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Autore: Leila 95    09/06/2017    3 recensioni
Ho voluto raccontare ancora il viaggio di Han Solo e della Principessa Leia verso Bespin, stavolta però attraverso gli occhi del Capitano.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chewbacca, Han Solo, Principessa Leia Organa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dal diario di bordo del Capitano Solo'
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Dal diario di bordo del capitano Solo – Data stellare ABY 3:10:16
Ventitreesimo giorno di viaggio verso Bespin.
La navigazione verso Bespin procede senza difficoltà. Non si segnalano anomalie o problemi alla nave.

 
La vita di strada mi ha insegnato ad avere il sonno estremamente leggero, per poter affrontare pericoli e nemici con i riflessi pronti – anche mentre dormo. Per questo mi sveglio immediatamente, appena Leia inizia ad agitarsi. Sta ancora dormendo profondamente, ma da come si muove immagino che stia facendo un incubo. Il suo respiro è affannoso e pesante, i suoi movimenti sono scatti violenti e convulsi.
“Lascialo” sibila a denti stretti.
Accendo la lucetta accanto al letto e mi stiracchio pigramente, ritornando pian piano al mondo dei vivi, mentre Leia si dimena sempre più violentemente.
“Ehi” dico piano al suo orecchio, nella speranza di evitarle un risveglio troppo brusco. “Leia…va tutto bene, stai tranquilla.”
“Lascialo, ti prego!” urla nel vuoto.
Le accarezzo piano il braccio, ma lei scaccia la mia mano con foga. “Brutto, lurido, verme schifoso! Come osi…”
Non c’è verso di svegliarla con le buone maniere, l’incubo è troppo vivido ed intenso. La prendo per entrambe le braccia e la scuoto più volte, chiamandola per nome e ripetendole che non c’è nessuno qui che vuole farle del male. Quando spalanca gli occhi, vi posso leggere il terrore più puro. Istintivamente si irrigidisce fra le mie braccia e assume una posizione di difesa, come se stesse ancora immersa nella dimensione del sogno, poi – dopo aver sbattuto ripetutamente le palpebre – sembra mettere a fuoco la realtà e rilassarsi un po’.
“Han” dice a mezza voce, ancora confusa.
“Ehi, piccola.” La accarezzo sulla guancia, spostandole indietro ciocche di capelli appiccicate dal sudore freddo. “Nottata difficile, eh?”
Si limita ad annuire, lo sguardo perso nel vuoto e la mente ancora a quelle terribili immagini.
“Vuoi raccontarmi cosa hai sognato?” Sfogarsi ed esternare le proprie paure con qualcuno può aiutare a superarle, ma la principessa è notoriamente ostinata a tenersi tutto dentro e a non lasciarsi aiutare da nessuno. Dubito quindi che mi lasci entrare così facilmente nella sfera del suo inconscio.
“È un sogno che mi capita di fare ogni tanto” mi dice. “Nulla che io non possa benissimo gestire da sola, grazie. Mi dispiace solo di averti svegliato.”
Appunto, proprio come pensavo. “Non devi affatto preoccuparti di questo, principessa. Piuttosto…c’è qualcosa che posso fare per te?”
“No, grazie. Come ti ho già detto, sono perfettamente in grado di gestire…”
“Lo so cosa mi hai detto!” la interrompo stizzito. Siamo nel cuore della notte, eppure lei trova la voglia e la forza di essere regalmente altezzosa e insopportabile. “So che devi mantenere la tua dignità non accettando aiuto da nessuno, ma io voglio aiutarti lo stesso. Devi solo dirmi cosa posso fare per te.” Mi alzo e mi rimetto la camicia e i pantaloni, ormai perfettamente sveglio. “Allora?”
Mi guarda un attimo senza proferire parola.
“Posso portarti almeno un bicchiere d’acqua?”
“Come vuoi, Han. Non voglio crearti altro fastidio.”
“Leia…” Chiamarla per nome – senza nomignoli volti a prenderla in giro – riesce sempre a catturare la sua attenzione.
“Va bene.”
“Lo vedi che a volte sai come collaborare?”
Appena esco dalla cabina sento che si stravacca a peso morto sul lettino, sbuffando rumorosamente. Non so se è più difficile sopportare me o i fantasmi che si porta dietro.
Ritorno dopo qualche momento con una tazza d’acqua fresca.
“Grazie” mi dice quando gliela porgo. Non ha fatto in tempo ad asciugare una lacrima solitaria che ancora le riga la guancia.
Non l’ho mai vista piangere tanto come durante questi ultimi giorni, in cui ha mostrato tutta la sua fragilità e la sua debolezza di fronte ad una persona che l’ha sempre vista inossidabile, algida, irreprensibile. Questa valvola di sfogo che si è aperta improvvisamente – lasciando fluire allo scoperto tutta questa emotività repressa – mi ha fatto rendere conto del fatto che io non la conosco, che non l’ho mai conosciuta davvero. “Va meglio?”
“Abbastanza.”
È evidente che c’è qualche altra cosa che la turba, oltre al sogno…qualcosa che non vuole dirmi.
“E allora che cos’hai?”
“Niente.”
“Avanti, dimmelo. Non devi vergognarti di niente con me.”
“E invece è proprio questo il problema!” sbotta. “E che io mi vergogno di farmi vedere così fragile ed emotiva. Soprattutto da te.”
“Non ti devi preoccupare” provo a rassicurarla. “Io non ti sto giudicando.”
“Non lo stai facendo a parole, ma so cosa stai pensando.”
“E cosa starei pensando, esattamente?”
“Che la glaciale, arrogante Principessa di Alderaan è in realtà una mocciosa che fa i capricci e che ha paura del buio” risponde, così a bassa voce che fatico a sentirla.
Quanta poca stima ha di sé questa donna. Proprio perché non si apprezza, si svaluta sempre di più e non riconosce tutte le sue innegabili qualità.
“Vieni qui” le dico, alzandomi di nuovo in piedi e tendendo la mano verso di lei.
“Dove?”
“Vieni. Devo mostrarti una cosa.”
La prendo per mano e la porto in bagno. Questo bagno è davvero un buco, tuttavia è dotato di uno specchio malconcio, inchiodato alla meno peggio sopra al lavandino. Credo sia stato Lando a montarlo: da che ricordi, è sempre stato terribilmente vanesio.
“Che cosa vedi?” chiedo fissando i suoi occhi nell’immagine riflessa.
Si passa subito una mano fra i capelli arruffati, per dare una sistemata alla chioma disordinata di cui si è appena resa conto. “Uno spettacolo pietoso.”
“Io invece vedo una donna forte, determinata, inarrestabile, che crede di essere un droide e non accetta di essere umana.” Le poggio entrambe le mani sulle spalle e lascio che appoggi la schiena sul mio petto. “Anche se fai finta di non provare nulla, Leia, tu hai un cuore, non sei una macchina. È normale che tu abbia paura, provi dolore, sia angosciata.” Mi guarda anche lei attraverso lo specchio, gli occhi di nuovo pieni di lacrime.
“È normale” ripeto, per sottolineare il concetto. “Non devi trattenere o reprimere quello che senti, perché finirà per distruggerti prima o poi.”
In qualche maniera lo sta già facendo adesso, visti i crolli emotivi a cui ho avuto modo di assistere in questi ultimi giorni. “Qual è stata l’ultima cosa che hai fatto perché volevi e non perché dovevi?” le chiedo.
“Che vuol dire Han?”
“Sai cosa intendo. Quand’è stata l’ultima volta che hai fatto qualcosa che non fosse un obbligo, una costrizione…persino questo bel viaggetto in mia compagnia ti è stato imposto!”
“Senti, Han, io non ti permetto di…”
“Piantala, Leia” la blocco. “Con me puoi gettare la maschera ed essere te stessa, lo sai. Non devi recitare la parte della senatrice o della diplomatica. Sii sincera, con te stessa innanzitutto, prima che con me.”
Resta un attimo immobile, poi sospira di malavoglia. “Vuoi davvero saperlo? Credi che basti questa blanda chiacchierata con te per liberarmi dei problemi che mi perseguitano ormai da anni?! Non posso permettermi di fare quello che mi piace e quando ne ho voglia. Sono ambasciatrice di un mondo che non esiste più, e porto sulle spalle il peso di tutti gli Alderaaniani morti a causa mia. C’è un nemico da combattere e io voglio essere in prima linea a fronteggiarlo con tutte le mie forze. E poi ho imparato che la vita di una principessa non è bella e felice come quella delle favole che mi raccontavano da piccola.”
Le lacrime le rigano copiose le guance, senza che lei faccia più nulla per impedirlo. “Io non posso ignorare tutto questo, non posso fare finta di niente, quando attorno a me ci sono solo disperazione e morte. Non ce la faccio.” Sbuffa sonoramente e reclina la testa all’indietro, schiacciandola contro la mia spalla.
Non ha mai chiesto niente, non si è mai lamentata, non si è mai sottratta alle sue responsabilità. Si merita tutto l’affetto e la stima possibili, e io invece ho passato gli ultimi tre anni a punzecchiarla in continuazione, incurante dei suoi problemi, cieco di fronte alla sua sofferenza.
 
Dopo qualche momento pare darsi un contegno e riprendere il controllo di sé. “Credo di aver preso troppo sul serio la tua domanda” mi dice. “Ti chiedo scusa.”
“Non devi scusarti, né giustificarti. Tutto ciò che hai detto è vero…purtroppo. E io non posso chiederti di ignorarlo.” La stringo dolcemente, prendendole i pugni serrati e cercando di aprirli con le dita. “Posso chiederti però di imparare a pensare a te stessa, una volta ogni tanto. Un po’ di sano egoismo non guasta mai.”
Mi rivolge un’occhiata scettica. “Senti chi parla! Un uomo che ha fatto dell’egoismo l’unica legge della propria vita. Il motivo per cui non puoi capirmi è perché ti ami troppo.”
“E tu invece non ti ami affatto, dolcezza” la rimbrotto. Il suo dannatissimo senso del dovere la sta rispedendo al Creatore.
“Ti invidio, sai, per la tua caparbietà nel continuare ad illuderti di aver fatto le scelte giuste, anche quando l’evidenza della realtà ti dice il contrario. Pur di non ammettere di aver sbagliato, ti ostini a vantarti di cose di cui tu stesso, col tempo, ti sei pentito.”
“Tu non mi conosci, Leia.”
“E invece sì” obietta. “Non sei l’unico a poter gettare la maschera qui e a non fingere di essere qualcuno che non sei.”
Non ho voglia di risponderle ancora, e di continuare questa conversazione che non porterebbe più a nulla. Non ne vale la pena.
Restiamo quindi ancora un po’ a fissare il nostro riflesso nello specchio, ognuno perso nelle proprie elucubrazioni. Non so dove la stiano portando le sue, ma gradualmente il suo volto si distende in un piccolo sorriso. “Non stiamo così male insieme, dopotutto” dice, rivolta probabilmente più a se stessa che a me.
Per tutta risposta la stringo un po’ più forte. “Decisamente no, tesoro.”
Rispetto a lei sono un gigante, e stanotte – così spaventata e turbata – appare ancora più minuta fra le mie braccia: a stento arriva allo specchio, e invece io per un pelo non lo supero tutto, eppure i nostri corpi sembrano andare perfettamente ad incastro l’uno con l’altro, come se fossero stati modellati per stare insieme.
 
“Ti va se ci rimettiamo a letto adesso?” le chiedo.
Annuisce debolmente, e senza fretta ci accoccoliamo nuovamente sotto le lenzuola, uno vicino all’altra.
Allungo un braccio fuori dal letto per spegnere la luce, poi lo faccio passare sotto il suo corpo per attirarla più vicino a me.
Non ho il coraggio di insistere a chiederle di rievocare il suo incubo. Ho una vaga idea di cosa la angosci tanto: Vader, la Morte Nera, la distruzione del suo pianeta, le torture che ha dovuto subire…solo il Creatore sa quante atrocità hanno visto i suoi bellissimi occhi, e quante cicatrici le hanno lasciato sull’anima.
Le bacio i capelli. “Sicura di stare bene?”
“Sono sicura.” Ridacchia. “Ci tieni parecchio a me, vero?”
Eccomi pizzicato come un giovane e inesperto ladruncolo al suo primo colpo. “Già.”
 
“Ho sognato di perderti” confessa all’improvviso. “E non è la prima volta che mi capita di fare questo incubo.”
La Principessa che sogna me? Sono tutt’orecchi.
“Ti torturano e ti uccidono davanti ai miei occhi, e io non posso fare niente per aiutarti. A volte c’è Vader, altre volte l’Imperatore…o quel cacciatore di taglie che incontrammo su Serricci.” Si stringe più vicino a me e schiaccia il viso nel cuscino.
“Lo sai che sono qui, vero?” le dico piano. “Nessuno mi farà del male.”
“Lo so. Ma questi sogni sono così reali…a volte mi sembra di impazzire.” La voce le si incrina per l’angoscia e la paura. “Io ho perso tutto, Han. La mia casa, la mia famiglia, i miei amici. Tutte le persone che amavo di più sono morte. Non voglio perderti.”
Non so cosa dirle, come consolarla. Non posso prometterle che avremo un futuro insieme, perché questo significherebbe solo illuderla. Probabilmente sarò morto prima ancora di mettere piede su Tatooine, vista la smania con cui Jabba mi sta cercando.
“Non posso più fare a meno di te” continua. “Più provo a lasciarti andare e più mi rendo conto che sei entrato troppo a fondo nella mia anima per uscirne senza lacerarla.”
Non provo a spiegarle le mie ragioni e a riempirla di false speranze, piuttosto tento di consolarla nel modo che conosco meglio, attirandola a me e baciandola con trasporto, asciugando con le mie labbra le sue lacrime salate, divorando la sua bocca piena e carnosa fino a toglierle il respiro. Voglio farle capire che sono ancora vivo e che anch’io morirei al pensiero di perderla.
Forse neanche io posso più fare a meno di lei, della sua passione e del suo coraggio, della sua intelligenza, del modo in cui si stringe a me adesso.
No. Non credo proprio di poter più vivere senza tutto questo.
   
 
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