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Autore: Lucius Etruscus    02/06/2017    1 recensioni
Boyka e il maggiore Dunja, dopo la disfatta dell'ultima missione, accettano l'accoglienza della Casata Yutani, offerta non certo per bontà di cuore. C'è un importante torneo da vincere, il DOA (Dead Or Alive), dal cui esito dipende il futuro della vasta famiglia. Molti sono i contendenti, molte sono le prove, ma Boyka e Dunja hanno un asso nella manica, anzi... una Regina! Eloise, la xeno-ginoide creata in laboratorio da DNA alieno: è in tutto e per tutto una donna, ma con la forza e la violenza di uno xenomorfo.
Genere: Azione, Horror, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il rombo dei motori non era quello delle passate edizioni del DOA Race, quando milioni di spettatori sparsi sui pianeti fremevano per ammirare le incredibili automobili che ogni Casata metteva su strada. Ogni volta migliori, ogni volta più potenti, ogni volta più truccate da mille impianti quasi mai legali. Prima ancora che iniziasse la corsa lo spettacolo era garantito, e le scommesse illegali – gestite dagli stessi che avrebbero dovuto garantire la legalità – schizzavano alle stelle: quale portento su quattro ruote avrebbe visto quest’edizione del DOA Race? Ogni scommettitore aveva la sua risposta perché ognuno era un esperto e sapeva valutare un’auto da come la vedeva sugli schermi televisivi. Questo significava che cifre inimmaginabili entravano nelle tasche di chi gestiva le scommesse.

Questa volta però lo spettacolo pre-corsa fu molto deludente. Niente macchine truccate, niente portenti tecnologici, niente colori sgargianti: sulla pista davano un ben misero spettacolo di sé alcune tristissime auto basiche, che a vederle dagli schermi sembravano ancora più malmesse di quanto fossero in realtà. E il rumore dei loro motori metteva solo tanta tristezza.

Lucas non guardava nessuno e ignorava la folla che dagli spalti lo incitava. Nessuno sapeva chi fosse, quindi era solo isteria collettiva da “pilota famoso”.

Lui guardava avanti e ignorava anche gli altri partecipanti. Gli erano stati forniti abbondanti video delle imprese degli altri piloti, che aveva studiato e ristudiato a lungo, anche se erano puramente indicativi. In quei video i piloti guidavano auto più simili ad astronavi: come si sarebbero comportati a bordo di un’auto normalissima? Era una grande incognita che per lo meno coinvolgeva tutti, e inoltre Lucas partiva avvantaggiato perché non esistevano filmati della sua guida da studiare.

«Agitato?» chiese Eve affacciandosi al finestrino. Sorrideva ma non riuscì a contagiare Lucas, che non rispose. «Mi sono informata, tutti i piloti ti odiano. Pensano che tu sia un campione sconosciuto che abbiamo pescato chissà dove. Cercheranno subito di mandarti fuori strada o ucciderti in qualche modo.» Stavolta Lucas si voltò a fissarla, con occhi di fuoco, sempre senza parlare. «Che c’è? Va tutto a tuo vantaggio: saranno distratti e faranno cose avventate. Basta che tu mantieni il controllo e te li bevi tutti.»

Il pilota continuava a fissare davanti a lui e a tenere le mani sul volante. Voleva solo che quell’incubo iniziasse così che finalmente potesse finire.

Quando un segnale luminoso avvertì che la gara stava per iniziare, Eve batté con la mano sulla portiera e sparì dalla vista. Possibile che nel suo desiderio di mostrarsi affabile se ne sia andata senza un saluto?, si chiese Lucas. Non ebbe il tempo di cercare una risposta che sentì aprirsi l’altro sportello, mentre Eve entrava nell’abitacolo.

«Che diavolo ci fai qui?» chiese indignato il pilota.

«Allora ce l’hai la voce», rispose al donna assicurandosi le cinture al petto. «Credevo che avessi mal di gola.»

«Perché ti stai mettendo le cinture di sicurezza?»

Eve guardò in alto e si portò il dito indice al mento. «Questa sì che è una domanda difficile: perché mai sono entrata in un’auto che sta per partire? Una risposta potrebbe essere che sono la co-pilota ma sembra troppo facile...»

«Sei tu la co-pilota?» gridò Lucas.

Eve tornò a guardare in alto e a portarsi un dito al mento. «Sono l’unica seduta sul sedile del passeggero e ho le cinture allacciate: chissà se sono io la co-pilota.»

«Piantala!» gridò l’uomo.

Finalmente Eve lo guardò, sorridendo. «E tu piantala di fare l’isterico. Cosa c’è di strano nel fatto che io sia la tua co-pilota?»

Lucas serrò la mascella. «Perché non me l’hai detto prima?»

«Quindi è questo che ti scoccia? Che non ti ho comunicato i miei piani?» Lucas aveva le nocche bianche per quanto stringeva il volante. «Rilassati, cosa ti importa se sono a bordo? Sono qui per aiutarti e per renderti tutto più facile, come faranno i co-piloti delle altre auto.»

«Tu sei qui per controllarmi.»

Lucas pronunciò la frase quasi sottovoce, fissando la strada davanti a sé e il segnale che stava per indicare l’inizio della gara.

«Abbiamo superato quella fase», rispose con lo stesso tono Eve, che ora lo fissava anche se lui non ricambiava lo sguardo. «Ormai i giochi sono fatti e non si può tornare indietro. Sei il nostro campione ma non pensi ancora come il nostro campione: so che alla prima occasione cercherai di fuggire, non è mai stata un’incognita ma una certezza. Però so che sei più che consapevole che verresti ucciso, nel caso, e che saresti fortunato se toccasse a me l’incombenza: alcuni dei miei uomini provano un certo gusto a torturare i traditori, quindi nel caso dovrei intervenire io per assicurarti qualcosa di più rapido e indolore.»

Parlando, Eve allungò una mano ad accarezzare una guancia di Lucas, che scattò e la fulminò con i suoi occhi infuocati di rabbia.

Eve non sorrideva più. Ora si beava di quello sguardo. «Così mi piace... Odiami...» Lucas scacciò la sua mano con un gesto. «Questo l’hai sempre saputo, non sono certo qui a ricordartelo. La Casata ha paura che riescano ad ammazzarti in corsa, visto che non sei abituato a queste gare, così nel caso io sono qui a sostituirti alla guida per cercare di vincere comunque. Spero non ci sia bisogno di arrivare a questo, così nel frattempo ti faccio da co-pilota e ti libero la strada da alieni e umani: non so quale razza sia peggio...»

«Lo faresti sul serio?» disse fra i denti. Poi si voltò a fissarla. «Se io a metà gara uscissi fuori pista e me ne andassi per conto mio... mi pianteresti una pallottola in testa?»

«No», rispose immediatamente Eve. «Ti farei male fino a farti tornare in pista e a completare la corsa, sperando che il tempo perso non ti facesse perdere. Solo una volta tagliato il traguardo in una posizione che non fosse la prima... ti sparerei in testa.» I due si fissarono, poi Eve continuò. «Questo dev’essere chiaro, tra noi due, così che non farai scelte stupide e ti assicurerai di vincere. Dopo di che non avrai mai più problemi.»

«E se...»

«Lucas, basta!» lo zittì la donna. «Credimi se ti dico che proverò un grandissimo dispiacere a far saltare in aria quella tua testa di cazzo, quindi non costringermi a farlo. Guida e sta’ zitto.»

~

Non era ancora tempo di affrontare il campione Yutani Testa di Cuoio, ma era chiaro che la folla che gremiva l’edificio era lì per lo scontro del secolo: la lottatrice misteriosa imbattibile contro il rude campione.

Tutti sapevano che Testa di Cuoio era il più scorretto dei lottatori e che aveva mille trucchi per assicurarsi la vittoria, ma era pur vero che quella ragazza misteriosa poteva avere molte frecce al suo arco: chissà cos’era capace di fare...

Eloise camminava lentamente ed era infastidita dalle urla dei tifosi e dall’invadenza dei giornalisti. Non capiva perché si agitassero così tanto come non capiva gran parte di ciò che le dicevano, quindi cercava semplicemente di ignorarli. Boyka camminava al suo fianco e ogni tanto ne spiava lo sguardo: lo interpretò come un maestro fiero che la sua allieva fosse oggetto di così tanta rumorosa attenzione.

Era chiaro che l’uomo aveva piacere che Eloise fosse quello che chiamava “campionessa”, ma la ginoide non poteva certo dirsi soddisfatta di un desiderio così infimo. Non aveva mai pensato al suo futuro, non sapeva nemmeno che ne avrebbe avuto uno, ma di sicuro quel futuro non la interessava. Anzi la deludeva profondamente.

Come se non bastasse, avvertiva nettamente l’agitazione e l’inquietudine dei messaggi psico-chimici che le arrivavano dai suoi fratelli. Sì, fratelli. Gli unici esseri viventi che poteva chiamare tali. Quelli che gli umani chiamavano xenomorfi.

I loro messaggi erano confusi, frementi. Qualcosa di grosso stava avvenendo, qualcosa che li stava scuotendo nel profondo, e questa sensazione raggiungeva Eloise, sempre più ricettiva. Qualcosa di dannatamente serio stava per avvenire, e lei si ritrovava in mezzo a quegli stupidi umani urlanti.

Il suo disprezzo la portava a non guardare nessuno in faccia, a non concentrarsi su nessuno. Così non vide chi la colpì. Sentì solo uno strano dolore e l’impossibilità di stare in piedi.

Stava ancora “ascoltando” i suoi fratelli quando si ritrovò a terra, circondata dalle gambe scalpitanti degli stupidi umani che la circondavano. Mani la toccarono, piedi si scansarono, voci lontane gridarono. Qualcosa stava accadendo intorno a lei, ma gli occhi di Eloise ora fissavano la propria gamba. Che sembrava dannatamente diversa dal solito.

Qualcuno, nascosto fra la folla, l’aveva colpita così forte da spezzarle il ginocchio.

~

Quando il segnale divenne verde, Lucas dimenticò tutto. E dopo tre mesi d’inferno finalmente fu libero. Libero dalla tensione, libero dall’attesa, libero dalla paura. Era l’inizio della fine: in qualunque modo fosse finita quella storia, tutto si sarebbe concluso.

Da anni Lucas correva per piccole strade impervie trasportando benzina rubata, rischiando la vita ad ogni corsa: era il suo mestiere e sapeva farlo dannatamente bene. L’unica differenza con il DOA Race non era l’assenza di benzina: era il ritrovarsi costretto a correre.

Lucas odiava le costrizioni e gli ordini. Lui offriva un servizio, non rispondeva ad un ordine: lui trasportava roba che scotta per conto di qualcuno che lo pagava per farlo. Stavolta invece doveva obbedire ad un ordine e questo era odioso, per lui. Anche se l’ordine era in tutto identico a quello che faceva quasi ogni giorno da anni.

La Ford Mustang che aveva costruito era migliore di qualsiasi auto avesse mai guidato: l’unica soddisfazione in quella situazione. Gli spettatori dell’evento non poterono apprezzarlo, ma il suono di quel motore era pura poesia senza parole.

L’auto scattò in avanti dando l’impressione che gli altri concorrenti fossero rimasti fermi. Tutti si erano costruiti auto enormi, potenti, resistenti a tutto, e questo voleva dire che andavano alla metà della velocità di Lucas. Almeno in rettilineo. Qualcuno avanti a lui provò a tagliargli la strada, ma la Mustang era troppo agile e quei carri armati non potevano bloccarla.

In pochi secondi Lucas fu in testa. «Questo è il mio uomo!» gridò ridendo Eve.

Lucas non rispose né la donna se lo aspettava. Mentre il pilota dava il meglio di sé per acquisire più vantaggio possibile, Eve si slacciò la cintura di sicurezza – allacciata per pura formalità, giusto per far credere ai giudici di gara che contassero ancora qualcosa – e infilò la mano sotto il sedile: quando la tirò fuori stringeva un fucile, che caricò in un attimo.

Quando abbassò il finestrino Lucas si accorse della sua attività. «Che cazzo fai?» gridò senza guardarla.

«Ti salvo il culo, tesoro. Nel vero senso della parola.» Eve si sporse dal finestrino fino a sedersi sul bordo della portiera. Il vento le sferzava i lunghi capelli neri raccolti dietro la nuca e dovette stringere con forza l’arma per non farla volare via. La puntò senza troppa attenzione ed aprì il fuoco.

Dopo qualche secondo tornò nell’abitacolo, mentre Lucas era fuori di sé, anche se troppo concentrato nella guida per parlare. «Giusto una sventagliata», rispose Eve ad una domanda non posta, «così se qualcuno voleva approfittarne per spararci alle ruote posteriori ha dovuto desistere.»

«Ma può farlo ora.»

«No, se continui a guidare così. A questa distanza potrebbero colpirci le ruote solo con un fucile di precisione, ed è impossibile usarlo da un’auto in corsa.»

Lucas affrontò la prima curva con troppa velocità, ma riuscì a mantenere l’aderenza delle gomme. «Sta’ calmo, stai andando benissimo. Non è il momento di perdere il controllo.»

«Ha mai funzionato?» chiese d’un tratto Lucas.

«Cosa?»

«Hai mai detto a qualcuno di non perdere il controllo e quello non l’ha perso?»

Eve scoppiò in una risata fragorosa. «Se riesci a fare lo stronzo vuol dire che non hai perso il controllo.»

La donna infilò di nuovo la mano sotto il sedile e ne tirò fuori un altro fucile.

«Ma quanta roba hai messo lì sotto?» chiese il pilota.

«Tutta quella che ci serviva: ora arrivano i granchiacci.»

Lucas aveva visto le gabbie fuoriuscire in lontananza dalla strada: era il momento della gara in cui doveva fare lo slalom fra gli xenomorfi, sperando che questi non facessero troppi danni all’auto.

Eve caricò il pulse rifle e se lo assicurò con la tracolla. Iniziò a fuoriuscire dall’abitacolo ma a metà si fermò e si rivolse a Lucas. «Chi odi di più, me o gli alieni?»

Senza aspettare la risposta la donna sgusciò dal finestrino e si arrampicò sul tettuccio dell’auto. Sdraiata e puntellata con i piedi, Eve aprì il fuoco contro gli xenomorfi che rimanevano confusi sulla strada. Pochi colpi mirati e precisi, con pallottole esplosive speciali in dotazione ai Colonial Marines, e le teste degli alieni esplodevano prima del passaggio dell’auto. Il compito di Eve non era quello, facilissimo, di stendere le creature: era quello di farlo in modo da non versare il loro sangue sulla strada, per non rischiare che corrodesse gli pneumatici della loro auto.

Tutti gli alieni a terra. Ne mancava uno, che gridava e soffiava e dava cenno di voler scomparire nella boscaglia vicina. Eve cambiò la modalità di sparo del fucile e colpì il mostro con proiettili normali: lo ferì alle gambe in modo che rimanesse a terra, sanguinante e pericoloso. Lo fece proprio mentre passavano: ora l’alieno era un grosso problema per chi sarebbe venuto dopo. Se lo colpivano in pieno il sangue acido avrebbe messo fuori uso l’auto. E visto che stava in mezzo alla strada, urlante e disperato, era davvero difficile schivarlo.

Eve tornò sul sedile, soddisfatta. «Rischia di essere noiosetta, come gara, se continua ad andare tutto così bene.»

Lucas si prese il lusso di rallentare leggermente per prendere una curva in modo più preciso. Aveva abbastanza vantaggio per farlo, grazie al lavoro fatto dalla sua co-pilota. E questo gliela faceva odiare ancora di più.

D’un tratto si vide un coltello appoggiato su una gamba. «Prendilo», gli disse Eve, «e sfoga un po’ di odio su di me. C’è un rettilineo e non ti servo per qualche secondo: sfogati al volo, che ne hai bisogno.»

Ancora ordini. Ancora ordini assurdi. Ma quella donna folle su una cosa aveva ragione: Lucas doveva sfogare un po’ di rabbia, per guidare meglio. L’uomo prese il coltello con la mano destra e lo piantò tra le costole di Eve.

Il tutto fu così veloce e avvolto dalla nebbia dell’adrenalina che Lucas quasi si stupì quando sentì la donna gridare: era lui che la stava facendo gridare? Era il suono più bello che avesse mai sentito...

Ora gridava anche lui, di soddisfazione, mentre rigirava la lama nel fianco martoriato della donna urlante.

~

Eloise urlava, ma non per il dolore. Anche per quello, certo, ma era quasi secondario: urlava perché quella era la goccia finale. Era chiaro che quello non era il suo mondo, che quella non era la sua gente, ed ora ne pagava un prezzo salato. L’errore di aver seguito un umano ora lo scontava sdraiata su un letto di dolore, nell’infermeria dello stadio.

Tutti urlavano ma ormai non li ascoltava più: nulla di ciò che usciva da quelle bocche aveva più senso o importanza, per Eloise.

D’un tratto vide Boyka affacciarsi al suo campo visivo, spingere via alcuni umani che le stavano addosso, afferrarle la gamba e farla scrocchiare. Tutto fu rosso di dolore, di dolore vivo e pulsante, ma subito dopo sentì la voce del lottatore. «Dovevo almeno rimetterti la gamba al suo posto.»

Eloise smise di urlare e lo guardò. “Almeno”. Capiva solo una minima parte di quello che Boyka diceva, quando non parlava di combattimento, ma stavolta era riuscita a cogliere la sfumatura. In quell’“almeno” il lottatore stava riponendo tutto il suo rammarico per non aver saputo gestire la situazione, tutto il suo dispiacere per il destino della donna, tutta l’amarezza per un sogno che non solo era svanito, ma risultava non essere mai esistito.

Boyka la guardò e non disse altro. Semplicemente perché non c’era niente da dire. Eloise non ce l’aveva con lui, era l’unico umano che le avesse dimostrato rispetto e che l’avesse trattata bene: l’unico suo sbaglio era stato pensare per lei un sogno che non le apparteneva. Aveva sognato per lei quello che per lui era importante, e questo Eloise non se la sentiva di rimproverarglielo.

«Non posso essere una campionessa», disse la ginoide.

Nella confusione generale, mentre dei medici cercavano di assisterla e dei giornalisti gridavano nei loro microfoni, Eloise e Boyka sembravano parlare per conto loro, come se fossero soli nella stanza.

«Potresti guarire», disse senza convinzione il lottatore, ma entrambi avevano capito.

«Non posso essere ciò che non sono», disse la ginoide, guardando con occhi doloranti il lottatore. «Così come non puoi esserlo tu. Tu sei un lottatore: va’ a lottare...»

I due si guardarono finché Boyka annuì, e se ne andò senza aggiungere nulla. Si erano già detti tutto quello che dovevano. Senza saperlo avevano entrambi cercato di vivere una vita incompatibile con la loro natura, avevano cercato di essere migliori... o semplicemente diversi. Fallendo in ogni caso.

Mentre Boyka usciva, sapeva che la sua natura lo avrebbe portato a cercare Testa di Cuoio – sicuramente il mandante di quello spregevole atto – e fargliela pagare cara. Ma una domanda cercò di affacciarsi nella mente del lottatore, per poi venir ricacciata indietro: cosa l’avrebbe portata a fare, la natura di Eloise?

   
 
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