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Autore: Stella Dark Star    08/06/2017    1 recensioni
Per Andrea Pazzi e Lucrezia Tornabuoni è amore a prima vista quando s’incontrano nella basilica di San Lorenzo durante il funerale di Giovanni de’ Medici. Il problema è che entrambi sono sposati e per di più le loro famiglie sono nemiche naturali. Ma questo non basterà a fermarli. Tra menzogne e segreti, l’esilio a Venezia cui lei prenderà parte e il ritorno in città della moglie e i figli di lui, sia Andrea che Lucrezia lotteranno con tutte le loro forze per cercare di tenere vivo il sentimento che li lega. Una lotta che riguarderà anche gli Albizzi, in particolar modo Ormanno il quale farà di tutto per dividerli a causa di una profonda gelosia, fino a quando un certo apprendista non entrerà nella sua vita e gli farà capire cos’è il vero amore.
Consiglio dell'autrice: leggete anche "Delfina de' Pazzi - La neve nel cuore", un'intensa e tormentata storia d'amore tra la mia Delfina e Rinaldo degli Albizzi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo venticinque
Un nuovo inizio
 
Anche se era stato informato dalla servitù, Ormanno rimase comunque sorpreso nel vedere Pazzi ad attenderlo nel salottino privato. L’uomo, con addosso abiti neri e collare d’oro del proprio ceto sociale, ma con un velo di tristezza sugli occhi che un tempo non aveva, a vederlo con lo sguardo perso nelle fiamme del caminetto sembrava quasi una creatura indifesa. Certo non era mai stato un uomo particolarmente sorridente, però a Ormanno non piaceva vederlo in quello stato, con il broncio e gli occhi privi di vita come quelli di una statua. Optò per uno scherzo: “Non posso crederci! E’ davvero Andrea Pazzi l’uomo che vedo seduto sulla mia poltrona!”
Funzionò, Andrea mosse lo sguardo su di lui e per un attimo un accenno di sorriso gli sfiorò le labbra. Peccato che quel sorriso morì subito e venne sostituito da uno studiato colpo di tosse. Andrea si alzò e gli andò incontro: “Buonasera, Ormanno. Perdonami l’ora…”
Ormanno scacciò quella formalità con un gesto della mano: “L’ora non ha importanza se una persona cara viene a farmi visita.”
Andrea si schiarì la voce, era visibilmente in difficoltà per quanto voleva dire. Dovette schiudere le labbra tre volte prima di riuscire ad emettere qualche suono di senso compiuto: “Spero che tu stia bene. Dopo quell’episodio imbarazzante non abbiamo più avuto modo di parlare. Intendo…sì ci siamo incontrati alcune volte per la Signoria, ma oltre quello, non abbiamo più avuto occasione di…” Niente, per la prima volta in vita sua il Banchiere Pazzi non era in grado di formulare un pensiero correttamente. Forse era a causa dello sfinimento fisico e mentale. Aveva ancora problemi d’insonnia e la bottiglia era divenuta la sua nuova amante dopo la partenza di Lucrezia. Non riusciva a riprendersi, non riusciva a darsi una spiegazione per quella dannata lettera.
Ormanno, vedendolo bloccato, prese la parola: “Io sto bene, come potete vedere. E per quanto riguarda quella faccenda, non ci pensavo nemmeno più, in verità. Voi invece…  Non vi vedo in ottima forma, se mi perdonate la franchezza.”
Andrea increspò le labbra in un sorriso amaro: “Dire che non sono in ottima forma è un eufemismo.”
“E’ più dura di quanto credevate, vero?” Azzardò Ormanno.
“Ogni volta che chiudo gli occhi rivedo il suo viso triste. L’ultima volta che l’ho vista sono stato troppo severo con lei.” Sollevò le braccia e le lasciò ricadere a peso morto: “E ora non faccio che annegare nell’alcol e nel mio stesso rimorso.” Per fare una simile confessione doveva essere veramente a pezzi.
Ormanno lasciò un sospiro, da una parte avrebbe voluto trovare un modo per aiutarlo, dall’altra invece desiderava prendere un martello e colpirgli il cranio fino a fargli perdere la memoria. Solo quella che comprendeva Lucrezia, ovviamente,  l’unica causa di tutto il male.
“Se sei d’accordo…” Quell’inizio di frase riportò la sua attenzione su Andrea, il quale proseguì: “Qualche volta la sera potresti venire a farmi visita. Magari a bere un bicchiere di buon vino. A esser sincero, Ormanno, ho disperatamente bisogno di compagnia e tu sei l’unica persona in città che tollero!” Terminò con uno scherzo per alleggerire la propria tensione, per lui non era facile aprirsi e confessare le proprie debolezze.
“Sarebbe un vero onore, Pazzi. Le mie serate ultimamente sono diventate incredibilmente noiose, eccetto quando vado da Rossella. Ma come comprenderete, non posso vederla tutte le sere e rischiare di essere scoperto da mio padre. Anche se, a dire il vero, ogni dopocena lui si rinchiude nel suo studio per pianificare solo il cielo sa cosa. Mia madre invece è solita ritirarsi in preghiera e…” Sorrise divertito: “Il mio fidato Tommaso non vede l’ora che io lo congedi per infilarsi nel letto della sua bella!” Come perso in un pensiero, continuò: “Credo che tra loro vi sia qualcosa di serio. Non posso che augurargli ogni bene, se è così.” Era lieto di sapere che il giovane amico aveva trovato qualcosa a cui dedicarsi che non fosse creare veleni per soddisfare le brame sue e di Rinaldo.
“Sei molto legato a lui, mi sembra di capire.” Disse Andrea per riportarlo al presente, quindi sottolineò: “E’ un ragazzo davvero fortunato. Lo hai trovato quando aveva più bisogno e lo hai preso sotto la tua ala protettrice.”
Lo sguardo complice di Ormanno fu una risposta sufficiente. Non avendo altro da aggiungere, Andrea si schiarì la voce: “Credo di averti disturbato a sufficienza. E’ meglio che io vada.”
Ormanno gli aprì la porta e lo accompagnò fino all’uscita del palazzo, in silenzio. Forse non era stato saggio parlare in quel modo di Tommaso e fargli capire quando tenesse a lui. Quel ragazzo era tanto prezioso quanto pericoloso, purtroppo. Se in qualche modo Andrea avesse scoperto che Rinaldo aveva tentato di far uccidere Lucrezia col veleno, che cosa ne sarebbe stato di tutti loro? Era certo che non avrebbe esitato a rompere l’alleanza politica e se fosse riuscito ad arrivare a Tommaso avrebbe anche potuto farlo torturare per fargli confessare tutto. Doveva esser sincero con se stesso, più che la rottura dell’alleanza ciò che temeva di più era che venisse fatto male a Tommaso. Il solo pensiero gli fece mancare la terra sotto i piedi. Per fortuna l’arrivo all’ingresso lo obbligò a controllare le emozioni.
“Domani sera vi farebbe piacere, Pazzi?” Gli chiese di punto in bianco, tornando sulla loro discussione precedente.
Andrea fece un cenno col capo: “Assolutamente sì. E per non farti rimpiangere la compagnia della tua bella Rossella, ti offrirò il mio vino migliore.”
Ormanno ridacchiò: “Una volta o l’altra vi convincerò a combinare le due cose. Buon vino e belle donne!” Lo aveva detto come uno scherzo, ma in realtà era proprio ciò a cui si sarebbe dedicato. Gli serviva solo un po’ di tempo. Anche se il suo sentimento per Andrea si era infine rivelato diverso da quello che credeva, era comunque geloso di Lucrezia e in un modo o nell’altro voleva fargliela dimenticare.  
*
Pur essendo autunno inoltrato, il sole rendeva l’aria tiepida e i suoi raggi riflettevano sull’acqua della laguna facendola sembrare una distesa di oro liquido. Era incantevole.
Dopo aver trascorso un numero imprecisato di giorni passeggiando nei dintorni di Piazza San Marco per riflettere, Lucrezia era giunta ad una conclusione ed ora si trovava lì al molo per attuare il suo progetto e dire addio al passato. Quel mattino si era svegliata con un terribile senso di vuoto che le aveva fatto temere il peggio. Non potendo sopportare un minuto di più di stare a letto con un marito che si stava trasformando in un vegetale, si era alzata e aveva indossato il primo abito che le era capitato tra le mani. Aveva un disperato bisogno di uscire, di immergersi nella bellezza e sentirsi di nuovo viva. E poi all’ultimo istante aveva preso il velo dall’armadio e l’aveva indossato senza nemmeno chiedersi il perché.
“E’ arrivato il momento, Lucrezia.” Si disse, nel tentativo di infondersi coraggio. Tolse i due fermagli con cui aveva fissato il velo ai capelli e li ripose in una piccola tasca nascosta tra le pieghe della gonna, quindi lo fece scivolare dai capelli, tirandolo per un lembo. Sapeva che non sarebbe stato facile, ma di certo non si aspettava che le vertigini l’assalissero così repentine. Si voltò e con lo sguardo ricercò un punto fermo al quale aggrapparsi con la mente. Il Campanile di San Marco venne in suo aiuto. Altissimo e imponente, vegliava sulla città come un guardiano e allo stesso tempo aveva un che di inquietante. Fin dalla prima volta in cui l’aveva visto aveva attirato la sua attenzione e talvolta le piaceva immaginare di essere lassù, sulla sua cima, e di guardare l’intera città sotto di sé. Ma ogni volta quella fantasticheria si trasformava in paura, quella dell’altezza e del vuoto sotto i piedi. Sbuffò e si voltò nuovamente verso la laguna.
“Stai temporeggiando.” Si rimproverò. La sua mano ora stava stringendo il velo come se volesse fargli male, ferirlo, ucciderlo, fargli esalare l’ultimo respiro neanche fosse stato una cosa viva. Voleva fargli perdere ogni significato e gettarlo via assieme al sentimento che provava per l’uomo che glielo aveva donato. All’improvviso allentò la stretta, si ritrovò a tenerlo solo col pollice e l’indice. Doveva solo lasciarlo e in un attimo sarebbe finito nelle acque della laguna… Protese il braccio in avanti, lasciando che la leggera brezza mattutina danzasse con quel tessuto dal colore puro. Quando la vista le si offuscò a causa delle lacrime, chiuse gli occhi e sussurrò: “Addio Andrea.”
“Ve lo sconsiglio caldamente.”
Udendo quella voce, Lucrezia ritirò la mano immediatamente e d’istinto appallottolò il velo per intrappolarlo tra le proprie mani, per timore che gli venisse sottratto.
“Così va meglio.” Colui che aveva parlato era un giovane abbigliato con abiti evidentemente costosi, ma con un incarnato pallido e due profonde occhiaie nere sotto gli occhi arrossati che gli davano un’aria malaticcia. L’affiancò: “Qualunque motivo vi abbia spinta a liberarvi di un così bell’oggetto, vi assicuro che non ne vale la pena.  Sarebbe davvero un peccato gettare al vento, letteralmente, un tessuto così costoso.”
Lucrezia s’irritò a causa di tanta sfacciataggine: “Scusatemi, ma quel che faccio non è affar vostro.”
Il giovane sorrise compiaciuto, quel caratterino focoso gli piaceva: “Però sono riuscito a farvi cambiare idea, visto il modo in cui lo stringete tra le mani.” E detto questo si sedette sul bordo di pietra del molo, appoggiando i piedi su uno dei gradini sottostanti. Sembrava sfinito.
Dopo aver ripiegato velocemente il velo ed averlo riposto sotto al mantello, Lucrezia prese posto accanto a lui e lasciò che uno slancio caritatevole avesse la meglio sull’orgoglio: “Posso aiutarvi in qualche modo? Mi sembra che non stiate molto bene…”
Il giovane scoppiò in una risata scomposta: “Sto solo smaltendo la sbornia! E vi assicuro che non è la prima volta, perciò non avete di che preoccuparvi.” La risata cessò e lui le fece l’occhiolino: “Comunque vi ringrazio per il pensiero!”
Lucrezia sentì il sangue salire e concentrarsi sul viso, ma non sapeva se per la collera o per l’imbarazzo. Era davvero instabile se accettava di essere presa in giro da uno sconosciuto senza reagire. Per salvare almeno in parte l’orgoglio, pensò bene di rispondere per le rime. “A mio parere eccedere nel bere non è affatto una bella abitudine. Dovreste avere più cura di voi.”
“E’ quello che dice anche mio padre.” Rispose semplicemente lui, per poi puntellare i palmi delle mani a terra e gettare il capo all’indietro per godersi il calore del sole sul viso.
Lucrezia lo guardò incuriosita, tutto sommato non sembrava una cattiva persona. Si era interessato a lei e le aveva impedito di fare una sciocchezza di cui poi si sarebbe pentita. Chiunque egli fosse gli doveva già un favore.
“Voi…” Si schiarì la voce e riprese: “Dovete essere un uomo importante se potete permettervi abiti costosi e nottate allegre.” Lo stuzzicò, giusto per vedere la sua reazione.
Lui fece una smorfia, tenendo comunque occhi chiusi e capo all’indietro: “Io non sono nessuno. Solo un ragazzo che vuole vivere la vita fino in fondo senza essere intrappolato da ridicole regole.”
Lei cercò di trattenere una risatina, con scarso successo: “E bere fino a sentirvi male lo chiamate vivere?”
Inevitabilmente, lui risollevò il capo e la guardò con diffidenza: “Voi non siete di qui, vero?”
“Non è evidente?” Chiese lei di rimando, indicando il proprio abito sobrio e di certo ben lontano dalla moda locale.
“Se poteste illuminarmi…!” La provocò, sfoggiando un sorriso furbo.
Lucrezia scostò lo sguardo, divenuto improvvisamente triste, e lo lasciò vagare sul panorama: “Vengo da Firenze. Io e la mia famiglia…” Scosse il capo e si corresse: “Io e la famiglia di mio marito siamo stati esiliati.”
Il giovane fischiò, al massimo della maleducazione: “Brutta storia. Ma vedrete che vi rifarete una vita qui. Venezia è una delle città più belle del mondo e poi…” Lasciò la frase in sospeso in attesa che lei gli rivolgesse nuovamente lo sguardo, quindi riprese: “Adesso conoscete me. Vi presenterò a persone di buona compagnia e in breve tempo dimenticherete perfino il nome della vostra città!”
Lei lo rimproverò, ma questa volta con tono amichevole: “Siete sempre così sfacciato?”
“Solo con le fanciulle degne delle mie attenzioni.” E ancora una volta le fece l’occhiolino. Non aveva dato alcun peso al fatto che lei fosse sposata, anzi non gliene importava proprio nulla!
Lucrezia si rialzò e, più per pietà che per gentilezza, gli porse una mano a cui aggrapparsi o da solo non sarebbe mai riuscito a rimettersi in piedi senza rischiare di finire dritto nella laguna, ridotto com’era.
“Mi permettete di accompagnarvi alla vostra dimora?” Le chiese, cimentandosi in un traballante inchino.
“Oh, non importa, davvero. Non è lontano.”
“Tanto meglio!” Disse lui, facendola ridere. Quindi s’incamminarono nella bellissima piazza.
“Tutto è meraviglioso qui. Ogni minima cosa cattura la mia attenzione.” Confessò lei, sentendosi improvvisamente rilassata e serena.
Lui non mancò di dire qualcosa di pungente: “Spero vivamente che vi interesserete anche ai tessuti. Conosco ottimi sarti che in pochi giorni potrebbero ridare vita al vostro guardaroba.” Ma poi il suo tono si fece più gentile: “E a mio parere dovreste mettere delle gemme tra i capelli, per esaltarne la bellezza.”
“Mi state adulando?” Chiese lei, con fare civettuolo, persa in quel gioco piacevole e pericoloso. Fortunatamente giunsero a destinazione prima che la situazione diventasse troppo inopportuna. Lucrezia si fermò e indicò la casa: “Eccoci.”
Il giovane diede giusto un’occhiata per valutarla e per memorizzare qualche dettaglio nel caso un giorno avesse dovuto ritrovarla. Poi si rivolse a Lucrezia seriamente: “Non rientrate senza promettermi che domani vi rivedrò.”
Lei lo guardò in tralice: “E’ una minaccia? Vi informo che non prometterò alcun che fino a quando non mi avrete detto il vostro nome.”
Lui fece un cenno col capo: “Jacopo.”
“Lucrezia.” Disse lei di rimando, sollevando una mano per concedergli di baciarla. Cosa che lui fece senza farsi pregare. Quando risollevò il capo, la guardò in un modo che le spezzò il fiato.
“Promettete?”
Tutto ciò che riuscì a fare fu un cenno positivo col capo, la voce era come se fosse rimasta seppellita da qualche parte nel petto.
Jacopo sorrise e le lasciò andare la mano facendola scivolare delicatamente dalla propria: “Ora potete rincasare, Madonna Lucrezia. E sarà bene che io faccia ritorno a Palazzo Ducale, prima che mio padre mi mandi a cercare dalle guardie!”
“Palazzo Ducale? Siete ospite di qualcuno che vi risiede?” Chiese lei in un impeto di curiosità.
Lui scosse il capo, ridacchiando: “Sono io che ci vivo. Capita, quando si è figli del Doge.” E detto questo se andò, lasciandola lì a bocca aperta per la sorpresa.
Non era possibile! Non poteva credere di aver fatto conoscenza proprio con Jacopo Foscari, il figlio dell’uomo più potente e importante della Serenissima Repubblica di Venezia! Ripresasi un po’, sorrise al nulla. Con un pizzico di fortuna forse sarebbe riuscita a scacciare la tristezza e ad accogliere il divertimento. Ora aveva un amico che l’avrebbe aiutata. E che amico!
  
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