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Autore: Yuki Delleran    17/05/2017    0 recensioni
« Com'è potuto succedere?! »
La voce di Shiro, resa sferzante dalla frustrazione, risuonò per il ponte di comando del castello. Il Paladino Nero lo stava percorrendo a grandi passi ormai da diversi minuti, i pugni stretti lungo i fianchi e l'espressione tormentata. Keith sapeva che non lo avrebbe mai accusato direttamente, ma poteva leggere nel suo sguardo tutta la fiducia che aveva riposto in lui venire tradita.
« Avrei dovuto esserci io con lei! »
Keith s'irrigidì e distolse istintivamente gli occhi: non riusciva a sostenerne lo sguardo, non con quel senso di colpa a gravargli sulla coscienza. Si era offerto di andare al posto di Shiro per tenerlo al sicuro, ma mai si sarebbe aspettato un risvolto del genere. Pidge era dispersa, non riuscivano a raggiungerla nemmeno con il canale di comunicazione del castello, e la cosa peggiore era che lui aveva avuto solo una minima esitazione prima di abbandonarla al suo destino. Avrebbe potuto affermare che era rientrato per seguire gli ordini, per essere di supporto a tutti loro, ma la realtà era un'altra: non era stato all'altezza del suo compito.
Genere: Introspettivo, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Gunderson Pidge/Holt Katie, Kogane Keith, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note: Le canzoni citate sono "Sale el sol" di Shakira e "Hero" di Enrique Iglesias.
Beta: Lillabulleryu & MystOfTheStars
Word count: 5207  (fdp)

 

Keith non era mai stato un tipo particolarmente festaiolo e men che meno quella sera si sentiva in vena di fare baldoria, non ne vedeva il motivo. Di conseguenza, mentre tutti gli altri si divertivano, si era allontanato alla chetichella per raggiungere il proprio leone. Osservare le stelle steso sul muso di Red, lontano dal chiasso che i silvarboriani stavano facendo, gli permetteva di rilassarsi. Non pensava che sarebbe riuscito a chiudere occhio, e non solo perché aveva dormito qualche ora poco prima. Era felice che Pidge stesse bene, ne era sinceramente sollevato, ma non riusciva a togliersi dalla testa che quel fatto fosse un mero colpo di fortuna. Se quel pianeta non fosse stato abitato da una razza pacifica, se fosse stato una colonia Galra come tante ve ne erano sparse per l'universo, le cose non sarebbero filate così lisce. Pidge si era scusata con loro per essersi mossa per conto proprio, ma la verità era che Keith l'aveva lasciata a sé stessa.
Sapeva che quello non era altro che un vuoto rimuginare, ma non poteva fare a meno di chiedersi quante preoccupazioni avrebbe risparmiato a tutti se nel momento in cui avevano deciso di esplorare la superficie del pianeta non si fossero divisi.
« Ma un posto un po' più comodo da raggiungere, no?! »
L'esclamazione proveniente da sotto di lui distrasse Keith e lo indusse a sporgersi oltre il muso del leone. Lance, non senza una certa difficoltà, si stava arrampicando lungo una zampa per raggiungerlo.
« Che stai facendo? » chiese Keith stranito, allungando una mano per aiutare l'altro a salire.
« Secondo te che sto facendo? Sono venuto a cercare il paladino emo che è scappato dalla festa con una faccia da funerale. » brontolò Lance accettando la mano e terminando la scalata, per poi lasciarsi cadere seduto al suo fianco.
« Non ho una faccia da funerale. »
« Oh, sì, che ce l'hai! Hai parlato con Shiro? Pidge sta bene, di certo ora è più tranquillo. »
« Pidge sta bene e anche Shiro. Non... non ho bisogno di parlare con lui per saperlo e non voglio che si senta ancora in colpa per aver detto delle cose su cui aveva perfettamente ragione. Non intendo riaprire quel discorso. »
Lance sospirò.
« Da una parte meglio così. A questo punto, però, non ha senso che resti qui a rimuginare. Te l'ho detto, va tutto bene, non hai colpa. Ti senti responsabile di qualcosa su cui non avevi il controllo, che si è comunque risolto bene. Capisco che ti senta uno straccio, ma è passato e ora abbiamo un lavoro da fare. »
Lance aveva ragione ed era anomalo, non era affatto normale che succedesse così spesso in un arco di tempo tanto breve. Eppure, questo non infastidiva Keith come avrebbe creduto, anzi, lo faceva sentire meglio.
« Cos'hai lì? » chiese per cambiare discorso, indicando uno strano oggetto che il Paladino Blu portava su una spalla.
« Questo? É uno strumento musicale, una specie di... chitarra aliena. » spiegò Lance slacciando la tracolla e portandosela sulle gambe. « Ma la sono fatta prestare dai silvarboriani, sembra che funzioni più o meno come una chitarra terrestre. Ho provato a suonarla e non è male, anche se le corde sono un po' diverse. »
Keith lo ascoltava stupito: non aveva idea che Lance sapesse suonare uno strumento, o meglio, avrebbe potuto immaginarlo da vari indizi, ma non vi aveva mai davvero dato peso.
« Vuoi che ti suoni una ninna nanna, Kitty-boy? »
« Smettila di chiamarmi in quel modo! »
« Su, su, lo so che in fondo non ti dispiace. »
Keith avrebbe voluto ribattere che invece non gli piaceva per niente, era un soprannome tremendo, ma Lance non gliene diede il tempo, iniziando a pizzicare le corde dello strumento, che producevano un suono estremamente dolce.
Impiegò qualche istante per trovare il ritmo giusto e il movimento che producesse le note che voleva, ma, quando ci riuscì, alla musica si unì anche la voce.

« Estas semanas sin verte
Me parecieron años
Tanto te quise besar
Que me duelen los labios.
Mira que el miedo nos hizo
Cometer estupideces
Nos dejó sordos y ciegos
Tantas veces... »


Keith non capiva una parola della lingua in cui l'altro stava cantando, ma aveva l'impressione che quella canzone non fosse stata scelta a caso, che significasse qualcosa in quel momento.
Lance aveva una bella voce, non l'avrebbe mai immaginato pensando agli strepiti e agli strilli con cui se ne usciva fin troppo spesso: era calda, che si accompagnava perfettamente al suono delicato della strana chitarra.

« Y un día después
De la tormenta
Cuando menos piensas sale el sol
De tanto sumar
Pierdes la cuenta
Porque uno y uno no siempre son dos
Cuando menos piensas
Sale el sol »


E quella canzone lo faceva sentire bene, riusciva a farlo rilassare come non pensava di poter fare quella sera. Sembrava che gli stesse dicendo che sarebbe andato tutto bene, che ogni guaio si sarebbe aggiustato. Chissà se Lance l'aveva scelta con quell'intento o se si trattava solo di una sensazione di Keith?
Man mano che la melodia procedeva, sentiva le palpebre farsi sempre più pesanti, finché non finì per appoggiarsi alla spalla di Lance e chiudere gli occhi definitivamente. Sentì l'altro irrigidirsi per un istante, ma fu una sensazione molto fuggevole, mentre la canzone continuava, sempre più sfuocata alle sue orecchie mentre lo accompagnava nel mondo dei sogni.

Keith si era addormentato sul serio, Lance non pensava davvero che potesse succedere, non di nuovo. E, invece, quella piccola furia rossa sembrava davvero tranquillizzarsi in sua presenza. Non sapeva se esserne seccato o lusingato.
No, in realtà doveva ammettere che gli faceva particolarmente piacere, anche se la sensazione era accompagnata da una sorta di malinconia.
Smise di suonare e abbassò lo sguardo sul volto disteso dell'altro, azzardandosi a scostare appena i ciuffi corvini che gli erano ricaduti sugli occhi: Keith era sempre tormentato da qualcosa, sempre in ansia, sempre preoccupato. Per quanto assurdo potesse sembrare, avrebbe voluto alleviare almeno un po' quelle ansie, anche solo con una canzone che lo facesse sorridere. Da quanto non vedeva Keith sorridere? Non lo ricordava.
« I can be your hero, baby... » intonò a voce bassa e leggera, senza che le note della chitarra lo accompagnassero. « I can kiss away the pain... Se solo me lo permettessi. Se solo ti voltassi verso di me, almeno una volta. I will stand by you forever... You can take my breath away... »
Era una vecchia canzone, fin troppo strappalacrime per essere associata a quel momento. Lance sospirò e sorrise tra sé, togliendosi la giacca e avvolgendola attorno alle spalle del compagno prima di stendersi accanto a lui.
« Buonanotte, Kitty-boy. » mormorò, e l'ultimo rumore che ebbe l'impressione di sentire prima di assopirsi a sua volta, furono delle profonde fusa di approvazione provenienti da sotto di lui.

Non era stata un'idea geniale stendersi sul prato a guardare le stelle. Potevano benissimo osservarle dalle vetrate del castello, perché starsene in quel posto scomodo? E poi passavano le loro intere giornate tra le stelle, quindi cosa c'era da vedere? Poteva quasi sentire le formiche che le si arrampicavano lungo le gambe. Chissà se c'erano delle formiche su quel pianeta o un genere di insetti corrispondente? Nel caso, sperava che non fossero velenosi. La prossima volta doveva ricordarsi di portare uno di quei teli da campeggio, una cerata, così non avrebbe nemmeno sentito l'umidità dell'erba. Chissà che percentuale aveva? Avrebbe finito per essere dannosa per le apparecchiature?
« Pidge... »
La ragazza si voltò verso Shiro, steso al suo fianco, e accennò un sorriso.
« Scusami, è che detesto il campeggio. »
In realtà, fastidio momentaneo a parte, era davvero felice di essere lì con lui, di vedere che stava bene, che lo scontro con la nave Galra non aveva avuto ripercussioni.
« Credi che domani ce la caveremo? » chiese per intavolare un qualsiasi discorso.
Quel silenzio la faceva sentire a disagio. Era strano, di solito non le dispiaceva. Eppure, a starsene così, senza dire niente, sembrava che quel momento potesse diventare speciale, quasi sacro, e questo le faceva venire il batticuore.
Shiro era steso accanto a lei e non accennava a muoversi, eppure sentiva venire da lui una sorta di tensione. Aveva l'impressione che avesse mille pensieri per la testa ma che, per qualche ragione, avesse timore a parlargliene.
« Ce la caveremo alla grande. » fu la risposta, data con un tono stupito, come se si fosse aspettato un altro genere di domanda.
« Ne sei sicuro? »
Shiro si voltò appena verso di lei.
« Certo. Voglio dire, è una missione impegnativa, non lo metto in dubbio, ma sono sicuro che se saremo uniti ce la faremo. »
« Allora cosa ti preoccupa? »
Pidge era una che andava dritta al punto: chiacchierare per riempire i silenzi andava bene, ma raccontarle storie, quello no. La sensazione che le dava, era quella di non essere messa volutamente al corrente di qualcosa e non poteva accettarla in quel momento, non da Shiro.
« Non sono preoccupato. »
La risposta lasciò Pidge senza parole: allora per quale motivo aveva quell'aria pensierosa, su cosa stava riflettendo e, soprattutto, perché non voleva metterla al corrente?
Shiro era steso alla sua destra, poteva sentire il calore del suo braccio sano contro il fianco: sarebbe bastato un nonnulla e...
Improvvisamente sentì la mano di Shiro sulla sua, le dita che s'intecciavano alle proprie, e fu come se il mondo si fosse fermato per un istante: non aveva più importanza che fossero nell'erba, che fosse umido, che insetti sconosciuti e potenzialmente letali potessero passeggiare loro addosso. C'era solo Shiro e la sua mano calda.
« Sono felice che tu stia bene. »
Lo disse senza guardarla, lo sguardo fisso sulla volta celeste punteggiata di stelle e Pidge gliene fu grata, anche se era abbastanza sicura che con quel buio non sarebbe stato possibile distinguere che fosse arrossita.
Si diede mille volte della sciocca, perché era un comportamento assurdo e da ragazzina, ma non riusciva a farne a meno. Avrebbe voluto voltarsi e abbracciarlo, ripetere di nuovo che le dispiaceva, che non si sarebbe più comportata in quel modo assurdo, ma era davvero troppo infantile come comportamento. Inoltre, in quel modo rischiava di essere fraintesa, si sarebbe potuto pensare che avesse una cotta per Shiro e, dannazione, non aveva assolutamente tempo per queste cose. C'era un pianeta da salvare, un universo da proteggere, la sua famiglia da ritrovare, non aveva davvero tempo per avere una stupidissima cotta per Shiro!
« Cosa pensi? »
Pidge sospirò, stringendo un po' di più la mano dell'altro.
« Che ci sono davvero un sacco di cose da fare... »
Il silenzio di Shiro era carico di interrogativi confusi, quindi Pidge non trovò di meglio che riempirlo di chiacchiere riguardo la missione del giorno successivo, i dati che aveva visto nella caverna di Lass, i pronostici riguardo temperatura, pressione, rotazione e gravità del nucleo.
« … E se i miei calcoli sono corretti, il rivestimento esterno dei leoni dovrebbe essere abbastanza resistente da sopportare la pressione a quella profondità. Alla peggio, ci sarebbe la corazza del Leone Giallo e, in ogni caso, sappiamo che resistono alle alte temperature come il raggio di fuoco del Leone Rosso. Anzi, quello sarà essenziale per ripristinare la rotazione del nucleo. Se funziona come il nucleo della terra, sarà necessario raggiungere temperature talmente elevate che forse ci servirà in supporto uno scudo termico simile a quello del castello. »
Non ricevendo alcun commento in risposta, si azzardò a sbirciare in direzione di Shiro.
« Sto parlando troppo, eh? Non so proprio leggere l'atmosfera. »
Probabilmente nessuno si sarebbe messo a fare una tirata scientifica sulle caratteristiche del nucleo di un pianeta mentre si trovava di notte a guardare le stelle con Shiro. Tuttavia, era un modo come un altro per gestire la situazione.
« No, mi piace ascoltarti, mi fa sentire bene. Se ti fosse successo qualcosa io non so... »
Il tono di Shiro era talmente carico di apprensione che Pidge si sentì in dovere di sdrammatizzare all'istante.
« Ma non è successo nulla e posso continuare a riempirti le orecchie di chiacchiere fino a domani! »
E così fece, proseguendo il discorso sulle caratteristiche di un eventuale scudo termico e di come sarebbe stato possibile modificare la barriera di particelle che di solito proteggeva il castello dai cannoni Galra, su come Lass le avesse raccontato la storia della razza primigenia di Silvarboris; si chiese quale tipo di tecnologia potesse aver portato ad un prosciugamento delle risorse naturali del pianeta. Continuò a chiacchierare finché non si rese conto che dal suo fianco non proveniva nessuna risposta, se non un respiro lento e regolare. Shiro si era addormentato e aveva finalmente un'espressione rilassata, Pidge non poté fare a meno di sorridere guardandolo: teneva ancora stretta la sua mano, ma lei non sentiva più la necessità di rifugiarsi in un posto meno umido e più comodo. Non avevano più importanza né l'erba né gli insetti. Si alzò a sedere per osservarlo meglio: i tratti del viso erano distesi, il ciuffo candido gli ricadeva sulla fronte coprendone un lato. Le ombre della sera oscuravano la cicatrice e forse anche per questo sembrava avere un'aria più pacifica. Vederlo in quel modo le faceva crescere una sorta di calore nel petto, uno strano desiderio di proteggerlo, come di solito era lui a fare con gli altri. Sollevò la mano libera e gli sfiorò la guancia con la punta delle dita, osando a malapena accennare una timida carezza. Non avrebbe dovuto pensare a quel genere di cose, non era davvero il momento né il luogo adatto, sapeva che non avrebbe dovuto farlo e che quei gesti aveva sempre delle conseguenze, ma ora non ci voleva riflettere. Si stese di nuovo accanto a Shiro, appoggiò la testa sulla sua spalla e aspettò che il sonno placasse il battito del suo cuore.

Il giorno seguente, formare Volton per dare il via alla missione di salvataggio si rivelò più complicato del solito: sembrava che ognuno avesse altro per la testa, al punto che persino Allura se ne accorse.
« Paladini, quella che stiamo per affrontare è una missione d'importanza vitale! É necessaria tutta la vostra concentrazione! » li rimproverò, mentre a sua volta si preparava ad iniziare la cerimonia.
Hunk, perplesso dalla situazione, si rivolse ai compagni attraverso il canale di comunicazione dei leoni.
« Ragazzi, va tutto bene? Avete dormito male o vi è rimasta la colazione sullo stomaco? »
A quelle parole, Pidge si lasciò sfuggire una risatina.
« Lo stomaco sta bene e, almeno per quello che mi riguarda, non si tratta di un problema di sonno. »
« Il sonno di certo non è mancato, amico! » fece eco Lance, ma con un'inflessione talmente ironica nella voce che nessuno lo prese sul serio neanche per un attimo.
« Ok, team Voltron! Concentrazione! »
La voce di Shiro li richiamò tutti all'ordine.
« Abbiamo un lavoro importante da fare ed è necessario che tutti abbiamo in testa l'obiettivo. La principessa s'impegnerà nel mettere in atto la cerimonia, quindi noi dobbiamo fare la nostra parte. Ci siete tutti? »
La risposta giunse unanime, come da programma, e finalmente il gigantesco robot decollò tra le esclamazioni di giubilo dei silvarboriani, che inneggiavano all'inviato della dea.
Sorvolarono l'intero pianeta fino a raggiungere il polo opposto, dove impiegarono diverso tempo ad individuare il cratere causato dai macchinari galra. Si trattava di una voragine immensamente profonda, nel bel mezzo di un deserto, poco visibile dal cielo a causa dei forti venti che spazzavano la superficie sollevando enormi nuvole di sabbia.
« Dovremmo scendere laggiù? » chiese Hunk allarmato. « Quel buco sembra tutto, tranne che ospitale. »
« Nessuno ha detto che sarebbe stata una passeggiata. » obiettò Keith, che sembrava a sua volta piuttosto teso.
« Se vi può consolare, lo scanner non rileva presenza di vita biologica là dentro. » li informò Pidge.
« Farò finta di sentirmi rassicurato. » commentò Lance. « Ora, ogni volta che avrò bisogno di sentirmi tranquillo, verrò da te. »
« Ragazzi, ragazzi! » li ammonì di nuovo Shiro. « Non abbiamo tempo da perdere, Coran mi ha informato che la principessa ha cominciato, quindi adesso tocca a noi. »
Così dicendo, iniziò le manovre di discesa, bilanciando la planata con i retrorazzi per una maggiore precisione.
Raggiunsero la voragine ed iniziarono a calarsi all'interno, lasciandosi alle spalle la luce, che in breve non diventò altro che un punto sfuocato e lontano.
« Nessuno ha mai pensato di dotare Voltron di un paio di fari? Scendere per chilometri nel buio completo non è esattamente comodo. » commentò Lance, mentre il suo leone urtava contro quella che sperava fosse roccia, nel tentativo di mantenere l'equilibrio.
« Gli schermi hanno la visione infrarossa. » lo informò Keith, ricevendo in risposta una smorfia  scocciata.
Man mano che scendevano, l'aria si faceva sempre più calda, stagnante, rendendo difficile il respiro. Pidge aveva l'impressione di muoversi attraverso uno strato di melassa – e lei non aveva mai amato la melassa. Forse era solo una sua idea, ma quello, unito al calore e alla pressione crescente, le rendeva difficile ragionare lucidamente. Uno sguardo ai monitor le confermò che mancava poco alla meta, sarebbe bastato resistere ancora un po'.
« Ragazzi, non per fare dell'allarmismo inutile, ma a me inizia a girare la testa. » li informò Hunk, rassicurandola almeno sul fatto di non essere l'unica a provare quel malessere.
Shiro annuì.
« Possiamo provare ad alzare lo scudo termico, potrebbe dare un po' di sollievo. » ipotizzò.
« Scudo termico attivato. » li informò Keith un istante dopo.
Questo portò la temperatura a diminuire un poco, ma il disagio di Pidge non accennò a placarsi, anzi, sembrava crescere di pari passo con la profondità, facendola sentire sempre più stordita. Il sudore colava in piccole gocce sulle tempie, avrebbe voluto levarsi il casco per avere almeno la sensazione di respirare meglio. La testa le ronzava pericolosamente e si rendeva conto della pesantezza delle palpebre, che minacciavano di abbassarsi da un momento all'altro, ma non riusciva in nessun modo ad impedirlo.
« Ci siamo! »
La voce di Shiro le rimbombò nelle orecchie, ma non riuscì a muovere un muscolo in reazione ad essa.
« Keith, Pidge, tenete pronti i raggi! »
« Ricevuto! »
La risposta di Keith giunse all'istante e anche lei avrebbe voluto rispondere, ma la voce non voleva saperne di uscire.
« Pidge? »
Doveva riprendersi, doveva preparare i raggi per la riattivazione del nucleo. Se non si fosse data una mossa...
« Pidge! Pidge, mi senti? »
Sì, lo sentiva, molto vagamente e lontano dalle percezioni reali, ma lo sentiva...
« Che succede? Rispondimi! Katie! »
Il suo nome chiamato a quel modo, con quella nota di profonda apprensione nella voce, la riscosse per un momento, ma fu solo un istante fuggevole prima che impiombasse tutto nel buio. Non riusciva a vedere, a sentire nulla, tranne il suo respiro pesante e spezzato. Se fosse stata lucida avrebbe analizzato le motivazioni di quello stato, i parametri dell'aria, della pressione, del calore, della gravità, ne avrebbe verificato gli effetti su sé stessa e sugli altri e trovato una soluzione anche solo temporanea; ma ora la sua mente si rifiutava di rispondere, persa in quel buio senza fine dove nemmeno le voci dei compagni riuscivano a raggiungerla.
Stava per abbandonarsi a quell'oscurità soffocante quando, in lontananza, un debole bagliore attirò la sua attenzione: si trattava di una luminescenza verde molto pallida ed intermittente alla fine di un cunicolo nero come la pece. Probabilmente, quella era la meta che dovevano raggiungere, il nucleo di Silvarboris, e se brillava forse non era del tutto morto. Pidge avrebbe voluto comunicarlo agli altri, ma la sua voce sembrava inesistente. Sotto le sue mani, la console di comando del Leone Verde era letteralmente svanita. Tutto quello che vedeva era quel debole bagliore che sembrava attirarla verso di sé e, non potendo fare altro, si mosse in avanti per raggiungerlo: scoprì di riuscire a farlo con grande facilità, come se attorno lei le pareti dell'abitacolo non esistessero. A raggiungerlo impiegò un battito di ciglia, nonostante a prima vista apparisse così distante. Quando se lo trovò di fronte si rese conto che non era un nucleo sferico come pensava, una sorta di globo incandescente carico di energia – o di materia fusa, come nel caso della Terra –, bensì una sorta di uovo. Istintivamente allungò una mano verso di esso per sfiorarlo e un brivido di paura le corse lungo la schiena quando si rese conto di non riuscire a vedere le proprie dita. Il suo intero corpo era diventato trasparente o, ipotizzò Pidge, nell'estremo tentativo di non andare nel panico, quello non era il suo corpo fisico, ma il suo spirito. Come mai quest'ultimo avesse deciso di andarsene a zonzo senza zavorra, era una domanda che non aveva la minima intenzione di porsi.
Non appena lo sfiorò con la punta delle dita, nel guscio si formò una crepa che, a poco a poco, si propagò per l'intera superficie, facendolo andare in mille pezzi. La luce verde brillò più forte, accecando la ragazza per un attimo e costringendola a chiudere gli occhi – come questo fosse possibile per un essere di puro spirito era l'ennesima domanda da non porsi. Quando li riaprì, quello che si trovò di fronte fu un bizzarro animaletto, ricoperto di pelliccia verde e dalle lunghe orecchie simili a foglie e della stessa tonalità. Anche gli occhi erano verdi, ma più chiari e luminosi. Il musetto allungato lo faceva assomigliare ad una volpe, così come la coda folta, che terminava in un ricciolo di pelo color smeraldo.
Sebbene Pidge lo fissasse con una discreta dose di timore, questo le si fece più vicino e una voce, sottile ma reale, risuonò nella sua testa.
« Ti ringrazio, Spirito Guardiano della Foresta. Grazie per avermi risvegliato dal mio sonno, per avermi riportato alla vita e per essere giunta fino a qui a donarmi il tuo germoglio di speranza. »
« Spirito Guardiano...? Ti riferisci a me? »
La creatura annuì appena.
« Il tuo legame con la terra è forte, abbastanza forte da permetterti di raggiungermi e infrangere l'ultima barriera che mi proteggeva. Grazie a te sono tornato alla vita e anche Silvarboris rinascerà. »
Pidge iniziava a sentirsi sgomenta davanti a quelle affermazioni: non aveva idea di cosa intendesse quando parlava di germoglio di speranza e non pensava nemmeno che il suo “legame con la terra” fosse abbastanza forte da far rinascere alcunché.
« Non temere, Paladino. » proseguì la creatura. « Avverto in te l'energia necessaria a compiere questa impresa, devi solo permettermi di attingervi. Percepisco la nascita di un germoglio nel tuo petto, un sentimento caldo e portatore di vita, un desiderio di protezione verso una persona che diverrà la forza di un intero pianeta. Permettigli di sbocciare, lascia che questo sentimento raggiunga colui a cui è destinato ed esso diventerà la mia nuova fonte di energia. »
Sentimento? Che doveva sbocciare?
Pidge si portò una mano al petto: anche se la sua forma in quel momento non era fisica, poteva comunque percepire l'emozione crescere, il cuore battere più velocemente, il sangue fluire ad arrossare delle guance invisibili. Era vero che provava qualcosa, sarebbe stato stupido da parte sua non rendersene conto, ma era altrettanto vero che vi aveva sempre posto un freno. Aveva sempre impedito a sé stessa di soffermarsi su quel sentimento e non per motivazioni banali da ragazzina alla prima cotta, ma perché sapeva di avere altre priorità. Nella scala d'importanza dove una comune ragazza terrestre della sua età avrebbe posto “trovare un fidanzato”, lei aveva piazzato “salvare salvare la mia famiglia”; dove chiunque avrebbe messo “fargli capire che mi piace”, lei aveva “salvare l'universo”. E si rendeva conto che quella scala di valori era limitante per la sua felicità personale, ma non aveva importanza perché gli obiettivi che si era posta ne avevano di più.
« A volte la salvezza del singolo può essere parte della salvezza dell'intero universo. » disse la creatura, come se avesse letto ogni singolo pensiero che le aveva attraversato la mente. « Apri il tuo cuore, non sarai l'unica a cui questo gioverà. »
Avrebbe giovato ad altri? Lasciarsi prendere dalle emozioni non aveva mai portato niente di buono, nei momenti di maggiore emotività si prendevano sempre le decisioni peggiori e queste, di solito, avevano pessime conseguenze. Senza contare che un sentimento del genere, non tenuto sotto controllo, avrebbe avuto un peso che non era certa di saper portare.
« Non sarai sola. Non si è mai soli in questi frangenti. Anche adesso c'è qualcuno che ti aspetta, che desidera vederti e dividere questo impegno con te. »
Il lampo di un'immagine si affacciò alla sua mente: Shiro, ai piedi del Leone Verde, che gridava il suo nome. Chiamava “Katie” con un'espressione talmente angosciata da farle stringere il cuore.
« Shiro... » mormorò senza rendersene conto.
Si chinò verso la creatura che le stava mostrando quella scena e la raccolse tra le braccia. Sì, aveva ragione, aveva sempre provato quel sentimento e ogni volta lo aveva allontanato, nascosto, sepolto sotto una razionalità e un senso del dovere troppo forti per essere accantonati. Ma la realtà era quella e ora non poteva più negarla.
Mentre abbracciava la bestiola, vide il bagliore verde che l'avvolgeva farsi sempre più intenso, fino a riempire l'intero spazio in cui si trovavano. Sentì la sua pelliccia emanare calore, un calore confortevole che avvolgeva tutto in un abbraccio silenzioso.
Le ultime parole che udì prima che la luce avvolgesse tutto furono: « Grazie, Guardiano della Foresta, tu ci hai ridato la vita. »

Da quando Pidge aveva smesso di rispondere ai loro richiami, la connessione di Voltron era a poco a poco venuta meno fino alla separazione dei leoni. Quello verde era rimasto inerte al punto che, dopo aver deciso di abbandonare il tentativo di discesa, avevano dovuto trasportarlo di peso in superficie. Raggiunto il livello del suolo non avevano potuto fare altro che aspettare. Shiro era letteralmente fuori di sé, si era arrampicato fino al portello principale e aveva tentato di aprirlo con la forza ma non c'era stato niente da fare: sembrava che il leone non avesse nessuna intenzione di permettere a qualcuno di raggiungere il suo pilota.
« Katie! » aveva iniziato a chiamare Shiro, con voce sempre più spezzata. « Katie, rispondimi! »
Ci erano voluti Hunk e Keith per bloccarlo e tentare di calmarlo.
Lance era rimasto a guardare in disparte, piuttosto turbato. Non era stata solamente quella scena a colpirlo e non era meno preoccupato per Pidge degli altri, semplicemente aveva notato lo sguardo che Keith rivolgeva al loro leader, uno sguardo affranto e disperato, e il suo lato egoista aveva desiderato di essere in qualunque altro posto, pur di non vederlo. Gli faceva male ed essere consapevole del motivo non era minimamente d'aiuto.
« Un aiuto qui sarebbe gradito! » gli sbottò contro Keith, ad un certo punto. « Non te ne importa niente di Pidge?! »
Lance si riscosse e ricambiò quello sguardo arrabbiato con uno di rassegnazione.
« A me importa eccome di Pidge, non sappiamo cosa le sia successo, ma le cabine dei leoni hanno un sistema di mantenimento vitale, quindi penso che tentare di scardinare il portello a mani nude non sia la soluzione ottimale.»
« Non possiamo lasciare le cose come stanno! Potrebbe essere successo di tutto! E Shiro... »
Keith lo afferrò per un braccio, ma Lance si sottrasse alla sua stretta.
« La sta proteggendo, Keith. Il Leone Verde la sta proteggendo, esattamente come Red ha fatto con te, come Blue ha fatto con me. Ma non è questo il problema, vero? Non è Pidge il problema. »
« Che stai dicendo?! »
La voce di Keith salì decisamente di tono, mentre il ragazzo perdeva definitivamente la calma, togliendo gli ultimi freni anche a Lance.
« Sto dicendo che tu mi sembri più preoccupato per Shiro che per tutto il resto! E non te ne rendi nemmeno conto! »
« Mi auguro che tu stia scherzando! »
« Ti sembra la faccia di uno che scherza? »
Sarebbero venuti sicuramente alle mani, se Hunk non li avesse bloccati con un'esclamazione.
« Ragazzi! Ragazzi, finitela! Il Leone Verde si è riattivato! »

Non appena il Leone Verde era tornato in funzione, il portello si era aperto spontaneamente e Shiro si era precipitato all'interno con un senso di ansia crescente. Una parte della sua mente sapeva benissimo che quello non era il comportamento corretto, che lasciarsi prendere dall'emotività andava contro ogni principio che la sua istruzione militare gli aveva inculcato; quando si trattava di Pidge, ogni razionalità andava a farsi benedire. Si era calato nell'abitacolo e l'aveva trovata lì, sul sedile, con la testa reclinata su una spalla, apparentemente addormentata. L'aveva presa tra le braccia, stupendosi per l'ennesima volta di quanto fosse piccola e leggera, e si era di nuovo arrampicato all'esterno. L'aveva stesa sul terreno, sfilandole il casco per farla respirare meglio, e ora anche gli altri Paladini si erano avvicinati con espressioni preoccupate.
« Forse dovremmo riportarla all'interno della barriera. » ipotizzò Hunk, anche se sarebbe stato difficoltoso trasportare il Leone Verde.
« Se ha perso i sensi a causa della pressione e del calore, dovrebbe riprendersi a breve. » proseguì Keith.
Shiro non li stava nemmeno ascoltando, tutto quello che desiderava era che Pidge aprisse gli occhi e gli dicesse che andava tutto bene. Se le fosse successo qualcosa, se avesse perso anche lei... No, non voleva pensarci, sarebbe stato troppo.
Istintivamente la strinse a sé, sentendola fragile tra le sue braccia ed incolpandosi di averla coinvolta in una missione così pericolosa. Avrebbe dovuto esserci lui al suo fianco durante l'esplorazione preliminare e non avrebbe dovuto permettere che prendesse parte ad un incarico dove la resistenza fisica era così importante.
« Lasciala respirare, Shiro, ha bisogno d'aria. » lo consigliò Lance, posandogli una mano sulla spalla, ma proprio in quel momento Pidge si mosse leggermente.
Shiro la fece stendere di nuovo, sostenendole la schiena e fissandola con ansia crescente. Vide i suoi occhi color miele aprirsi a poco a poco, confusi ed appannati, sbattere le palpebre un paio di volte e sospirare leggermente.
« Pidge, come...? »
« Shiro... »
La vide distendere le labbra in un pallido sorriso e sollevare una mano che posò sulla sua guancia, in una sorta di carezza.
« Shiro... lo sai...? Sono innamorata di te... »
Si sollevò appena e gli posò un bacio leggero sulle labbra, prima di accasciarsi di nuovo tra le sue braccia, priva di forze.
Shiro rimase immobile sul posto, mentre sentiva le proprie guance arrossarsi sempre di più e percepiva allo stesso tempo gli altri tre paladini sgranare gli occhi e trattenere il respiro. Calò un silenzio imbarazzato, carico di un disagio che nessuno sapeva come spezzare, finché non fu proprio Lance a parlare.
« Ok, ragazzi, direi che è giunto il momento di tornare all'interno della barriera, prima che quest'aria rarefatta faccia uscire di testa anche noi! »

 

 

 

 

Yuki - Fairy Circles

   
 
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