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Autore: Amatus    26/05/2017    3 recensioni
I grandi eroi esistono per sconfiggere grandi nemici e pericoli mortali. E se il confine fra eroe e mostro non fosse così evidente? Se l'eroe non sapesse contro cosa realmente combatte? Se il nemico fosse convinto di essere un eroe?
E se il nemico più pericoloso fosse l'eroe pronto a combattere per la propria giusta causa a dispetto di tutto il resto?
Una storia può essere raccontata da diversi punti di vista. Questa storia ne presenta due. Due potenziali eroi. Due potenziali mostri. Distinguere l'uno dall'altro potrebbe essere più difficile di quanto si pensi.
Era troppo tempo che qualcuno non gli rivolgeva una parola gentile e fare nuove conoscenze era una cosa così tanto al di fuori delle sue aspettative che non sapeva come reagire. Quando alla fine pronunciò il suo nome quelle lettere così scandite suonarono buffe alle sue orecchie. Non avevano più nessun significato da tempo immemorabile. Solas. Da quanto tempo nessuno lo chiamava così, sentire quel nome, anche se pronunciato dal nano lo fece sentire meglio.
[IN REVISIONE]
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Inquisitore, Solas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fen'Len - Figlia del Lupo'
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Questa volta mi trovo a scrivere due parole in apertura e una nota/confessione alla fine.
Per cominciare una giustificazione (della serie: non è come sembra, posso spiegare): so che questo sarebbe dovuto essere l'ultimo capitolo, ma nonostante abbia tagliato tantissimo e malgrado la lunghezza notevole, non sono riuscita a farci stare tutto. Ho dovuto allungare di un capitolo che spero arriverà entro un mesetto.
Sono felice di avercela quasi fatta nonostante la fatica di quest'ultimo periodo. So che gli ultimi capitoli sono un pochino sottotono e a volte, rileggendo alcuni passaggi al volo, vedo degli errori orribili che non sempre ho il tempo di sistemare. Prometto però che non appena avrò finito di pubblicare anche l'ultimo capitolo mi metterò a revisionare tutto, storia e formattazione. Per quanto semplice sia questa storia, ci tengo molto, voglio vederla finita e sto impiegando tutto il poco tempo a disposizione per cercare di farlo al meglio. Ringrazio ancora chiunque abbia avuto la pazienza e il coraggio di arrivare fin qui.

 

 

Vir Bor'assan, the Way of the Bow: bend but never break.

XLVII

La vittoria era stata grandiosa, la prospettiva della pace finalmente a portata di mano rendeva gli uomini ebbri di felicità.
Un senso di liberazione e leggerezza aveva afferrato anche l'Inquisitore che aveva festeggiato tutta la notte insieme ai compagni e si era ritirata nella propria stanza solo alle prime luci dell'alba.
L'aria frizzante della prima mattina si era fatta strada nella stanza spingendola ad uscire sul balcone per respirare un poco quella nuova aria che sapeva di vittoria e di promesse. Era una grande vittoria per il Thedas, una vittoria per l'Inquisizione, una vittoria per l'Inquisitore.
Ma Lena lontana da soldati e compagni aveva tolto l'armatura e posato le armi, l'Inquisitore riposava dietro insegne dismesse e Lena doveva fare i conti con se stessa.
Aveva appena finito di celebrare il grande risultato e già sui volti degli amici aveva letto il desiderio di dimenticare quel capitolo delle loro vite. Ciascuno si era detto disposto a rimanere nei paraggi ancora per un poco, a disposizione come sempre, ma Lena sapeva che quelle promesse tradivano il desiderio di fare ritorno alle proprie vite, alle proprie case. Lei al contrario non aveva mai desiderato tornare indietro e non avrebbe mentito a se stessa pretendendo il contrario, ma a al di là della sua volontà oramai non c'era più un clan a cui fare ritorno.
Le luci e i suoni della festa sembravano già lontanissimi, un buio sconfinato si apriva davanti a lei. Rientrò, si rannicchiò sul piccolo sofà e chiuse gli occhi. Il sonno la spaventava, ma la veglia non prometteva pensieri migliori in quel momento. La prima immagine che le sorse alla mente fu quella di Menia con gli occhi colmi di lacrime come le era apparsa l'ultima volta che l' aveva vista, i due occhi scuri dell'elfa erano pieni di dolore e rimorso, specchio esatto dei suoi. Non avrebbe mai più rivisto quegli occhi e non ne avrebbe mai più trovati di simili. Quell'ultima notte si erano dette addio, sapevano entrambe che non si sarebbero più riviste ma Lena avrebbe senza dubbio scommesso sulla propria morte, non su quella dell'amica. Invece lei non c'era più. Eppure quel senso di solitudine era irrazionale. Era ormai rassegnata all'idea che Menia non facesse più parte della sua vita, ma sapere che la sua bella amica semplicemente non esisteva più allargava il vuoto che la sua assenza le aveva lasciato in petto moltiplicando i rimorsi e rendendo il dolore semplicemente inevitabile.
E Tallis? Lui l'aveva amata come forse nessuno aveva mai fatto, lei era stata avara di affetto e gratitudine nei suoi confronti, aveva approfittato della presenza di Menia per sfuggire qualunque responsabilità nei confronti di quell'elfo fedele.
Fen'len, lo aveva davvero meritato quel nome e in quel momento lo dimostrava più che mai, il proprio egoismo era infatti la cosa peggiore da accettare e la rendeva disgustata di sé. L'intero clan Lavellan era stato distrutto, erano tutti morti e lei riusciva a pensare solo al senso di vuoto e inadeguatezza che la morte di due sole persone le lasciava dentro. E tutti gli altri? I ragazzini innocenti che lei aveva conosciuto a malapena ma che non aveva comunque esitato a condannare?
Ora invece l'intero Thedas la idolatrava come la salvatrice. Non era che un impostore, un falso dio come Corypheus, un mostro era appena morto ma un altro sopravviveva. Lena continuava a chiedersi cosa avrebbe fatto al posto di quel mostro se avesse avuto tra le mani lo stesso potere. Corypheus non aveva fatto altro che lottare per un mondo che credeva giusto e inevitabile, lei non avrebbe fatto lo stesso? Il mondo che senza esitazioni aveva distrutto a Redcliffe un anno prima, non ne era forse la prova?
Sera aveva ragione nel dire che cose brutte accadono alle brutte persone, Lena si sarebbe ritrovata sola di lì a poco ed evidentemente era quello il destino che meritava. La sua famiglia, o la cosa più simile ad una famiglia che poteva sperare di avere, era morta a causa sua, i suoi amici avrebbero ben presto iniziato ad allontanarsi da lei, neanche neanche colui che aveva giurato di amarla le era rimasto accanto un minuto in più rispetto a quanto promesso scomparendo senza dire addio. Non era più una bambina, non poteva continuare a credersi una vittima innocente e che le sue sciagure fossero tutta colpa di qualcun altro.
Avrebbe desiderato poter piangere fino ad addormentarsi ma non c'era dolore nei suoi pensieri solo una spietata consapevolezza. Appoggiò la testa sulle ginocchia e attese l'alba, quando i primi rumori risvegliarono la fortezza indossò l'armatura e le insegne dell'Inquisizione e uscì per affrontare un nuovo giorno da Inquisitore.
I giorni e i mesi si susseguirono lenti e identici gli uni agli altri. Skyhold si andava lentamente svuotando, anche i suoi compagni andavano e venivano con pause che li portavano sempre più a lungo lontani dalla fortezza.
Blackwall e Il Toro si dimostrarono gli abitanti più ostinati. Blackwall continuava ad attendere notizie riguardo la sua iniziazione come custode, ma l'ordine stava attraversando un periodo piuttosto burrascoso e l'Unione di un singolo soldato non sembrava essere in cima alla lista dei pensieri di qualcuno. Il Toro invece odiava allontanarsi troppo da Skyhold, costantemente fiducioso di poter vedere arrivare all'improvviso un certo mago dal Tevinter. Per questo le missioni delle furie non duravano mai troppo a lungo e non li portavano mai troppo lontano. Lena era felice della loro presenza rumorosa, era piacevole annebbiare i pensieri con l'alcol e con la loro euforica compagnia.
Aveva anche iniziato a cercare la compagnia dei suoi simili, c'erano molti elfi tra le fila dell'Inquisizione ma lei non aveva mai fraternizzato con loro più di quanto non avesse fatto con il resto delle truppe. Nei lunghi giorni trascorsi alla fortezza invece riscoprì il piacere di conoscere il destino di coloro che iniziava a pensare come la sua gente. Si aggirava per la fortezza cogliendo ogni occasione per fare domande e poter ascoltare le storie dei suoi compagni. Passò molto tempo nelle cucine, tra i mercanti e persino con gli agenti di Leliana. All'iniziale imbarazzo era seguita una crescente familiarità che aveva inevitabilmente dato via libera a valanghe di domande. Tutti erano curiosi riguardo la vita dell'Inquisitore. I dalish chiedevano del suo clan, gli elfi di città erano incuriositi dalla vita nomade, tutti erano concordi nel voler conoscere ogni dettaglio riguardo i suoi incontri con gli antichi elfi nel tempio di Mythal nonché del suo ormai leggendario incontro con la dea stessa. Ascoltando le sue storie molti avevano deciso di prendere le distanze da lei e spesso dalla stessa Inquisizione, rigettando come menzogne racconti che stravolgevano completamente un'idea antica del mondo. Altri avevano invece accolto con speranza e fame di novità quelle verità tanto incredibili.
Lena aveva smesso di nascondere la natura dei propri vallaslin non risparmiando ipotesi che stravolgevano la figura dell'antico dio degli inganni, ottenendo all'incirca le stesse reazioni che i racconti su Mythal avevano suscitato: diffidenza e incredulità da parte di alcuni, curiosità e sorpresa da parte di altri. Questa sua riscoperta delle proprie origini la portò ben presto ai ferri corti con Sera la quale rese man mano le sue assenze sempre più lunghe e le divertenti lettere sconclusionate sempre più rare.
Una volta superata il timore iniziale nei confronti della più stretta collaboratrice di Leliana, scoprì in Charter lo stesso miscuglio di diffidenza, curiosità e speranze nei confronti degli elfi che aveva trovato in se stessa. Appena le rispettive missioni lo permettevano erano solite bere insieme in taverna confrontando esperienze e visioni del “popolo” finendo ben presto per apprezzare la reciproca compagnia. A volte la stessa Usignolo si univa a loro dimostrandosi riguardo alla questione della discriminazione e della schiavitù ben più radicale delle due elfe.

Fu per scortare la futura divina dalla fortezza fino a Val Royeaux che si ritrovarono tutti dopo molto tempo e il viaggio si trasformò presto in una festa.
Lena era felice, felice come non era più stata da lunghissimo tempo. Varric e Dorian furono al suo fianco per l'intero viaggio prendendosi gioco di tutti soprattutto della futura divina.
“Cercatrice, mi hanno detto che la tua prima disposizione come divina riguarderà la sostituzione degli aspersori con dei pratici randelli che le sorelle potranno usare a loro piacimento quando qualcuno dovesse dire qualcosa di troppo stupido o fastidioso.” Varric accompagnò le parole con un'occhiata ammiccante e 
Cassandra come al solito alzò gli occhi al cielo senza rispondere ma non riuscendo questa volta a mascherare un sorriso.
Varric incoraggiato dal cedimento infierì sulla preda: 
“Ammetti che sentirai la mia mancanza cercatrice. Se lo farai verrò a trovarti ogni tanto.”
“Potrai venire a trovarmi solo dopo che tutti gli aspersori saranno stati opportunamente sostituiti.”
“Bene. L'ispirazione è una bestia capricciosa, magari durante uno dei miei viaggi a Val Royeaux potrei decidere di scrivere un libro sulla vita segreta della Divina, non si sa mai.”
Il verso disgustato che seguì fu invece piuttosto sincero e scatenò l'ilarità dell'intero gruppetto.
Con l'approssimarsi della sera raggiunsero un piccolo villaggio e si prepararono a passare la notte in locanda, cosa per cui Varric si disse oltremodo grato.
La serata si rivelò particolarmente piacevole eppure Lena non poteva fare a meno di sentirsi fuori posto. Era stata l'Inquisitore troppo a lungo da finire per aderire a modi di fare asettici che le erano estranei, lungo la strada era stato facile rilassarsi, ma ora la situazione riportava alla mente le tante notti passate in taverna, riportava alla mente giorni lontani e diversi in cui lei era diversa, tutto sembrava gridare quanto quella familiarità fosse finta o nella migliore delle ipotesi effimera.
Si era trovata presto in disparte ad osservare i suoi compagni godendo del riflesso della loro allegria incapace però di viverla in prima persona. Varric le lanciava ogni tanto uno sguardo preoccupato che lei cercava di fugare con il suo sorriso migliore. Alla fine decise di uscire per fare due passi. Non appena fuori inspirò a pieni polmoni, non era l'aria fresca delle Montagne Gelide ma senza dubbio era piacevole essere all'aperto le sembrava di tornare a respirare davvero dopo lungo tempo, un altro motivo per sentirsi in colpa, i suoi amici erano finalmente con lei e lei li evitava.
“Vi disturbo?” La voce del custode era calma e calda e Lena sentì un brivido correrle lungo la schiena. Si voltò appena verso di lui prima di iniziare a camminare lentamente, il custode prese il silenzio per un invito e la seguì.
“Speravo che la compagnia vi avrebbe rasserenata ma non avete affatto un'aria felice. C'è qualcosa che posso fare per voi?”
“No Blackwall, ti ringrazio, sto bene. Torna pure con gli altri, sarò di ritorno tra un attimo.” Ma il custode non sembrava intenzionato a tornare in locanda incamminandosi invece al suo fianco. Lena si sorprese a serrare i pugni infastidita dalla presenza del custode. Erano lontani i tempi in cui avrebbe elemosinato tante attenzioni da parte sua, perché?
“Dopo l'incoronazione della Divina l'Inquisizione potrà prendersi una pausa, credo che non avremo altri incarichi ufficiali per un po'. Cosa farai?” La voce del custode suonava spavalda e Lena si chiese dove fosse finita tutta la distanza e la formalità? Che fine aveva fatto quel “voi” che la ragazza percepiva ora come una trincea rassicurante?
“Nessuna autorità ci ha affidato incarichi ufficiali in passato e non lo faranno ora. Sono ancora l'Inquisitore c'è ancora un bel po' di lavoro per me da queste parti, squarci da chiudere banditi da prendere in custodia, disperati da aiutare. Poi si vedrà. Magari mi ritroverò a vivere da furfante in un'enclave di una grande città o forse troverò finalmente spazio tra ranghi dei custodi grigi, ma la vedo una possibilità sempre più remota.”
“Sarebbe innegabilmente romantico. Una vita spesa lottando spalla a spalla e una morte identica che ci attende inevitabilmente troppo presto. Se questo fosse uno dei libri di Varric probabilmente sarebbe il finale perfetto per i nostri personaggi.” C'era una lieve nota di rancore nelle parole del custode, le stava rinfacciando la decisione con cui aveva disposto della sua vita condannandolo rendere vera la propria bugia?
“Senza dubbio meno romantico che rimanere a penzolare da una forca in un giorno di pioggia.” Il rimorso ormai permeava qualunque sensazione e non avrebbe permesso al Custode di usarlo contro di lei. Rallentò e fece per tornare sui propri passi, non voleva rimanere lì fuori con l'uomo in quel momento. Lena aveva la sensazione che tutto fosse sbagliato, nessuno dei due era al proprio posto e la situazione la metteva a disagio. Il custode sembrava però pensarla diversamente e le afferrò un braccio per impedirle di tornare indietro.
“Non credi di aver pianto troppo a lungo la perdita di qualcuno che forse non ti meritava?”
Una rabbia controllata saliva lenta alla testa di Lena. Poté assaporarne ogni sfumatura, godere della forza che sembrava fluirle nelle vene, la lasciò salire finché non seppe di aver taciuto troppo a lungo.
“E chi sarebbe questo qualcuno? Il mio clan? I tanti soldati morti in mio nome? O forse sono i miei amici, nella compagnia dei quali ho scoperto cosa fosse una famiglia e che ora tornano ad una vita che mi chiude fuori?. Chi di loro non merita il mio dolore?” La voce era tagliente e controllata e Lena si sentì rinvigorita dall'imbarazzo che velò il volto del custode.
“Mi dispiace, non volevo.”
Ma Lena sentiva ormai l'ebbrezza della lotta renderla spietata e quindi continuò: “Ti riferivi forse a Solas? Hai stabilito un termine entro il quale smettere di sentire la sua mancanza ed è finalmente venuto il momento di riscattare la tua preda? E allora forza, vieni a reclamare ciò che ritieni tuo!”
La voce dell'elfa si era fatta sempre più bassa e il volto sempre più vicino a quello del custode. Quando afferrò il collo della sua casacca per trascinarlo vicino il custode sembrò annaspare alla ricerca di aria. Lena lo lasciò andare e sputò fuori con sufficienza: “Niente è cambiato, continui a non sapere quello che vuoi.”

Fece per allontanarsi ma in un istante il custode era contro di lei e senza sapere come si ritrovò spalle al muro contro una stamberga di pietra che sorgeva sul ciglio della strada.
“Non prenderti gioco di me Inquisitore. Ti ho chiesto scusa, non avrei dovuto parlare in quel modo, ma è vero, il mago è lontano non c'è più motivo per noi di non poter avere ciò che abbiamo a lungo desiderato.” Il respiro dell'uomo era spezzato e bruciava contro la pelle di lei. Le parole erano uscite come il lamento di un orso, Lena sentiva una vaga paura mescolarsi ad un rabbia ormai incontrollabile. Un pensiero le attraversò la mente per un attimo: solo la rabbia e la paura sarebbero state in grado in futuro di farle provare qualcosa che non fosse rimorso e dolore? Scacciò il pensiero sentendo un sapore metallico in bocca, sapore di sangue, da dove veniva? Aprì la bocca per parlare e solo allora si accorse di avere affondato i denti in un labbro.

“Perché dovrei volerti ora? Quando ti desideravo più di ogni altra cosa mi hai tenuto lontana, mi hai mentito e infine mi hai respinta perché non ero ciò che volevi, perché non potevi sopportare che non ti appartenessi. Ed ora? Cosa è cambiato? Lui non c'è più ma questo non ti rende più padrone di me di quanto fossi prima. Mi dispiace, non sono quel tipo di persona e tu hai dimostrato più volte di non apprezzare ciò che sono, non fingerò di essere diversa solo perché la situazione è diversa.”
“Non mi interessano tutte queste storie, voglio solo rimanerti accanto.”
Lena sciolse la tensione in una risata irrefrenabile che spinse il custode a fare un passo indietro lasciando la ragazza libera di muoversi, un freddo improvviso la colse.
“Come dicevo le cose non cambiano, sei un bugiardo e rimarrai un bugiardo perché non sei capace di non mentire a te stesso. Ora se vuoi scusarmi i miei amici mi aspettano.” Si allontanò cercando di mantenere il passo fermo nonostante sentisse le gambe tremare. Tornò in taverna, mancava l'aria in quel posto. La compagnia nel frattempo si era sciolta, molti avevano raggiunto i letti, stanchi per il lungo viaggio. Varric era ancora seduto al tavolo e chiacchierava allegramente con Dorian, Sera dormiva sdraiata su una panca, evidentemente troppo ubriaca per raggiungere il letto e Il Toro osservava la discussione dei due amici comodamente sprofondato in una poltrona. Lena raggiunse la panca su cui Varric era seduto e si accasciò accanto a lui, spalla contro spalla.
“Ragazzina, sembra non averti giovato l'aria aperta.” Come al solito non una sola espressione sfuggiva all'occhio vigile del nano.
“Si fanno degli incontri sfortunati di notte in questa città.”
Dorian, tanto attento quanto il nano, era sempre solerte nel dimostrare quanto disprezzasse il custode e anche in quell'occasione fece in modo di non risparmiarsi: “Se qualcuno deve prendere a calci nel sedere quel cialtrone permetti che sia io farlo, per favore.” 

Lena sorrise e rispose: “Credo di aver vinto questo privilegio la prima volta che sono andata a letto con lui.”
“D'accordo orecchie a punta, ma allora non rinuncerò alla sadica soddisfazione di dire: te l'avevo detto!”
“Temo, mio caro, che dovrai metterti in coda, ti terrò un posto subito dopo Varric. Evidentemente non sono brava a riconoscere i buoni consigli.” Lena si sforzava di ridere ma uno sguardo attento di Varric la fece sentire immediatamente smascherata.
La serata proseguì tranquilla ancora per un po', quando infine Lena si alzò per andare a dormire il custode non era ancora tornato.
La stanza che condividevano era grande, ingombra di letti a castello e piena di spifferi che rendevano l'aria quanto meno respirabile se non propriamente fresca. Lena si arrampicò su uno dei letti lasciati liberi e si sdraiò. Il labbro in cui aveva affondato i denti si andava gonfiando, nell'attesa del sonno che continuava a sfuggire, torturò la ferita con la lingua e con i denti assaporando l'acuirsi e il diradarsi continuo del dolore, finché, grazie forse ai respiri tranquilli dei suoi compagni, si addormentò e si abbandono ad un sogno che era rimasto dimenticato per molto tempo.

Le strade di Val Royeaux si aprivano davanti a lei ma questa volta sentiva la propria volontà e il proprio desiderio di arrivare in fondo, non era più la strada a scorrere sotto i suoi piedi ma erano le sue gambe a macinare il sentiero a falcate sempre più lunghe finché non si ritrovò a correre.
Vedeva già il grosso portone in lontananza e la luce di uno squarcio illuminarne i contorni quando si accorse di qualcosa di strano. Non sentiva la presenza della belva vicino a lei. Arrivò al portone e poté specchiarsi sulla superficie lucida della facciata. La belva non c'era più perché lei stessa era diventata la belva. Due occhi di lupo la fissavano riflessi nella porta e nell'istante in cui il portone iniziò ad aprirsi si rese conto di stringere qualcosa tra le fauci e il sapore di sangue le avvolse la lingua. Era pronta a battersi contro qualunque cosa avrebbe oltrepassato quella soglia, il sapore di sangue la rendeva impaziente della battaglia. Il portone si aprì infine e Lena vide, al di là di questo, stagliarsi un lupo molto più grande di lei, la paura lasciò presto il posto a qualcosa di diverso. Il lupo era fermo e la guardava, Lena a zanne scoperte studiava il nuovo arrivato, c'erano troppi occhi sulla sua testa, quello non era un lupo qualsiasi, era il Temibile Lupo. Era fermo e la osservava, cosa voleva? Era lì per sbranarla o per portarla con sé?

Lena si svegliò di soprassalto, la stanza era ancora immersa nel buio. Le tante storie del suo clan le tornarono alla mente, era pericoloso dicevano, sognare il Temibile Lupo, i sogni mettono Fen'harel sulle tracce del sognatore e una volta fiutata la preda il lupo non la lascia andare. Eppure lo sguardo negli occhi della bestia per quanto inquietante non sembrava feroce. Cosa avrebbe potuto volere Fen'Harel da lei? Troppe storie si affastellavano nella mente ancora stordita dal sonno. Era venuto a reclamare uno schiavo marchiato che gli apparteneva? E quel servo era stato degno del suo padrone? E cosa significava essere degno di Fen'Harel? La crudeltà e la violenza delle sue azioni avevano reso onore al Temibile Lupo oppure il protettore del popolo era indignato dal suo operato ed era venuto a chiedere conto delle sue azioni? In ogni caso non c'era speranza per lei.
Un terrore irrazionale l'afferrò all'improvviso e la trascinò giù dal letto. Qualcuno si mosse nel letto sotto a quello che lei aveva occupato.
“Ragazzina che succede?” La voce di Varric era un sussurro roco e impastato di sonno.
“Ho solo fatto un brutto sogno, stai tranquillo.” Lena si accostò al letto dell'amico e cercando di riprendere coraggio sedette a terra appoggiando la schiena contro il montante di legno. La grossa mano del nano le raggiunse la testa in una carezza un po' goffa.
“Posso rimanere qui per un po'?”
“Vieni qui e cerca di riposare.” Varric si era spostato su un lato del letto lasciando spazio per lei e Lena non si fece ripetere l'invito. Si sdraiò accanto all'amico con il dubbio che lui non si fosse mai davvero svegliato. Varric allargò un braccio verso di lei e la ragazza posò la testa sulla sua spalla rannicchiandosi contro il corpo tozzo dell'amico. Regolarizzò il respiro seguendo quello tranquillo di Varric che era all'istante ripiombato in un sonno sereno e presto anche lei si assopì e dormì tranquilla fino al mattino.
Aprì gli occhi sulla stanza tenuemente illuminata e il sorriso gentile di Varric gli diede il buongiorno.
“Ben svegliata ragazzina. Lieto che tu abbia riposato, infine. Ora sono libero di andare o devo pagare un riscatto?”

Lena sorrise tirandosi su a sedere. “Beh ti lascio andare se prometti ti portarmi una tazza di tè a letto.”
“Non se ne parla neanche, giù dal letto e pronti alla marcia, la cercatrice starà già sbraitando che siamo in ritardo.”
E in effetti Cassandra, più nervosa per l'approssimarsi del grande giorno che per la situazione effettiva, era già pronta e sbraitava cercando di mettere fretta ai compagni, senza peraltro ottenere alcun risultato.
Lena si sentiva riposata e piena di energia come non le capitava da molto e si sentì tanto coraggiosa da sfidare la furia di Cassandra augurandole il buongiorno con un bacio sulla guancia, solo l'imbarazzo riuscì a lavare via dal volto della cercatrice un'espressione sbalordita e confusa, tanto bastò per scatenare il buonumore nella compagnia e mettere a tacere per un po' le ansie della donna.
Quando furono pronti ad andare trovarono Blackwall fuori dalla locanda, più torvo che mai e pronto a seguire la compagnia in silenzio e a testa bassa. Lena cercò di ignorare la sua presenza scura per l'intero viaggio e avrebbe avuto successo se non fosse stato per uno dei soliti battibecchi con Dorian.
“Se hai qualcosa da dire mago, fallo e basta, altrimenti lasciami stare.” Blackwall aveva iniziato a sbraitare improvvisamente attirando l'attenzione di tutti, Lena aveva perso l'inizio della discussione ma non sembrava avere un oggetto particolare se non la loro reciproca antipatia.
“Se avessi qualcosa da dire che tu fossi in grado di capire, fidati, lo farei.”
“Mi sarei aspettato qualcosa di più da qualcuno che fa continuamente vanto della propria intelligenza.”
“Io invece non mi aspetto niente meno che un inutile tentativo di provocare da un bruto come te.”
“Ehi smettetela voi due, siete maschi lo abbiamo capito.” Sera aveva interrotto il battibecco con una risata, non sospettando che le cose avessero appena iniziato a volgere di male in peggio.
Blackwall sembrava non voler lasciar placare gli animi e aggiunse abbassando la voce, ma premurandosi comunque che tutti potessero sentirlo: “Maschi, beh, io lo sonosicuramente!”1
Lena aveva assistito alla scena piuttosto annoiata, discussioni simili si erano ripetute infinite volte, ma in quell'istante realizzò quanto l'intera situazione stesse per sfuggire a tutti di mano. Vide il volto di Dorian imporporarsi di rabbia e il custode sfidarlo con uno sguardo impertinente, ma ciò che davvero le provocò un moto di allarme fu il sommesso grugnito che sfuggì dalle labbra del Toro, un rumore a metà tra il ringhiare di un lupo e il brontolio di un temporale in arrivo. Vide prepararsi fiamme e lame.
“Questo è il meglio che sai fare, fottuto bugiardo che non...” Dorian aveva risposto con rabbia malcelata all'insulto e Lena, con uno sforzo che le parve soverchiante, si sistemò sul viso la maschera dell'Inquisitore bloccando sul nascere lo sfogo del mago.

“Basta così!” La sua voce suonò stranamente artefatta e lo sfoggio di autorità decisamente fuori luogo, nulla di tutto quello era reale, ma funzionò come se lo fosse. Tutti tacquero. Forse loro non erano più in grado di riconoscere l'inganno, forse lei era diventata troppo brava nel recitare quella parte. Non aveva mai sentito la mancanza di Solas come in quel momento, lui non si sarebbe lasciato ingannare.
Un solo sguardo verso il custode e vide di nuovo l'uomo vergognarsi di se stesso come la notte precedente, questo bastava. Riprese la marcia a passo spedito. La conversazione stentò per un po' poi timidamente riprese corpo, qualche miglio più avanti l'incidente era apparentemente superato sebbene ve ne rimassero evidenti tracce nello sguardo torvo del custode, nel malumore acido di Dorian e nella sensazione di delusione che Lena non poteva impedirsi di provare nei confronti del Custode e che aveva il retrogusto amaro del tradimento.
Quando a sera inoltrata raggiunsero Val Royeaux non c'era traccia dell'atmosfera familiare della notte precedente, ma quella notte era per Cassandra e tutti fecero del proprio meglio per allontanare ansie e paure dalla mente della cercatrice.
Ciò che l'attendeva non poteva essere affrontato con spada e scudo e la donna si sentiva indifesa. Lena rimase al suo fianco il più a lungo possibile, la luna splendeva alta e le due donne si trovarono a camminare per le vie deserte della città. Cassandra osservava la notte come se quella dovesse essere l'ultima della sua vita e per Lena non fu difficile immaginare che in un certo senso lo fosse.
“Cosa si prova ad avere per le mani così tanto potere e così tanta responsabilità?” Si erano fermate su una terrazza che si affacciava sul lago e ora Cassandra lasciava lo sguardo vagare in attesa di una risposta o forse semplicemente inseguendo i propri pensieri.
Lena rifletté un poco prima di rispondere: “È terrificante, ma non conosco nessuno che sappia affrontare la paura meglio di te.”
“Quello che è successo oggi, il modo in cui sei stata costretta a reagire. Questo è ciò che mi spaventa di più, se tutti iniziassero a trattarmi sempre e solo come Divina, di chi potrei fidarmi, chi mi direbbe che sono sulla strada sbagliata?” Le parole di Cassandra erano pugno in pieno volto, ma Lena fu brava a mettere da parte le proprie paure, per una volta.
“Tu sei stata la mia guida così a lungo che mi sento sciocca a dirti queste cose ma, se lo vorrai, in me troverai sempre un orecchio lieto di ascoltare e una bocca pronta a parlare onestamente, sempre più incline alle beffe che ai complimenti.” La cercatrice accennò un sorriso e Lena si sentì incoraggiata a proseguire: “Inoltre sai bene che Leliana rimarrà al tuo fianco e certo non lesinerà consigli e opinioni. Spero solo che tu sappia ascoltarli prima di trovarti con un pugnale nella schiena.”
Quella notte la Cercatrice era meno incline del solito ad apprezzare l'ironia e Lena se ne accorse tardi, quando ormai lo sguardo della donna si era fatto fosco, sommerso di nuovo di preoccupazioni.
“Cass, io non metterei la mia vita nelle mani di nessun altro con la stessa fiducia che ripongo in te, non solo per la tua forza e per il tuo senso di giustizia ma anche perché tu avresti potuto prendere il mio posto se solo avessi voluto e non lo hai fatto. Chiunque sappia rinunciare al potere con tanta semplicità merita di ottenere potere, e tu lo meriti, nessuno saprebbe fare di meglio al tuo posto.”
“Sai perché sono stata tanto pronta a prendere le tue difese e a battermi per te all'inizio? Perché vedevo in te molto di ciò che sono. Vedevo la tua difficoltà, la tua paura, la tua rabbia ed era naturale sentirle come mie. Ora capisco che divenire Inquisitore ti ha inevitabilmente cambiata, nel bene e nel male, e temo un giorno di non sapermi più riconoscere.”
Lena sorrise pensando a quanto vere fossero le parole della cercatrice, le due donne potevano dirsi senza dubbio molto simili, nessun altro oltre forse la stessa Lena avrebbe sputato in faccia a qualcuno una verità tanto dura con la stessa naturalezza.
“Tu hai qualcosa che purtroppo a me manca e che ti rende incredibilmente più forte: tu hai la tua fede incrollabile. Non sottovalutarla, voi che avete fede rischiate spesso di darla per scontata, di non riconoscere la forza che vi dona. Tu sai che esiste qualcosa o qualcuno in grado di indicarti il sentiero e che rimane un esempio stabile di giustizia e benevolenza, è desolante invece avere la certezza che non ci sia altro oltre ciò che puoi vedere e toccare. Quando le tue azioni seguono solo il tuo giudizio, non hai altra guida che te stesso, nessun altro da biasimare nell'errore, nessuno a cui rivolgerti implorando perdono. Tu sei più forte di me e farai senza dubbio meglio.”
Cassandra sorrise a quelle parole e abbracciò Lena con tanta forza da toglierle il fiato.
Tornarono indietro in silenzio e non appena raggiunsero il palazzo che li ospitava si separarono per recarsi ciascuna nella propria stanza.

Quella notte Fen'harel apparve di nuovo nei sogni dell'elfa. Non si trattava del solito sogno e le strade di Val Royeaux erano state sostituite da una fitta foresta. Sapeva di avere ancora le sembianze di un lupo e sentiva i muscoli tesi nella volontà di correre ma i tanti rampicanti e la fitta vegetazione le impedivano i movimenti. Con i fianchi e il muso feriti e graffiati riuscì finalmente a raggiungere una radura. Era pronta infine a gettarsi in una corsa a perdifiato quando scorse da lontano il Temibile Lupo. Trattenne lo scatto e si avvicinò furtiva, passo felpato e ventre a terra, voleva poter vedere senza essere vista. Cosa l'attraesse della terribile bestia era un mistero a cui la ragione non sapeva dare risposta. Il Temibile Lupo era sdraiato sulla riva di uno specchio d'acqua e fissava la propria immagine immobile come una statua, Lena aveva già visto quel luogo ma la memoria sembrava non assisterla in quel sogno.
Sfruttò il rumore prodotto dalla piccola cascata che si gettava nel laghetto per farsi ancora più vicina, si sdraiò infine tra i cespugli ed osservò.
Era davvero una bestia maestosa, il manto nero splendeva come seta al chiarore della luna riflettendo i foschi colori della notte. I numerosi occhi erano inquietanti eppure non bestiali, al contrario il terrore che scatenavano nasceva forse dal loro essere assolutamente intelligenti, allo stesso tempo attraenti e crudeli, come il mare in tempesta che invita i più temerari a gettarsi tra i flutti sfidando la corrente per la soddisfazione di domare o quanto meno di essere parte di tanta potenza.
Un rumore forse attrasse l'attenzione della bestia e gli occhi si fecero sottili, concentrati. In quel momento Lena capì, erano gli stessi occhi che aveva visto sul volto dei tanti demoni della superbia che si era trovata ad affrontare. Condividevano forse la stessa natura? Fen'harel, l'ingannatore poteva non essere altro che un demone molto potente? Niente l'avrebbe sconvolta oramai, ma certo quel nuovo pensiero rendeva impellente la fuga, non voleva essere scovata da un demone in un sogno, non era una maga, ma è difficile dire di cosa i demoni possano davvero essere capaci. Si allontanò in silenzio finché non fu certa di essere sufficientemente lontana dal Lupo e poi si gettò finalmente nella corsa tanto sospirata, la foresta diradava e Lena si accorse che la luna aveva ripreso a splendere su di lei, sentì l'istinto di ululare e non lo soppresse, una sensazione di libertà assoluta la pervase. Desiderò di poter rimanere in quel sogno per sempre e solo allora si accorse di quanto stranamente lucida fosse la sua mente in quel momento.

Si svegliò di soprassalto il cuore impazzito come dopo una vera corsa. Il sole iniziava a spuntare era il momento di alzarsi e affrontare la giornata. Prima di sera Cassandra sarebbe diventata la Divina Victoria.

 

 

 

XLVIII

Solitamente odiava dover lasciare il Crocevia, non appena metteva piede al di là dell'eluvian la sua terribile emicrania, compagna fedele, tornava a tormentarlo, da quando poi un altro spirito si era unito al suo il dolore era cresciuto tanto quanto il suo potere. Quello era, però, un grande giorno e non sarebbe mancato per nulla al mondo.
Per quanto i suoi agenti fossero accurati nei loro rapporti aveva bisogno di respirare il fermento del popolo per decifrarne le sfumature e poter prevedere i cambiamenti. Inoltre l'orgoglio lo spingeva ad assistere in prima persona ad una delle più grandi vittorie ottenute da quando aveva di nuovo aperto gli occhi su questo mondo. Riuscire ad influenzare l'elezione della nuova Divina dava la giusta misura di quanto la sua rete avesse stretto le proprie maglie, nulla poteva accadere nel Thedas meridionale senza che Fen'Harel avesse voce in capitolo.
Eppure i suoi collaboratori sembravano non essere altrettanto entusiasti riguardo alla sua volontà di festeggiare il traguardo raggiunto.
Abelas sebbene inizialmente reticente aveva finito per conquistare un posto di rilievo tra le fila del Temibile Lupo, rifiutava ancora di lasciare il Crocevia e di avere a che fare direttamente con gli shem'len, ma i suoi consigli erano stati spesso molto utili per Solas. In quel caso invece il consiglio dell'antico servitore di Mythal fu ignorato senza scrupoli. Abelas si era infatti detto piuttosto preoccupato all'idea che Solas si recasse personalmente a Val Royeaux, agenti dell'Inquisizione e l'Inquisitore stessa avrebbero assistito all'incoronazione della Divina e secondo la sentinella la sua frivola escursione rappresentava un inutile rischio.
Solas aveva ignorato consigli più saggi e non rimpianse di poter ignorare anche questo.
Per quanto il dolore alla testa fosse quasi disorientante, poter girare per le strade di una città qualunque indossando umili vesti era rinfrancante. Era tornato a vestire la pelliccia del Lupo e, con la comparsa di Fen'Harel, Solas era stato ricacciato in un angolo e messo a tacere con tutto il bagaglio di dolore e rimpianti che avrebbero senza dubbio reso più impervio il percorso del Temibile Lupo.
Poter dismettere il suo nome per qualche ora era piacevole così come sentire l'eccitazione del pericolo. Era innegabile che il lungo periodo vissuto con l'Inquisizione aveva risvegliato la sua parte più impulsiva e avventata, togliendo qualche migliaio di anni al suo animo affannato. Poteva immaginarsi giovane girare per le strade di Arlathan con gli stessi sentimenti in petto e con lo stesso brivido di paura ed eccitazione che gli correva ora lungo la schiena. Non aveva alcuna intenzione di farsi troppo vicino al centro città, voleva al contrario poter rimanere ai margini, nei bassifondi e captare quale fosse l'umore del popolo in merito all'elezione. Un elfo guardingo e incappucciato non attirava l'attenzione in quei giorni e in quei luoghi. chevalier e templari sarebbero stati occupati altrove, la sua incursione poteva dirsi quindi estremamente sicura. Vagò per un poco senza meta fermandosi di tanto in tanto ad origliare le conversazioni dei passanti. Più o meno tutti si dicevano fiduciosi che le cose potessero davvero iniziare a cambiare grazie alla nuova Divina. Solas fu inaspettatamente lieto di sapere quanta fiducia la gente riponesse in Cassandra. La donna meritava effettivamente il ruolo che ricopriva, dovunque venisse il potere che le era ora consegnato era certo che nessuno come lei avrebbe potuto gestirlo nel migliore dei modi. Avrebbe ispirato gli uomini con il suo coraggio anche nei giorni bui che sarebbero venuti, sarebbe stata una solida fortezza in cui rifugiarsi aspettando la fine.
Certo doveva ammettere che era stato facile infiltrare tra i servitori della Divina le sue spie, alcuni degli uomini di Skyhold avevano in passato guadagnato il favore della cercatrice ed erano ora accolti con calore al servizio della Divina, ma, al di là del favorevole tornaconto personale, la scelta era stata felice e accolta con benevolenza e Solas non poteva che esserne orgoglioso.
Ma la cosa che lo stupì e lo inorgoglì maggiormente fu sentire quella povera gente invocare il nome dell'Inquisitore come di una salvatrice. Aveva ricevuto molti rapporti a riguardo ma ascoltare con le proprie orecchie come la sua giovane amica fosse in grado di infiammare le speranze degli ultimi era allo stesso tempo inebriante e doloroso. Le storie che aveva ascoltato parlavano di un Inquisitore sempre più attenta alle sorti del suo popolo. I suoi agenti raccontavano che quando le sue missioni lo consentivano, l'Inquisitore non mancava mai di visitare le enclavi di grandi e piccole città. Durante le sue visite l'elfa non portava pietà e carità come a volte alcuni politicanti avevano fatto, lei portava parole di speranza e orgoglio che risvegliavano sussurri di ribellioni. Voci non confermate sostenevano che l'Inquisizione stesse armando gli elfi di Halamshiral e delle maggiori enclavi elfiche del Thedas. Le spie smentivano fortemente quest'ultimo punto ma non potevano negare la crescente consapevolezza e le sporadiche insurrezioni che sempre più spesso seguivano le visite dell'Inquisitore. Per questo gli arle fereldiani, che rispetto ai nobili dell'Orlais meno dovevano all'Inquisizione in termini politici, iniziarono a temere, mormorare e a volte ad osteggiare apertamente l'operato dell'Inquisitore.
Solar, seppure orgoglioso di sapere la sua amica lottare per il benessere del suo popolo, rimaneva interdetto e impensierito temendo che le loro strade rischiassero di incontrarsi troppo presto e in modi che non aveva saputo prevedere.
Quando il pomeriggio volse al termine trovò rifugio in una taverna, ordinò del sidro e si sedette in un angolo. Poteva osservare, non visto, il via vai degli avventori e prese nota di quanto accadeva, le voci riguardo l'Inquisizione e la Divina si rincorrevano anche lì dentro. Si stava rivelando una serata interessante e proficua e anche stranamente piacevole, quando una figura attrasse la sua attenzione e per un istante rischiò di tradirsi. Varric aveva fatto il suo ingresso nella locanda e per un momento la sua mente si rifiutò di notare l'incongruità della situazione. Era del tutto normale anzi vedere quel volto sereno entrare in locanda, a Solas parve di avere avuto l'istinto di chiamarlo per farsi raggiungere al tavolo. Fortunatamente la realtà si sovrappose prontamente all'eco di una consuetudine ormai superata, Solas si sistemò meglio il cappuccio sulla testa abbassando gli occhi e rimanendo in attesa. Cosa faceva il nano in quel posto? Lo vide ordinare un boccale di birra e raggiungere un tavolo. Accidenti a Varric e alla sua assurda predilezione per posti luridi e malfamati come quello! A pensarci bene quello era esattamente il posto in cui si sarebbe aspettato di trovarlo, come aveva potuto non pensarci prima? Rimase ad osservare cercando il momento migliore per guadagnare l'uscita senza essere notato.
All'improvviso l'elfo sentì la propria emicrania dissolversi e un gelo colmo di terrore fece contrarre il suo stomaco. Non aveva il coraggio di alzare gli occhi dal tavolo, sapeva cosa avrebbe visto sollevando lo sguardo, la luce che la ragazza portava con sé non poteva che tradire la sua presenza. Terrore ed eccitazione gareggiarono nel suo cuore accelerando il battito, non era questo il brivido che stava cercando? E non era questo ad aver guidato giustamente i timori di Abelas?
Afferrò il boccale quasi vuoto e bevve un lungo sorso per darsi coraggio. Sfruttò la parziale copertura che il boccale offriva al suo volto per sollevare lo sguardo e vide davanti a sé il profilo dell'Inquisitore. Lo stomaco si torse ancora e la gola si chiuse, Solas tossì fuori il sidro che rischiava di soffocarlo. Tornò ad abbassare il capo temendo di essere stato scoperto e attese per un momento che sembrò lunghissimo. Immaginò il gelo delle lame dell'Inquisitore puntate contro la gola e la sua voce gelida intimargli di alzarsi. Ma niente accadde e Solas poté timorosamente risollevare lo sguardo lasciandolo vagare sul profilo di lei, così dolorosamente familiare. Il naso minuto, i lineamenti morbidi che tradivano la sua giovane età, la massa indomabile dei capelli lasciata insolitamente sciolta, tutto aveva un'inconfondibile sfumatura che sapeva di casa. I vallaslin attirarono la sua attenzione più di ogni altra cosa, aveva tracciato quei segni con la punta delle dita più di una volta, li aveva studiati attentamente, li aveva visti brillare fiocamente. Brillare per lui.
Il nodo alla gola aveva iniziato a dolere e l'aria stessa faticava a farsi strada.
Era stato così bravo a schermire i ricordi e a chiuderla fuori dalla sua vita! Solo di notte, prima di addormentarsi o nei suoi sogni più profondi l'immagine di lei tornava a volte a tormentarlo, ma ora averla di nuovo accanto rendeva inutile tutti i suoi sforzi. Niente era cambiato dentro di lui. Il dubbio che i sentimenti di lei non fossero reali non cambiava le cose, il fatto che lei avesse a tutti gli effetti distrutto la sua sfera e reso incredibilmente più difficile la sua missione, non cambiava niente. La distanza che lui aveva messo tra loro non contava nulla. Era bastato uno sguardo e il suo cuore era tornato a gemere per il desiderio di lei.
Fenedhis. Avrebbe dovuto dare ascolto ad Abelas.
Erano così tante le cose che la distanza non poteva mitigare oltre ai desideri del suo cuore, il suo compito rimaneva immutato e senza la sua sfera il processo sarebbe stato incredibilmente più violento, non importava la distanza, anche lei avrebbe sofferto del cambiamento; nonostante la distanza, Solas era certo che prima o poi lei avrebbe scoperto il suo piano ed eventualmente la sua natura e lui sarebbe diventato suo nemico. La distanza non era quindi una solida difesa, ma sentiva comunque l'irrazionale urgenza di allontanarsi da lì.
Alzò di nuovo gli occhi sui due amici che continuavano a parlare piano attorno ad un tavolo non così lontano da lui. Avrebbe potuto alzarsi e raggiungerli in pochi passi, avrebbe potuto parlare con lei, spiegare tutto e pregarla di aiutarlo a trovare una soluzione. Lei avrebbe finalmente potuto alleviare la sua pena, si sarebbe lasciato curare da lei a forza di baci e carezze, avrebbe potuto finalmente concedersi di amarla come aveva sempre desiderato. Ma tutto quello non era che il sogno di un ingenuo e lui aveva troppe migliaia di anni sulle spalle per potersi permettere una simile ingenuità.
Lo sguardo di lei era triste quello del nano preoccupato. Solas ricordò i timori della ragazza, ricordò la notte della distruzione di Haven giorni lontani relegati in un altra vita. Doveva sentirsi terribilmente sola ormai. Più di un anno era trascorso da quando Corypheus era stato sconfitto e da quando lui era fuggito, non dubitava che fosse già venuto il momento per l'entourage dell'Inquisitore di tornare alle proprie vite e lei aveva probabilmente dovuto affrontare la solitudine che tanto temeva. Chissà se l'impossibilità di tornare nel proprio clan tra gente che l'aveva tanto disprezzata era stato per lei un sollievo o un tormento. Era per superare la perdita del suo clan che si era gettata nella causa dell'emancipazione degli elfi?
Un uomo completamente ubriaco urtò un tavolo rovesciando il contenuto di un boccale su un avventore, la baruffa che ne scaturì offrì a Solas l'occasione perfetta per lasciare la locanda. Una volta fuori non si concesse troppo tempo, era rischioso rimanere nei paraggi. Camminò veloce fino a raggiungere la riva del lago, cercando nella corsa di seminare i pensieri che però ostinati lo seguirono fin dentro la caverna in cui era conservato uno degli eluvian.
Oltrepassare lo specchio e raggiungere il rifugio fu un sollievo. Abelas lo accolse con le ultime novità, che Solas non aveva però alcuna voglia di ascoltare.
“La missione si è rivelata utile come vi aspettavate?” Il sarcasmo della sentinella non era affatto sottile e Solas non era dell'umore adatto per essere infastidito.
“Venavis Abelas, se ti aspetti un riconoscimento per la tua lungimiranza hai sbagliato momento. Ho bisogno di un bagno e di riposo, è facile dimenticare quanto tetro, sporco e opprimente sia quel mondo, credo di aver facilmente perso l'abitudine ad esso.”
“E affollato, suppongo.” Da quando l'uso dell'ironia era diventato tanto naturale per quell'elfo? Evidentemente era stato un cattivo maestro per lui.
Si allontanò senza rispondere. La torre in cui avevano costruito il loro rifugio era ancora parzialmente diroccata ma era stato possibile ricavare un buon numero di stanze e soprattutto un grande refettorio che dava cibo e riparo a molti elfi che potevano finalmente fare ritorno a casa.
La sua stanza era piccola e semplice, non dissimile da quella che aveva occupato a Skyhold, ma era perfetta allo scopo di provvedere ad un poco di intimità. Era ironico pensare che nonostante quanto profondamente si sentisse solo fosse costantemente in cerca di altra solitudine. Preparò un bagno e lasciò che l'acqua sciogliesse i pensieri. Come aveva temuto un solo pensiero tornava ostinato alla sua mente. Due occhi verdi incredibilmente tristi pungolavano il suo senso di colpa sempre troppo lesto a risvegliarsi.
Aveva faticato così tanto ad allontanarla dalla mente ed eccola di nuovo lì vigile e presente con occhi pronti a scrutare ad intuire una verità che sarebbe dovuta rimanere imperscrutabile ma che in qualche modo era sempre alla sua portata. Quante volte subito dopo aver lasciato Skyhold si era chiesto cosa lei avrebbe pensato del suo modo di agire? Una lite tra due agenti, una nuova recluta da accogliere tra i ranghi, un obiettivo da definire e subito la sua mente correva a lei. La sua mancanza di fiducia l'avrebbe fatta infuriare, avrebbe riso invece della pomposità con cui era intervenuto nella discussione, avrebbe acutamente individuato nel piano un punto debole che a tutti loro continuava a sfuggire. La sua presenza lo aveva perseguitato a lungo, aveva resistito con estrema fatica alla voglia di farle visita in sogno, eppure alla fine il suo compito aveva avuto il sopravvento. Lei era rimasta come l'eco lontana di un dolore che torna a tormentare senza svelare interamente la propria natura, confusa e intrecciata con le tante altre cose che lo addoloravano e per cui si sentiva colpevole. Rivederla aveva però vanificato tutti i suoi sforzi. Maledetto Abelas, aveva avuto ragione e senza dubbio non avrebbe mancato di farglielo notare.
L'acqua era ormai diventata fredda, uscì dal tino e si avvolse in un telo asciugandosi con lentezza. Studiò il proprio corpo nel piccolo specchio accostato alla parete: nuove cicatrici si sovrapponevano quasi ogni giorno a cicatrici vecchie le cui battaglie si perdevano ormai nella memoria. Quelle cicatrici e gli occhi cupi che lo stavano scrutando erano i soli segni delle tante ere che quel corpo aveva attraversato, non fosse stato per quei due segni del tempo non avrebbe potuto distinguere il suo corpo di oggi da quello giovane che calcava le strade dell'antico mondo. Un pensiero sadico e sottile come un ago si insinuò nella sua mente.
In tempi lontani a quel corpo non erano mai mancati baci e carezze così come le sue mani e la sua bocca non ne erano state avare, ora invece bramava il più casto contatto come un assetato nel deserto anela al pozzo che potrebbe salvargli la vita. Le mani di una fin troppo giovane dalish erano state le ultime a posarsi su quel corpo, ma quelle carezze fuggevoli non erano state neanche lontanamente sufficienti. Solas sospettava che in realtà non ne avrebbe mai avuto abbastanza di lei.
Ma il suo corpo menzognero era un monito oltre che un fardello. Se anche avesse voluto cedere al dolce desiderio di lei, anche avesse voltato le spalle a tutte le sue responsabilità e deciso di vivere in questo mondo distorto e corrotto accanto alla sua preziosissima amica, quel corpo avrebbe ogni giorno sottolineato l'innegabile verità, lei un giorno sarebbe morta e lui non avrebbe invece dimostrato un solo anno in più. Volse lo sguardo allo specchio e indossò la vecchia casacca. Era un sentimentalismo infantile ed indegno di lui, ma ora che era tornato ad indossare i panni del dio, provava un piacere intenso nel coricarsi indossando le vesti che erano state dell'apostata. Si gettò sul letto sospirando. Il bagno lungi dall'allontanare i pensieri aveva risvegliato in lui desideri insidiosi.
Il solo pensiero che un giorno la sua bella amica potesse semplicemente cessare di esistere era terrificante. Ed era colpa sua. L'anima che abitava in quella giovane e saggia elfa era senza dubbio antica, avrebbe meritato i privilegi che in tanti avevano invece avuto immeritatamente, le sue azioni avevano privato quell'anima degna del dono di una vita sconfinata oltre a privarla della conoscenza che derivava dalla connessione con l'Oblio. Si era spesso chiesto con quanta abilità la sua fantasia arguta avrebbe piegato il mana alla sua volontà se avesse potuto entrare in contatto con la magia che scorreva nelle sue vene.
Un colpo alla porta lo trascinò di nuovo alla realtà. Non voleva vedere nessuno, voleva poter indugiare ancora un poco in quei pensieri egoisti. Ancora un colpo questa volta più leggero, chiunque fosse non voleva davvero disturbare, evidentemente non era nulla di urgente e poteva attendere. Un pensiero assurdo affondò come una lama nel suo stomaco. Non poteva essere lei. Durante i giorni trascorsi con l'Inquisizione solo lei bussava alla sua porta. Il buio confondeva i contorni della stanza ed era facile poter immaginare di essere di nuovo tornato nella stanzina di Skyhold, immaginare che il tocco leggero sulla porta fosse il suo. Rivide la sua bella figura entrare incerta nella stanza, il bel volto illuminato tenuemente dal bagliore dei vallaslin e provò lo stesso intenso desiderio che lo aveva in passato portato così vicino alla rovina. Tutto sarebbe andato storto se avesse ceduto, ma tra la disfatta e la rovina nel mezzo ci sarebbe stata lei.
Poteva ancora sentire sulla pelle le sue carezze incerte, poteva sentire il marchio sulla mano di lei formicolare piacevolmente sulla sua nuca, le labbra morbide sul suo collo, i lunghi fremiti trattenuti appena. Poteva sentire in lei lo stesso desiderio, la stessa fame.
Solas cercò con un respiro profondo di rallentare la corsa impazzita del sangue nelle vene.
La sua bella amica non si era mai tirata indietro era sempre stato lui ad allontanarla, ogni volta con la mente un poco più offuscata. Ed ora lo rimpiangeva amaramente. Era stato difficile voltare le spalle a quella pelle morbida e profumata, era stato quasi impossibile frenare i baci e le carezze, mettere distanza tra i loro corpi quando il suo unico desiderio sarebbe stato quello di farsi ancor più vicino, baciare ogni più piccola parte di quel corpo, vedendo i vallaslin sul suo volto illuminarsi sempre di più e percorrendo le linee impresse nella sua schiena fino a sentirla gemere il suo nome.

“Solas?” L'eco della voce nota lo costrinse ad aprire gli occhi.
Fenedhis. Doveva essersi addormentato senza rendersene conto. Si guardò attorno e si rese conto di trovarsi nella caverna in cui aveva trascorso l'ultima notte con lei, era sempre riuscito a rimanere lontano da luoghi tanto pericolosi durante le sue peregrinazioni nell'oblio, quella volta era stato colto di sorpresa.
“Solas?”
Si voltò e lei era lì, il volto illuminato come ogni volta nell'oblio. Era davvero lei o solo una proiezione della sua immaginazione? Istintivamente guardò le proprie vesti, erano quelle che lei poteva riconoscere, sospirò sollevato.
“Solas?” Ancora il suo nome sulle sue labbra, i suoi occhi colmi di emozione. Fece un passo verso di lui e poi ristette indecisa.
“Sei davvero tu? Stai bene? Sei al sicuro?”
Il cuore gli balzò in gola, non c'erano recriminazioni o accuse nel cuore di lei, solo preoccupazione. Quella reazione non era certo una che la sua mente potesse immaginare. Doveva essere davvero lei. E lui doveva allontanarsi.
Doveva svegliarsi, doveva andare via da lì. Lei doveva aver affrontato gli stessi sforzi per dimenticarsi di lui e lui aveva vanificato tutto. “Non ti farò domande se non vuoi, non cercherò di sapere dove sei, dimmi solo, te ne prego, stai bene?”
La fuga non sarebbe stata sufficiente, l'aveva trascinata in quel sogno ora doveva prendersene cura, doveva permetterle di riguadagnare serenità. Pensò ad un posto felice in cui lei avrebbe potuto dimenticare gli affanni. La taverna di Skyhold sembrava il posto migliore, la musica del menestrello e le voci degli amici l'avrebbero aiutata, plasmò con la propria memoria il luogo caro.
“Solas!” di nuovo la sua voce.
“Perdonami venhan.” Lo disse sorridendo prima di svanire per lasciare il posto ai nuovi luoghi e ai nuovi odori. Rimase ad osservarla. Si aggirava confusa tra i tavoli, la vide salire per raggiungere il solito tavolo, il consueto vociare e la musica accompagnavano i passi della ragazza, si sedette poggiando la testa sulle braccia e pianse. Solas sentì di nuovo l'aculeo del rimorso pungere e spargere il suo veleno.
Come poteva essere stato così sciocco! Erano le persone ad aver reso prezioso quel luogo ed ora probabilmente la ragazza non poteva non sentire il peso della solitudine.
“Non piangere venhan, non sei sola.” Era di nuovo comparso al suo fianco, le si era fatto vicino ma non era abbastanza sicuro di sé da concedersi di toccarla.
L'ambiente intorno a loro cambiò di nuovo. Le aveva promesso che un giorno le avrebbe mostrato lo splendore di Arlathan, non ci sarebbe stato momento migliore per mantenere la sua promessa.
Con gli occhi ancora velati di lacrime la ragazza iniziò a guardarsi intorno e lo stupore ben presto prese il posto della disperazione.
“Questo è il posto a cui appartieni, il posto di cui sei degna.”
La ragazza gli scoccò un'occhiata colma di domande, ma Solas non sostenne il suo sguardo e iniziò a camminare. La ragazza camminava silenziosa al suo fianco guardandosi intorno piena di meraviglia, superato il timore iniziale prese ad aggirarsi con maggior sicurezza per le strade pronta a seguire la propria curiosità voltandosi di tanto in tanto per scambiare con Solas uno sguardo complice e felice. Ad un tratto ciò che vide davanti a sé gettò il mago nella confusione più buia e lo spaventò tanto da privarlo di tutta la sua razionalità. La ragazza che si aggirava per l'antica città di Arlathan aveva improvvisamente acquisito delle sembianze che non le appartenevano. Al posto del bel corpo della ragazza c'era ora un giovane lupo dal manto fulvo. Non poteva essere possibile, solo i somniari sono in grado di cambiare il proprio corpo all'interno dei sogni, e non solo la dalish non aveva il potere di un sognatore, non era neanche una maga. Anche quello doveva essere un effetto indesiderato dell'ancora. Guardò a bocca aperta l'animale per alcuni istanti. Lo aveva già incontrato in un sogno, lo aveva scambiato per uno spirito e lo aveva ignorato, poteva invece essere lei? Lei era stata in grado di farsi strada verso di lui all'interno di un sogno? Non era possibile. All'improvviso si sentì in pericolo. Come poteva celarsi tanto potere dietro un'apparenza inerte? Era vero aveva iniziato da molto a considerare quella dalish decisamente viva e reale, la considerava degna dell'antico mondo ma da questo a riconoscere in lei una vera connessione con l'antico popolo il passo era decisamente troppo lungo e del tutto azzardato. Con la sua sola presenza era riuscita a stravolgere l'idea che si era fatto del nuovo mondo ma non poteva accettare che potesse mettere in discussione davvero tutto, il mondo antico, il mondo del sogno, la natura della magia.
La ragazza-lupo stava intanto tornando verso di lui e facendoglisi vicina recuperò la sua forma umana apparentemente inconsapevole.
“E' bellissimo, ti ringrazio.” Dovette notare la sua espressione allarmata perché aggiunse subito: “So che devi andare, ma sarebbe bello se tornassi a farmi visita ogni tanto. Avrei così tante cose da raccontarti.”
Solas strinse gli occhi per allontanare un dolore indefinito. Non riuscì a trattenere una carezza e vide la ragazza tremare. Era sempre stato lui a tremare per il tocco di lei, mai il contrario. Era ora di andare. Lasciò la ragazza in quel sogno dandole la possibilità di esplorare l'antica città e svanì mentre lei correva lontana alla ricerca di nuove meraviglie. Sperava che al risveglio avrebbe potuto pensare al loro incontro solo come al frutto della sua fantasia, infondo sapeva bene che in passato le era già accaduto.

Dal canto suo lui avrebbe dovuto fare i conti con una verità che rischiava di destabilizzare tutte le sue certezze. Avrebbe dovuto fare ricerche, chiedere consiglio e trovare una spiegazione. Non si sarebbe fermato finché non avesse trovato una spiegazione razionale e accettabile capace di ricondurre la bella dalish ad una realtà accettabile e prevedibile, non poteva permetterle di rimanere una freccia vagante, era troppo pericolosa. Ma per quanto letale e dastabilizzante potesse essere quella fraccia, rimaneva la sua freccia -ma da'assan- e in un angolo remoto, lontano dai suoi pensieri più razionali, Solas sapeva che era piacevole scoprire che lei possedeva ancora il potere di di cambiare tutto ancora una volta, l'intero mondo.

Si risvegliò nella stanza illuminata dalla prima luce dell'alba. Qualcuno bussava di nuovo alla sua porta, con più insistenza questa volta. Gettò uno sguardo desolato al proprio mantello e aprì la porta.
“Mi dispiace disturbare.” A dispetto del suo tono formale lo sguardo negli occhi di Abelas tradiva l'esatto contrario. “E' arrivato un messaggio da Tarasyl'an Tel'as, l'agente sospetta che alcune spie dei qunari possano aver infiltrato le schiere dell'Inquisizione, accenna ad un piano inquietante ma non ha voluto dare informazioni più dettagliate per iscritto, chiede il permesso di tornare per potervi parlare di persona.” Solas fece un cenno di assenso.
“Ti raggiungerò subito.” Detto questo chiuse la porta si spogliò degli abiti dell'apostata e li ripiegò attentamente sistemandoli sopra il cuscino. Si rivestì, si gettò il manto del Lupo sulle spalle e uscì, evitando accuratamente di guardarsi allo specchio.

 

Fenedhis: imprecazione generica e indefinita. 
Vanavis: Basta
Ma da'assan: mia piccola freccia.


1: Il dialogo tra Dorian, Blackwall e Sera è davvero presente nel gioco più o meno in questi termini e l'ho tristemente scoperto durante la mia prima partita. Avevo intrapreso la romance con Blackwall e questo scambio mi ha talmente innervosita da farmi ricaricare la partita dalla sua quest personale e mettere fine alla relazione. So che nella mente dei programmatori probabilmente l'insulto non era relativo alla sessualità di Dorian ma al problema che Blackwall sembra avere con i ricchi e l'ostentazione del lusso (anche a causa del suo passato), ma il mettere in dubbio la mascolinità (o la femminilità in caso di una ragazza) di una persona omosessuale è uno degli insulti che ritengo più beceri e siccome alla fine mi sembrava coerente con il personaggio di Blackwall (anche pensando alla sua amicizia con Sera), non sono più riuscita ad averlo attorno, figuriamoci a pensarlo come romance. Volevo assolutamente inserirlo nella storia, un po' perché è una sfaccettatura interessante, a mio avviso, un po' per un senso di rivincita nei confronti del personaggio. Mannaggio-a-lui, mi piaceva tanto e poi mi delude così! Vabbè una spiegazione decisamente non richiesta, però ci sono un sacco di cose che ho inserito nella storia che poi non ho spiegato per non essere prolissa, questa volta non potevo evitare. Perdonatemi questa piccola soddisfazione.

   
 
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