Chapter 1: A look into her life
Era
dietro di
lei.
Sentiva il gelo sul
collo.
Si guardò attorno,
con studiata lentezza, imprecando mentalmente alla vista della
moltitudine di
gente che la circondava.
Se fosse stata sola
le sarebbero bastati pochi secondi, il tempo di girarsi, mirare e
colpire.
«Signorina, vi
sentite bene?»
Si voltò verso
l’uomo anziano che l’aveva chiamata e la guardava
preoccupato.
Senza accorgersene
si era fermata in mezzo alla strada, intralciando il traffico. Si
scusò con un
lieve sorriso e si scostò, facendo passare le persone alle
sue
spalle. L’uomo
le diede un’ultima occhiata e proseguì.
Era sparito.
Non avvertiva più
nessuna presenza. Tirò un sospiro di sollievo e riprese a
camminare. Doveva
raggiungere la locanda prima che calasse il buio.
Il sole era poco
sopra l’orizzonte e i commercianti stavano chiudendo le loro
bancarelle.
Girò a sinistra,
prendendo una traversa. Superò un fattore e il suo mulo che
non
voleva
proseguire, una donna con un cesto di mele sul capo e due bambini per
mano, tre
commercianti che la seguirono con lo sguardo e dei ragazzini che
correvano
nella direzione opposta alla sua. E finalmente riuscì a
leggere
l’insegna della
locanda di Rose.
La proprietaria,
Rose per l’appunto, era una donna corpulenta e dalla bellezza
ammaliante.
Nonostante la taglia inconsueta, le sue forme morbide attiravano un
numero
cospicuo di avventori, tra viaggiatori e abitudinari. E sapeva bene
come
approfittarne. Le bastava muovere la chioma corvina e ondeggiare un
po’ e
riusciva a convincere anche i più refrattari.
La conosceva da
quando, a nove anni, era stata sorpresa a rubare nel suo magazzino. Si
ricordava ancora il modo in cui l’aveva fissata, con i
penetranti
occhi scuri
che brillavano nella penombra della stanza. L’aveva
trascinata in
cucina e
rimpinzata con qualsiasi cosa le capitasse a tiro, sotto lo sguardo di
disapprovazione di Margareth, la cuoca, che insisteva a somministrarle
zuppe di
farro, a suo dire più nutrienti di quelle di zucca. Da quel
momento l’aveva
presa con sé, trasformandosi facilmente nella madre che
aveva
perso quattro
anni prima.
Rose era la donna
migliore che avesse mai incontrato. L’aveva accettata
esattamente
per com’era,
anche dopo aver scoperto il suo inconfessabile segreto.
E sopportava le sue
fughe da ben dieci anni.
La locanda era
piena come al solito, i tavoli erano occupati da tutti gli stranieri
arrivati
per la fiera. Il signor Gorton le passò davanti,
strizzandole un
occhio e
portando un piatto di pollo all’uomo seduto vicino alla
finestra.
Era simpatico il
signor Gorton, lavorava già da Rose quando era arrivata lei.
Assomigliava tanto
a suo nonno, anche se suo nonno era più scorbutico.
Riuscì ad
intravedere anche la treccia bionda di Elisha che scompariva in cucina
ed Harry
che serviva una coppia al tavolo nell’angolo.
«Finalmente ti sei
degnata di farti vedere».
Si stampò un
sorriso angelico sul volto candido, mentre si girava verso Rose,
entrata alle
sue spalle con un sacco colmo d’avena.
«Ciao Rose, come
stai?»
«Sei scomparsa per
un’intera settimana, Cassandra. Mi hai fatto
preoccupare!»
«Scusami Rose, io
non-»
«Non lo farai più?
Figurati se ci credo! Questa volta l’hai combinata grossa!
Sette
giorni! Senza
una parola!»
«Era importante».
«Anche la tua vita
lo è! Se ti fosse successo qualcosa, eh? Cos’avrei
fatto?
Probabilmente non
l’avrei neanche saputo!»
«Scusami» abbassò
lo sguardo, sconfitta. Quella volta Rose aveva ragione. Si era
comportata da
irresponsabile.
La vide sospirare e
scuotere il capo «Fila in cucina! Scommetto che non hai
mangiato
niente. E vedi
di non dare fastidio a Margareth».
Cassandra sorrise e
se ne andò veloce, quasi scontrandosi con Francis, che
portava
tre boccali
colmi di birra in bilico su un vassoio.
«Sei tornata» fece
una smorfia, trovandosela davanti.
«Tu invece non te
ne vai mai?»
Non era un segreto
che lei e Francis non si sopportassero. Era stato assunto da Rose da
tre anni e
tra di loro era subito scoccata la scintilla dell’antipatia,
nell’esatto
istante in cui, distrattamente, lui le aveva fatto notare quanto fosse
incapace
nei lavori domestici. Neanche questo era un segreto, visto che ormai se
n’erano
accorti anche i clienti abituali, che ogni volta si facevano quattro
risate a
vederla maneggiare la scopa. E per quanto lo sapesse anche lei,
sentirselo dire
da uno sconosciuto, qual era Francis, le aveva montato una rabbia tale
che la
scopa la tirò dietro il suo cranio biondo e supponente.
Comunque lui si
limitò a beffeggiarla con una sola occhiata e
tornò al
lavoro, mentre Cassandra
entrava in cucina.
«Oh, la pecora è
tornata all’ovile, finalmente!»
«Mi stai dando
della pecora, Maggie? Non è carino da parte tua».
L’anziana donna
sventolò per aria il mestolo sporco di zuppa e le sorrise
con i
luminosi occhi
azzurri.
«Siediti lì, appena
mi libero ti do qualcosa da mettere sotto i denti».
Prima che potesse
anche solo fare un passo, dalla porta sul retro rientrò
Elisha,
che si illuminò
e le corse incontro, per abbracciarla «Cassie! Meno male che
stai
bene! Ero
così preoccupata!» Elisha si preoccupava
fondamentalmente
di tutto. Dei piatti
caduti per terra, delle lenzuola lise, del gatto senza cibo, del
venditore di
tappeti vicino alla piazza del mercato, dei creditori di Harry, delle
macchie
sui tavoli, dei viaggi di Cassandra e delle previsioni del signor
Gorton.
«E’ andato tutto
bene, Ellie. Addirittura più tranquillo del
solito».
La bionda la spinse
verso il tavolo in legno pesante al centro della cucina e la fece
sedere sulla
sedia più vicina.
«Stai qui e non
muoverti! Appena riesco a liberarmi voglio che mi racconti tutto
quanto!».
Dovettero aspettare
un paio d’ore, perché l’ora di cena
terminasse e i
soliti consumatori
comparissero al bancone.
Il viaggio di
Cassandra non era stato niente di straordinario. Se n’era
andata,
di punto in
bianco, chissà dove. Non le chiedevano mai la sua meta,
sapevano
che era
qualcosa che non avrebbe mai rivelato. Neppure Rose lo sapeva.
«Hai fatto qualche
incontro interessante?»
«No, a parte un
vecchio vagabondo che voleva vendermi una pipa, spacciandola per un
richiamo
per greggi. Forse avrebbe funzionato, se non l’avesse fumata
davanti a me».
«Non intendevo in
quel senso» sorrise Elisha alla sua espressione scocciata
«Volevo dire,
incontri romantici».
«Guarda che la vita
non è come una di quelle storielle che ti racconta Maggie!
Non
basta andare a
spasso per incontrare l’anima gemella. Dovresti smetterla di
credere alle
favole».
L’amica non
l’ascoltò ed iniziò con la sua solita
solfa sul
vero amore. Lei ci credeva sul
serio. Viveva in attesa del fantomatico principe azzurro che
l’avrebbe portata
via sul suo cavallo bianco. O almeno, l’avrebbe presa in
moglie.
Aspettava
pazientemente il matrimonio, come ogni brava fanciulla in
età da
marito avrebbe
dovuto fare.
Cassandra ascoltava
i suoi sproloqui annoiata, frenando la lingua per non disilludere la
giovane
sognatrice. Non credeva affatto alla storia del principe. Era solo una
montatura creata per convincere le ragazze a sposarsi. E lei,
dall’alto dei
suoi diciannove anni, era ben decisa a non cascarci mai.
«Qui, invece? E’
successo qualcosa di interessante?» la interruppe, conoscendo
ormai a memoria
il suo discorso.
La bionda scrollò
le spalle «Niente di particolare. Sono tornati di nuovo i
creditori ed Harry si
è nascosto in soffitta. Sono preoccupata. Non può
continuare a nascondersi, se non
paga chissà cosa potrebbe succedergli».
Cassandra sorrise
«Non angustiarti, vedrai che lo aiuterà Rose.
Conosce bene
il signor Wilbey,
saprà come convincerlo a dargli più
tempo».
«Vorrei fare
qualcosa per aiutarlo».
L’altra mascherò
una risata con un colpo di tosse, sapendo più che bene cosa
avrebbe potuto fare
Elisha per Harry. Ma non era il caso di dirlo all’amica.
«Davvero si è
nascosto in soffitta?» chiese invece, immaginando il ragazzo
nascosto dentro la
cassa delle lenzuola di lino di Rose.
«Sì, è rimasto più
di un’ora lì dentro, poverino!»
Cassandra scoppiò a
ridere, guadagnandosi un’occhiataccia dalla vecchia Maggie,
appena entrata.
«Non dovresti
scomporti così, Cassandra. Non ti sposerà mai
nessuno».
Si interruppe,
giusto per dire «Meglio così!» poi
riprese.
La cuoca la fissò
con disapprovazione «Arriverà il momento in cui un
uomo ti
tapperà la bocca,
bambina. E poi vedremo se sarai ancora della stessa opinione».
«Non ho mai sentito
qualcosa di più assurdo» fece una smorfia e si
alzò
«Vado a vedere se di là
hanno bisogno».
Dietro il bancone
Rose ed Harry intrattenevano la clientela. Avevano entrambi una
parlantina
incredibile e il fiuto per gli affari. Forse era per quel motivo che la
donna
l’aveva assunto senza pensarci due volte.
Harry aveva ventidue
anni, una massa incolta di capelli castani, occhi verde brillante,
mente pronta
e lingua lunga. Quasi più della sua lista di debiti che,
chissà come, invece di
accorciarsi, aumentava. E una cotta spaventosa per Elisha. Lei,
ovviamente, non
lo sapeva e continuava a sognare il suo principe azzurro e per Harry
andava
bene così, dato che l’avrebbe cacciata soltanto
nei guai.
E, ogni volta,
cercava di dimenticarla con altre donne, senza mai riuscirci. Era
encomiabile
il suo impegno nello starle lontano.
«Cassandra!»
esclamò, vedendola avvicinarsi al bancone.
«Ciao Harry, come
va?» gli sorrise.
«Non c’è male, si
va avanti-»
«E si scappa dai
creditori».
«Non c’era bisogno
di aggiungere dettagli futili» fece una smorfia, rivolto
all’uomo al fianco
dell’amica.
«Ti vergogni,
Harry?» chiese lui sogghignando con i compari
«Tanto
scommetto che la piccola
Cassie lo sapeva già. Vero, zucchero?»
La ragazza sorrise
e lo abbracciò «Ciao zio Ben!»
Benjamin Bertram
era il fratello maggiore di Rose. Si assomigliavano come due gocce
d’acqua e,
benché si trovassero spesso a discutere, era il
“vecchio
Ben” che le portava la
maggior parte dei clienti. Era un uomo dai tratti affascinanti e
l’aria
burbera, ma nascondeva un cuore d’oro. Si era affezionato
molto a
quella
trovatella che aveva adottato sua sorella, era come la figlia che non
aveva mai
avuto.
«Te l’hanno
raccontato, vero?» le chiese, dandole un buffetto sulla
guancia.
Lei ridacchiò «Deve
avermelo accennato Elisha».
«No!»
L’espressione
disperata di Harry fece ridere il gruppo.
«Quando la sposi
quella benedetta ragazza?» chiese per l’ennesima
volta il
signor Quinton, un
vecchio eccentrico con barba e capelli bianchi e un gusto particolare
per
infierire sulle persone.
Harry arrossì e
con, ormai abituale, faccia tosta fece finta di niente e riprese a
pulire un
boccale di vetro. Mentre i vecchi continuavano a ciarlare su di lui.
«E’ vero che sei
finito chiuso in soffitta?» gli chiese Cassandra.
Lui sospirò, poi
sorrise «E’ la notorietà,
tesoro».
Scoppiarono a
ridere nello stesso momento. Con Harry non c’era bisogno di
parlare, bastava
uno sguardo per capire che le stava dando il bentornato.
«Ti sei persa un
sacco di cose, sai?»
«Racconta!» si
sporse sul bancone a braccia incrociate, l’amico
iniziò a
strofinare un altro
boccale.
«Libby è tornata
all’attacco».
«No! Non ci credo!»
Libby era una delle
migliori amiche di Cassandra. Una ragazza minuta ed esuberante, che
faceva
disperare i suoi genitori. In città la conoscevano tutti e
sapevano che,
nonostante i suoi capelli rossi e la sua determinazione distruttiva,
era buona
come il pane. Da un paio d’anni i suoi occhi nocciola si
erano
posati su quello
che sarebbe stato, testuali parole, “l’uomo della
sua
vita”. Ma Francis non la
pensava allo stesso modo. E la sua abilità nella fuga
davanti
alla piccola
Libby era pari solo a quella di Harry davanti ai creditori.
«Cos’è successo?»
«Questa volta
Francis non ce l’ha fatta. Libby è riuscita a
sorprenderlo
mentre scappava».
«Gli ha chiesto di
nuovo di sposarla?»
«Già» attaccarono a
ridere, sotto le occhiate esasperate di Rose e dei suoi clienti.
Mettere
insieme Harry e Cassandra equivaleva a confusione totale.
Dopo
un’intera
settimana si trovava di nuovo nella sua stanza. Si sedette sullo
sgabello
davanti al piccolo tavolino da toilette e si osservò nello
specchio appeso alle
pareti di legno. Strano che nessuno le avesse fatto notare quanto fosse
pallida
e sciupata. Gli occhi azzurri erano velati dalla stanchezza e quasi
lacrimavano
per la luce della lampada ad olio. Prese la spazzola ed
iniziò a
pettinarsi i
lunghi capelli castani, che ricadevano scomposti sulle spalle.
Indossò
velocemente
la veste da camera, di tessuto leggero e, mentre scostava le lenzuola,
il
ciondolo che portava al collo le rimbalzò sul petto.
Sorrise,
sedendosi sul
letto, e lo prese tra le mani.
Era
d’argento, lo
sapeva, anche se sembrava un qualsiasi metallo, una semplice forma
ovale con
incisi una calla e un ramo d’edera intrecciati. Sua madre lo
teneva sempre al
collo, come un tesoro prezioso, e ogni tanto l’aveva vista
sorridere a qualcosa
di nascosto all’interno del pendente. Non sapeva cosa fosse,
non
era mai
riuscita a far scattare l’apertura. Poco prima che morisse,
la
donna
gliel’aveva donato, raccomandandole di non toglierselo mai.
Il
perché non lo sapeva,
ma se per lei era così importante, allora
l’avrebbe
accontentata. E da quando
aveva cinque anni non se l’era mai tolto, era sempre rimasto
al
suo collo,
nascosto dai vestiti.
Si
addormentò,
stringendo tra le mani il ciondolo argentato ed entrando in uno dei
suoi
soliti, gelidi incubi.
***
Salve
a tutti! Questa è la prima seria
storia originale
che mi trovo a scrivere. Come espresso negli avvertimenti è
un’Alternative
Universe. Questo capitolo è una sorta di introduzione, nel
quale
vengono
presentati un po’ di personaggi. Non so con esattezza quando
aggiornerò, forse
ci vorrà del tempo, forse no.
Spero che vi piaccia!