“Emancipate
yourselves from mental slavery
None but
ourselves can free our minds”
Mattia era una testa
dura già per principio. Quando ci si metteva, poi, niente e nessuno avrebbe
potuto fargli cambiare idea.
Chrysta mi avrebbe ammazzata se avesse
saputo che avevo acconsentito – per modo di dire – che Mattia tornasse nel
luogo in cui era quasi morto, potenziale fonte di stress fisico e psicologico,
per fare qualcosa che non solo si sarebbe potuta rivelare un’impresa suicida ma
avrebbe anche rincarato la dose di stress fisico e psicologico.
Come ci videro arrivare, Logan e Trish,
appostati fuori al palazzo dei mannari con aria annoiata dall’ora di pranzo, ci
corsero incontro esaltati.
— Buoni, buoni — li calmai. — Mattia non
vuole fare una strage. Vuole solamente parlare.
— E spero voi sappiate che so parlare abbastanza
bene — sottolineò il diretto interessato con finta aria di superiorità.
— Uhm, okay — acconsentì immediatamente
Logan. — Tanto per la cronaca, finora non c’è stato alcun movimento sospetto, a
parte un uomo e una donna che sono usciti da una stanza sistemandosi i vestiti.
— E tu come avresti fatto a vederli,
considerando che al piano terra non ci sono camere se non quella nascosta nel
muro? — lo interrogai aggrottando le sopracciglia.
— Ho la runa di Lunga Vista — borbottò lui
di rimando. Aveva le guance rosse. — Forza, andiamo.
Trish aprì il portone e ci fece entrare, poi
lo richiuse dietro di sé. — Domandina innocente: come faremo a chiamare a
raccolta tutti i lupi senza farci scannare?
— Grazie a me — disse una voce alle nostre
spalle.
Ci voltammo con un sussulto. A me balzò il
cuore in gola.
Una donna vestita di nero mosse un paio di
passi verso di noi. I tacchi alti riecheggiarono sul marmo lucidissimo del
pavimento. Portava i capelli raccolti in uno stretto chignon fermato con uno
spillone dai riflessi dorati. Il tailleur rigoroso e l’espressione fredda la
facevano assomigliare a una severa insegnante di danza classica.
Trish trattenne il fiato. — Ho combattuto
contro di lei ieri sera. Mi complimento per la bravura.
— La ringrazio — rispose la donna
ricambiando l’uso della terza persona. — Conosco molti stili di lotta e ho
avuto spesso a che fare con i Cacciatori.
Ci chiamava alla maniera italiana, notai.
Non come il boss, che preferiva “Shadowhunter”. Detto da lei, sembrava un
complimento. O quantomeno non suonava dispregiativo.
— Io sono – ero – colei che il capo di
questo clan si ostinava a considerare “moglie” — riprese avvicinandosi
ulteriormente e incrociando le braccia sul petto generoso. — Ho sposato quella
razza di canaglia per... be’, un matrimonio combinato. La notte scorsa ho
osservato da uno spiraglio quanto succedeva in quella stanza. — La indicò con
un gesto della mano. — Mi dispiace di non essere intervenuta, ma se avessi
anche solo bussato alla porta avrei fatto la sua stessa fine, Alpha — continuò
rivolgendosi a Mattia. — Uccidendo Carmine mi ha tolto un grosso, grosso peso
dalle spalle. Non lo dimenticherò mai. Non dimenticherò mai il servizio che
tutti voi mi avete reso.
Mattia si limitò a un formale e confuso
cenno del mento, imitato da me e Logan.
Trish al contrario dovette dire la sua. —
Perché mi ha affrontato? Avrebbe potuto morire anche lei.
— Ripeto: non è la prima volta che mi
ritrovo faccia a faccia con un Cacciatore armato — replicò la donna. — So come
difendermi, e in ogni caso avevo l’obbligo di dimostrare agli altri lupi che
ero vostra nemica e non, come invece è in realtà, vostra amica. Vado a radunare
il branco — concluse. — Voi aspettatemi qui.
Appena fu fuori portata d’orecchio,
sussurrai a Mattia: — Wow. Entrata a sorpresa. Ti fidi di lei?
— Sì — affermò lui. — Non per un secondo ho
percepito che ci stesse mentendo. Anzi, in lei ho avvertito una sorta di...
timore reverenziale. Potrebbe essere una forte alleata.
— Sono d’accordo, ma non la sottovalutare.
Certa gente ti volta la faccia quando meno te l’aspetti.
— Non lo farò — promise. — Ho più motivi di
chiunque, qui, per restare sul chi va là.
Proprio in quel momento un rumore ci fece
scattare in modalità sentinella.
Dalle scale sulla sinistra cominciarono a
scendere una ventina di persone, capitanate da un tizio vestito di nero –
evidentemente andava di moda tra i mannari – che doveva avere più o meno la
stessa età di Mattia.
Il ragazzo ordinò alla folla di arrestarsi
in fondo alle scale e ci venne incontro. Somigliava moltissimo alla donna che
ci aveva accolto.
— Salve
— ci salutò freddamente. — Adriano Mallardo, figlio
dell’ex boss Carmine che voi avete ucciso. Non vi
giudicherò per questo, anzi, almeno su questo mia madre ed io
siamo su un’unica
linea di pensiero. Tuttavia non ripongo molta fiducia in te. —
Incrociò lo
sguardo di Mattia. — Sei troppo giovane per guidare un clan di
queste
dimensioni.
— Oh, lo so — ribatté Mattia a bassa voce. —
Ma tuo padre non la pensava allo stesso modo quando mi ha brutalmente morso e
mi ha trasformato in una creatura che credevo fosse frutto della fantasia. Secondo
lui ero abbastanza maturo per affrontare una questione di tali proporzioni,
seppur in un ruolo diverso, quindi perché non dovrei essere adatto per questo
incarico? Ti consiglio di riporre la tua fiducia in me. Se la tradirò, i cocci
saranno solo e soltanto miei. Se non la tradirò, saprai che hai fatto un’ottima
scelta.
Adriano lo scrutò per un ultimo secondo, poi
chinò leggermente il capo con riverenza. — Per ora, mi piaci. In futuro...
vedremo.
— Cercherò di non fartene pentire — rincarò
Mattia. — Il branco è al completo?
— Sì — confermò Adriano, poi si voltò e ci
condusse verso il bordo della piscina al centro della stanza. Si fermò accanto
ad una delle statue-lupo e ce la indicò. — Papà sospettava molto della fedeltà
del suo branco. In ognuna di queste sono nascoste una microspia e un microfono
panoramico. Ti sentiranno anche al piano di sopra. — Dopodiché sparì tra la
gente.
Assestai a Mattia una pacca sulla spalla. —
Animo, horator. Dai il meglio di te.
Lui sbuffò, nervoso. — Tenetevi pronti, nel
caso la situazione dovesse sfuggirmi di mano. Sorvegliate la folla e fatemi un
segnale se doveste notare qualcosa di strano.
— Siamo nati pronti — lo rassicurò Logan con
un sorriso d’incoraggiamento. — Male che vada, li convincerai tutti con un bel
pranzo al ristorante. E, per inciso, stiamo ancora aspettando un invito.
— La settimana prossima riapriamo. Lunedì verso l’una? — propose Mattia.
— Perfetto — concordò Trish. — E ora bando
alle ciance.
Logan e Trish si divisero, andandosi a
posizionare l’uno nei pressi di un tavolo da biliardo sulla sinistra e l’altra
di fronte alla porta segreta, sulla destra. Io invece puntai il ballatoio, dal
quale avevo la completa visuale dell’atrio.
— Buonasera — esordì Mattia, palesemente
agitato. — La maggior parte di voi non mi ha mai nemmeno incrociato per strada
e sicuramente si sta domandando chi diavolo sia quel ragazzino che crede di
avere il diritto di parlare a persone di un certo riguardo come voi. Perciò mi
presento: Mattia Nardone, appena diciannovenne, catapultato in un mondo di cui
mai avrebbe voluto conoscere l’esistenza da un uomo che, ieri sera, l’ha
istigato al suicidio.
Dall’alto, vidi che parecchi corpi avevano
sobbalzato. Le possibilità allora erano due: o non avrebbero mai immaginato che
il loro capo potesse arrivare a tanto, o non era una novità.
— Mi ha detto che mi aveva morso
intenzionalmente — continuò Mattia, l’espressione dura come una pietra, e molte
delle persone che avevano già sussultato trasalirono di nuovo. — So vagamente
cosa siano gli Accordi, ma ne so abbastanza da essere certo che quanto ha fatto
il vostro Alpha è totalmente contrario alle leggi che governano la vita di noi
Nascosti. In realtà è contrario anche alle leggi dei mondani e a qualsiasi
legge morale, ma vi ritornerò in seguito poiché qui questo genere di azioni
illecite e, permettetemi, disumane non è l’unico. Dunque, non vi racconterò
integralmente cos’è successo la scorsa notte, anche e soprattutto perché il
ricordo è ancora recente e vivido nella mia mente e ripensarci mi fa male. Vi
basti sapere che l’Alpha mi ha messo una pistola in mano e mi ha ordinato di
spararmi. Per incentivarmi...
Alzò la testa e mi guardò, come per
chiedermi il permesso di parlarne. Gli feci cenno di sì.
— Per
incentivarmi ha bloccato le vie respiratorie alla ragazza che mi ha
accompagnato, un’amica fedele e sincera, già legata alla scrivania per polsi e
caviglie. A quel punto, ho sparato. Ma non a me stesso. Ho ucciso l’Alpha. L’ho
ucciso io.
Si bloccò e prese un profondo respiro, forse
aspettandosi che chiunque in quella stanza gli saltasse in preda a una furia
omicida.
— Non so come vi siate spiegati o come vi
abbiano spiegato ciò che è successo meno di ventiquattr’ore fa. Non so se la
morte di almeno due lupi e diversi ferimenti siano stati insabbiati oppure ne
siate a conoscenza. Anch’io ci sono quasi rimasto, essendo stato pugnalato con
una lama d’argento da uno dei tirapiedi del boss. Fatto sta che tutto è
iniziato con quello sparo. Me ne prendo la responsabilità, non nego né rinnego
nulla. Da quando ho premuto il grilletto non è passato un unico momento senza
che mi sentissi un brutale assassino, ma l’ho fatto per salvare non solo la mia
vita, bensì anche quella di Lorianne. Di istinto di sopravvivenza dovreste
capirne più di me. Comunque, fino a prova contraria adesso sono il vostro nuovo
Alpha. Dovrete rispondere esclusivamente a me.
E cominciamo col mettere un bel po’ di cose in chiaro.
Mosse un paio di passi in avanti con più
sicurezza rispetto a poco prima. — Chi, tra voi, ha subìto la mia stessa sorte
non abbia paura a dirlo. Dimenticate quel regime di terrore nel quale vivevate
fino a ieri, perché da oggi in poi tutto sarà diverso. Suppongo siano in
minoranza, qui, coloro che hanno deciso autonomamente
di condurre quest’esistenza basata sul significato letterale della parola
“Nascosto”. Si deduce quindi che la maggioranza sia stata trascinata in questo
mondo con la forza, come il sottoscritto, e che sia stata costretta a
rimanervi. Se avete giurato fedeltà all’ex Alpha, se con lui avete fatto un
patto di sangue, per me non ha alcuna importanza. Ormai è morto, e insieme a
lui nella tomba sono finite anche tutte le disgrazie che avete dovuto patire.
Se questa vita non vi piace, andatevene. Siete liberi di fare ciò che ritenete
il meglio per voi. Se invece vi sta bene, restate. A me farà soltanto onore. Ci
tireremo fuori da qualsiasi losco affare, ci ripuliremo le mani dal sangue e
renderemo il Sottomondo di Gaeta migliore per chiunque. Attenzione, però:
pretendo onestà e franchezza. Se mi rivelate di aver commesso qualche atto
sbagliato, tranquilli, non vi giudicherò. Ma se invece dovessi scoprirlo da
solo sarò inflessibile e vi consegnerò alla giustizia senza patteggiamenti.
Sarà punito anche chi per uno strano motivo si sentirà in dovere di farmi una
soffiata sulla condotta di questo o quell’altro.
Si passò la lingua sulle labbra. — In
sintesi, vi sto offrendo una possibilità. Non sprecatela. Offritemi una
possibilità anche voi, e prometto che non la sprecherò. Qualcuno ha da
obiettare?
Un tipo alzò subito la mano. — Come possiamo
essere sicuri che farà tutto quello che ha detto, Alpha?
— Non potete — rispose schiettamente Mattia.
— E per favore, smettetela di darmi del lei.
— Io vorrei una garanzia — replicò una tizia
dai capelli alla Crudelia De Mon. — Mi perdoni, ma sono una persona pratica e
per me contano più i fatti che le parole.
— Smettetela di darmi del lei — ripeté
Mattia con un piccolo sbuffo di impazienza. — Avete ragione a dubitare delle
mie parole. Purtroppo l’Italia non ha una buona fama in materia di promesse
mantenute. Però io parlo inglese per la metà del tempo.
L’innocente battuta sortì il suo effetto:
molti lupi ridacchiarono.
— Scripta
manent, verba volant, dicevano i Latini — commentò Mattia. — Gli scritti
restano, le parole volano.
— Quindi perché non firmare una
dichiarazione? — propose una terza persona. Era Adriano.
— Se fossimo vampiri, un patto firmato col
sangue avrebbe un diverso valore e mi vincolerebbe per sempre e senza
scappatoie a quanto concordato — contestò Mattia, — ma se servisse a
tranquillizzarvi lo farei immediatamente.
— No. Impiegheremmo troppo tempo. — La donna
che ci aveva accolti si fece avanti e raggiunse Mattia. — Andiamo, compagni,
davvero non siete disposti a credere a...?
— Mattia.
— Mattia? — riprese lei. — Davvero non
comprendete quanta verità c’è nel suo discorso? Voi tutti siete abituati a dar
credito solamente alla violenza, e dovete ringraziare quel grandissimo bastardo
di mio marito per questo. Prima vi lamentate di com’era bella la vostra vita
prima che Carmine vi adescasse per le strade, vi mordesse e vi portasse in
questo posto dimenticato da Dio, e poi quando vi viene concesso di tornare chi
eravate anni fa ve ne fregate altamente! Per una volta, usate la testa al posto
di denti e artigli! Per una volta, siate umani piuttosto che lupi!
Fissò Mattia dritto negli occhi per un
brevissimo istante, poi s’inginocchiò ai suoi piedi mostrandogli la gola.
Pian piano,
lentamente, un lupo dopo l’altro la imitò. Nessuno escluso.
— Rialzatevi — ordinò Mattia. — E che non si
faccia mai più una cosa del genere. Abbandonate queste usanze da barbari. Siamo
tutti allo stesso livello, qui. Scusatemi se ho fatto intendere il contrario.
— No — negò qualcuno. Sporgendomi dal
ballatoio, mi accorsi con sorpresa che era una minuta ragazza di massimo
quindici anni. — Hai fatto intendere esattamente ciò che volevi far intendere.
Mattia le rivolse un largo sorriso. — Ti
ringrazio.
— No — negò nuovamente lei. — Siamo noi a
ringraziare te.
“How
long shall they kill our prophets
While
we stand aside and look
Some
say it’s just a part of it
We’ve
got to fulfill the Book”
Ci congratulammo con
Mattia per la meravigliosa orazione. Lui accolse ogni complimento facendo il
modesto, sebbene la modestia stonasse con l’aria autoritaria che aveva
acquistato.
— La fortuna è stata dalla mia parte —
concluse scrollando le spalle. — E adesso... ci si mette all’opera!
— Neanche per sogno! — protestai
all’istante. — Adesso, usciamo di qui e ci facciamo il lungomare a piedi fino
alle Poste.
— Be’, non hai tutti i torti. Mi farebbe
bene scaricare un po’ i nervi — confessò lui. — Però... uff, c’è un lavoretto
che non voglio rimandare.
— Ci pensiamo noi — lo tranquillizzò Logan.
— Vero, Trish?
— Verissimo — confermò lei. — Finalmente,
della buona e sana attività investigativa.
— Vi farò una statua — sospirò Mattia con
riconoscenza. — Allora, dovreste perquisire la stanza nascosta nel muro e
qualsiasi mobile su cui riusciate a mettere le mani. Radunate qualunque foglio
o oggetto sospetto e magari interpellate la moglie del boss o suo figlio a
riguardo, se è proprio sospetto sospetto.
— Portiamo tutto a casa oppure lo lasciamo
qui? — domandò Trish.
— Decidete voi — rispose Mattia passandosi
una mano sul viso stanco. — A me farebbe più comodo la prima opzione, ma la
scelta è vostra.
— Perfetto. — Logan ci salutò e insieme a Trish
sparì nello studio segreto.
Uscire da lì non si sarebbe rivelata
un’impresa semplice. Infatti non riuscimmo ad allontanarci nemmeno di un
centimetro prima che la faccia scura di Adriano si piazzasse di fronte a noi.
Mattia alzò un sopracciglio. — Sai, vorrei
andarmene.
— C’è il funerale di papà — contestò
Adriano. Non accennò minimamente agli altri lupi morti. — Non partecipare non
sarebbe visto di buon occhio.
— Sì, ma partecipare equivarrebbe a
tributare onore a un uomo che di onore non ne aveva affatto — replicò
bruscamente Mattia. — Oltretutto non me la sento, Adriano, davvero.
Per tutta risposta Adriano girò sui tacchi e
borbottando si avviò rigido al piano di sopra.
Sua madre, scendendo, gli lanciò uno sguardo
di fuoco e subito corse a scusarsi con Mattia. — Perdonalo — lo supplicò. — È
ancora sotto shock.
— Lo sono anch’io — ribatté lui in tono
aspro. — Quindi, per favore, non trattenetemi qui.
La donna annuì. — Capisco. Non lo faremo. —
Tese la mano. — Comunque io sono Sabrina Monti.
Mattia gliela strinse. — Mattia Nardone, se
non si fosse capito.
Lo imitai. — Lorianne Herondale... sempre se
non si fosse capito.
Sabrina sobbalzò leggermente. — Herondale...
quegli Herondale?
— Ci siamo solo noi — sospirai. — Sì, quegli Herondale. Il mio cognome a
quanto pare mi precede anche in Italia.
— Il cognome non è altro che un insieme di
lettere — osservò Mattia. — Non dovrebbe pregiudicare chi lo porta.
Sabrina s’incupì. — Io sono stata spesso
pregiudicata per il mio cognome, da sposata e da nubile. Mi auguro che non
succederà più in futuro.
— Me ne assicurerò personalmente — le
promise Mattia, poi la congedò con un cenno del mento e si diresse impettito
verso il portone, seguito da me.
Attraversato l’atrio e oltrepassata la
soglia, il sole, nonostante fosse schermato dai palazzi e comunque abbastanza
basso all’orizzonte, ci ferì gli occhi. Mattia, che doveva ancora fare i conti
con le conseguenze della licantropia, iniziò a versare lacrime come se fosse
tremendamente allergico ai pollini e si trovasse in mezzo a un campo di fiori
in piena primavera.
— Accidenti — imprecò a labbra strette. — E
accidenti all’ottico che non mi ha ancora riconsegnato gli occhiali.
— Non fare i capricci! — lo rimproverai
scherzosamente. — Dai, tra poco sarà il tramonto. Sopporta e zitto.
— In effetti, ho già parlato a sufficienza.
Da Santa Lucia scendemmo sul lungomare, a
quell’ora gremito di persone che facevano jogging, ragazzini con le biciclette
e famiglie con i passeggini che si godevano il tepore del tardo pomeriggio.
Mi ritrovai a pensare all’ambiente nel quale
avevo vissuto fino ad allora ad Alicante. Lì al massimo si vedevano un paio di
coppiette lungo la sponda del lago Lyn oppure in un vicolo sperduto; gli Shadowhunters
che avevano figli in inverno preferivano restarsene al chiuso e in estate
giravano il mondo di Istituto in Istituto.
Tutto era più freddo, a Idris. Calore e
cordialità lì non trovavano alloggio. C’era posto solo per indifferenza e
ostilità.
Guardai Mattia di sottecchi. Stava fissando
il mare, in attesa che il sole sfiorasse l’orizzonte infuocando il cielo, un
sorrisetto appena accennato sulle labbra.
Rispecchiava alla perfezione l’opinione che
in molti hanno dell’Italia, o quantomeno del sud della penisola: simpatia,
umiltà e una porta sempre aperta.
Mi resi improvvisamente conto che la mia, di
porta, per lui era socchiusa. Se Mattia mi aveva detto qualunque cosa volessi e
non volessi sapere, io celavo ancora dei segreti. Un segreto, anzi. Un segreto molto, molto grande.
— Ehi, ma non è tua nonna? — La vista di
Anna a braccetto con un uomo corpulento, probabilmente suo marito, mi fece
ridestare. Quando lei ci avvistò, la salutai agitando la mano.
— Ciao, nonnina! — Mattia la abbracciò e le
diede un bacio su una guancia. Sebbene avesse i tacchi, Anna era più bassa di
lui di trenta centimetri. — Di solito uscite prima, non pensavo di incontrarvi.
— Ho fatto le tielle — disse Anna come se
quell’affermazione bastasse a spiegare tutto. — Le ho fatte anche per te. Vieni
a cena da noi, vero?
— Nonna, sul serio, non è necessario. Sono
figlio di un cuoco. So come badare a me stesso, e di certo non ho intenzione di
rimanere digiuno.
— Lo è, invece. Non voglio che resti solo,
Matti’.
— Nonna, dillo. Di’ che sono dimagrito e che
devo mangiare.
— Sei dimagrito e devi mangiare.
Spostavo lo sguardo dall’uno all’altra come
in una partita di ping-pong, tentando di non ridere. Era terribilmente
esilarante vedere Anna incarnare lo stereotipo della nonna che cerca di farti
ingrassare. Soprattutto perché Anna non era esattamente una nonna
convenzionale.
L’intervento del nonno mise fine alla lite. —
Basta. State facendo una commedia davanti a questa bellissima signorina.
— Oh, non preoccupatevi — li rassicurai. —
Dopotutto, siamo pur sempre umani.
Anna mi scoccò un’occhiata complice,
chiaramente divertita dalla mia affermazione. — Ti chiederei di tornare con
noi, Mattia, se non ci fosse Lorianne. O vuoi unirti a noi, Lorianne?
— No, grazie — rifiutai. — Tranquilli, io
posso continuare da sola. Inoltre, i miei cugini mi stanno aspettando. — Misi
su un ghigno sarcastico. — Vai, Mattia. E mangia, che sei dimagrito.
L’ultima immagine che ebbi di lui per quella
sera fu suo nonno che gli scompigliava i capelli.
Mi voltai e proseguii per la mia strada.
Camminando incrociai gli sguardi di alcuni passanti, e mi domandai se anche
loro vedessero Mattia come lo vedevo io.
No, mi risposi poi. Ovviamente non sapevano
ciò che sapevo su di lui. E magari, se pur lo avessero saputo, comunque non
avrebbero concordato con me.
Forse ero l’unica a vederlo in quel modo. O
forse non lo ero, considerato quanto era successo nel palazzo dei mannari.
Sperai che anche lui si vedesse così. Come
un ragazzo che era rimasto in equilibrio sull’orlo del baratro. Come un uomo di
grandissimo coraggio. Come colui che avrebbe portato speranza dove la speranza
si era estinta. Come un liberatore.
“Won’t
you help to sing, these songs of freedom
‘Cause
all I ever had,
Redemption
songs, redemption songs”
Aaand
here we go.
Mamma
mia, signori, non avete idea di che liberazione è stata pubblicare finalmente
questi capitoli.
Ma
andiamo per ordine.
Anna:
Niente
di particolare da dire, così come il capitolo stesso non è niente di
particolare. Lo so, è un po’ scialbo rispetto alla mia media, ma dovevo tenervi
freschi per la triade. Rinnovo l’invito a leggere Incontri,
comunque. E ovviamente Anna è mia nonna. La rivedremo moltissimo nelle Houses.
Alea
iacta est ~ Parte prima:
Non
so da quanto tempo ho pronto questo capitolo. Sicuro sicuro da marzo dell’anno
scorso. Ho dovuto adattare sia questo che i successivi a delle particolari
esigenze di trama e storyline, quindi magari qualcosa sarà risultata poco
chiara o frettolosa – me ne rendo conto, sì, ma riprenderò tutto nei capitoli a
venire – però è comunque un’ottima produzione per il periodo in cui è stato
scritto. Entrambe le parti di Alea iacta est sono
state scritte secondo lo stile della song-fiction su Russian Roulette di
Rihanna.
Alea
iacta est ~ Parte seconda:
Okay,
questo già mi piace un po’ di più. E ci credo, sono pure 4300 parole. (Dovevo
compensare le 2300 della prima parte). Mattia piuttosto badass.
Canzoni
di redenzione:
Come
Alea iacta est, anche qui song-fiction,
questa volta su, appunto, Redemption Songs di Bob Marley. Mattia ancora
badass. Adriano sarà importantissimo nelle Houses e anche Sabrina avrà
la sua buona parte. Carmine invece sarà sempre presente nei ricordi di
chiunque, come ogni uomo odioso e odiato che si rispetti. Da qui comincia la
vera storia e da qui cominciano anche le Houses. (MUHAHAHAHAHA).
Niente,
finisco qui. Anzi, altre due paroline ine ine: per carità divina FATEVI SENTIRE.
Non credo proprio che a questo punto non abbiate nulla da dire; prima poteva
anche essere, ma adesso... be’, proprio no. Ripagatemi questo sforzo, per
favore, io faccio di tutto per arrivare a toccare la vostra mente e il vostro
cuore. Davvero, almeno stavolta. Mi raccomando.
Alla
prossima,
Federica