Titolo:
Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste,
Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero,
romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what
if...?, original character
Wordcount: 3.450 (Fidipù)
Note: Ultimo aggiornamento della settimana per quanto riguarda
Miraculous Heroes 3 (purtroppo per voi, avete ancora domani con il nuovo
capitolo di Lemonish)
e torna l'azione con il caro Taotie e la sua creatura, inoltre si scoprono
alcune cosette su personaggi vari...insomma, un capitolo un po' pieno.
Luogo di parte di questo capitolo è Champ de Mars, un giardino pubblico di
Parigi che si trova sulla rive gauche (riva sinistra). È delimitato a
nord-ovest dalla Torre Eiffel e a sud-est dall'École militaire; il suo
nome deriva dal Campo Marzio romano (e dunque dal dio romano Marte,
divinità della guerra) che indicava un'area destinata all'addestramento
militare; il giardino è stato teatro di importanti avvenimenti durante la
Rivoluzione Francese e ha ospitato anche numerosi esposizioni universali,
compresa quella del 1889, in occasione della quale fu innalzata la Tour
Eiffel.
Per maggiori informazioni vi rimando poi alla pagina
facebook, dove prossimamente farò un articolo anche su
questo luogo parigino.
Come sempre, infine, ci tengo a ringraziarvi tutti quanti: grazie a tutti
voi che leggete, commentate e inserite questa storia in una delle vostre
liste.
Grazie di tutto cuore!
Chiuse gli occhi, mentre si lasciava andare
contro lo schienale della poltrona e la sua mente poteva viaggiare,
collegandosi all’essere fatto di aria e vedere ciò che l’altra vedeva: lei
stava dormendo nel suo letto e non si era accorta dello spirito che era
entrato nell’abitazione, poteva vederla con le ciocche scure che le
carezzavano il volto e il respiro tranquillo e regolare; lui la stava
tenendo stretta a sé, una mano che le teneva il polso e il volto poggiato
contro la spalla, abbracciandola da dietro.
Dormivano entrambi, persi nel mondo dei sogni e incuranti della sua
presenza.
Allungò una mano e lo spirito fece lo stesso: voleva toccarla, voleva
sentirla sotto le sue dita…
«Che cosa stai facendo?»
La voce del suo signore lo riscosse e Taowu si alzò immediatamente,
chinandosi di fronte l’uomo che gli aveva donato tutto: «Non vi ho
sentito, mio signore» dichiarò, abbassando la testa e non osando alzarla:
«Io stavo…» si fermò, inspirando profondamente e sentendo lo sguardo di
riprovazione dell’altro su di sé: «Io…»
«Taowu» mormorò Dì Ren, fissandolo dall’alto: «Il giorno in cui ti ho dato
i poteri, ti ho anche raccomandato di non usarli e di non farti scoprire.»
«Mi dispiace, mio signore.»
«Se la toccavi tutto sarebbe stato perduto…»
«Vi chiedo perdono.»
«Taowu.»
«Sì, mio signore?»
«Non avevi perso questo sentimento per lei? Non era andato a morire il
giorno in cui lei aveva scelto un altro?»
«Io…»
«Tu la vuoi. Posso sentirlo nella tua voce e vederlo nelle tue azioni, ma
ciò ti porterà alla rovina» continuò Dì Ren, superandolo e dirigendosi
verso la stanza che usava solamente lui, cui aveva dato l’accesso solo a
Yi: «Ricordalo, Taowu» dichiarò, prima di chiudere la porta dietro di sé.
Taowu inspirò profondamente, issandosi su e socchiudendo nuovamente gli
occhi: immediatamente tornò nella camera da letto e rimase a osservarla,
finché non la vide aprire gli occhi e fissare il punto ove era l’essere
fatto d’aria; arretrò di un passo, andando a sbattere contro la poltrona e
sciogliendo così il legame che aveva con la propria creatura.
L’aveva visto?
Si era accorta di lui?
Marinette si tirò su a sedere, osservando la camera e sentendo Adrien
svegliarsi al suo fianco: «Plagg?» domandò il biondo, massaggiandosi il
volto e spostando l’attenzione sulla cesta, dove i due kwami stavano
dormendo bellamente: «Marinette, che c’è?»
«Mi sentivo osservata…» mormorò la ragazza, scostando le coperte e
alzandosi velocemente, sentendo Adrien sbuffare dietro di lei: accese la
luce nel corridoio, andando a controllare il suo piccolo studio e il resto
della casa. Non c’era nessuno, lo sapeva benissimo, eppure non poteva
togliersi di dosso la sensazione di quello sguardo che la stava spiando.
«Marinette, stavi sicuramente sognando» dichiarò Adrien, raggiungendola
nel bagno e osservandola, mentre si guardava attorno con le braccia
strette attorno al corpo: «Vuoi la tua felpa?» le domandò, avvicinandosi e
carezzandole le spalle, lasciate scoperte dalla camicetta da notte, fredde
al tatto; sorrise quando lei assentì e corse nella camera da letto,
recuperando l’indumento di Marinette.
«Che succede?» domandò assonnato Plagg, fluttuando davanti al ragazzo e
seguendolo fino al bagno: «Io te l’avevo detto che tutto quel divertimento
avrebbe portato a una bella forma di camembert in forno» dichiarò il
kwami, diventando serio quando si accorse che nessuno dei due rispondeva
alla battuta: «Che cosa sta…»
«C’era qualcuno, Plagg» dichiarò Marinette, scuotendo la testa e superando
il marito, dirigendosi verso la cucina: «Lo so che è una follia, ma ho
sentito una presenza» continuò la ragazza, accendendo la luce e
controllando anche quella parte della casa, facendo vagare lo sguardo
sulla piccola cucina e sulla grande stanza che funzionava da sala e
ingresso: «Ho sentito…»
«Calma, principessa» mormorò Adrien, raggiungendola e passandole le mani
sulle braccia: «Stavi sicuramente sognando…»
«Adrien…»
«In casa non c’è nessuno e non ci sono segni che indicano il fatto che
qualcuno sia entrato» dichiarò il ragazzo, baciandole la fronte: «E poi il
sistema di allarme non è entrato in azione, no? Quindi…»
«E se fosse stato qualcosa che non aveva bisogno di entrare?»
«Grazie, Plagg. Io sto cercando di tranquillizzarla e…»
«Le ombre!» esclamò Marinette, voltandosi verso Plagg e osservandolo:
«Pensi che sia stata una di quelle?»
«Era un’idea.»
«Che fate tutti alzati?» pigolò Tikki, facendo voltare il trio verso la
kwami rossa che, mentre si strusciava gli occhi, li fissava assonnata: «E’
già ora di alzarsi?»
Marinette sorride dolcemente, avvicinandosi alla kwami e prendendola tra
le dita: «No, è ancora presto» bisbigliò, voltandosi verso gli altri due e
facendo cenno loro di tornare in camera, mormorando poi qualcosa allo
spiritello rosso.
Adrien sospirò, spegnendo le luci che Marinette aveva accesso e
raggiungendo poi la ragazza a letto: «Sei tranquilla?» le domandò,
baciandole la spalla e sistemandosi come era solito, con Marinette fra le
sue braccia e il volto nascosto contro il collo di lei.
«Più o meno. Non me lo sono immaginata, Adrien.»
«Lo so, my lady.»
La ragazza inspirò profondamente, chiudendo gli occhi e cercando di
dormire nuovamente, anche se poteva sentire ancora lo sguardo sconosciuto
su di lei.
Nonostante l’aria frizzante della prima mattina, alcuni turisti coraggiosi
si erano già avventurati per Champ de Mars, godendo della bellezza del
meraviglioso giardino pubblico dominato dalla Tour Eiffel: la guida fissò
il gruppetto, che stava portando a giro per Parigi, e indicò l’imponente
struttura di metallo, iniziando a raccontare la storia come sempre faceva
ma, quando si accorse che nessuno la stava ascoltando, si voltò verso i
turisti e notò come erano interessati a un punto alla sua sinistra.
Si voltò, osservando l’uomo in armatura che, in mezzo alla strada, stava
ridendo a voce alta prima di alzare la lancia che teneva in mano: la donna
si strinse nel giaccone, osservando un turbine di sabbia e rocce
materializzarsi al centro dello spiazzo erboso e dare forma a quella che
sembrava, senza ogni ombra di ragionevole dubbio…: «Una sfinge?» esclamò,
fissando a bocca aperta la statua di pietra così simile a quella che si
poteva trovare nella piana di Giza a parte per la figura femminile che
sembrava cavalcare il colosso di pietra.
Alex sbadigliò, armeggiando svogliato con il cellulare e ascoltando
distrattamente le conversazioni radio della polizia: furto in Rue du Four…
Ok, ci avrebbero pensato il caro tenente.
Oh, sembrava ci fosse una lite domestica da qualche parte e il marito le
stava prendendo di brutto.
Sempre compito di Raincrompix.
Una sfinge era apparsa a Champ de Mars.
Alex si mise sull’attenti, ascoltando la comunicazione fra l’addetto della
forza dell’ordine che si trovava sul posto e il centro di comando: alzò lo
sguardo, sistemandosi gli occhiali e raggiungendo velocemente le porte
della metrò, mentre azionava l’app che l’avrebbe messo in contatto con
tutti gli altri, sorridendo all’anziana signora che l’aveva fissato
malevola, quando aveva cercato di superarla per mettersi davanti la porta.
Il mezzo si fermò e Alex scese, raggiungendo immediatamente l’uscita e
salendo poi verso la superficie: una volta giunto in strada si guardò
attorno, storcendo le labbra quando si rese conto che non conosceva quella
parte della città.
«Alex, ti prego, no» sospirò la voce di Adrien al suo orecchio, mentre lui
cercava di raccapezzarci: dov’era? Maledizione. Dove era sceso?
«Fatto tardi ieri sera, micetto?» domandò divertito Rafael, mentre un
borbottio in lontananza confermò la presenza di Sarah: «Beh, li preferisco
i nemici mattutini, devo dire.»
«Marinette non mi ha fatto dormire, ieri sera.»
«Cosa avrei fatto io?»
«Oh. Se continua così avremo un mini-boss a breve!» dichiarò Lila,
ridacchiando: «Ce lo vedo il pupo – o la pupa – a darci ordini.»
«Mentre voi parlate tranquillamente, vi avviso che c’è una Sfinge a Champ
de Mars. Ed io non so dove sono.»
«Come non sai dove sei, Alex?» domandò Sarah, preoccupata: «Vuol dire
che…»
«Voglio dire che, appena ho saputo la notizia, sono sceso dalla metrò
senza star troppo a guardare a quale fermata ero! E ora non so dove sono!»
«Scusatemi, dovevo liberarmi di Jérèmie. Che mi sono perso?»
«A parte che a breve avremo un mini-boss e abbiamo Alex disperso per
Parigi?» precisò Lila, ridacchiando: «Niente di che, Thomas. Ah sì, c’è
una Sfinge a Parigi.»
«Una Sfinge sfinge?»
«No, una Sfinge finta.»
«Volete trasformarvi e andare?» sbottò Alex, respirando profondamente: «Io
cerco di capire dove sono e vi tengo tutti in contatto.»
«Che succede? C’è un attacco? Serve Marshmallow?»
«Qualcuno mi spiega perché, come e quando il moccioso americano ha
infilato un app nel mio cellulare?»
«Io starei a ore ad ascoltare i discorsi che facciamo in queste chiamate
di gruppo» ridacchiò Adrien, mentre rumori diversi giungevano alle
orecchie di Alex: «E Felix…»
«Sì?»
«Per caso hai lasciato il tuo cellulare da solo con Alex?»
«Non pensavo che dovevo preoccuparmi della virtù del mio cellulare, oltre
quella di Xiang.»
«Perché dovresti preoccuparti della mia virtù?»
«Ehi, sergente Norton. Com’è che ora ti preoccupi tanto della virtù di una
povera fanciulla?»
«Oh. Ma io mi sono sempre preoccupato della tua…»
«Vi ricordo che ci sarei anche io collegato» dichiarò Thomas, zittendo
Bridgette e Felix: «E non voglio sapere assolutamente niente di virtù
perdute.»
«Trasformatevi e andate tutti a Champ de Mars! Subito!»
«E fu così che scoprimmo che il vero capo della baracca era Alex» dichiarò
Thomas, sospirando: «Bridgette, Xiang. Dove possiamo trovarci? Così
facciamo la cosa delle akuma?»
«Vieni a casa di Felix.»
«Arrivo subito. Il tempo di diventare Hawkmoth!»
«Scusate. Com’è che Bridgette è a casa di Felix?»
«Te lo spiegherò poi, gattino.»
«Tu non spieghi proprio niente, sergente Norton.»
Alex sospirò, massaggiandosi il volto e chiuse la chiamata di gruppo: li
avrebbe contattati tutti più tardi, una volta che si fossero trasformati,
per il momento aveva solo bisogno del suo fidato Maps per capire in che
parte del mondo era.
Chat Noir balzò su uno dei lampioni, osservando l’imponente statua animata
che sembrava trovare interessante distruggere tutto ciò che aveva a
portata di zampa: «Oh. Io non vorrei dire ma con questa meraviglia, le
battute si sprecano!» sentenziò il felino, accucciandosi e sorridendo:
«Ehi, bel gattone! Hai perso il tuo gomitolo?» domandò, attirando su di sé
l’attenzione della Sfinge e sorridendo.
«Un benvenuto a voi, eroi di Parigi!» tuonò una voce potente maschile e il
gruppo portò l’attenzione sull’uomo in armatura ai piedi dell’animale di
pietra: «Io mi chiamo Taotie e sono qui per conto del mio signore.»
«Armatura. Maschera. Questo è parente di Mogui» decretò Chat, scivolando a
terra e roteando con nonchalance il proprio bastone: «Avrà anche lo stesso
odio per gli specchi? Che ne dici, pennuto?»
«Di certo va male a storia. La Sfinge – quel tipo lì, in particolare – si
trova in Egitto.»
«Ma Napoleone portò qua molte meraviglie egizie» decretò Taotie, ridendo
poi sguaiato: «E a Parigi c’è anche una sfinge.»
«Sì, al Louvre» decretò Peacock, incrociando le braccia al petto: «Non
certo a giro per Parigi a distruggere.»
«Sottigliezze»
«Se la lezione di storia è finita, Peacock» mormorò Ladybug, balzando sul
lampione vicino a lui: «Potresti gentilmente usare il tuo potere, mentre
noi…» si fermò, osservando Marshmallow caricare contro la sfinge e
assestarle un pugno in pieno viso, facendola finire a parecchi metri di
distanza: «… aiutiamo la creatura di Coeur Noir a tenere occupata la
Sfinge.»
Peacock annuì, balzando indietro e chiudendo gli occhi: Ladybug l’osservò,
facendo poi un cenno al resto del gruppo e guardando mentre caricavano
tutti contro la Sfinge e la colpivano in ogni modo possibile: sfere di
energia, fuochi fatui, boomerang e quant’altro venne scagliato contro il
colosso mentre lei rimase a proteggere il pavone da un eventuale attacco.
Restò in allerta, osservando un tipo in bianco e dalle orecchie feline –
quasi sicuramente Felix Blanchet akumatizzato – ingaggiare invece un
duello con il nemico che si era presentato come Taotie: usando il proprio
bastone da passeggio come se fosse una spada, parò i fendenti della lancia
dell’altro e attaccò poi a sua volta, facendolo indietreggiare fino a
toccare la recinzione della fontana che divideva in due la strada:
«Allora?» domandò la coccinella, saltando giù dal lampione e osservando
Peacock riapre gli occhi: «Visto…»
«Un Lucky Charm interessante questa volta» dichiarò l’eroe in blu, con
un’espressione sconvolta in volto: «Alle volte odio il mio potere.»
Ladybug annuì, lanciando in aria il proprio yo-yo e osservando un
punteruolo materializzarsi dal nulla: «E cosa dovrei farci?»
«Eh. Sapessi.» mormorò Peacock, prendendolo e correndo poi verso la
Sfinge, con la coccinella al seguito: osservò Volpina suonare alcune note
e creare delle copie di sé stessa, spedendole in ogni direzioni, mentre
Tortoise parava le zampate dell’avversario con il suo scudo, proteggendo
così sia sé stesso che il piccolo Hawkmoth dietro di lui.
Chat balzò su un lampione, cercando di saltare sul colosso e raggiungere
l’amazzone di pietra ma venendo fermato da una zampa dell’animale; e
finalmente Peacock la vide, mentre volava sopra la testa del bestione,
pronta a prendere la mira e lanciare un pungiglione contro l’amazzone:
«Bee!» esclamò l’eroe, attirando l’attenzione della Portatrice del
Miraculous dell’Ape che, lasciando perdere il tutto, gli planò vicino:
«Direi che è ora di mettere in pratica quella cosa...» iniziò Peacock, non
appena lei gli fu davanti.
Bee spalancò lo sguardo nocciola, fissando per un attimo Ladybug al fianco
del ragazzo: «Ne sei certo? Non ti facevo così intraprendente…»
«Cosa? No! Che hai capito?»
L’ape ridacchiò, facendogli l’occhiolino: «Sei tu che parlavi di fare
cose, honey» dichiarò, alzando le spalle e sorridendogli dolcemente: «Ho
semplicemente pensato…»
«Quello che abbiamo provato in allenamento, Bee.»
«Oh. Quindi fate anche allenamento?»
«Boss, stai troppo tempo con il tuo micio» sbottò Peacock, facendo poi un
cenno all’eroina gialla: Bee si dette la spinta per librarsi in aria,
effettuando poi un’ampia ruota nel cielo e scese in picchiata, rasentando
il terreno con i corpo, afferrò poi l’eroe in blu per una mano e lo tirò
su in alto con sé: «Ok, apetta» dichiarò il pavone, piegando il collo
all’indietro e sorridendole: «Mollami.»
Bee annuì, lasciandolo andare e l’osservò mentre atterrava sulla schiena
della Sfinge: Peacock, cercando di mantenersi in equilibrio sul dorso
dell’animale, avanzò verso la parte posteriore con il punteruolo in mano e
si voltò indietro, dando una veloce occhiata all’amazzone che cavalcava
quell’affare e accertandosi che era troppo presa dal resto del gruppo per
notarlo; s’inginocchiò e, alzato l’oggetto creato da Ladybug, usò tutta la
sua forza, conficcandolo nel didietro della Sfinge.
L’animale di pietra si dimenò, iniziando a saltellare sulle quattro zampe
e Peacock perse l’equilibrio, cadendo nel vuoto ma invece del terreno e
del dolore, avvertì solo freddo: riaprì le palpebre, che aveva chiuso nel
momento della caduta, e sorrise al muso di Marshmallow: «Grazie, amico»
dichiarò, ricevendo un grugnito in cambio: «Chat, l’amazzone! E’ l’anima
dell’intero mostro!»
Il felino annuì, facendo poi un cenno a Coeur Noir che, creati alcuni
pugnali di ghiaccio, li lanciò a ripetizione contro la figura femminile di
pietra che stava cercando di riprendere il controllo della Sfinge; il
felino balzò su una zampa che la bestia aveva alzato, agilmente arrivò
sulla cima della testa, azionando il proprio potere e posando la mano
intrisa di forza distruttrice sulla schiena dell’amazzone.
La figura si sbriciolò sotto di lui e Chat si ritrovò nel vuoto, venendo
fortunatamente salvato da Marshmallow, ridacchiando e dando una generosa manata sulla spalla di Peacock: «Bell’idea quella di
infilarle qualcosa nel…»
«Finisci quella frase, Chat Noir, e dico a Marshmallow di renderti una
frittata di gatto!» tuonò Coeur Noir, indicando il ragazzo comodamente
sistemato nella mano del gigante di ghiaccio e correndo poi verso Chat
Blanc che, incurante dello scontro appena avvenuto, stava ancora duellando
con Taotie: rimase a fissarli, mentre l’uomo in bianco metteva alle
strette il nemico fino a che, poggiato ansante alla propria lancia,
quest’ultimo guardò male il gruppo di eroi.
«Non è finita qui!» dichiarò Taotie, infilzando il terreno con l’arma e
creando un turbine di terra, che lo avvolse: «Non è finita qui!»
«Qualcuno può spiegare a questi cattivi che la sparizione in un turbine è
out?» domandò Volpina, tossendo per colpa della polvere: «Tortoise!»
«Che ci posso fare io?»
«Niente! Ma la prossima volta, proteggimi con il tuo scudo.»
«Come la mia signora comanda.»
«Ehi, Torty! Non si rubano le battute!»
Manon sorrise, mentre scartava una caramella per Nooroo e la dava alla
fatina, seduto vicino a lei Thomas teneva gli occhi chiusi e la testa
riversa all’indietro: «E’ stato così stancante?» domandò la ragazzina,
inclinando lieve il capo e vedendo l’altro aprire una palpebra: «Sembri
distrutto.»
«Non è che abbia combattuto…» mormorò Thomas, sospirando: «E che
akumatizzare più persone assieme è…»
«Lo debilita mentalmente» spiegò Nooroo, addentando il dolcetto: «Questo
perché deve collegarsi mentalmente con i propri campioni.»
«Ricordo che quando venni akumatizzata sentivo una voce nella mia testa…»
«Oh. E’ vero. Anche tu sei stata vittima del mio potere» dichiarò il kwami
violetto, chinando la testa: «Ti chiedo venia, piccola Manon, il mio
precedente Portatore aveva perso la strada e usava il mio potere in
maniera errata.»
«Nessun problema, Nooroo. Io ci avevo messo del mio.»
«Perché eri stata akumatizzata?»
«Ah. Ecco…Mh…» il sonoro rumore di uno schiaffo la interruppe: Manon si
voltò, osservando una compagna di scuola, dello stesso anno di Thomas,
scappare via in lacrime mentre Jérèmie rimaneva immobile al suo posto.
«Quando lo capiranno…» sospirò il ragazzo accanto a lei, osservando anche
lui la tipa che fuggiva.
«Capire cosa?»
«Che non avranno mai una speranza con Jérèmie.»
«In effetti l’ho sempre visto rifiutare tutte quelle che si sono
dichiarate…»
«Beh, con i gusti che ha…»
«Vuoi dire che…»
«Io non ti ho detto niente, Chamack. Jérèmie ha già parecchi problemi con
il padre per questo e…» si fermò, guardandosi attorno: «Non vuole che a
scuola si sappia.»
«Sarò muta.»
Thomas le sorrise, annuendo: «Lo so. Mi fido di te.»
Marinette entrò nell’appartamento, accendendo la luce e guardando la
stanza che ormai conosceva bene: il divano con il tavolino basso, la
televisione, l’arco al di là del quale c’era la cucina, l’enorme porta a
vetri che dava sul terrazzo immerso nel verde; poggiò la borsa e chiuse la
porta dietro di sé, inspirando profondamente.
Sentiva addosso quella sensazione, nuovamente le pareva di essere
osservata anche se non sapeva come ciò fosse possibile.
Scosse il capo, togliendosi la sciarpa dal collo e dirigendosi verso la
camera, gettando poi il cappotto sul letto: era sicuramente una
suggestione. Doveva essere così.
Prese alcuni abiti che, di solito indossava in casa per stare più comoda,
ed andò poi in bagno, decisa a farsi una lunga doccia calda per togliersi
la fatica e quell’assurda sensazione; allungò una mano, azionando le
manopole dell’acqua e osservando il getto per una buona manciata di
minuti, prima di iniziare a spogliarsi.
Non c’era assolutamente nessuno.
Non c’era nessuno.
Se lo ripeté come un mantra, entrando nella cabina doccia e chiudendo la
porta dietro di sé, non facendo caso all’asciugamano, poggiato sul lavabo,
che si mosse appena.
Yi osservò l’uomo per terra, mentre si teneva dolorante la mano sinistra e
quasi avvertì le ombre attorno a sé muoversi: «Mio signore» mormorò,
inginocchiandosi di fianco a lui e posandogli una mano sul petto: «Vi
state solo facendo male. Dovete smetterla. Kwon, voi…»
«Non dire quel nome» ringhiò l’uomo, inspirando profondamente e lasciando
andare il potere che aveva provato a evocare: Kang. Tutta colpa di quel
maledetto di Kang.
Non aveva mai capito perché quell’uomo, che tutto vedeva e sapeva, si era
lasciato uccidere così facilmente da lui.
Lo aveva saputo che sarebbe stato l’artefice della propria morte, eppure
lo aveva accolto nella sua casa.
Poi, il giorno che aveva usato le ombre contro gli uomini di quello
stupido tedesco, aveva compreso.
Aveva capito la maledizione che Kang gli aveva imposto con la propria
morte, con il proprio sangue.
«Avrei avuto i Miraculous adesso» ringhiò l’uomo, picchiando il pugno sul
pavimento: «Se quel maledetto non mi avesse bloccato i poteri.»
Yi lo fissò, posandogli le mani sulle guance e osservandolo in volto: «Hai
me. Usami come preferisci, mio signore. Farò tutto ciò che è in mio potere
per portarti ciò che desideri.»
«Ho altre pedine, no?» domandò sarcastico l’uomo: «Perché usare te quando
posso farlo con loro?»
Il campanello dell’abitazione suonò imperioso e Fu si apprestò ad andare a
aprire, trovandosi davanti la sua vecchia compagna d’armi: «Bridgette…»
mormorò, facendosi da parte e permettendo a lei di entrare: «Se cerchi
Alex, non è…»
«Fu. Io ti devo parlare.»
L’uomo la fissò, annuendo gravemente: «Lo so. Lo immaginavo, Bridgette.»
«Io…»
«Va tutto bene.»
«No, che non va bene.»
«Bridgette, non è scritto da nessuna parte che un Gran Guardiano non possa
avere una famiglia e, fidati, ti meriti un po’ di felicità dopo tutto
quello che hai passato.»
«Ma…»
«Bridgette, piantala di nasconderti dietro la scusa che sei la mia erede:
vai da Felix e sii felice.»
«Grazie, Fu.»
«Sono tuo amico, no?»