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Autore: nikita82roma    22/05/2017    3 recensioni
È la mattina del funerale di Montgomery. Kate si sta preparando per andare al distretto dove si incontrerà con gli altri prima di andare al cimitero. Riceve, però, una telefonata che cambierà la sua vita.
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Terza stagione
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Kate sentiva sulla lingua il sapore salato del bacio che Rick aveva cercato disperatamente, non sapeva se per le proprie lacrime o per quelle di lui, ma non aveva importanza. Le loro lacrime erano uguali, nascevano dalla stessa fonte.

- Grazie. - Le disse non rinunciando ad un altro bacio. - Grazie, Kate.

Era convinto di aver fatto la scelta giusta nel portarla lì, perché solo lei aveva visto tutto di lui e solo a lei non aveva timore a mostrarsi in nessun modo. Aveva ragione, era nel suo rifugio, ma non era quel posto o quella baita, era lei, era il suo abbraccio spezzato e impaurito che sapeva però tenerlo fermo nel suo posto mondo.

 

Castle giocava con i capelli di Kate con la testa appoggiata sulle sue gambe, li arrotolava tra le dita e poi li lasciava andare, guardando le spirali create. Lei sembrava apprezzare quel trattamento, si godeva con gli occhi chiusi il suo morbido tocco. Erano stati fuori tutta la mattina, erano andati a fare un giro al villaggio lì vicino e poi si erano fermati per pranzo in un piccolo locale appena fuori. Avevano mangiato in abbondanza e poi si erano fatti incartare un paio di fette di torta di mele fatte in casa dalla proprietaria della locanda e le avevano mangiate a casa comodamente sul divano. Si erano ripuliti dalle briciole sporcandosi di baci, avevano riso ed avevano giocato. Poi esausti dalla camminata e dalle loro schermaglie si erano riposati adagiandosi uno sull’altro sul divano. Nessuno dei due dormiva, lo sapevano bene. Gli piaceva solo stare così, viversi quelle piccole cose che non avevano mai vissuto e così mentre con una mano Castle giocava con i suo i capelli, Kate teneva l’altra vicino al suo volto, accarezzandogli le dita. 

- Ho avuto paura di diventare come mio padre. - Disse improvvisamente Kate e Rick smise di ripetere quei gesti abitudinari, come risvegliato dalle sue parole.

- Come tuo padre? - Le domandò.

- Con l’alcool. L’ho capito, sai? Credo dopo tanti anni di aver capito perché lo faceva, quella voglia di dimenticare tutto, di non sentire più il dolore, il vuoto. 

- Tu non ti sei lasciata andare, però.

- No. Forse perché in fondo io non volevo dimenticarmi del dolore, lo volevo sentire, volevo farmi male e così facendo mi punivo ancora di più. Non ho mai perso del tutto la lucidità di quello che stavo facendo, sentivo quanto mi faceva male, quanto era sbagliato. E mi andava bene così. Poi ho già la mia dipendenza per quelle medicine, direi che basta, no?

- Hai sentito però anche il dottor Burke cosa ti ha detto? È questione di tempo, già va meglio no?

Castle cercava di farle coraggio. Il dottor Burke era lo psicologo dal quale era andato lui. Era una persona sincera, anche dura a volte nel dire le cose, uno di quelli che passano il tempo farti domande più che a darti risposte e Rick aveva insistito perché ci andasse a Kate. Lo aveva visto due volte prima di partire e le fece bene. Non era stato facile parlare ancora una volta di tutto quello che era accaduto, ma ogni volta le sembrava di riuscire a trovare meglio le parole. Gli aveva raccontato delle crisi di panico, degli incubi, del non voler dormire e dei suoi tentativi di isolarsi e di autodistruzione. Infine gli aveva fatto vedere tutte le medicine che gli erano state prescritte che il dottore guardò scuotendo la testa. Poi le fece una domanda che spiazzò Kate “Vuole veramente andare avanti? Si sente pronta per farlo?”. Gli rispose di sì, convinta più di quando non si sentisse. Così le aveva consigliato di non interrompere immediatamente, come lei avrebbe voluto fare, tutto quello che stava prendendo, ma di diminuire gradatamente i dosaggi in modo di dare tempo al suo corpo di abituarsi al cambiamento. Il poco a poco di Kate, però, non coincideva con quello di Burke. Aveva già del tutto eliminato tutti i farmaci che prendeva in poco più di una settimana, tranne le gocce per dormire. Sentiva che non aveva più bisogno di nessun aiuto per decidere di vivere le sue giornate, per alzarsi dal letto e “fare” qualsiasi cosa volesse o dovesse.

- Sì, va meglio. - Ammise tirandosi su e sedendosi vicino a lui.

Una delle cose che le aveva detto Burke era riconoscere i passi avanti, anche se a lei sembravano insignificanti, perché era giusto che si concedesse delle gratificazione e capisse di essere sulla strada giusta. Però la notte no, non sempre andava meglio. Qualche volta aveva provato a non prendere nulla, perché credeva di essere abbastanza forte, o semplicemente perché si era dimenticata, odiando fare quel gesto davanti a Castle ed aveva finito per non prenderle più, ma non era così. Si era svegliata come sempre in preda ai suoi demoni e poi non aveva più dormito. Era capitato che lui l’avesse sentita e l’avesse, come in quella notte, tenuta stretta tra le sue braccia facendola addormentare di nuovo, ma era successo anche che lei fosse diventata più brava a mascherare il suo stato e lo avesse lasciato riposare, vegliando lei il suo sonno. 

Aveva scoperto la bellezza di guardarlo dormire, di studiare ogni ruga del suo volto, ogni minuzia dei suoi lineamenti, le sue abitudini, quel sonno profondo e quel lamentarsi un po’, come un bambino, quando sognava: aveva imparato che in quei casi bastava che lo accarezzasse, soprattutto sulla fronte, e si calmava subito. Non sapeva se prima non se ne era mai accorta, troppo presa da se stessa, o non aveva mai fatto quel tipo di sogni. Aveva riscoperto ed osservato quella cicatrice sullo zigomo, una piccola linea retta, il “regalo” di Josh. Aveva quasi paura a toccarla e non aveva mai avuto il coraggio di chiedergli che effetto gli facesse trovarsi ogni giorno quando si guardava allo specchio quella traccia di ciò che era stato.

Castle continuava a dormire sempre con un tshirt che lei, la sera dopo, puntualmente gli prendeva, in una finta casualità alla quale non credeva nemmeno lui, e si dispiacque che era solo un caso che quella notte si era presentato da lei a torso nudo: le era piaciuto respirare la sua pelle, baciare il suo petto mentre lui l’abbracciava e le sarebbe piaciuto farlo ancora, ma non ebbe mai il coraggio di chiederlo. Tra loro i contatti si limitavano a molti baci e infiniti abbracci. Non c’era stato mai nulla di più. Lui non le aveva mai fatto capire di voler andare oltre e lei non aveva mai chiesto nulla e quel mantenere le distanze di Rick aveva solo generato in lei maggiore paura ed insicurezza. Castle era senza dubbio l’uomo più importante della sua vita, quello che aveva amato ed amava più di ogni altro, eppure allo stesso tempo il loro rapporto era sempre stato poco più che platonico. Erano stati insieme una notte. Una sola, magnifica, notte, con tutto quello che aveva comportato. Poi non c’era stato più nulla. Poi lei non era stata più la stessa. Poi lei non si sentiva più la stessa. Kate aveva cominciato ad odiare il suo corpo, i segni dell’operazione che l’avevano marchiata irrimediabilmente, per sempre, un monito indelebile di quello che era stato. Quel corpo non abbastanza forte da proteggere la vita che cresceva dentro di lei, quel corpo che aveva cercato di rimettere in funzione in tutti i modi e che ancora adesso, però, le sembrava totalmente imperfetto. Il suo corpo che l’aveva tradita nel momento più importante. Il suo corpo che tentava sempre di nascondere a tutti, soprattutto a sé stessa, sfigurato nella sua immagine più di quanto non fosse, perché vedeva sulla sua pelle tutto quello che aveva passato, come se ogni caduta fosse una ferita palesata sulla pelle da nascondere. 

- Sei molto più forte di quello che pensi, Kate. Devi solo amarti di più.

- Amarmi Castle? Ho passato questi mesi ad odiarmi, ad odiare tutto di me, della mia vita. Accetterei volentieri già una tregua con me stessa. - Sospirò.

Castle si voltò a guardarla. Aveva lo sguardo fisso sul fuoco nel camino, il volto teso, serio, contratto. Tutta quella beatitudine di poco prima sembrava scomparsa. Il bagliore delle fiamme rifletteva sulla sua pelle facendola sembrare ancora più contrita, con quel gioco di luci ed ombre che facevano sembrare il suo volto con lineamenti ancora più marcati. La sua bellezza le toglieva il fiato. Avrebbe voluto che si guardasse con i suoi occhi, non avrebbe potuto non amarsi, le avrebbe voluto far sentire cosa provava per lei quel sentimento che gli bruciava dentro più di qualsiasi fuoco e qualsiasi fiamma. Voleva farle capire quanto era importante e speciale per lui e gli sembrava sempre di non riuscire a farlo abbastanza, frenato da quella paura di andare oltre, di portarsi in sentieri che lei non era ancora pronta a percorrere.

- Lascia almeno che possa farlo io, allora. Fino a quando tu non sarai pronta ad amarti da sola. Lasciati amare, Kate.

Poteva anche non aver sentito nulla di quello che le aveva detto, Castle avrebbe potuto parlare una lingua a lei incomprensibile ed il senso di quelle parole le sarebbe stato ugualmente chiaro: era il tono, lo sguardo, le mani che le avevano preso il viso, in un gesto insolito per lui, uno di quelli che era solita fare lei. La guardava con uno di quegli sguardi che accarezzavano l’anima e si chiedeva se era veramente pronta per essere amata così, come mai nessuno aveva fatto. Non sapeva se era pronta, sapeva solo che da lui si sarebbe fatta amare in ogni modo, perché non poteva resistere alla bocca di Castle che ora esplorava la sua, alle sue mani che dal volto erano scese sul suo corpo e si erano insinuate sotto il suo maglione. Le piaceva sentire le sue dita premere sul suo corpo, sulla stoffa della maglietta che indossava sotto il maglione, sentire come strusciavano in gesti che sembravano famelici, stringendola. Le piacevano le sue labbra morbide, che scendevano sul collo tra baci e morsi. Faticò ad ammetterlo anche a se stessa, ma gli piaceva sentirsi sua.

   
 
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