubile e capricciosa, quest’ultima lo ha abbandonato in un giardino di rose velenose, in attesa che proprio l’odore di quei petali dannati lo soffocasse. Non si sa come si sia salvato, ma Narciso ha attribuito la sua salvezza alla dea Atena e al suo Cosmo benevolo. Tuttavia il maestro dice che i suoi pensieri sono un mistero anche per la dea.-
Narciso si discosta dalla sua posizione, attirando l'attenzione di Demyan e Nikanor a lui poco distanti.  Ci raggiunge, fermandosi a un passo da noi. Una delle sue mani si posa sul mio capo e lì lascia una carezza, per poi chinarsi e portare lo sguardo al mio livello. Ancora un sorriso, più deciso del precedente che tuttavia segna il momento del suo congedo. Ci supera e si allontana, lasciando la gradinata per poi mescolandosi alla folla. Seguo la sua immagine scintillante fino a quando non è troppo lontana.
«Al contrario di me...sembra che tu gli sia simpatico» commenta Rhadia. Non sono granché persuaso dalle sue parole, ma non mi sembra il caso di commentarle: la ragazza sta ancora parlando e il peso dello sguardo di Demyan dell'Acquario mi fa sentire in colpa per non ascoltarla. Non so che cosa abbiano i suoi occhi che riescono sempre a mettermi soggezione. Cerco di tornare a concentrarmi sul discorso della presunta dea, ma è troppo prolisso, celebrativo, noioso. Non vedo come facciano tutte queste persone ad ascoltarla senza distrarsi. Pendono dalle sue labbra! Mi rallegro di non essere l'unico che non segue. Anche Esperante ha lo sguardo altrove e con una mano copre un lungo sbadiglio. Si accorge che lo sto guardando e mi saluta con il cenno. Un'occhiataccia di Angelòs lo paralizza, ma solo per qualche istante, dopodiché sbuffa annoiato. Il guerriero alto e imponente che si trova al suo fianco, cerca di mitigare Sagitter con un sorriso indulgente. I suoi capelli neri fuoriescono dal pesante elmo dorato. Il suo corpo simile a quello di un gigante dei miti è ricoperto da una corazza dorata che lo rende ancora più imponente.
«Rhadia...» inizio.
«Vuoi stare zitto?!?» mi taccia lui.
«Volevo chiederti il nome del guerriero dorato al fianco di Angelòs.»
«E va bene! Te lo dirò se poi starai zitto!»
«Promesso!»
«Lui è Aldebaran, il Cavaliere del Toro. È la difesa più forte del Grande Tempio. Ha addestrato molti guerrieri che sono diventati Cavalieri d'Argento. È stato uno dei primi ospiti del Grande Tempio e si dice che la sua forza titanica abbia respinto persino un Giudice degli Inferi.»
«Un Giudice degli Inferi?»
«Il mio maestro mi ha insegnato che, al contrario di noi Cavalieri, gli Spectre non abbiano una gerarchia, ma le cento otto stelle malefiche sono suddivise in tre armate e gestite da tre Spectre di incommensurabile potenza. Questi tre sono i Giudici degli Inferi e sottostanno soltanto alla volontà di Ade in persona.»
«E lui...ne ha sconfitto uno?»
«Sì. Solo con le sue forze. Il nobile Aldebaran è straordinario.»
«Un'altra cosa, Rhadia...»
«Mi avevi promesso che saresti stato zitto!»
«Sì, lo farò, ma dimmi chi sono gli altri. Ertemios mi ha parlato del Cavaliere dell'Ariete, ma oltre a Sagitter, Pesci, Toro e Acquario, non so altro.»
Il silenzio che cala tra me e lui mi fa intendere che non soddisferà la mia curiosità. Sono entusiasta di sentirlo parlare subito dopo.
«E va bene! Ma se verrò ripreso ti darò la colpa!»
«Ci sto.»
 Dopo un lungo sospiro e un veloce sguardo verso Demyan, Rhadia riprende:
«I Cavalieri presenti che ancora non conosci sono Siddharta della Vergine, Vermiglio dello Scorpione e Aspera del Capricorno. In realtà c'è anche un altro Cavaliere d'Oro ed è il mio maestro: Hosoku della Bilancia, ma andiamo con ordine.
Siddharta è una leggenda per il mondo intero. Dicono che faccia da ponte tra il volere degli dei e le azioni degli uomini. I suoi lunghi capelli biondi furono un presagio sin dalla sua nascita. Il popolo indiano è caratterizzato da occhi e capelli scuri, nonché pelle ambrata, mentre lui nacque pallido e biondo. La sua gente lo considerò da subito la reincarnazione del Buddha, l’Illuminato, l’uomo che dopo un’intensa meditazione, giunse alla verità dell’universo. Non so come sia arrivato fino ad Atene, ma secondo il mio maestro è stato attirato dalla preghiera della dea Atena.
Nessuno lo ha mai visto aprire gli occhi, ma è risaputo che nonostante le palpebre abbassate riesca a leggere nei recessi più profondi delle anime di coloro che ha di fronte.»
I miei occhi cercano velocemente il volto di Siddharta. Ha le labbra curve in un controllato sorriso. Si è voltato verso di noi. Che abbia sentito le nostre parole?
«Sicuramente si è accorto della nostra attenzione. Privandosi della vista, riesce a percepire i suoni e persino il peso degli sguardi.»
«È impressionante.»
«Tutti i Cavalieri d'Oro lo sono. Anche l'impavido Aspera, il Capricorno. È colui che ora si erge alla sinistra di Demyan.»
È un uomo alto, dal fisico prestante e la pelle leggermente scurita dal sole. Ha gli occhi azzurri, sottili e allungati, penetranti come una lama, i capelli neri e voluminosi, compressi dall’elmo che lascia scoperto soltanto il viso. È l'unico che non ha mai voltato lo sguardo verso di noi.
«Dicono che fosse un grande condottiero della Polis di Sparta e che abbia combattuto da solo contro più di cento guerrieri persiani. Stremato dalla lotta, dopo la vittoria, crollò in un sonno profondo, simile alla morte. Il dio del sonno, Hypnos in persona, provò a strappargli la vita agendo nel terribile incubo in cui lo aveva trascinato, ma la dea Atena protesse quel guerriero tanto valente, purificando i suoi sogni, dopo avergli strappato la promessa di porre le sue abilità di spadaccino ai suoi servigi. Al suo risveglio, invece di ritornare alla violenta Sparta, egli si incamminò verso Atene. Una volta diventato Cavaliere d'Oro, ricevette dalla dea il dono della sacra spada Excalibur, una lama il cui taglio è racchiuso nel braccio destro di Aspera. Lui è un uomo inflessibile e austero, ma foriero di immenso orgoglio. Ha tutta la mia ammirazione.»
«Un uomo che combatte da solo contro cento avversari per proteggere la sua patria ed è pronto ad abbandonare onori e trionfo per seguire Atena...»
«Sì. Il suo è stato un gesto di estrema fiducia. Ha rinunciato a tutto per essere al nostro fianco. Lo stesso è stato per Vermiglio. Non ha una storia così epica alle spalle, non era un grande eroe, ma lo è diventato. Egli viene dalle calde terre ispaniche, là dove il mondo finisce. Il nascente impero di Roma lo strappò dalla sua famiglia, gli tolse il nome e lo ridusse a essere uno schiavo. Divenne un gladiatore e visse per quasi dieci anni passando da un padrone all'altro. Era molto amato e richiesto dalle folle, poiché combatteva senza armi. Da quanto narrano le cronache, Vermiglio può uccidere con un dito. Fu Demyan a incontrarlo durante uno dei suoi viaggi e a liberarlo dalla schiavitù.
Vermiglio ha un carattere sorprendentemente amichevole, anche se i suoi occhi blu spesso si perdono e si tingono di malinconia. È il Cavaliere che si trova al fianco della dea, quello con i capelli scarmigliati, del colore della sera.»
È vero, nonostante il sorriso sicuro sulle labbra, i suoi occhi sembrano non guardare a ciò che ha di fronte. Quando le righe si spezzano e i guerrieri dorati si congedano dalla ragazzina, Vermiglio si avvicina a noi e, dopo aver salutato Rhadia quasi fosse un suo congiunto, si sofferma a osservarmi con attenzione.
«Il figlio di Sophos. Dovresti essere Inazuma.»
«Sì.» confermo, annuendo energicamente. Vermiglio indica gli altri Cavalieri d'Oro alle sue spalle con il pollice destro.
  «Non fanno altro che parlare di te. Mi hanno messo una profonda curiosità di conoscerti di persona.»
Il diadema d'oro che gli ferma i capelli si sposta, tintinnando alle carezze del vento, attirando la mia attenzione anche se solo per un istante.
«Proprio come avete detto, signore, io sono Inazuma, figlio di Sophos.»
Mi gratto la nuca con la mano destra e ridacchio imbarazzato.
«Devo chiedervi scusa, ma non so quasi niente di come funziona questo luogo e da quando sono uscito dal dormitorio ho fatto un brutta figura dietro l'altra!»
«Non c'è uno schema da seguire quando ti trovi qui dentro. È normale fare pessime figure, ragazzo. Nemmeno io le risparmiai quando arrivai qui. Non lasciarti impressionare dalla freddezza di questi bellimbusti. In fondo sono stati spaventati anche loro, hanno avuto paura e hanno sbagliato.»
La sua mano è rassicurante sulla mia spalla. Mi strappa un sorriso.
«Cercherò di migliorare, signore!»
«Smettila di chiamarmi così. Chiamami Vermiglio e basta.»
 Dopo avermi dato una pacca leggera su di una spalla, si congeda da noi e esattamente come ha fatto Narciso, si allontana tra la folla che è tornata a essere disordinata e rumorosa.
Anche gli altri guerrieri dorati hanno abbandonato il fianco della ragazza ad eccezione di Siddharta e Dhiren. Il Grande Sacerdote mi invita ad avvicinarmi e io obbedisco senza battere ciglio, accompagnato da Rhadia. Mi fermo a fianco della ragazzina che in silenzio mi scruta. Il suo atteggiamento mi imbarazza e mi fa arrossire. I suoi occhi, visti da vicino, sono la cosa più bella che io abbia mai visto in vita mia.
«Inazuma!» tuona la voce del Grande Sacerdote io subito mi volto verso di lui. Mi inchino goffamente, suscitando l'ilarità di Dhiren.
«Sì! Signore!»
 Ho le guance che mi vanno a fuoco dalla vergogna. Tutti gli insegnamenti sull'eleganza che ho ricevuto da mia sorella sono andati in fumo.
«Non essere così formale. Mi fai sentire vecchio.»
Anche la ragazza ride di una risata cristallina.
«Non stiamo tenendo un discorso ufficiale» continua il Grande Sacerdote.
«Ti ho convocato qui per spiegarti il tuo ruolo in questa guerra sacra.»
 Annuisco deciso, rivolgendo di volta in volta sguardi fugaci verso la ragazza che, curiosa, non mi toglie mai gli occhi di dosso.
«Non qui, Hosoku.» dice Dhiren a voce bassa, per poi indicare l'arena con un cenno del capo. Il Grande Sacerdote annuisce alle parole del Cavaliere dell'Ariete, dopodiché si rivolge a me.
«Saliamo presso le mie stanze, Inazuma. Intendo mettermi comodo.»
«E tu non saresti vecchio?» ironizza Dhiren.
«Ah! Smettila!»
  Al seguito del Grande Sacerdote, scendiamo dalla gradinata di pietra fino all'arena. La percorriamo velocemente fino all'uscita che dà sul sentiero che si inerpica tra le dodici case, fino al tempio di Atena. I templi che attraversiamo sono aperti al nostro passaggio, ma il Cosmo dei loro guardiani è vigile e pesante. Approfitto della lunga strada per iniziare una conversazione con la ragazza. In realtà è lei che mi chiede il motivo del mio nervosismo all'interno della terza casa.
  «Il nobile Castore è lontano, ma comunque protegge la casa dei Gemelli. Il suo è un potere immenso, ma benevolo. Perché mai ne sei turbato?»
«Ma no...non sono affatto preoccupato! È solo che... Sapete...io...Non sono abituato a questo tipo di sensazione. È come se le mura, l'aria stessa, volessero schiacciarmi.»
«Non lo faranno. Tu non sei a lui ostile.»
 Il suo tocco su una mia guancia cancella tutta l'angoscia che ho provato finora. Vengo avvolto da una luce calda e rassicurante. Un Cosmo immenso e benevolo.
«Tu sei...» mi esce dalle labbra.
«Eirene. Il mio nome è Eirene. Vorrei che mi chiamassi così. Tutti mi chiamano Atena ormai...»
Tanto io che lei allentiamo il passo,  mettendo maggiore distanza tra noi e gli altri tre.
«Forse è giusto così, però ad essere sincera non mi dispiaceva la vita che avevo prima che la guerra contro Ade scoppiasse di nuovo. Non ho memoria dei miei genitori, ma rimembro il volto di una donna che mi crebbe facendomi da madre. Era una persona buona che per colpa mia si è perduta. Anche lei, inconsapevolmente ha pagato il fatto di aver amato la reincarnazione di Atena. Tutti quelli che mi sono accanto rischiano di perdere loro stessi. Soffro molto per questo e il fatto che tutti mi chiamino "Atena" non fa che rendere chiaro quanto io non riesca a proteggere gli uomini e la speranza che incarno. Però... allo stesso tempo so di essere l'unica persona capace di unirvi tutti per far fronte alla distruzione che vi divorerebbe se vi trovasse soli e divisi. È bello vedere persone così diverse, alleate per realizzare un unico sogno.»
Non ero sicuro che quello intrapreso fosse il cammino giusto, ma le parole di Eirene, il suo Cosmo maestoso e amorevole, mi hanno convinto che è questo il mio posto. La sua presenza mi rende sicuro di poter fare ogni cosa. Sarya non mi sembra ora troppo lontana. La sento qui con me, esattamente come avverto il calore della presenza di mio padre.
«Non so ancora come farò, però sarà un onore divenire un tuo guerriero, Eirene.»
Lei ricambia le mie parole con uno dei sorrisi più belli che io abbia mai visto, anche se esso dura poco. Il suoi occhi si spalancano, le labbra si schiudono. C'è un sibilo che tortura anche il mio udito. È lontana, ma sembra una voce di donna. Un canto riecheggia per tutta la casa dei Gemelli.
Dhiren e il Grande Sacerdote hanno ci hanno raggiunto e si sono posti a difesa mia e di Eirene.
«Un canto macabro sta interferendo con il Cosmo di Castore» afferma Dhiren, «rendendo penetrabile la barriera della Terza Casa. Sta aprendo una frattura dimensionale!»
Sembra che lo spazio venga contorto, tanto che il mio corpo avverte una pressione esagerata. Di fronte a noi si è aperto uno squarcio, all'interno del quale vedo soltanto il buio. Da lì giunge ora più sonoro il canto ammaliante di una donna.
«Mostrati, chiunque tu sia!» grida il Grande Sacerdote.
Non riceve risposta, ma dalla frattura dello spazio esce un braccio rivestito di un'armatura nera. Le dita culminano in artigli lunghi e metallici che rilucono alla luce delle fiaccole. Segue subito l'altro braccio e poi il capo, il busto. Metà corpo di un essere umano è sospeso tra la dimensione reale e l'altra. Egli solleva il capo. La fronte e le tempie sono protette da un elmo leggero, dalle forme taglienti. Sulla schiena spunta una coppia di ali di pipistrello, taglienti e luccicanti come il resto dell'armatura. I lunghi capelli, lisci e neri coprono ancora il viso dell'intruso. Quando solleva il viso, ci mostra lo sguardo completamente nero: pupille e sclere sono dello stesso colore. Le labbra non riescono a nascondere la dentatura acuminata.
«Mi chiamo Oto della Succube, della Stella della Terra Ombrosa. Consideratemi la vostra fine. La testa di Atena sarà mia!»
La risata del Grande Sacerdote squarcia il velo di stupore che ha immobilizzato i nostri corpi finora.
«Con chi credi di avere a che fare? Non avremo difficoltà a liberarci di dieci, cento insetti tuoi pari!»

 

ECATE

 
Finalmente, anche se debole, riesco a tirarmi sui gomiti in modo da poter seguire meglio il confronto tra Castore e Efialte. Vedo il secondo piegare le ginocchia preparandosi allo scatto. Il suo corpo è avvolto da una abbagliante luce violacea che brilla più intensamente nel momento dello scatto. L'impatto del pugno destro di Efialte si scontra con il palmo sinistro di Castore, il quale non sembra aver subito nemmeno lo spostamento d'aria che ha colpito anche me.
Il viso del guerriero con l'armatura nera non mostra la benché minima traccia di sorpresa. La sua espressione cambia quando le dita di Castore si serrano sul suo pugno.
«Allontanati immediatamente da me, creatura indegna» tuona Castore, per poi portare la mano libera all'altezza dell'addome dell'altro. La luce dorata che irradia dal combattente dorato divampa in un istante, lo stesso in cui Efialte viene respinto per decine di metri. Il suo schianto produce un rumore dirompente che mi fa ben sperare che anche il suo corpo si sia frantumato con le mura dell'edificio che ha distrutto. Le donne sistemate nelle case vicine, escono in strada spaventate. Come uno stormo di disperate, sciamano nella direzione opposta alla nostra posizione.
Castore non presta loro attenzione, piuttosto si volta verso di me e con passi pacati mi raggiunge. Senza dire una parola mi aiuta ad alzarmi in piedi e mi sostiene, visto che il mio passo è troppo malfermo.
In tutta la mia vita non sono mai stata così vicina ad un uomo. Nessuno si era mai permesso di toccarmi, poiché le regole della mia carica lo proibivano. Avevo consacrato la mia vita a Ares e nell'ingenuo cuore di fanciulla ero convinta che quel dio tremendo e sanguinario scendesse dall'Olimpo per me. Solo lui avrebbe potuto toccarmi.
Rido appena a quel ricordo sciocco, suscitando la curiosità di Castore.
«Cosa ti fa ridere, forestiera?»
«Un ricordo. Niente di importante.»
  Le sue braccia si allontanano da me e con esse il calore della sua presenza. Il vento caldo sembra una lama fredda sulla pelle nuda delle mie braccia. Lo guardo, quando sono sicura di non dover incrociare i suoi occhi. L'espressione accigliata, le labbra perfette, assottigliate dalla concentrazione, lo sguardo tagliente: il fascino inspiegabile che il suo viso esercita su di me torna a torturarmi.
«Possiedi il potere del Cosmo» sentenzia. «Non dovresti sprecare tale dono.»
«Cosmo?» chiedo stupita. «Che cosa sarebbe?»
«Il potere che ti avvolge ed esplode quando desideri colpire il tuo avversario. Il Cosmo...»
 Dopo essersi voltato verso di me, piega un braccio e distende le dita della mano. Al centro del palmo si crea una sfera indefinita di luce dorata che in un primo istante mi ferisce lo sguardo.
«È l'eredità di Atena e tu la possiedi.»
«E questo che cosa dovrebbe significare?»
«Chiunque abbia ereditato il potere di dominare il Cosmo...»
Castore stringe il pugno, compie una mezza rotazione sul piede destro fino a darmi le spalle. Porta tutte e due le mani verso l'alto, con i palmi rivolti verso di me, incrociando le braccia all'altezza dei polsi.
«Deve difendere la giustizia e la speranza incarnate dalla dea Atena!»
Odo un rumore distante di terra frantumata unito al boato di un'esplosione di immane portata. È solo un eco, forse un'illusione, sta di fatto che il mio essere è soverchiato da un potere immenso che però svanisce in pochi istanti. Sento un lamento appena percettibile uscire dalle labbra di Castore. Nonostante il passo incerto raggiungo il suo fianco. I suoi occhi...I suoi occhi lacrimano sangue! I rivoli rossi evadono anche dalle narici e le labbra. Il corpo del guerriero dorato è scosso da un tremito.
Le macerie poco lontane dell'edificio crollato si spostano e ricadono su sé stesse, creando una nube di polvere. Da essa emerge Efialte. La corazza che indossa è incrinata all'altezza dell'addome.
«Il canto della Lamia è più efficace se si concentra su un solo soggetto. I vasi sanguigni cedono alle vibrazioni che il suo potere produce e...»
Efialte allunga un braccio verso Castore. Tende l'indice in sua direzione e, sfidando la forza di gravità, il sangue che esce dalle ferite del guerriero dorato, fluisce in rigagnoli sospesi fino a raggiungere il dito disteso.
«Il sangue scorre, ridà vigore e forza al mio corpo, cura le mie ferite. La Lamia è un demonio che si nutre del sangue degli esseri umani dopo averli incantati con il proprio canto. Adora cacciare tra gli impavidi.
Ritieniti fortunato, Castore, diventerai parte di qualcosa di molto più grande, di uno degli Spectre più potenti del Sommo Ade! Non ti piace l'idea? Mh?»
Lo perdo di vista subito dopo il suo discorso. I suoi spostamenti sono così rapidi che i miei occhi non riescono a seguirlo. Lo vedo riapparire a poca distanza da Castore e quindi da me. Colpisce con un pugno l'addome del suo nemico paralizzato, il quale non può fare altro che esprimere il dolore attraverso un lamento. Lo spostamento d'aria che deriva dal colpo mi spazza via, visto il mio equilibrio precario. Riesco però a cadere sui piedi e a fermarmi, piegando le ginocchia e artigliando il terreno.
«Ah, dimenticavo. Non puoi parlare. Difendere la Terza Casa e te stesso allo stesso tempo non è cosa da poco. Sei Cavaliere d'Oro, forse il più forte, ma non puoi niente contro la Lamia. La sua voce può uccidere anche un Dio.»
La mano destra di Efialte si avvicina al volto di Castore. Le dita artigliate si protendono verso il suo occhio sinistro.
«Non mi piace il tuo sguardo, perché anche se soffri...mi sfidi.»
Un grido prolungato cancella il tono divertito di Efialte. Lo vedo stringere la mano sul suo stesso polso. L'armatura che copriva le dita e la mano si sgretola, diventando un piccolo cumulo di polvere che si disperde al vento. Egli arretra, gridando al dolore con quanta più voce ha in corpo, mente le dita delle mani di Castore tornano a distendersi.
«Esplosione Galattica!» tuona la sua voce affaticata ma solenne. Le luci dell'alba si spengono attorno a noi. Il rombo della terra che si frantuma stravolge il mio udito. Il pavimento trema mentre il cielo stellato sembra collassare su di lui in un'esplosione di stelle. La luce mi acceca, mi costringe a proteggere il viso con le mani e a rannicchiarmi qui dove mi trovo. Ho paura ma allo stesso tempo sono affascinata dalla potenza del cataclisma creato da un solo uomo.  Le grida di Efialte sono niente vicino al roboante rumore che mi impedisce di percepire qualsiasi cosa. Tutto questo dura soltanto degli istanti, che tuttavia durano un'eternità. Quando riapro gli occhi, noto che gli edifici ormai deserti sono stati spazzati via come sculture di sabbia. Castore si erge in piedi di fronte a me. Non sembra risentire minimamente delle conseguenze del colpo che ha trasformato in deserto un'area di centinaia di metri quadri. A poca distanza da lui, a terra, si contorce Efialte, spogliato della corazza di cui non rimangono altro che frammenti sparsi attorno al suo corpo.
«Sangue...ho bisogno di...sangue...»
«Accontentati di quello che hai già avuto» afferma Castore mentre si avvicina a lui. Una volta che lo ha raggiunto preme il piede sinistro sul suo petto, con forza, costringendolo a gridare di dolore.
«E torna nell'Averno. Lì portai omaggiare il tuo dio con i miei ossequi.»
«Godi della tua vittoria, Cavaliere dei Gemelli... non durerà molto... Il mio compito primario era quello di farti abbassare la guardia e spianare la strada a mio fratello...»
A quelle parole, Castore riporta il piede a terra e dopo essersi chinato, afferra Efialte per la casacca strappata che gli copre il busto.
«Che cosa intendi?»
«Il Grande Tempio gode di una barriera che tu...hai costruito e il nostro signore...ha trovato il suo punto debole. Le illusioni che ingannano persino gli dei sono tanto più forti...quanto più eludibili...nel punto in cui sono state create...»
«La Terza Casa!»
«Presto...mio fratello...»
  Non finisce la frase, poiché con un gesto veloce e preciso della mano destra ferisce il viso di Castore a pochi centimetri dall'orecchio destro. Il sangue che esce dalla ferita risale velocemente lungo il braccio di Efialte. La risposta del Cavaliere dei Gemelli è fulminea. Un pesante pugno prova ad abbattersi sul suo avversario, ma colpisce soltanto il terreno. Il corpo di Efialte è mutato in una nebbia fastidiosa e violacea che gli aleggia attorno. Le mie ferite bruciano e si riaprono. Anche il mio sangue fluisce fuori da esse, sfida la gravità e si innalza in rigagnoli sottili verso il punto in cui il pulviscolo è più scuro.
«Dannazione!» grido, nel tentativo di tamponare le ferite al braccio destro, che da relativamente piccole, si stanno allargando.
«Puoi bruciare tutto il Cosmo che vuoi, Castore. La tua forza non può colpire la nebbia. Nemmeno la frantumazione delle galassie può uccidermi» echeggia la voce di Efialte, attorno a noi, suscitando una strana ilarità nel Cavaliere d'Oro.
«Che cosa c'è da ridere?» chiedo, alterata.
«Un ricordo. Niente di importante.»
Mi rimanda la stessa frase che ho detto io poco fa e mi fa arrabbiare ancora di più. Non è il momento di farsi beffe di me.
«Non spiega niente!» protesto.
«È una risposta evasiva come quella che mi hai dato tu poco fa.»
«È una vendetta? Ti sembra il caso di irridermi?»
«Sì, e tra poco comprenderai il perché.»
Il motivo per cui odio le risposte criptiche è che riescono ad accendere un'insanabile scintilla di curiosità in me. Perfetto. Per quanto odi farlo, sto al suo gioco e attendo mansueta al suo fianco con gli occhi che saettano dai suoi alla nebbia violacea che si fa sempre più densa. Ricostruisce le forme di Efialte e della sua corazza. C'è un sorriso soddisfatto sulle sue labbra, che fa eco a quello di Castore.
«Cancellerò quel sorrisetto beffardo dalle tue labbra, Gemini! È una promessa!»
Distende tutte e due le braccia lateralmente con un gesto teatrale e grida: «Canto della Lami...», ma non finisce la frase, poiché dalla bocca esce un corposo fiotto di sangue scuro. Porta tutte e due le mani al collo, mentre tossisce e vomita fluido vitale.
Le vene si fanno scure sotto la sua pelle, tanto che riesco a individuare l'intero reticolato. L'armatura nera perde la sua lucentezza, si spegne e inizia a sgretolarsi.
«Che cosa...sta succedendo?» chiede con voce sofferta.
«La tua brama di sangue ti è costata l'esistenza. Avresti potuto accontentarti di quello che hai assorbito da me e strisciare lontano da qui, ma la tua bramosia ti ha portato a riaprire le ferite di quella forestiera, in modo da rubarle energia e vigore attraverso il fluido vitale. Non ero sicuro che sarebbe accaduto, visto che ho avuto modo di vederla soltanto una volta, ma Ecate di Tracia è conosciuta in tutta la Grecia come una donna che uccide utilizzando i più svariati veleni. Ammetto che anche io pensavo che fosse un'abile erborista, ma ho constatato che è il suo Cosmo a essere velenoso come il morso di un serpente. L’ho capito poco fa, quando ha cercato di estorcere informazioni sul mio conto a una donna ignara.»
Il fatto che mi conosca così bene dopo pochissimo tempo mi sconvolge. Ho sempre cercato di agire in silenzio e sono quasi certa che nessuno conosca il mio nome tranne i committenti degli assassinii. Perché lui...sa così tanto?
«Veleno...?» fa eco Efialte.
«Esatto. Sembra che Efialte della Lamia, della Stella del cielo dell'Inganno sia stato raggirato da una mia strategia azzardata. Hai sbagliato a mostrarmi la tua abilità, a spiegarmi della tua rigenerazione, perché mi hai permesso di utilizzare quelle informazioni contro di te. Questa è la fine degli stolti con la bocca troppo larga. Ti compiango.»
«No! Non è possibile!» grida disperato Efialte, prima di seccarsi come una rosa appassita e sgretolarsi nel vento turbinante di questa calda mattinata.
«Scendi in Ade e non fare più ritorno» intima Castore, dopo aver rimosso il pesante elmo dal capo. Il sangue si è ormai rappreso sulle sue guance e sul mento. Stessa cosa è accaduta a quello sul mio braccio, che perdo tempo a osservare. Il mio sangue è velenoso, come i miei artigli. Il mio...Cosmo è velenoso. Castore stesso mi ha paragonato a un serpente.
«Forestiera» mi richiama la sua voce profonda.
«Ho un nome» preciso, scocciata.
«Forestiera con un nome» mi irride lui, mantenendo una serietà sconcertante sul viso. «Come ti ho già detto tu possiedi il dono del Cosmo e tutti coloro che lo hanno ricevuto sono tenuti a utilizzarlo per la salvezza della dea Atena e per proteggere la speranza che lei ha donato agli uomini. Non sono nessuno per dirti cosa fare della tua vita, che direzione prendere e a essere sincero non mi importa delle tue scelte future, tuttavia posso darti un consiglio, dopo aver visto quanto è confusa la tua mente.»
«E il consiglio sarebbe…? Asservirmi alla dea Atena? Inginocchiarmi ancora di fronte a una statua, renderle omaggio con i sacrifici più svariati? No! L'ho già fatto per un altro dio che non è mai sceso dall'Olimpo per me!»
Al solo ascoltarmi mi vergogno dell'ingenuità che mostro di fronte a quest'uomo. Per questo ammutolisco sotto il suo sguardo gelido.
«Atena non è una statua. Atena è rinata nel corpo di una fragile fanciulla scampata a una moltitudine di difficoltà.»
«Una fragile fanciulla?» scuoto il capo e ridacchio di scherno, ma lui non viene minimamente toccato dalle mie parole.
«Una donna come me? Dovrei servire una donna come me?»
«Tu non sei una fragile fanciulla, ma un serpente velenoso che non sa più chi proteggere. Sei una scheggia impazzita che uccide senza motivo solo per non morire dentro. Ti sto consigliando una strada per sopravvivere a te stessa. Puoi seguirla o meno.»
«Tu non sei nessuno per...»
 Devo interrompere il discorso, perché Castore perde l'equilibrio e crolla in ginocchio. Si lamenta a causa di un dolore che non so collocare. Tiene tutte e due le mani ai lati del capo, dopo aver lasciato cadere l'elmo che rotola fino a fermarsi e mostrare alla mia vista il sorriso ghignante della faccia situata sul suo lato destro.
«Ehi, che ti succede?» gli chiedo, tentando di mantenere la calma.
«Va' via...»
«Non prendo ordini da nessuno.»
  Allungo una mano sui suoi capelli e ne accarezzo una ciocca. Forse è uno scherzo delle luci, forse un gioco della stanchezza, ma mi sembra che il suo colore muti da azzurro a bianco, soltanto per un istante.
«Non toccarmi!» mi ordina ancora più nervoso e a quel punto mi ritraggo. I suoi capelli cambiano ancora colore, partendo dalle radici, diventano canuti, esattamente come i miei. I suoi lamenti si placano di colpo, quando anche le punte sono mutate. Avverto un sensazione che ho già sentito, un'angoscia opprimente ma allo stesso tempo carica del fascino oscuro del Male.
«Ecate...» la sua voce suona molto diversa. Non ha mai utilizzato il mio nome, perciò a questo punto inizio a pensare di avere di fronte un'altra persona. La sorpresa maggiore mi travolge quando solleva il suo sguardo sul mio. Le sclere dei suoi occhi sono rosse come il sangue. L'iride verde è sporcata da un velo di scarlatta follia.
«Castore?
  La sua mano si preme sulle mie labbra, in modo da farmi tacere. Il suo viso si avvicina così tanto al mio che le fronti si toccano.
«Ho molte cose da chiederti, ma non qui.»
  Assottiglio lo sguardo e aggrotto le sopracciglia, in modo da mostrargli il mio duro sdegno.
«Mi seguirai mantenendo un assoluto silenzio.»
Sbuffo col naso, mentre porto la mano destra a stringergli il polso. Mi dispiace solo che le unghie non possano perforare la sua armatura d'oro.
«Non ti conviene opporti, perché potrei ucciderti utilizzando solo la mano con cui ti ho già catturata.»
Mi dà dimostrazione della sua forza, stringendo le dita sulle mie guance e il mento. È una pressa insopportabile.
«Posso fidarmi di te?»
Annuisco appena. Ho le lacrime agli occhi. Non so perché, ma di fronte a lui provo vera paura per la morte.
«Molto bene.»
  Sposta la mano dal mio viso e mi permette di prendere un profondo respiro. Mi accarezza una guancia e sposta una ciocca di capelli bianchi dietro l'orecchio.
«Così mi piaci molto di più.»
Fa scivolare via la mano dal mio viso e si solleva in piedi. Seguo i suoi movimenti con attenzione, almeno fino a quando non odo voci in lontananza. La gente del luogo vede la devastazione da lontano e se non ci sbrighiamo ad allontanarci dovremo fare i conti con la sua curiosità. In questo momento Castore non mi sembra la persona più adatta a rispondere a domande di sorta. Prima che possa rendermene conto, vengo tirata via per un braccio e afferrata per la vita dalla stretta d'acciaio di Castore. La sua corsa è così veloce da rendermi impossibile riconoscere il percorso che attraversa. Mi rendo conto solo della nostra destinazione: un tempio depredato e in rovina. Alcune delle colonne sono annerite da un incendio recente. C'è soltanto un braciere acceso che illumina l'esterno con una fiamma tremula, smossa dal vento caldo. Il sentiero che lo collega alla città che sorge ai piedi della collina è stato cancellato dalla vegetazione inselvatichita. Castore mi lascia libera di muovere alcuni passi incerti in direzione del naos. Non so perché, ma l'istinto mi convince a nascondermi in quelle mura segrete, un tempo aperte solo ai sacerdoti più importanti.
Mi lascio cadere in ginocchio quando i miei occhi incontrano quelli di pietra di una statua di Ares, copia perfetta di quella che ho onorato per anni. Se non avessi visto la città dall'alto, penserei di essere ancora in Tracia.
«Gli uomini stanno distruggendo i templi. Nessuno teme più l'ira degli dei o ne desidera il favore come fai tu. Ci stiamo riempiendo di miscredenti. Guarda come hanno profanato quell'immagine. Hanno spezzato il braccio destro di Ares, lo hanno privato della spada.»
«Ares» faccio eco, senza trattenere una risata rassegnata. «Che cosa credi che mi importi di lui?»
«È la tua vita. Se non fosse stato per quella ragazzina, saresti ancora di fronte a lui, a omaggiarlo con le tue odi. Aspetta, com'era? Ah, sì! Ora ricordo.
"La luna rossa parla della tua venuta. Attenderò di fronte al tuo altare, pregherò affinché tu spezzi le catene che mi legano al mondo ideale. Sei bellezza macabra, mio ultimo sogno. Discendi dall'Olimpo per me. Per questo sarò pronta a ogni sacrificio."
E dimmi, Ecate, che cosa faresti se lui fosse qui, dinnanzi a te?»
«Nessun dio si scomoda per un essere umano. Né Ares, né Atena, né Ade e neanche Zeus. Se esistono, utilizzano il mondo come un grande teatro e ridono di noi, guardandoci morire. Non so come tu abbia saputo della mia vecchia ode, però. Quello mi incuriosisce più di tutto il tuo spettacolo pietoso. Chi sei?»
Castore si avvicina alla statua mutilata del dio, la affianca e incrocia le braccia al petto.
«Ecate, ti facevo più accorta.»
«Che risposta è questa? Sono stufa, veramente stufa dei tuoi giochetti.»
Balzo in piedi e sollevo il braccio destro. I miei artigli acuminati si caricano dell'energia che ancora mi rimane.Lui sposta l'attenzione dei suoi occhi sulla mia mano e sorride soddisfatto.
«Brava! Vedo che non ti limiti a comportarti come un gattino arrabbiato, ma sai articolare il tuo potere.»
I suoi complimenti non mi compiacciono, anzi, mi caricano di rabbia. Scatto verso di lui e abbasso il braccio in un gesto verticale e brusco. L'energia accumulata sugli artigli si abbatte però sulla pietra della statua. Castore si è spostato a una velocità pazzesca. Lo cerco con lo sguardo, ma trovo soltanto la luce rossa dei suoi occhi che balugina nel buio.
«Quanto ci metterai a capire che non hai la velocità giusta per colpire un Cavaliere d'Oro?»
Esce dalla penombra del naos in rovina, cammina fino alla statua lesionata di Ares e la abbraccia alle spalle.
«Sono sceso dall'Olimpo per te ed è questa l'accoglienza che mi riservi?» chiede ironico in un ghigno che stona con la falsa espressione corrucciata
«No... Non prenderti gioco di me!» grido. Il mio ultimo sforzo mi ha indebolita ancora e questo non mi permette di attaccare di nuovo.
«Non mi sto prendendo gioco di te, Ecate. Non credere che per me sia emozionante disporre di un corpo mortale. Avrei preferito utilizzare il mio, ma...»
Stringe i denti, per poi alzare il tono di voce.
«Il mio amorevole zio Ade lo ha distrutto! È toccato a me, poi ad Atena! Ben duecento anni fa mi sorprese in Tracia. Godevo dell'immensa sete di sangue di quei barbari che tuttora adorano la guerra inutile, partecipando alle loro insensate battaglie di persona, quando il sottosuolo si è aperto sotto i miei piedi. L'olezzo del mondo dei morti proveniva da quella crepa e accompagnava il Signore degli Inferi. Speravo che si fosse stabilito permanentemente nell'Elisio, ma qualcosa lo tiene ancorato alla sua vecchia dimora. Tuttavia non voglio divagare. Ti basti sapere che ho ingaggiato un duello con lui, un semplice combattimento di spada. Io, Ares, il dio della guerra sconfitto da un verme del sottosuolo! Quel dannato cadavere ha fatto a pezzi il mio corpo dopo avermi tagliato la gola e ha maledetto il mio spirito in modo che si reincarnasse in un essere umano, che morisse e invecchiasse e soffrisse il castigo della morte. La sua brama di dominio è persino più forte della mia! La sua follia lo porterà a marciare anche sull'Olimpo! Non che mi preoccupi la sorte di mio padre o degli altri dei, tuttavia non voglio che tutto si trasformi in una necropoli a cielo aperto.»
Non so se l'enfasi che mette nelle sue parole possa davvero essere una farsa. Sembra vera la rabbia che gli infiamma lo sguardo.  
Il sorriso sghembo che fiorisce sulle sue labbra subito dopo mi lascia di stucco, unito alla sua esclamazione:
«Immagino che, a parer di donna, anche questo corpo non sia malvagio.»
«Se ti aspetti che assecondi la tua pazzia rispondendo ai tuoi deliri, ti sbagli di grosso.»
«Eppure hai pregato per anni solo per ascoltare la mia voce. La tua ostilità mi delude.»
«Che cosa ti aspettavi, che mi inginocchiassi di fronte a te? Sei un semplice essere umano, con qualche potere in più di me, lo ammetto, ma non ti riconosco come Ares.»
Lui solleva un sopracciglio prima di chiudere gli occhi. La sua espressione si indurisce. Allontana le braccia dalla statua e le distende lungo i fianchi.
«Solleva il braccio sinistro» ordina, lasciandomi perplessa in un primo momento e innervosendomi subito dopo.
«No» rispondo. La mia pelle è marchiata d'infamia esattamente sotto il polso da un segno nero, impresso a fuoco: una mezzaluna rovesciata di pelle bruciata. È la mia più grande vergogna: mostrerei meglio il mio corpo nudo piuttosto che quel marchio, perennemente coperto da una benda nera.
«Te lo ripeto soltanto una volta: mostrami il braccio» insiste.
«Mai» ringhio. La pelle sotto la benda prende a bruciare, come se fosse toccata dal fuoco. Premo le dita sul tessuto che tuttavia si polverizza sotto il mio tocco.
«Che stai facendo? Lasciami in pace! Smettila!» grido con tutta la voce che ho in corpo. Sembra che la mia supplica lo inviti a fare di più. Il dolore si acuisce, mentre la ferita ritorna a essere fresca come se fosse stata fatta da poco.
«Sono stato io a ordinare loro di marchiarti e sono io a rimediare. Di solito non sono così magnanimo, ma per te faccio un'eccezione.»
 Sento i suoi passi. Si sta avvicinando a me. Avverto la sua mano sul capo: una carezza delicata che non mi aspettavo.
«Ti perdono per aver ucciso Deianira, anche se in quel momento ero io a dominare i suoi gesti, ti perdono per aver trafugato il pugnale rituale e...»
Le sue dita si serrano sui miei capelli che tira, guidandomi bruscamente a sollevare il capo. Le  sue labbra si fanno vicine al mio orecchio destro.
«Ti perdono per aver salvato Eirene e averla fatta scappare dalla Tracia.»
«Perché la volevi...morta?» chiedo con voce sofferta, mentre combatto contro la sua presa.
«Perché lei è mia sorella Atena! Ci odiamo e ci diamo battaglia da quando è nato questo mondo e avevo l'occasione di distruggerla e impedirle di rinascere! Ma tu...con il tuo spicciolo senso di giustizia o chissà, con il tuo becero istinto materno, hai deciso di disobbedirmi e lasciarla scappare. Se non fossi così bella, ti avrei già fatta a pezzi.»
Io e Eirene siamo le uniche testimoni in vita di ciò che successe all'interno del naos. Non è umano, quest'uomo è davvero ...Ares? Il suo respiro accarezza la pelle del mio collo, donandomi un brivido che non so descrivere. Volto il capo in modo da non dover incontrare il suo sguardo, anche se la sua presa sui miei capelli mi fa male.
«Però non tutto il male viene per nuocere, a quanto pare.»
Finalmente mi libera dalla sua stretta e compie qualche passo alle mie spalle. Le sue labbra si posano sul mio capo, anche se per pochissimi istanti.
«È un bene che Atena affronti Ade e mandi al macello i suoi fedeli Cavalieri. Se l'avessi uccisa, mi sarei perso questo magnifico spettacolo.»
«Eppure anche tu sei nella sua schiera...»
«Io? Sì, certo. Sto solo aspettando il momento giusto per smembrare il mio affettuoso zio. Che non si dica che Ares non restituisce  i favori ricevuti.
Detta senza giri di parole, Ecate, io sto cercando vendetta e quando l'avrò ottenuta, finirò ciò che ho iniziato in Tracia.»
«Non ti farò uccidere Eirene, non mi importa se ha in sé l'anima di Atena, non mi interessa dei capricci di un dio impazzito.»
  Mi volto verso di lui e oso sfidare il suo sguardo che torna a schiacciarmi. So di non poterlo sostenere, ma continuo noncurante a fissarlo, come se l'ansia che provo, la sensazione di essere completamente soverchiata mi piacesse.
«Mi rifiuti, dunque? Rinneghi il dio a cui hai promesso la tua intera esistenza?»
Lo dice con un sorriso sghembo sulle labbra, perché sa benissimo che non lo farei mai, nemmeno adesso che Ares mi appare come un uomo mortale che può essere ferito e persino ucciso. La sua bassezza morale, la sua cattiveria mi riportano alla mente i corpi insanguinati degli sconfitti che gli eroi gli tributavano. Sangue e morte, di questo tingerà un mondo di eterna lotta. La violenza è il grido degli abbandonati, la moneta di riscatto di coloro che hanno perso tutto. Era la mia legge e dovrebbe esserlo ancora, ma gli occhi di Eirene, limpidi come cristallini specchi d'acqua e la sua innocenza, hanno creato la prima frattura. Il cielo delle mie certezze si è sgretolato quando Castore ha combattuto di fronte a me. Il suo potere era benevolo, caldo, rassicurante, al contrario di ora. Adesso il mio vecchio mondo sta cercando di tornare al suo stato originale, sotto gli occhi di Ares: il mio dio, la mia ragione di vita, ma quelle fratture sono ancora lì, aperte. Quest'uomo è Castore prima di essere il dio della guerra e non riesco a togliermelo dalla testa.
«Ho scelta?» chiedo assorta nei miei pensieri.
«No, non ne hai» gode nel dirmelo: lo vedo dalla luce nei suoi occhi, un riverbero di pura e magnetica follia.
«Quindi, Ecate, ora dimmi dove si trova il pugnale d'oro che hai portato via dalla Tracia.»
«Non me lo ricordo» mento.
«Non tirare troppo la corda con me, donna.»
«Te lo ripeto, non ricordo.»
In realtà esso non è più di mia proprietà. L'ho imbarcato sulla nave che ha accolto anche Eirene, prima che le sacerdotesse mi catturassero e mi marchiassero con la mezzaluna del traditore.
«Che cosa devo fare per fartelo ricordare?»
«Sei tu il dio, compi un miracolo.»
Un Cosmo opprimente e bruciante emana da lui e mi toglie il respiro.
«Smettila di prendermi in giro!» afferma imperioso.
 Il marchio sul braccio che sembrava scomparso, ricompare, anche se solo in parte, provocandomi un dolore atroce.
«Non ho idea di dove sia!» non cedo.
«Continua con questa farsa, Ecate, e quel dolore che senti si estenderà a tutto il tuo corpo.»
 È vero. Il dolore mi scorre nelle vene assieme al sangue, mentre mi allontano da lui barcollando.
«Smettila...» mormoro, poiché temo che lui senta quanto sono debole.
«Parla e il supplizio che provi...finirà... Solo in quel momento...»
Castore sbilancia in avanti senza un motivo ben preciso. I suoi passi incerti lo portano verso la statua di Ares. A essa si appoggia con entrambe le mani.
«No! Non adesso!» grida, disperato. «Lasciami in pace! Smettila!»
Il dolore che provo si affievolisce fino a scomparire completamente, nello stesso momento in cui i capelli di Castore riprendono il colore cobalto che li caratterizzava quando l’ho visto per la prima volta.
Una volta che tutte le ciocche sono ritornate del colore originale, egli si lascia cadere a terra. L'armatura d'oro lo abbandona dopo aver brillato di una luce accecante per un solo istante e le sue parti si assemblano a poca distanza dalla statua di Ares, dando vita all'immagine di due mezzi busti, posti uno di schiena contro l'altro. Le due facce dell'elmo definiscono i visi e gli schinieri, assieme ai bracciali dell'armatura rappresentano due coppie di braccia piegate. Ora il guerriero ormai privo di corazza ha il busto scoperto e le gambe strette da un leggero strato di stoffa. La sua pelle non presenta nemmeno un piccolo graffio o cicatrice. Come è possibile che un uomo d’arme come lui non sia stato mai ferito?
Il respiro di Castore è irregolare e rumoroso. Viene intervallato da qualche breve lamento che attira la mia attenzione. Timorosa mi avvicino a lui e una volta che l'ho raggiunto, mi inginocchio al suo fianco. La paura che ho provato al cospetto di Ares si è dissipata completamente. Ora ho davanti l'uomo che ha combattuto per me contro uno Spectre. I suoi occhi sono socchiusi come le labbra, torturate dall'affanno.
Non gli chiedo se posso aiutarlo, lo faccio e basta, aiutandolo ad allontanarsi dalla statua e a sedersi a terra. Lui non rifiuta il mio ausilio, ma sfugge dal mio sguardo, tenendo sempre il capo chino. Mi siedo davanti a lui, in attesa che il suo respiro si plachi. Voglio una minima spiegazione di ciò a cui ho appena assistito.
«Devi allontanarti da me quando te lo chiedo, forestiera.»
«Che cosa è successo?»
  Porta tutte e due le mani sul viso, dopodiché le fa scorrere tra i capelli che tira all'indietro.
«Non è semplice controllare lo spirito di un dio violento come Ares. La sua furia divora la mia ragione e domina le mie membra quando l'equilibrio che devo mantenere si spezza. Un uomo scagliò questa maledizione su di me in modo da impedirmi di seguire la via del giusto. Un uomo che rimase profondamente deluso da me. Se perdessi il controllo della mostruosità che celo nell'anima di fronte ai Cavalieri di Atena o alla dea stessa, verrei esiliato o forse condannato alla morte che merito. So di essere un indegno, ma allo stesso tempo so che il mio potere può essere utile alla causa nobile che i miei compagni stanno difendendo, così celo a tutti la mia vera natura e prego che l’oscurità che c’è in me non riesca ad emergere. La verità è che quando mi indebolisco o la mia memoria è richiamata da qualcosa o qualcuno a cui Ares è legato, non riesco a dominare la doppiezza di Gemini e finisco per perdere il controllo.»
La sua voce trema. Mi sembra di aver sentito un singhiozzo. Sta piangendo, ne sono sicura, anche se la penombra mi nasconde ora il suo viso.
Il vento si è alzato e la fiamma del braciere trema, quasi sembra volersi spegnere, lasciando spazio alla luce rosata dell'alba.
«Il Cavaliere di Gemini deve mantenere vivo l'equilibrio instabile tra bene e male, è obbligato a farlo. Quello che è successo è il mio costante fallimento, poiché anche se ho giurato di non alzare il mio pugno contro chi non mi è ostile,  ogni volta che l’equilibrio si spezza, ferisco chi non dovrei, come è accaduto poco fa.»
«Chi avresti ferito?»
Castore mi scocca un'occhiataccia che mi fa sorridere anche se sono molto stanca.
«Non mi hai fatto nemmeno un graffio, anzi, l'unico che avevo sul braccio è quasi scomparso grazie a te.»
«Hai rischiato moltissimo, sciocca.»
«Hai ragione. Sono una sciocca, ma va bene così.»
Mi distendo a terra.
«Prima di farmi conoscere il mio idolo di gioventù stavi dicendo qualcosa relativamente al Cosmo e Atena. Hai detto che sta reclutando guerrieri e che io potrei esserle utile. Visto che stiamo parlando di Eirene, ti chiedo di portarmi da lei. L’ho trovata io quando era una neonata e l’ho cresciuta al mio fianco. A guardarmi adesso non sembro un’amorevole sorella maggiore, ma cinque anni fa ero diversa.»
Sbuffo un sospiro, spostando dalla fronte una ciocca di capelli impolverata.
«Sembra che io sia destinata a cambiare ancora. Chissà, forse tra qualche anno me ne andrò in giro con una corazza scintillante piuttosto che con questi stracci.»
Riesco a strappargli una risata debole, che tuttavia suona benissimo tra queste quattro pareti di pietra. Quest'uomo ha la bellezza magnetica tipica dei dannati, un potere ancora superiore al suo Cosmo sterminato.
«Atena non è più la ragazzina che ha lasciato la Tracia. È ora consapevole del suo ruolo.»
 Chiudo gli occhi e tiro un lungo sospiro.
«Io invece sto cercando il mio» affermo rassegnata, portando le mani dietro il capo. Lui non mi concede di continuare il discorso, perché prende subito parola.
«Non è facile trovarne uno. Devi andare per tentativi. Non è vero quello che dicono sul destino già scritto. Ogni persona sceglie il motivo per cui morire, che sia futile o nobile. In genere si cerca di proteggere gli affetti o se stessi e si maschera tutto di ambizioni fasulle. Anche chi afferma di combattere per inutile conquista, in realtà sfoga il risentimento di privazioni subite.»
Mi alzo seduta in modo da poterlo guardare. Nonostante la stanchezza che gli leggo negli occhi, il volto di Castore riassume la sua granitica determinazione.
«Sicuramente anche tu vivi per ciò che ti è caro. Ciò che hai fatto per Atena ne è l'esempio. Non vorrei essere pedante con i consigli, non è nella mia indole, ma le porte del Grande Tempio sono aperte a chi dispone di poteri come il tuo»
«Sono solo un'assassina prezzolata, Castore. Onore, fedeltà, spirito di sacrificio, sono principi che non mi appartengono più.»
«Tutti possono cambiare vita, lo hai detto anche tu. È concesso anche a chi è perso in partenza. Io sono l'esempio vivente di ciò che ti sto dicendo e come me lo sono anche altri Cavalieri. Non si nasce con la via giusta già tracciata. La luce che la illumina potrebbe giungere dopo.»
Sono rapita dal suo modo di argomentare che non lascia spazio a repliche. Pendo dalle sue labbra anche se non vorrei. Non so per quale motivo, ma tutto ciò che dice mi sembra più che giusto.
«Ormai sono convinta a seguirti al Grande Tempio di Atene. Sei stanco e non sprecare altre parole per persuadermi.»
Il suo sorriso è appena percettibile, ma allo stesso tempo rassicurante.
«Se solo non fossi così inaffidabile e pericoloso, mi curerei personalmente del tuo addestramento, Ecate di Tracia. Mi piacerebbe vederti cambiare giorno per giorno.»
Mi ha chiamato per nome. Un nome che non ho mai amato più di tanto, ma che detto da lui ha tutto un altro suono.
«Non provare a tirarti indietro con questa stupida scusa, Castore dei Gemelli. Devi prenderti la responsabilità di avermi messo questa idea in testa. Dovevo ucciderti per guadagnare un bel gruzzolo, ma adesso il mio committente si è polverizzato e non può più pagarmi. Devo pur cavare fuori qualcosa da te, visto che sono a secco. La tua guida sarà la mia rendita e ricorda, dovrai farti onere anche del mio vitto e alloggio.»
Punto l'indice verso il suo viso, tentando di mantenere l'espressione più gelida possibile, anche se un sorriso cerca a tutti i costi di fiorirmi sulle labbra. Sono anni che non mi concedo la libertà di una risata e mi fa uno strano effetto farlo proprio di fronte a Castore, un uomo carismatico ma dannatamente pericoloso.
«Quindi non mi uccidi perché Efialte non può più pagarti? Non credi di sopravvalutare un po' le tue capacità?»
«No no, non sto sottovalutando proprio niente. Sei in mio potere, ormai» divento ancora più seria. Avvicino la mano destra al mio viso e piego le dita. I miei artigli tornano a crescere neri come la notte. Anche il suo sguardo si indurisce e segue i miei movimenti mentre mi alzo in piedi. Raggiungo le sue spalle e mi inginocchio  dietro di lui. Non so quanto pagherei per immortalare la sua espressione attonita con un dipinto, quando mi sporgo in avanti, verso il suo viso. Il suo respiro si sospende quando le nocche della mano destra gli sfiorano una guancia in una carezza.
Scoppio a ridere come non facevo da quando ero una ragazzina.
«Ci sei cascato, nobile Castore! Pensavi davvero che ti avrei ucciso? Ti devo la vita e un buon consiglio, quindi non potrò farlo se non da morta. Anche se labile ho un codice anche io.»
«Non farlo mai più» afferma minaccioso, ma non mi impressiona. Scivolo seduta e porto il palmo della mano sulla sua schiena.
«Se continui a stare sveglio ti ammazzerai da solo.»
«Non ho tempo di riposarmi. Da quello che ha detto Efialte, il suo era solo un diversivo per farmi abbassare la guardia sulla Terza Casa che proteggo anche a distanza con un labirinto di illusioni. Ho perso la concentrazione necessaria e non solo la difesa è crollata, ma ha lasciato spazio a fratture dimensionali. Ho il dubbio che fosse proprio questo ciò che voleva Efialte. In quel caso...sono stato sconfitto.»
«Non ho capito molto di ciò che hai detto, ma vedo con i miei occhi che non riesci nemmeno a stare in piedi. Puoi fare l'eroe quanto vuoi, ma non...»
Si alza in piedi, smentendo ciò che ho detto. I suoi passi sono lenti e incerti e lo conducono all'armatura d'oro.
«La spossatezza passerà strada facendo. Andiamo, Ecate. Non c'è tempo da perdere.»
   
 
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