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Autore: gattina04    04/06/2017    1 recensioni
È un momento tranquillo ed Emma ha tutto ciò che ha sempre cercato e voluto; non c’è niente che possa desiderare, nemmeno il giorno del suo compleanno, ad eccezione di un piccolo insignificante rammarico. E sarà proprio quel pensiero a stravolgere completamente la sua esistenza catapultandola in un luogo sconosciuto, popolato da persone non così tanto sconosciute. E se ritrovasse persone che pensava perse per sempre: riuscirà a salvarle ancora una volta?
E cosa succederà a chi invece è rimasto a Storybrooke? Riusciranno ad affrontare questo nuovo intricato mistero? E se accadesse anche a loro qualcosa di inaspettato?
Dal testo:
"Si fermò e trasse un profondo respiro. «Benvenuta nel mondo delle anime perse Emma»."
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Robin Hood, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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20. È il momento
 
POV Killian
Emma non aveva più avuto il coraggio di parlare da quando avevamo riagganciato il telefono, per poi tornare lentamente dagli altri. A dir la verità, neanche io ero dell’umore adatto per aprire una conversazione; sapevo che ad ogni passo si avvicinava il momento in cui avrei dovuto dire addio a Milah. Avevo capito le sue motivazioni, l’avevo accettate, ma ciò non lo rendeva più facile. Nonostante l’avessi ritrovata solo da poche ore, dirle addio non era una cosa scontata; anche perché stavolta sarebbe stato diverso, stavolta sarebbe stato per sempre. L’avrei lasciata finalmente andare come avrei dovuto fare molti secoli prima.
Non sapevo cosa Emma pensasse di me e di Milah, ma qualunque fosse la sua idea, l’aveva tenuta per sé e mi aveva ascoltato quando le avevo detto di non insistere; sapeva che gliene avrei parlato quando fossi stato pronto e in quel momento non lo ero.
Quando rientrammo nella biblioteca, dopo aver svolto quella nostra piccola missione, trovammo gli altri tutti là ad aspettarci. La borsa con l’ambrosia era appoggiata su un tavolo e i frutti magici in essa contenuti emanavano uno strano bagliore che riusciva ad illuminare tutta la stanza.
«Allora?», ci chiese Robin, vedendoci rientrare mano nella mano.
«È fatta», dissi semplicemente, sapendo che sarebbe bastato. Ero certo che Henry avrebbe presto ricevuto il messaggio e che ci avrebbe aiutato. Quel ragazzino era sempre stato più furbo ed intelligente di quanto tutti volessero ammettere; io ed Emma avevamo piena fiducia nelle sue capacità ed era per questo che avevamo deciso di affidare letteralmente la nostra salvezza nelle sue giovani mani.
A quel mio breve messaggio vidi le spalle di tutti rilassarsi, forse finalmente assimilando quella tanto desiderata verità. Ce l’avevamo quasi fatta, nonostante tutto e tutti, e solo poche ore ci separavano dal nostro ritorno a casa. Ero certo che dopo tutto quello che avevano vissuto in quel dannato fiume la prospettiva di poter andare a Storybrooke fosse uno splendido ed irrealizzabile miraggio.
«Non abbiamo ancora preso l’ambrosia», ci informò Robin, ridestandomi dai miei pensieri. «Volevamo aspettarvi».
«Pensavamo di prenderla e poi di accompagnare Milah alla…». La voce di Charlie si spense prima di finire la frase. Il fatto che tenesse a Milah e che non volesse dirle addio me lo rendeva leggermente più simpatico, ma solo leggermente. Ancora ne aveva di strada da fare per entrare nelle mie grazie, soprattutto se continuava a lanciare quel genere di sguardi alla mia donna.
«Cosa accadrà quando la mangeremo?», chiese la ragazzina, che si trovava seduta vicino a Milah, mano nella mano.
«Non lo so», rispose Emma. «Credo che farà in modo che il vostro cuore ricominci a battere».
«Beh allora penso che dovremo farlo», acconsentì Robin. «Tu sei d’accordo?». Si voltò verso Milah lasciando che fosse lei a decidere, dato che erano gli ultimi momenti che avrebbe passato con noi.
«Penso che vedervi tornare in vita sia una delle cose a cui voglio assolutamente assistere prima di andarmene». Il suo tono era allegro ma io ormai la conoscevo bene; sapevo che era spaventata. Aveva paura di ciò che sarebbe accaduto dopo, di non riuscire a ritrovare suo figlio, di abbandonare tutti quegli amici che aveva incontrato durante la sua permanenza là sotto.
Fu per questo che lasciai andare le dita di Emma e mi andai a sedere accanto a lei, mettendole un braccio intorno alla vita. Sapevo che la mia Swan avrebbe capito, ed infatti il mio adorato cigno non protestò, ma lasciò semplicemente che passassi gli ultimi istanti che mi restavano insieme al mio primo amore.
«Forza, cosa state aspettando?», domandò distogliendo lo sguardo da me e Milah e concentrandosi invece sugli altri.
«Facciamolo tutti insieme», suggerì Charlie. Gli altri annuirono e si avvicinarono al tavolo dove era appoggiata l’ambrosia. Joe, il bamboccio, Lizzy e Robin presero un frutto a testa. Fu Emma invece a prenderne un altro e a consegnarlo direttamente a Crudelia, che era seduta in disparte a fumare la sua sigaretta.
«Grazie, te lo sei meritato», le disse allungandoglielo. Dalla mia posizione non riuscivo a vedere i loro sguardi, ma ero certo che con quel gesto stessero in qualche modo risolvendo tutte le questioni che erano rimaste in sospeso tra di loro.
«Artù?», mormorai, notando la sua presenza al lato della stanza. «Puoi prenderla se vuoi. Lo sai, non è vero?». Anche lui aveva contribuito ad aiutarci almeno quanto Crudelia ed era giusto fargli la medesima offerta. Tuttavia già una volta aveva rifiutato di passare oltre ed immaginavo che l’avrebbe fatto di nuovo.
«No, ti ringrazio», rispose come volevasi dimostrare. «Mi trovo bene qua sotto, anch’io ho trovato il mio posto». Annuii e non aggiunsi altro, capendo che lui era ben felice di restare là per poter in qualche modo governare sull’Oltretomba.
«Allora siete pronti?», mormorò Emma. «Al mio tre, d’accordo?». La vidi prendere un profondo respiro prima di iniziare a contare ad alta voce. «Uno, due e tre». Tutti e cinque dettero un morso al proprio frutto, mentre noi altri li osservavamo con trepidazione.
All’inizio nessuno di loro disse niente e non accadde neanche nulla di così trascendentale.
Il bamboccio fu il primo a commentare la scena, continuando a mangiare il suo frutto. «Mi aspettavo un sapore molto più forte considerando il suo aspetto».
«Non è così male», commentò la ragazzina. Beh di certo il sapore non era ciò che importava: dovevamo capire se l’effetto era quello desiderato o meno. Tuttavia loro continuarono a mangiare l’ambrosia senza aggiungere altri commenti, mentre noi continuammo a guardarli con occhi sbarrati, aspettandoci qualcosa di miracoloso da un momento all’altro.
Fu poi Robin il primo a sorprenderci. «Oh mio Dio!». Lo stupore e l’incredulità si dipinsero sul suo volto, mentre lentamente si portava una mano al petto. «Il mio cuore sta battendo». Bastarono quelle cinque parole per fare allentare la tensione che si era creata fino a quel momento e a farci sospirare di sollievo.
«Anche il mio», esultò Lizzy.
«Ha funzionato», sentii Crudelia mormorare.
«Ce l’abbiamo fatta». Charlie sollevò l’amica stringendola tra le braccia e cominciando a roteare per la stanza.
«È una cosa incredibile», mormorò Joe.
«È la cosa più bella che potessi vedere», sussurrò Milah al mio orecchio. «Grazie».
«Presto sarà il tuo turno per essere felice, tesoro», mormorai, passandole l’uncino lungo la schiena. «Tra poco andrai incontro ad un’accecante luce bianca e ritroverai tuo figlio».
«Spero che tu abbia ragione», sospirò appoggiando la testa sulla mia spalla.
«Certo che ho ragione».
«E noi saremo tutti al tuo fianco per dirti addio». Non mi ero accorto del fatto che Emma si fosse avvicinata e avesse ascoltato il nostro ultimo scambio di battute. Notai che ci stava osservando con la coda dell’occhio e che faceva di tutto per restare indifferente, nonostante io fossi praticamente abbracciato a Milah. L’amavo anche per questo, perché mi stava concedendo di stare accanto a una delle persone più importanti della mia vita senza fare terribili scenate di gelosia. Probabilmente a parti invertite io non sarei riuscito a restare altrettanto calmo.
Per tutta risposta, afferrai la mano che le ricadeva stancamente lungo il fianco e la strinsi con la mia. «Grazie», mimai con le labbra una volta che ebbi attirato la sua attenzione.
Mi sorrise facendomi capire che le andava bene, che sapeva quanto contava quel momento anche per me. Non avrei avuto altro tempo con Milah e lei mi stava concedendo di sfruttare ogni secondo che ci restava.
«Credo che sia il momento di andare». La voce di Robin riportò la mia attenzione sugli altri. L’euforia generale, che si era creata poco prima, era sparita per lasciare il posto ad un aria solenne. Tutti ci stavano fissando e tutti sapevano quale sarebbe stata la prossima mossa. Avevano messo da parte l’emozione e la felicità che provavano e si stavano invece concentrando su colei che non avrebbe proseguito quel viaggio insieme a loro.
«È ora di andare?», domandò Milah alzandosi. Anch’io feci lo stesso, continuando a tenere un braccio intorno alla sua vita per non lasciarla andare.
Robin annuì senza aggiungere altro e anche gli altri sembrarono essersi di colpo ammutoliti.
«Siamo tutti qui per te Milah», le sussurrai all’orecchio. «È il momento che hai aspettato per secoli. Sei pronta a passare oltre?».
«Sì». La sua risposta fu solo un sussurro, ma non c’era nessuna indecisione nella sua voce.
«Allora non perdiamo più altro tempo». Le lasciai un bacio sulla tempia e la guidai fuori dalla biblioteca, verso la rupe dove si sarebbe compiuto il suo destino.
 
L’ultima volta che ero stato in quel posto avevo scoperto la verità su mio fratello e gli avevo detto addio, capendo che in fondo lui non era un cavaliere senza macchia ma, come me, aveva commesso degli errori. Tornare là per dire addio a Milah mi fece provare un tumulto di emozioni. Quello sembrava il posto dove ero destinato a salutare le persone più importanti della mia vita ed ero certo che per questo avrebbe assunto un significato particolare nel mio cuore.
Quando ci fermammo di fronte a quel baratro fatale sentii Milah trattenere il fiato, realizzando che presto il proprio destino si sarebbe compiuto e che finalmente avrebbe trovato la pace che le spettava da molti secoli.
Quando ci arrestammo là davanti nessuno disse niente, semplicemente smettemmo di camminare e aspettammo che fosse Milah a decidere quando andare. Lasciammo che fosse lei a dettare le regole in modo tale da non metterle fretta e da affrontare quella separazione solo quando si fosse sentita pronta.
Artù e Crudelia non erano venuti con noi, forse concedendosi anche loro un ultimo addio e sicuramente donando a noi la privacy che ci serviva. Eravamo come sette anime ferme in attesa, pronte a lasciare andare una parte integrante di quell’eclettico gruppo. Non sapevo che tipo di legame avesse istaurato Milah con quelle persone, ma capivo quanto le difficoltà e le avventure li avessero uniti. Erano una sorta di famiglia, ed è sempre difficile dire addio alla propria famiglia.
Milah iniziò a stringere il mio uncino via via sempre più forte, facendo respiri profondi e studiando attentamente il baratro di fronte a noi. Stava prendendo coraggio e ne ebbi la conferma quando sentii le sue parole mormorate con una flebile voce. «Credo che sia il momento di salutarci».
«D’accordo». Lasciai che si staccasse da me e si girasse per guardare in faccia i suoi amici. Avrei voluto concederle un po’ di privacy mentre salutava ognuno di loro ma non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso, con il solo pensiero in testa che presto non l’avrei rivista mai più.
«Ciao Robin», iniziò. Lo abbracciò stringendolo forte, con gli occhi che si facevano ogni secondo più lucidi. «Vorrei ringraziarti per tutto, anche se forse un semplice grazie non basta; sei stato un compagno eccezionale».
«Grazie a te. Non saremmo riusciti a salvarci se tu non ci avessi spronato; senza la tua perseveranza non saremmo qua. È stato un vero onore averti incontrata». Milah annuì impercettibilmente, passandosi una mano sulla guancia per asciugarsi una lacrima che le era sfuggita. La conoscevo abbastanza da saper che non avrebbe voluto piangere, ma che purtroppo non ci sarebbe riuscita.
«Non mi dimenticherò mai di te», aggiunse Robin prima di congedarsi definitivamente da lei.
«Nemmeno io». Gli rivolse un sorriso nonostante le prime lacrime iniziassero a rigarle le guance e gli strinse forte la mano.
«Ciao Milah». Fu il turno di Joe ad abbracciarla. «Spero che tu possa ritrovare tuo figlio e raggiungere finalmente la pace».
«Grazie Joe. Tu invece sii forte e prenditi cura di Lizzy e di Charlie; cerca di tenere a freno l’esuberanza di lei e l’irascibilità dell’altro. Contano su di te lo sai?». Joe annuì e anche lui si asciugò gli occhi con la mano.
Dopo fu il turno di Lizzy. Quella giovane ragazza aveva il viso rigato dalle lacrime ancor prima che lei le si avvicinasse; era evidente che durante la sua breve vita non era stata abituata a dire addio. Era così disperata, che fu Milah a consolare lei invece del contrario.
«Ehi piccola», mormorò prendendola tra le braccia e facendole affondare la testa sulla sua spalla. «Non è una cosa triste, lo sai vero? Sto andando in un posto migliore e starò bene, sarò felice. Per questo anche tu devi esserlo per me. Tu presto sarai a Storybrooke e voglio che tu sia felice almeno quanto lo sarò io».
«Mi mancherai tantissimo», balbettò tra i singhiozzi.
«Anche tu, ma staremo bene tutte e due». La cullò tra le braccia ancora per qualche momento e poi dopo averle dato un bacio sulla testa la lasciò andare.
Anche Charlie le si avvicinò continuando però ad osservare la punta delle sue stesse scarpe. Si capiva che anche lui non sapeva come dirle addio, ma stavolta non era per inesperienza. Era perché lui teneva a lei molto di più di quanto avessi immaginato.
«Charlie». Milah gli prese il volto tra le mani, in modo tale che lui la guardasse dritto negli occhi. «Tu sei un uomo capace di amare con tutto te stesso, non ce ne sono molti credimi». Si voltò a guardarmi solo per un istante, rivolgendomi un triste sorriso. «Non lasciare che qualcuno ti impedisca di essere felice, nemmeno se si tratta di te stesso». L’abbracciò forte appoggiando la testa sulla sua spalla, le labbra vicino al suo orecchio. Fui certo che gli stesse sussurrando qualcosa che evidentemente voleva mantenere segreta; e ciò fu ancora più evidente quando vidi Charlie strabuzzare gli occhi.
«Lo farai?», gli domandò riportando il suo sguardo in quello di lui. «Lo farai per me?».
Le labbra di Charlie tremarono pronunciando quella semplice sillaba. «Sì».
«Grazie». Milah gli sorrise e gli dette un bacio sulla guancia, per poi staccarsi da lui.
«Milah?», la richiamò prima che potesse girarsi dalla parte dove la stavamo aspettando io ed Emma. «Sei stata la migliore amica che potessi avere, lo sai questo?».
Milah sorrise tra le lacrime e annuì, confermargli che anche per lei era stata la stessa cosa. Quando tornò a voltarsi verso di noi, sapevo che il momento dell’addio si stava inesorabilmente avvicinando e per quanto cercassi di sembrare calmo non lo ero affatto. Come avrei fatto a dire addio ad una parte di me stesso? Non ci ero riuscito fino ad allora e mi sembrava ancora più impossibile adesso.
«Emma…». Milah lasciò a me l’onore di essere l’ultimo a salutarla.
«Milah». La mia Swan mosse un passo in avanti, rivolgendole un triste sorriso. «Sono contenta di aver potuto conoscere la donna che è stata parte integrante dell’uomo che amo».
«Ed io sono contenta di aver conosciuto te». Alzò lo sguardo verso di me, accennando un sorriso. «Non potevo lasciarlo andare per qualcuno di meno valore».
«Grazie». Emma l’abbracciò in un gesto del tutto spontaneo.
«No grazie a te. Grazie di avermi parlato di mio figlio e grazie perché so che ti prenderai cura di Killian. Se solo ti azzardi a farlo soffrire…».
«Non è mia intenzione». Emma si passò una mano sugli occhi asciugando una lacrima che doveva esserle sfuggita.
«Bene perché io lo saprò». Le sorrise e poi si voltò verso di me, sapendo di non poter più perdere tempo. Era il momento e nessuno di noi due si sentiva pronto; tuttavia era necessario.
Vedere le due donne più importanti della mia vita salutarsi commosse ed emozionate, mi aveva in qualche modo pietrificato. Volevo mostrarmi forte, ma dentro di me sentivo una fitta lancinante. Una parte di me mi stava lasciando ed era ovvio che avrebbe causato cicatrici indelebili.
«Eccoci qua». Milah mosse un passo annullando così la distanza che c’era tra noi.
«Già eccoci qua». Le passai una mano intorno ad un fianco e le rivolsi un sorriso tirato.
«Non so come fare a dirti addio Killian», mormorò fissandomi intensamente.
«Allora non lo dire». Appoggiai la fronte sulla sua e chiusi gli occhi lasciando che fosse il nostro silenzio a parlare per noi. Sentii le spalle di Milah rilassarsi e i nostri respiri coordinarsi, mentre i nostri corpi comunicavano tacitamente tutto ciò che ci serviva. Non c’era bisogno di dirci che ci saremmo mancati, lo sapevamo; non avevamo bisogno di ringraziarci, il fatto che fossimo stati una parte integrante uno della vita dell’altra era una certezza. Era la fine della nostra storia, anche se si trattava di un inizio per entrambi.
Posai la mano sulla sua guancia e le asciugai le lacrime con il pollice. Anche se piangeva, sapevo che aveva fatto la scelta giusta; erano lacrime dolci e amare allo stesso tempo. Non potevamo avere tutto, ma entrambi avremo avuto ciò che volevamo. Ed era quello ciò che contava.
Non so quanto tempo restammo con gli occhi chiusi e le fronti appoggiate, ma quando si staccò capii che era pronta. Finalmente era pronta ad andare, pronta a lasciarsi alle spalle quel maledetto mondo e a trovare la strada per andare oltre.
«Ciao», sussurrò passandomi la mano lungo il braccio ed intrecciando per un’ultima volta le dita alle mie.
«Ciao», ripetei mentre i suoi polpastrelli si allontanavano per sempre dai miei.
Milah fece un respiro profondo e senza più indugiare risalì la rupe che l’avrebbe portata in un posto migliore. Noi restammo semplicemente a guardare la sua ascesa, aspettando di vederla compiere il suo destino.
Quando arrivando in cima vidi aprirsi di fronte a lei una strada piena di luce sentii il cuore lacerarsi in due. Sentii il sollievo e la felicità per il fatto che lei avesse finalmente trovato il suo posto; avrebbe rivisto suo figlio, avrebbe avuto quello che aveva sempre voluto. Tuttavia la consapevolezza che non l’avrei più rivista si fece largo dentro di me, colpendomi in pieno petto. Fino a quel momento il nostro addio era stato solo qualcosa di ipotizzato a parole, ma adesso era reale e non potevamo più tornare indietro.
Sentii Emma avvicinarsi a me e stringermi la mano con le sue, facendomi capire che lei sarebbe stata sempre al mio fianco. Lasciò un bacio sulla mia guancia catturando una lacrima che, nonostante tutto, mi era sfuggita.
«È felice Killian, adesso lo sarà davvero», mormorò vicino al mio orecchio.
«Lo so». Tuttavia questo non cambiava le cose o come mi sentivo.
«Credo che sia ora di andare», affermò Robin, dopo che Milah fu sparita, avvolta da quella luce accecante. «Presto anche noi saremo a casa».
Già. Milah adesso era a casa, ed era il posto dove si trovava Bealfire, nessun altro posto poteva per lei definirsi tale.
«Già torniamo a casa». Emma acconsentì alla richiesta di Robin e mi guidò di nuovo giù da quella rupe, per poter trascorrere le nostre ultime ore nell’Oltrebrooke.
«Emma». La voce di Charlie ci fermò dopo pochi metri. Ci voltammo e lo trovammo fermo nello stesso punto dove l’avevamo lasciato.
«Charlie che c’è?», gli domandò perplessa.
Lui per tutta risposta alzò lo sguardo su di lei, fissandola dritta negli occhi con un’espressione completamente devastata. «Devo farlo». Sentii Emma trarre un profondo respiro capendo ciò che Charlie stava dicendo, mentre per me le sue parole non avevano senso.
«Ma Emma non ce la posso fare da solo», continuò, «ho bisogno del tuo aiuto».
 
POV Emma
Erano bastate due parole, oltre alla sua espressione significativa, per farmi capire ciò che Charlie aveva appena deciso di fare. Non sapevo cosa l’avesse spinto a quella conclusione, soprattutto dopo il suo iniziale netto rifiuto, ma adesso stava finalmente facendo la scelta giusta. Era una decisione che avrebbe cambiato radicalmente tutta la sua vita, che avrebbe sconvolto il rapporto con Lizzy, ma era ciò che un eroe avrebbe fatto. E Charlie era un eroe, l’avevo sempre saputo.
Il fatto che avesse ammesso di aver bisogno di aiuto lo rendeva ancora più tale. Il mio amico aveva bisogno di me e purtroppo adesso ero io a trovarmi in una posizione difficile. Da una parte l’uomo al mio fianco, il mio uomo, l’amore della mia vita, aveva appena perso la donna che era stata il suo primo amore; dall’altra quello che era diventato nell’ultimo periodo, e dopo le ultime avventure, il mio migliore amico aveva bisogno di me per affrontare la battaglia più grande che avesse mai dovuto combattere: dire la verità e cominciare così a perdonare sé stesso.
E per una volta, nonostante l’amore immenso che provavo per Killian, scelsi il mio amico e decisi che Hook poteva aspettare. Avremo avuto tutta la vita per stare insieme e supportarci a vicenda; in quel momento c’era qualcun altro a cui dovevo stare vicino. A Charlie serviva un’amica, qualcuno che restasse al suo fianco nonostante tutto, e visto che aveva appena salutato Milah, ero io quella che doveva assumersi quel ruolo.
«Killian», sussurrai voltandomi verso di lui. Dovevano essere passati pochi secondi dalla dichiarazione di Charlie, ma a me sembravano trascorsi interi minuti.
Incatenai il mio sguardo al suo, tuffandomi in quell’oceano profondo e trassi un lungo respiro prima di continuare. «Non posso neanche immaginare come tu possa sentirti adesso e so che hai bisogno di me, anche se non lo ammetterai mai. Però Charlie…». Non conclusi la frase e lasciai che fosse il mio sguardo a parlare.
«Devi aiutarlo?», mi domandò. Il suo tono non era né arrabbiato né risentito.
«Sì, quello che sta per fare… non posso lasciarlo solo. Non posso dirti niente di più perché è un suo segreto, ma devo stare con lui adesso».
«Va bene Swan, vai dal tuo amico». Come facevo a non amarlo ogni secondo di più? Mi aveva appena concesso di andare nonostante avesse il cuore a pezzi, nonostante che Charlie non gli stesse nemmeno minimamente simpatico.
«Ti amo, lo sai vero?».
«Sì e ti amo anch’io». Si chinò per baciarmi ed io lasciai che assaporasse completamente le mie labbra prima di staccarmi e allontanarmi di un passo. Killian mi sorrise, anche se con un accenno di tristezza, poi si voltò e cominciò a ridiscendere la rupe da solo.
«Grazie di essere rimasta». Charlie mi raggiunse fermandosi al mio fianco.
«Che cosa ti ha fatto cambiare idea così all’improvviso?». Ero sicura che fosse successo qualcosa che aveva fatto scattare quella molla nel suo cervello che lo teneva ancorato al suo segreto.
«Milah», rispose semplicemente. «Mi ha pregato di non lasciare l’Oltretomba senza aver risolto le mie questioni in sospeso».
«Lei lo sapeva?», domandai sorpresa.
«No, ma penso che avesse intuito qualcosa. Milah ha sempre saputo molte più cose di quelle che dava a vedere. Penso che sia per questo che mi abbia fatto promettere di farlo».
«Quindi qual è la tua prossima mossa?». Come intendeva dirlo a Lizzy?
«Per prima cosa potresti portarci in un posto più appartato? Poi non ne ho idea». Lo vidi mordersi il labbro, con uno sguardo tormentato e carico d’ansia.
«Andrà bene», affermai appoggiando la mano sulla sua spalla. «Ce la farai».
«Sì, ma non so come ne uscirò».
«Stai facendo la cosa giusta adesso, questo è il primo passo per essere un eroe». Lo vidi accennare un sorriso che però non raggiunse gli occhi.
«Potrò anche diventare un eroe», mormorò amaramente, «ma sto per distruggere l’idea che quella meravigliosa ragazza si è fatta di me».
«Anche se non sarai più il suo eroe, non vuol dire che non potrai essere suo amico». Anzi avrebbe avuto bisogno del suo migliore amico per capire quanto lui fosse cambiato da allora.
Charlie non aggiunse nulla ed io decisi che era arrivato il momento di eseguire la sua richiesta. Chiusi gli occhi concentrandomi su me, Charlie e Lizzy e in meno di un secondo ci trasportai nel parco dell’Oltrebrooke. Non sapevo perché avevo scelto proprio quel posto, ma non mi sembrava giusto discutere quella questione seduti ad un tavolo, sarebbe stato troppo formale. In quel parco, proprio come a Storybrooke, c’era una panchina e una strana tranquillità; e per fortuna, come avevo ipotizzato, non sembrava esserci nessuno là intorno.
«Che sta succedendo?». Lizzy sbatté più volte le palpebre non capendo cosa fosse accaduto. Doveva essere alquanto sorpresa, visto che un attimo prima stava camminando con gli altri e quello dopo si era ritrovata catapultata là con noi.
«Sono stata io a portarti qua», le spiegai.
«Le ho chiesto io di farlo». Charlie si avvicinò a lei con uno sguardo da funerale e la voce talmente bassa da non riuscire quasi a sentirla.
Lizzy sembrò calmarsi e cominciò a fissare prima me e poi Charlie, mordendosi un labbro per cercare di trattenere la curiosità. Doveva aver intuito dall’espressione del suo amico l’importanza di ciò che stava per accadere e forse fu per questo che tentò di tenere a freno la sua parlantina.
«Perché non ci sediamo?», proposi indicando la panchina e cercando così di superare quel momento di stallo.
Gli altri due seguirono il mio consiglio senza aggiungere una parola. Lasciai che Lizzy si sedesse nel mezzo tra me e Charlie, in modo tale da essere in qualche modo protetta dalla notizia che stava per ricevere. Tuttavia non potevo fare più di così; doveva essere lui a decidere quando e come parlarle e purtroppo capivo che non era affatto facile. Gli lanciai un’occhiata di incoraggiamento e lui percependo il mio sguardo sospirò. Lizzy nel frattempo continuò a guardare alternativamente me e lui, con uno sguardo più confuso di prima.
«Elizabeth…», iniziò Charlie.
«Non è mai un bene quando mi chiami Elizabeth», intervenne lei. «Che succede?». Si voltò verso di lui posando la mano sulla sua e fissandolo con uno sguardo preoccupato.
«Devo dirti una cosa e non so come fare», ammise.
«Puoi dirmi di tutto lo sai». Era proprio quella sua benevolenza a rendere le cose più difficili.
«No, invece. Quello che sto per fare cambierà tutto». Charlie distolse lo sguardo dal suo e iniziò a fissare un punto indistinto davanti a sé, forse cercando le parole adatte per continuare.
«Lizzy ricordi come sei morta?», le domandò dopo qualche secondo.
Vidi il volto di lei assumere immediatamente un’espressione seria, come se intuisse la gravità di ciò che stava per sapere. «Sì certo. Sono morta in un incendio. Il fumo mi ha ucciso».
«Non è andata proprio così», ribatté Charlie. «Forse il fumo ti ha tolto la vita, ma non è stato lui il tuo assassino».
«Sì lo so». Lizzy pronunciò quelle tre parole in un sussurro che faticai ad udire ed infatti Charlie non se ne accorse.
«Vedi non è che l’incendio sia partito così all’improvviso… voglio dire alcuni possono anche scoppiare per caso ma… insomma… io però so che questo non è il tuo caso… cioè è stato qualcuno ad appiccare il fuoco alla tua casa». Charlie incespicava sulle parole, fermandosi e ripartendo, non sapendo come fare ad esprimere quella orribile verità.
Lizzy gli strinse più forte la mano nel tentativo di fermarlo. «Charlie lo so». Potevo scorgere nel suo sguardo una consapevolezza che non avevo mai visto fino ad allora. Per quanto si mostrasse sempre esuberante e spensierata, in quel momento mostrava un lato del suo carattere completamente diverso. Non sembrava più una ragazzina e il suo sguardo lasciava trasparire una saggezza e una maturità che non avevo colto fino ad allora.
E se ne sarebbe accorto anche il nostro comune amico se solo avesse smesso di guardare il vuoto davanti a sé. «Ah bene, perché devi sapere…».
«Charlie», lo fermò di nuovo. «Guardami». Lasciò andare la sua mano per potergli prendere il viso in modo tale da costringerlo a guardarla negli occhi. «Io lo so». Vidi l’espressione di Charlie dilatarsi per la sorpresa, iniziando a capire ciò che lei gli stava continuando a ripetere.
«Cosa sai?», balbettò, cercando una conferma di quello che, sia io sia lui, ritenevamo impossibile.
Lizzy prese un respiro profondo prima di parlare. «So che sei stato tu ad appiccare l’incendio in cui sono morta». La sua voce era uscita calma e tranquilla, come se quella fosse stata la cosa più naturale del mondo; non era sconvolta, era solo triste e rassegnata.
Beh anche se lei non era sorpresa, di sicuro noi fummo più che sconvolti dalle sue parole. Charlie impallidì, non sapendo più cosa pensare ed anch’io avevo le idee alquanto confuse. Lizzy ne era stata a conoscenza per tutto quel tempo? Fin dal loro primo incontro aveva capito che si trattava del responsabile della sua morte? E nonostante tutto era diventata sua amica. Perché? Non aveva senso, avrebbe dovuto odiarlo o evitarlo, invece lei aveva fatto tutto il contrario. Era sempre stata sua intenzione diventare amica di Charlie, oppure all’inizio era stata spinta da uno scopo diverso?
Vidi le stesse domande affacciarsi sulla faccia del mio amico, mentre un silenzio tombale piombava su di noi. Eravamo come pietrificati e nessuno dei tre riusciva più a dire o fare nulla. Sapevo che però mi avevano portato lì per quello; era mio compito sostenere entrambi e aiutarli a sbloccare quel momento di impasse.
«Da quanto lo sai?», le domandai partendo con la prima delle tante domande che aleggiavano nell’aria.
Lei si voltò leggermente verso di me, guardandomi solo per un secondo prima di tornare ad osservare l’espressione dell’altro. «Da sempre».
«Come l’hai scoperto?», sussurrò Charlie, fissandola con gli occhi più scuri che mai.
«Ti ho visto», rispose alzando le spalle, come se fosse ovvio. «Ti ho visto dalla soffitta, mentre davi fuoco alla casa».
Charlie restò a bocca aperta per qualche secondo prima di trovare le parole giuste per parlare. «E quando sono arrivato nell’Oltretomba mi hai riconosciuto?».
«Sì, non avrei mai potuto dimenticare il tuo volto».
«E sei diventata mia amica nonostante io fossi il tuo assassino?». Il suo tono non poteva essere più incredulo, così come la sua espressione. Del resto anch’io dovevo avere dipinta in viso la stessa incredulità.
«Oh che sciocchezze! Tu non sei il mio assassino». Lizzy gli rivolse un dolce sorriso accarezzandogli la guancia.
«Certo che lo sono», ribatté lui con tono convinto. «Ho causato volontariamente l’incendio che ti ha uccisa!».
«No!». Lizzy si alzò di scatto allontanandosi di qualche passo per poi voltarsi a guardarci. «Tu non sei il mio assassino, io non ti ho mai considerato tale».
«Ma…».
«No!». Lo fermò di nuovo prima che potesse continuare, assumendo un’espressione al tempo stessa sbalordita e arrabbiata. «Non posso credere che tu abbia creduto di esserlo per tutto questo tempo!». La osservai bene per riuscire a capire cosa ci stesse sfuggendo: era ovvio che le visioni di Charlie e di Lizzy non coincidevano. C’era una parte della storia che non conoscevamo?
«Io ti ho uccisa», mormorò Charlie in un tono appena udibile.
«No, non sei stato tu, anzi hai fatto proprio il contrario». Lizzy si accucciò per terra appoggiando la testa sulle ginocchia. «Oh Charlie! Se avessi creduto che ti sentivi in colpa te l’avrei detto subito, pensavo non sapessi neanche che io ero coinvolta in quell’incendio».
«Dirmi cosa?», balbettò lui.
«Che sei stato tu a liberarmi». Alzò la testa dalle ginocchia e lo fissò, mordendosi un labbro. «Charlie non sei stato tu a togliermi la vita, sono stata io».
«Cosa?», mormorai non credendo alle mie orecchie. Charlie invece si ammutolì di colpo, rimanendo con la bocca aperta dalla sorpresa.
Lizzy voltò la testa guardando un punto indistinto alla sua sinistra. «Perché credi che io sia qui sennò?». Improvvisamente tutto aveva un senso: come era stato possibile che una ragazza come lei fosse finta nell’Oltretomba? Il semplice fatto di non aver vissuto non era sufficiente.
Lizzy continuò a parlare con la voce incrinata dall’emozione. Si capiva che stava in tutti i modi cercando di non piangere e che ciò che ci stava dicendo era qualcosa che non aveva mai raccontato a nessuno. «Ti ho visto dare fuoco alla casa ed appena l’hai fatto ne avevo in qualche modo compreso il motivo. Vivevo con un padre violento, non era difficile capire che era di lui che volevi vendicarti. In paese tutti pensavano che fosse una brava persona, un padre solo che per questo era diventato troppo protettivo. Non era affatto così, non era stato un buon marito per mia madre e tantomeno poteva definirsi un buon genitore; anzi con la morte di mia madre era peggiorato tutto. Non mi faceva più uscire, se non in rare occasioni sempre in sua presenza; diceva che avevo una salute molto cagionevole ma non era affatto vero. Ed il restare rinchiusa era la parte migliore rispetto a quello che dovevo subire restando a casa…». Si interruppe non riuscendo più a continuare e asciugandosi le lacrime con la mano.
Charlie si alzò improvvisamente e andò ad accucciarsi di fronte a lei, stringendola tra le braccia. Lasciò che Lizzy appoggiasse la testa sulla sua spalla e piangesse tutte le lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento.
Io nel frattempo mi sentivo quasi di troppo in quel particolare quadretto. Non riuscivo ad immaginare cosa avesse dovuto affrontare quella povera ragazza e dall’altra parte non potevo neanche immaginare ciò che provasse Charlie. Sollievo? Dolore?
«Non ce la faccio a dirtelo Charlie», mormorò contro la sua spalla. «Non posso dirti più di così».
«Non importa», rispose lui con la voce incrinata. «Piccola non importa».
Lizzy alzò la testa in modo tale da poterlo guardare negli occhi, asciugandosi le lacrime con la mano. «Avevo provato a scappare, ma era troppo furbo e non ci ero mai riuscita. Quando poi ti ho visto dare fuoco alla casa non avuto alcun dubbio, nessuna incertezza. Avrei potuto urlare, in modo tale da svegliare mio padre e salvarci entrambi. Non potevo uscire dalla mia soffitta, ma ero certa che mi avrebbe sentito. Invece non volevo salvarmi, perché avrei dovuto? Per poi continuare…? No, non potevo. Quando ti ho visto, ho ringraziato Dio per averti mandato da me, per avermi dato la possibilità di mettere fine a tutto, di mettere fine a lui». Pronunciò le ultime parole con una rabbia che non le avevo mai sentito, ma era più che giustificata. Solo lei sapeva gli orrori che aveva dovuto passare e il solo pensiero mi metteva i brividi.
«Quando prima ti ho detto che non avrei mai potuto dimenticare il tuo volto», continuò dopo qualche secondo, «è perché te ne sono grata».
«Dio Lizzy». Questa volta fu Charlie ad appoggiare la testa sulla sua spalla. Fece dei respiri profondi ed immaginai il nodo che gli stringeva lo stomaco allentarsi lentamente. Sapere di non essere stato il colpevole della morte di una vittima innocente doveva aver cambiato radicalmente la visione che aveva di sé stesso. Avrebbe potuto perdonarsi, finalmente sarebbe potuto andare avanti, senza più quel peso sulle spalle. Poteva essere l’eroe che io e Lizzy già vedevamo.
«Dio!», ripeté. «Lo ucciderei di nuovo se potessi, dopo quello che hai passato…».
«Ha avuto quello che si meritava», gli rivelò l’altra. «Non l’ho rincontrato quaggiù, ma ho trovato la sua tomba. È spezzata, è andata in un posto peggiore, peggio del fiume, peggio di qualsiasi altra cosa». Almeno quello era confortante.
Charlie alzò la testa e le prese il viso tra le mani, gli occhi visibilmente lucidi. «Al solo pensiero che tu abbia dovuto affrontare tutto questo… come è possibile che non me ne sia accorto? Che non abbia mai intuito niente?».
«Non sono una pessima attrice come te», tentò di sdrammatizzare. «Sono molto più brava a nascondere le cose di quanto tu immagini. Tu invece avresti dovuto dirmelo…».
«Avevo paura che ti avrei persa per sempre. Sei diventata la parte più importante di me ed io non volevo che mi odiassi, o forse che mi perdonassi. Mi sentivo troppo in colpa».
«Anche tu sei la parte più importante di me, sei la mia famiglia adesso. Nessuno mi ha mai voluto bene quanto te». Erano le parole più dolci che avrebbe potuto dirgli.
«Non posso credere che sia stato possibile», mormorò Charlie abbracciandola di nuovo. «Avresti dovuto essere amata ogni singolo giorno della tua vita».
«Beh adesso avrete tempo per rimediare», affermai, intuendo che il loro attimo di intimità era finito. Avevo un nodo in gola ed avevo stranamente voglia di piangere. Mi sentito una specie di ladra per aver assistito ad un momento tanto privato e aver potuto partecipare alla loro commozione.
«Già», confermò Charlie con un sorriso. «Storybrooke ci aspetta». Si alzò e aiutò anche Lizzy a farlo. La vidi tirare su con il naso e notai il suo dolce sorriso spuntare dietro le ultime lacrime. I momenti difficili erano ormai finiti per loro e una volta tornati a casa avrebbero potuto ricominciare a vivere come si meritavano. Era in istanti come quello che amavo profondamente il fatto di essere la Salvatrice.
«Sono certa che avrai la fila di ragazzi che vorranno stare con te ed amarti come meriti», affermai, tirando involontariamente su col naso. Sarebbero stati degli stupidi a non farlo.
«Ed io controllerò attentamente che siano alla tua altezza», continuò Charlie. «Se solo si azzarderanno a mancarti di rispetto…».
Lizzy scoppiò a ridere. «Nessuno mi si avvicinerà se tu li minaccerai».
Anche lui rise, scompigliandole i capelli con la mano. «Non lo farò, però potrai sempre contare su di me. Non permetterò più a nessuno di fare del male alla mia sorellina». Lizzy gli rivolse un enorme sorriso sentendo quell’appellativo.
In quel momento più che mai prima di allora capii quanto la famiglia non si basasse solo su rapporti di parentela. Famiglia erano coloro che ti amavano incondizionatamente, che avrebbero lottato per te fino alla morte; non aveva importanza avere lo stesso sangue, ma ciò che contava era riuscire a condividere lo stesso cuore. Regina, Hook erano la mia famiglia, così come lo erano i miei genitori e mio figlio. Era un legame che ci avrebbe unito fino alla morte.
«Credo che adesso che abbiamo affrontato le nostre questioni in sospeso», attirò di nuovo la mia attenzione Charlie, «non ci resta altro che aspettare che il portale si apra». Mi alzai dalla panchina e li raggiunsi rivolgendo loro un ampio sorriso.
«Ce l’abbiamo quasi fatta», affermai. «Presto saremo a casa». E mai parole mi sembrarono più vere e più belle di quelle.


 
Angolo dell’autrice:
Buona domenica a tutti!
Nonostante il tempo particolarmente estivo, il ponte e i giorni da spiaggia ecco a voi un importante capitolo. Vi confesso che questo è stato forse quello che sono riuscita a scrivere più velocemente; penso di averci messo veramente poco, forse perché era già tutto nella mia testa. E nonostante la mia velocità, è stato anche uno dei capitoli che ho vissuto di più. L’addio di Milah, la verità su Lizzy, la vicinanza con Charlie: beh sono state un bel po’ di emozioni tutte insieme.
Quando ho creato i personaggi di Charlie e di Lizzy non avevo minimamente idea dell’implicazioni che questi avrebbero comportato; sono cresciuti via via, in maniera inaspettata e mi sono sentita molto coinvolta nelle vicende che io stessa ho creato. Avrei voluto un personaggio come Charlie anche nella serie XD
Comunque mi sono dilungata anche troppo. Vi ringrazio di leggere e di recensire! GRAZIE di cuore!
Un bacione e alla prossima settimana
Sara
  
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