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Autore: keska    10/06/2009    28 recensioni
Tranquilli è a LIETO FINE!
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

Fan fiction ANTI-JACOB!
E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse. Lupacchiotte, siete state avvisate, non uccidetemi poi…
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Sentivo i tiepidi raggi di sole, illuminarmi il viso, con delicatezza

Capitolo riveduto e corretto.

 

Sentivo i tiepidi raggi di sole illuminarmi il viso, con delicatezza. E quella dolcezza mi riportò alla mente la stessa che aveva usato con me Edward quella notte. Quel pensiero mi fece imporporare il volto.

Improvvisamente, mi accorsi che avrei dovuto sentire caldo, ma non era così, perché ero stesa su qualcosa di freddo e duro.

Mi voltai, mettendomi a pancia in giù.

Con un sorriso raggiante, mi osservava. Era bellissimo. Nulla di più sconvolgente di Edward dopo aver fatto l’amore. Perfetto, diceva il mio cervello. Il suo sguardo era bramoso, languido. Più o meno come era il mio, temo. Mi resi conto che ero completamente nuda, con il seno schiacciato contro il suo petto.

Inevitabilmente arrossii. Lui mi accarezzò, dolcemente, una guancia. «Edward» lo chiamai, trasognata. Mi guardò negli occhi, intensamente. Deglutii. Sentivo il cuore in gola e non sapevo come farlo ritornare al suo posto. «Sei… sei… sei sconvolgente…» balbettai, imbarazzata, senza riuscire ad aggiungere altro.

Lui ridacchiò un attimo. «Sei tu che sei davvero stupenda» disse poi, con dolcezza.

Le nostre dita corsero ad intrecciarsi sul suo petto. C’era una cosa però che mi premeva chiedergli. Arrossii ancora, facendo aumentare i battiti del mio cuore.

«Cosa c’è?» mi chiese teneramente, portandomi una mano sul petto.

«N…niente» balbettai «solo…».

«Solo?» incalzò lui, sollevandomi il mento per fissare i suoi occhi nei miei.

Inspirai profondamente. «È... è stato… difficile, per te…?» chiesi, più imbarazzata che mai.

Mi rivolse uno sguardo carico d’amore e fece scendere le sue labbra fino a posarsi delicatamente sulle mie. Quel bacio fu casto, eppure pieno di nuova e rinnovata passione. Quando si staccò da me, disse «La rosa più bella, quella più pura e graziosa, è costellata dalle spine più appuntite, che ne proteggono il candore». Come al solito, Edward era un galantuomo.

Mi strinsi maggiormente a lui, accarezzando il suo petto e disegnando cerchi concentrici. Lui chiuse gli occhi, e abbandonò il capo all’indietro. Lo sentii gemere piano e sorrisi compiaciuta, riportando alla mente le avventure di quella notte.

Feci vagare un attimo lo sguardo per la stanza e poi, scoppiai in una fragorosa risata.

Edward si risvegliò dal suo sogno. «Che succede?» mi chiese curioso.

«Guarda» spiegai, indicando la stanza. Tutti i nostri abiti erano disseminati qua e là. I calzini erano da una parte, le scarpe dall’altra. La sua camicia era finita malamente su una sedia e la gonna faceva bella mostra di tutto il suo tulle sul pavimento. «E’ tutto in disordine».

Anche Edward rise con me. «Aspetta, rimediamo subito» fece, alzandosi istantaneamente e ritornando in pochi secondi al mio fianco.

Tutto era di nuovo apposto e perfettamente sistemato. I nostri abiti completi facevano bella mostra di loro su due appendiabiti appoggiati con cura su una sedia. In quel modo ebbi maggiore facoltà di valutare tutti i particolari della stanza.

L’ambiente era piuttosto grande e molto luminoso. Due grandi finestre facevano bella mostra di sé, lasciando intravedere il verde del paesaggio circostante. Sul pavimento c’era una moquette beige chiaro, e, a parte l’immenso letto coperto dalla nuvola bianca di tulle, c’erano due comodini di legno di ciliegio, disegnati con linee morbide e sinuose. Dello stesso stile del letto e del resto del mobilio. Sui comodini due abatjour delle stesse tonalità chiare di tutta la stanza. Era una camera da letto in piena regola. Le pareti, infatti, erano drappeggiate ordinatamente da stoffe che sfumavano dal rosa pesca al bianco. Negli spazi vuoti, invece, tra un drappo e l’altro, c’erano appesi i miei quadri.

Mi mancò un attimo il fiato, quando lo vidi. Proprio davanti a noi, in modo che si potesse vedere dal letto, stava il mio quadro de “La cortigiana”. Senza quasi accorgermene, mi sollevai dal letto e mi avvicinai al mio dipinto, fino quasi a sfiorarlo. Era contornato da una meravigliosa cornice dorata.

«Ti piace?». Contemporaneamente alla parole di Edward, mi sentii stringere da dietro.

Non risposi. Perché aveva messo lì, proprio quel quadro?

«E’ il mio preferito» mi sussurrò ancora.

Deglutii. Era anche il mio preferito. Ma non doveva essere così.

«Hai usato dei colori bellissimi»

Decisi di rispondergli. «Già… sono colori a olio. Sono molto vivaci».

Mi sentii baciare una guancia. «Mi piace il rosso del vestito della cortigiana».

«Gliel’ha regalato il lord. Quella mattina si erano alzati presto ed erano andati a fare una gita. Lui aveva scoperto che fra le insenature delle roccia c’era una grotta» indicai un puntino in lontananza «Nella grotta c’erano dei coralli, così il lord ne fece un colore e lo regalò alla Cortigiana. Lei lo usò per dipingere il suo vestito che inizialmente era bianco, e così, si spogliò del suo candore» dissi, arrossendo per le mie stesse parole e stringendomi maggiormente a Edward.

«Col bianco la purezza, col rosso sangue diventa una donna» mi baciò il capo, osservando ancora il dipinto. «Quel paesaggio, lì in fondo, mi sembra familiare» disse, indicando la grotta.

«Sì, ho preso ispirazione da Goat Rocks, è uno scorcio in cui mi portasti un giorno, te ne ricordi?» chiesi, voltandomi verso di lui.

Mi sorrise, preso da una nuova emozione. «Certo, come potrei dimenticarmene» mi rispose, scendendo a baciare le mie labbra.

Il mio stomaco gorgogliò, e lui rise, seguito poi a ruota da me.

Mi scusai, divertita. «Scusami, è da ieri mattina che non tocco cibo».

«Da ieri mattina?» mi chiese lui preoccupato «Allora bisogna rimediare subito!» aggiunse poi, allegro, baciandomi la clavicola.

Io mi lasciai andare a quella piacevole sensazione, cominciando io stessa a baciargli la mascella, l’orecchio. «Lascia stare…» bisbigliai languidamente «posso vivere di solo amore» ansimai, gettandogli le braccia al collo e facendo arretrare fino al letto.

Lui si stese e io mi sistemai su di lui, senza mai staccare la mie labbra dalle sue. Con una mano, lentamente, cominciò ad accarezzarmi una gamba, dal polpaccio, fino a salire fino all’incavo del ginocchio, alla coscia, e su, più su…

Improvvisamente si staccò da me, uno sguardo divertito sul volto. «Tesoro, dovresti mangiare, ti ricordo che sei ancora un po’ debole…».

Alla mia espressione offesa, aggiunse malizioso «poi, possiamo riprendere da dove abbiamo lasciato, ma ora… ho una sorpresa per te, vestiti». Mi aiutò a sollevarmi dal suo corpo e aprì le ante di qualcosa che sembrava un armadio, ma che in realtà, dato che dopo due istanti Edward scomparve, capii essere una cabina armadio. Rimasi un po’ perplessa.

Dalla sera precedente, ricordavo con precisione che la costruzione dall’esterno mi era apparsa come una piccola, singola stanza.

Edward tornò da me, con la sua immensa bellezza, scacciando via i miei pensieri. Aveva in mano un abitino verde e indossava dei pantaloni larghi e una magliettina bianca e blu a righe larghe e a mezze maniche.

«Tieni» disse, porgendomi il vestito, mentre io lo fissavo imbronciata. Sul suo volto apparve un espressione confusa «Che hai?».

«Ti sei rivestito senza che io ti vedessi!» intrecciai le braccia al petto, offesa.

Nella stanza si diffuse la sua risata cristallina. «Scusa» mi sussurrò all’orecchio non appena smise di ridere «ti prometto che dopo, mi potrai svestire e rivestire quante volte vorrai».

Arrossii terribilmente. Tuttavia risposi, tentando di imitare il suo tono languido «mi sa che preferisco la prima».

Lo investì un’altra ondata d’ilarità.

Mi rivestii sotto il suo sguardo compiaciuto.

«Di che sorpresa parlavi prima?» gli chiesi con noncuranza.

«Se te lo dicessi, non sarebbe più una sorpresa, no?!» mi rispose lui «E poi, dai, lo scoprirai prestissimo, appena finisci di vestirti».

«Okay, pronta» dissi facendo una giravolta su me stessa per mostrare il mio abito. «Come sto?» chiesi con fare provocatorio.

In un attimo mi fu accanto «Sei un angioletto. Il mio, angioletto».

Questa volta fui io a ridere.

Mi prese per mano. «Bene, andiamo. Apri la porta» mi istruì, indicandomi la porta che mi pareva quella da cui eravamo entrati la sera precedente.

«Okay» obbedii un po’ scettica, abbassando la maniglia.

Lo spettacolo che mi si presentò dinanzi non me lo sarei mai aspettato. Davanti ai miei occhi, subito dopo un corridoio, e separato da un arco, c’era un meraviglioso soggiorno. Tutto era arredato con tonalità chiare, e tutto, nella stanza, faceva pensare di essersi persi in una fiaba. Sembrava di essere stati traspostati nella casetta di Biancaneve. C’era persino un sontuoso camino. Quasi incantata, mi avviai a passo leggero per la stanza; tutto era stupendo e curato e arredato nei minimi dettagli. Una porta in legno rosso, di ciliegio probabilmente, portava alla sala da pranzo, al cui centro troneggiava un grande tavolo. Da una porta coi vetri colorati si poteva scorgere una cucina, da un’altra, il grazioso ingresso.

Mi voltai un attimo, scoprendo Edward dietro di me.

Ero sgomenta. Non ci sarebbe dovuta essere una casa lì!

Lui dovette leggere la sorpresa nei miei occhi, perché, dopo avermi sorriso disse: «Bisognerà ringraziare tutta la mia famiglia. In particolare Esme…».

Me ne stavo ancora ferma, sbigottita, con la bocca semi-aperta a fissarlo, incapace di parlare.

Si mosse nervosamente, spostando il peso del corpo da una gamba all’altra. «Ti piace?».

Dopo circa venti secondi mi accorsi di avere ancora la bocca aperta, così la richiusi in uno schiocco secco. «Ma…ma come…? Ma…ma…io…?» farfugliai incapace di fare un discorso sensato. «Non c’era…».

Edward mi venne accanto, stringendomi a sé. «C’era. Ben nascosta, ma c’era. Alice sosteneva che ieri non era il miglior momento per mostrartela» mormorò pensieroso, picchettandosi le labbra con un dito. Accortosi del mio sguardo fisso su di lui mi sorrise. «Beh, mai andare contro a quello che dice Alice, no? Credo che avesse ragione. Ieri… avevamo di meglio a cui pensare» continuò malizioso. «E’ il loro regalo di nozze. Allora, ti piace la nostra casa?».

Sobbalzai, arrossendo ancor più tenacemente. Il tono che aveva usato per dire “nostra casa”. «È… è meravigliosa!» esclamai.

«Sono contento che ti piaccia».

Esitai, titubante. Non avevo pensato davvero a dove avremmo vissuto. Forse avevo sempre dato per scontato che saremmo rimasti a casa Cullen, almeno fino a che avessi potuto. E poi, mi aveva detto che aveva in mente una sorpresa, per la nostra luna di miele. «Ma…ma è davvero casa nostra?».

«Certo!».

«Possiamo rimanerci quanto tempo vogliamo?» chiesi speranzosa.

«Il più a lungo possibile!» mi rispose, contento, leggendo l’euforia nella mia voce.

Mi fece fare un vero giro della casa, mostrandomi ogni stanza e angolo. Poi mi portò a fare colazione, mentre io ancora mi muovevo come se stessi camminando sulle uova, per paura di rompere l’incanto.

«Allora, che cosa vuole la mia cara moglie per colazione?» disse spostando la sedia, da vero gentiluomo, per farmi sedere intorno al piccolo tavolo in vetro al centro della stanza.

«Mmm… vediamo» feci divertita «che cosa c’è nel tuo repertorio di cuoco?».

Fece un gesto ampio con la mano, come un cameriere che indica un tavolo. «Chiedi e ti sarà dato».

«Davvero?» risposi maliziosa.

Scoppiò a ridere. «Davvero».

«Credo che mi affiderò al maître».

«Bene» mi accontentò, muovendosi a velocità vampiresca per la cucina. Vedevo la ante che sbattevano qua e là, il frigo ora aperto, ora no, e la sua ombra che si destreggiava veloce.  Dopo circa due minuti mi ritrovai di fronte agli occhi un bicchiere di succo, uno di latte, dei biscotti, un pezzo di torta, una barretta di cereali e un piatto di uova strapazzate con la pancetta.

Sgranai gli occhi. «Edward! Non ti aspetterai che io mangi tutto, vero?».

Si sedette accanto a me, con le mani sotto il mento, ad osservarmi «Scegli quello che vuoi».

Sollevai le sopracciglia, scettica. «Okay…». Presi innanzitutto il succo e lo mischiai al latte. Bevvi un sorso di quell’intruglio delizioso. Afferrai un biscotto e lo mordicchiai, poi passai alla torta. Sentivo i suoi occhi addosso. Gli piaceva guardarmi mentre mangiavo. «Mmm… è buonissima!» esclamai.

Mi sorrise. «Sono contento che ti piaccia, l’ha fatta Esme».

Presi un altro sorso di latte e succo, ripensando all’affettuosità della mia famiglia. Mi, anzi ci avevano costruito una casa stupenda. Mi mossi sulla sedia, lievemente a disagio.

Edward mi stava osservando, facendo scorrere mollemente un dito sul mio braccio. «Ti fa male? Senti bruciore?».

Lo guardai un per attimo stralunata. Quando capii a cosa si stesse riferendo tossii, sputando il latte con cui mi stavo affogando. Mi sentii immediatamente battere dei colpetti gentili dietro la schiena, mentre ancora tossicchiavo, con le lacrime agli occhi.

«Stai bene?» mi chiese, preoccupato.

Assentii col capo, sforzandomi di controllare gli ultimi accessi di tosse. Ero rossa in viso, e di certo non solo per il mancato affogamento.

«Che ti è preso?».

Distolsi lo sguardo, in cerca di un buco o un angolo in cui seppellirmi. «Umh… niente». Immaginavo che certi discorsi fossero… normali, fra due persone sposate. Eppure come potevo non contorcermi dall’imbarazzo per quello che mi aveva chiesto? L’attuale stato di salute del mio… della mia… delle mie parti intime.

Mi guardava, cercando di capire la mia espressione.

Tossicchiai, mordicchiandomi un labbro. «Tutto bene, certo» risposi al tavolo, con cui stavo avendo una conversazione privata, visto che i miei occhi non parevano volercisi separare.

«Sei in imbarazzo?» mi chiese, genuinamente sorpreso.

«No!» esclamai, affrettandomi a rispondere. Ansimai, guardando ovunque tranne che il suo volto. «Io… sì» mi si mozzò il respiro in gola, mentre mi portavo la mani a coprire gli occhi e il viso, infuocato d’imbarazzo.

Ci fu qualche istante di silenzio, poi udii una meravigliosa e cristallina, quanto sfacciata risata. «Ti stavi per soffocare per questo?».

Lo fissai truce, arrossendo, se possibile, ancor di più.

Edward cercava, inutilmente, di nascondere il divertimento nella sua voce.  Mi scostò una mano dal volto. «Amore».

«Ti prego, ma sento già abbastanza imbarazzata» cincischiai, abbassando il viso.

Si fece serio. Mi prese il viso fra le mani, costringendomi a guardarlo. «Cosa c’è? Ieri non mi sembravi così  a disagio».

Scossi il capo velocemente, senza rispondergli davvero.

«Allora?».

Deglutii. «Ieri non mi hai fatto domande così… specifiche».

Sorrise, e in un attimo mi trovai fra le sue braccia. Non conoscevo bene la casa, ma abbastanza da intuire che mi stava trasportando verso la camera da letto. «Cosa ne dici se diamo un’occhiata?» domandò, lasciandomi cadere sul materasso.

«Cosa?» strillai, stridula, portandomi automaticamente le mani a coprirmi le pelvi. Lo fissai terrorizzata.

Si sistemò caponi sul letto. Mi fece il suo sorriso sghembo, facendomi palpitare il cuore. L’imbarazzo stava per trasformarsi in eccitazione. Mi prese per una caviglia, tirandomi a sé. Iniziò a lasciare una scia di baci, risalendo verso l’alto. «Ho sempre sognato di organizzare una campagna di esplorazione proprio… qui».

Le mie mani stavano stringendo i suoi capelli, adesso. «Oh, Edward…».

Nella settimana che passò, ci godemmo in pieno la nostra luna di miele. Ormai si poteva dire che ognuno dei due conoscesse alla perfezione il corpo dell’altro, nei dettagli più minuti, e nei punti più inesplorati. L’amore ci rincorreva sempre, non dandoci mai tregua, né noi la chiedevamo, assuefatti com’eravamo l’uno dell’altra. Eravamo rimasti chiusi in casa nostra, senza alcun contatto con l’esterno, a vivere di solo amore. Certo, qualche volta io dovevo dar sfogo ai miei bisogni da umana, ma di tanto in tanto, condividevamo anche quelli. Come la volta in cui facemmo il bagno assieme… Oppure, come la volta in cui, un alimento in particolare decise di movimentare la nostra attività d’amore.

 

Mentre frugavo nella dispensa mi accorsi di un mobiletto in basso, chiuso con una piccola e graziosa chiave. Edward era in camera da letto, e stava cambiando le lenzuola. Avevo chiesto di farlo io, ma lui, gentile come al solito, me l’aveva impedito.

Così, senza chiedere il permesso, aprii l’anta del mobiletto.

Davanti ai miei occhi trovai un’enorme quantità di liquirizia, di tutti i tipi. Immediatamente mi venne un’idea. Dopotutto, Edward era sempre così… affettuoso con me, mentre io ancora non gli avevo dimostrato nulla, e per questo mi sentivo un po’ in colpa. In più, lui doveva sempre cercare di controllarsi…

Afferrai i primi due grossi pacchetti, e mi accorsi che c’era un biglietto, indirizzato a me.

Da Alice, con affetto… Mi raccomando usala bene!

PS. Non far sentire l’odore a Edward prima del necessario…

Ovviamente ci doveva essere il suo zampino. Con un sorrisetto malizioso sulle labbra, presi altri due pacchetti e una bella coppa in vetro che avevo visto sulla penisola della cucina e mi affrettai in bagno, badando bene di lasciare i pacchetti ancora sigillati. Una volta entrata nell’antibagno, aprii tutte le finestre e svuotai i pacchetti nella coppa, formando un bel miscuglio con vari tipi di liquirizie.

Poi, presi una decisione. Rossa in viso per quello che stavo per fare, aprii il cassetto della biancheria e vi trovai un succinto completino blu, costituito più che altro da veli, che faceva un magnifico gioco, “vedo- non vedo”.

«Amore, sei lì dentro?» mi chiamò Edward.

Sobbalzai un attimo, preoccupata di essere stata colta in flagrante, poi, mettendomi una mano sul cuore martellante, mi tranquillizzai. «Sì, vai a letto, sto arrivando» feci alzando inutilmente il tono di voce.

«Va bene» mi rispose poco convinto.

Presi tre grossi respiri e afferrata la coppa in mano, senza neppure guardarmi allo specchio, mi diressi, cercando di sopprimere l’imbarazzo, verso la camera da letto.

Quando mi vide con la liquirizia fra le braccia, mentre tentavo di camminare verso di lui con un minimo di sensualità, i suoi occhi divennero improvvisamente nero liquido, segno che il mio piano stava funzionando. Posai la coppa tra di noi, sul copriletto appena cambiato e ancora immacolato, mentre gattonando mi andavo a mettere al suo fianco.

«Bella…» sussurrò, la voce già bassa e roca.

Gli misi una mano sulle labbra, tentando ancora di non apparire troppo impacciata. «Shh» sussurrai, avvicinandomi pericolosamente al suo orecchio. Presi con delicatezza un pezzo di liquirizia tra le mani mordicchiandolo lascivamente, mentre ebbi la soddisfazione di vedere Edward deglutire, probabilmente veleno. Mi avvicinai a lui, baciandolo e inondandolo del profumo della liquirizia.

Chiuse gli occhi, e lasciò andare la testa all’indietro. «Ancora» mormorò roco.

Presi un altro pezzettino di liquirizia e ripetei quella stessa operazione.

«Mmm… ancora una volta, te ne prego».

Ero salita a cavalcioni su di lui e lo baciavo provocatoriamente con il sapore di liquirizia in bocca.

Emise un gemito tra le labbra «La liquirizia…»

«Sì, mio bel vampiro?» chiesi maliziosa.

Iniziò a prendere l’iniziativa di baciarmi «Irretisce i miei sensi…».

«Sì, mio bel vampiro…».

Mi mise un altro pezzetto di liquirizia tra le labbra, imboccandomi maliziosamente. «Mi fa perdere la percezione dell’olfatto…».

«Sì, mio bel vampiro…» lo baciai ancora.

Mormorò roco «Mi annebbia il cervello».

«Sì, mio bel vampiro!» esclamai, anch’io roca, prima che la coppa venisse spazzata via dal letto, infrangendosi contro il muro e che io mi trovassi a tremare di passione insieme a Edward.

 

Ripensando a quei momenti mi ritrovai più accaldata del solito, mentre al mio risveglio, con la mano, cercavo il corpo di Edward steso accanto a me sul letto. Non trovandolo aprii gli occhi di scatto e mi portai a sedere sull’enorme materasso. Era ancora buio, così accesi l’abatjour. Nella stanza non c’era nessuno oltre a me.

Di fronte ai miei occhi, appeso sulla cornice de “La Cortigiana” c’era un bigliettino, su cui c’era scritto in bella grafia. Mi sollevai dal letto, stropicciandomi gli occhi.

Per starti più vicino sono andato a caccia… Tornerò subito, già adesso mi manchi. Aspettami, e prenditi cura delle mie cose, ricordati che mi appartieni…

Torna a dormire, perchè è sicuramente ancora tardi.

Sogni d’oro,

Tuo per sempre, Edward…

Sospirai. Era strano non averlo accanto, dopo tutto quel tempo insieme. Mi sentivo così strana ad essere da sola, anche se non lo ero realmente. Mi sporsi a guardare fuori dalla finestra, e distinsi una sagoma ferma nell’ombra, debolmente illuminata dalla luna.

«Calmati, Bella! Non è lui».

«C-cosa… Ho visto qualcuno, lì fuori! Te lo giuro» avevo balbettato, prossima alle lacrime.

Mi aveva posato le mani sulle spalle. «Lo so. La mia famiglia sta facendo dei turni».

Avevo strabuzzato gli occhi, sbigottita. «Cosa? La tua famiglia?».

Avevamo discusso. Gli avevo detto che eravamo passati a vivere in una prigione con i carcerieri, piuttosto che avere la nostra luna di miele. Mi ero infuriata, e sentita controllata e imbarazzata. E poi, quando mi aveva fatto calmare, e mi aveva detto che era solo per la mia sicurezza, tutta la mia rabbia si era rivolta verso Jacob, per la vita che la sua presenza mi obbligava a condurre.

«Cosa c’è ancora?» mi aveva chiesto, vedendomi così depressa.

Ero arrossita. «Non voglio che la tua famiglia stia a sentire mentre facciamo l’amore».

Un lento e ampio sorriso si era dipinto sulle sue labbra. «Questo perché non sai che la camera da letto è un blocco perfettamente isolato ed insonorizzato anche all’udito di un vampiro».

«Cosa? Come?».

«Le migliori tecniche d’ingegneria combinate alla naturale conformazione del blocco, addossata ad un costone roccioso…».

Non riuscivo a dormire, così andai a prendere un bicchiere d’acqua.  Ormai mi muovevo piuttosto bene. La nostra casa non ero eccessivamente grande, ma tuttavia confortevole. Era perfetta, sembrava fatta su misura per me, e mi ci trovavo già perfettamente a mio agio. Non avevo ancora ringraziato Esme, anche perché dal giorno del matrimonio non vedevo altri se non Edward, non che la cosa mi dispiacesse, anzi…

Ma sapevo che si stava avvicinando sempre più la fine della nostra luna di miele e insieme a questa, anche il giorno della mia trasformazione.

«Bella» mi chiamò Edward quando rientrai in camera.

Sussultai, e mi affrettai ad accendere la luce. Dovevo essere stata via più del previso. «Oh, sei già qui».

Si sollevò dal letto con uno scatto morbido, accarezzandomi la guancia con i dorso della mano. «Hai le occhiaie» constatò.

Scrollai le spalle. «Non riuscivo a dormire…».

Lui mi fissò accigliato, circondandomi le spalle con un braccio e guidandomi verso il letto. «A cosa pensavi?».

Sospirai, confessandogli la verità. «Al futuro».

Lo sentii irrigidirsi, e per un attimo pensai che stesse fissando il mio dipinto. Mi immaginai la voce uscirgli, per una volta, strozzata. «Il futuro?» chiese invece, fluidamente.

Annuii. «Sì. Alla trasformazione. Quanto ancora resteremo qui?».

Le sue spalle si rilassarono un poco. Prese a giocherellare con le mie dita. «Hai fretta?».

Scossi il capo. «No. Mi…» arrossii, «mi piace fare l’amore con te. Stare qui» sussurrai imbarazzata, accarezzandogli il petto muscoloso. «Ma penso che sarebbe più facile per tutti, una volta che sarò trasformata. Jacob potrà fare pochissimo, e la tua famiglia non dovrebbe più farmi da balia…».

Strinse la mascella. «Non mi sembra un buon motivo».

«Lo è, invece» risposi con voce ragionevole, «e poi sono pronta. Ho avuto tutto ciò che desideravo dalla mia vita umana» aggiunsi con un sorrisetto.

Mi accarezzò il viso. Il suo sorriso scemò un po’. «Farà male».

Deglutii, ma poi rilassai il mio corpo. Il cuore non batteva poi così forte. «Lo so. Ma tu sarai lì con me, vero? Mi stringerai la mano».

«Sì, Bella…» esitò.

«Cosa?».

«Io e Carlisle abbiamo pensato al modo migliore per farlo». Mi osservò. «Ma non so se vuoi saperlo».

Sperando di nascondere il subbuglio del mio stomaco mi misi a sedere con le gambe incrociate sul letto, sperando di avere un’aria distesa. «Dimmi pure».

Mi scrutò attentamente, valutando tutte le mie reazioni alle sue parole. «Pensavamo ad un’anestesia totale, ma ci serviranno alcune strumentazioni per monitorarti. E poi… secondo i suoi studi, la trasformazione può essere accelerata se il soggetto viene morso in più punti, specie quelli in cui il sangue entra in circolo più facilmente».

Deglutii, accennando un debole sorriso. Speravo di non essere verde in faccia. «Cioè?».

Mi fissò di sottecchi. «Beh, per esempio, il cuore…».

Battei le palpebre, cercando di immaginare come il suo veleno potesse entrare nel mio cuore. Poi l’immagine di una siringa con un grosso, grosso ago mi baluginò davanti agli occhi. Presi un respiro come se avessi appena morso un limone. «Bene. Sono contenta che sarò addormentata, perché sento che adesso sto per svenire…».

   
 
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