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Autore: Luana89    10/06/2017    2 recensioni
«Misha, sai cosa dicevano i navajo mentre camminavano in questo preciso luogo?» Sophia ci guardò come se si aspettasse una risposta, io scrollai semplicemente le spalle dando l’ennesimo tiro alla mia sigaretta. La sua voce divenne improvvisamente bassa, era l’eco di ogni mio battito. «Con la bellezza dinanzi a me avanzo. Con la bellezza dietro di me avanzo. Con la bellezza sotto di me avanzo. Con la bellezza sopra di me avanzo – l’aria si fermò improvvisamente, quasi ascoltasse anche lei – Finisce nella bellezza. Finisce nella bellezza» Sophia chiuse gli occhi come se cercasse di assaporarne meglio le parole. Misha corrugò la fronte probabilmente riflettendo sul senso di quel discorso. «E perché me lo stai dicendo?». Il silenzio ci assordò per qualche attimo.
«Sostituisci la parola ‘’bellezza’’ con ciò che ami di più, e avrai la risposta al quesito» gettai a terra la sigaretta allontanandomi da loro, mentre il mio riflesso diveniva simile ad un miraggio.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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ACT VIII

 
 
 
La mia scrivania era sommersa di carte, fogli da firmare, conti da revisionare e pratiche da rivedere. Allentai il nodo della cravatta, la mia fronte eternamente corrucciata temevo avrebbe scavato un solco che mai più sarebbe sparito. Misha era tornato al piano di sopra in gran segreto ormai da giorni, lo sentivo spesso per telefono e spesso passavo le notti in casa con lui adducendo scuse con Sophia, eternamente sospettosa che mi fossi trovato un amante dopo pochi giorni dall’inizio della nostra relazione. Ecco probabilmente era questo il pensiero costante causa dei solchi sulla mia fronte, mi ero gettato nelle fiamme consapevolmente, un atteggiamento che stava meglio a Misha che a me. Io sempre intransigente e rigoroso, seguivo una linea dritta e invalicabile che avevo appena sforato per amore. Usavo quella parola solamente nella mia mente, prendeva forma e consistenza e lì giaceva a fissarmi in un angolo. Non sapevo se mi spaventasse di più l’idea di affrontare mio fratello, o Sergej, entrambi ma per motivi diversi avrebbero probabilmente richiesto la mia testa su un vassoio d’argento; magari era la volta buona per loro d’allearsi e andar d’accordo? Qualcuno bussò alla porta, non ebbi l’agio di rispondere che ecco la testa bruna di Sophia far capolino con un sorriso complice. Sospirai poggiando la stilografica sui fogli.
«Sonech’ka..». Il suo nome venne accompagnato dal rumore della porta chiusa e dai suoi passi lungo il pavimento.
«Wow.. quindi questo è l’ufficio del boss? Ti tratti bene mio piccolo bastardo. Portami fuori a pranzo». Uscì fuori la lingua sedendosi sulla poltrona in pelle, sul tavolino di fronte giaceva il mio pc.
«Ho seriamente un casino di lavoro, eclissati e vai a giocare da un’altra parte». Quella parte del nostro rapporto non era cambiata poi molto, a parte le parentesi costituite da baci e carezze, eravamo ancora il gatto col topo.
«Ti capita mai di non fare così schifo?». Accavallò le gambe sorridendomi serafica.
«Come sei riuscita ad entrare? Hai corrotto Anastasia?». Tornai a scrivere, il metodo migliore per farla desistere era ignorarla.
«Due borse Chanel .. » tossì soffiandosi il naso, la guardai in tralice.
«E che altro?». Non mi fidavo di quella piccola mente diabolica.
«Una tua foto mentre dormi, sei così carino». Sporse il labbro tirando su col naso. Sbuffai decidendo di ignorarla almeno finché non la sentii armeggiare col mio pc, lì dentro vi era una cartella dei conti illegali e dei traffici. Mi alzai di scatto precipitandomi verso di lei.
«Non toccare cazzo». Le bloccai il polso, il pc aveva una password fortunatamente.
«Ci tieni i porno?» sospirai tornando a sedermi. Molto meglio pensasse quello che la realtà.
«No, ma ho cartelle di lavoro che non devono essere scombinate». La vidi fissarmi pensierosa e poi guardare nuovamente il pc, era comunque bloccato quindi sorrisi e mi rilassai. Il mio relax durò pochi secondi, più o meno finché non sentii il classico suono del pc sbloccato.
«Sei così prevedibile persino nelle password piccolo animaletto … e questa cos’è? Sono sicura sia un porno, hai la faccia del maniaco». Sbarrai gli occhi, era sul serio riuscita a sbloccarlo? Mi alzai con così tanta irruenza da scaraventare a terra carte e penne avventandomi su di lei. La bloccai un istante prima di vederla aprire la cartella.
«Andiamo fuori, ti offro il pranzo». Mi sorrise ambiguamente.
«Tailandese?» si alzò e io riuscii a respirare.
«Tailandese.. Come sapevi la mia password?». Mi guardò come se avesse di fronte un infermo mentale.
«La data della morte di tuo padre. Così prevedibile». Non dissi nulla, non credo ce ne fosse bisogno.
 
 
***
 
 
«Vorrei sapere che tipo di impegno tiene lontano Misha per così tanti giorni». Seduta sul divano con il suo immancabile broncio mi fissò con sospetto, a suo dire io sapevo più di quanto le avessi detto. E aveva ragione.
«Te l’ho detto, un servizio fuori città prende sempre tanto tempo. Smettila di lamentarti lo rivedrai presto». Mi sedetti accanto a lei sorseggiando la birra ghiacciata.
«Dovremmo dirglielo..». Mi passò improvvisamente la sete. Poggiai la bevanda sul tavolino di fronte a me girandomi verso di lei.
«E lo faremo, solo ..con calma». Calma. Era questo il problema? Il mio problema era più che altro la sua reazione, mi ero preso la donna della quale era innamorato, in che modo mi sarei potuto giustificare? Avevo infranto la tacita promessa fatta anni prima, quella di rendere Sophia intoccabile. Quel pensiero venne spazzato via nel momento in cui la sentii sedersi su di me, le afferrai i fianchi sporgendomi verso le sue labbra, baciandole con desiderio.
«Sei un uomo molto viscido Aleksandr Belov». Mi sorrise maliziosa. Alle volte pensavo che quell’aria da bambina capricciosa non fosse altro che un bel vestito indossato per l’occasione. Sophia era molto ma molto di più. Insinuai le mani dentro la maglia, sulle cosce tornite e fresche risalendo verso i fianchi, accarezzando il bordo degli slip che scostai appena. Le nostre lingue si cercarono ancora, unite al pari dei nostri respiri, l’attrazione e il sentimento che nutrivo per quella donna non mi lasciavano libero di respirare normalmente. Sentii le sue dita tra i miei capelli e poi più giù sulla gola, mentre le mie risalivano il suo ventre piatto accarezzandole i seni alti e sodi. Sophia era brava a giocare con me, mi concedeva quel tanto che bastava per far si che il mio desiderio mi prostrasse per poi tirarsi indietro. Credo avesse paura di fare l’amore con me, probabilmente la prima volta spaventava tutte le donne. Eppure mi accontentavo di dormire insieme a lei, le nostre dita intrecciate, il mio respiro sul suo collo mentre la fissavo sorridere ad occhi chiusi. In attesa di un’altra alba che ci avrebbe visti ancora insieme.
Quella mattina la lasciai dormiente sul mio letto sfatto, mi vestii in fretta e scesi a vedere Misha. Trovai lì anche Nadja intenta a visitargli l’occhio, attesi dietro la porta finché non la vidi uscire.
«Sembra si stia riprendendo, è parecchio sgonfio adesso anche se il rossore permane. Tra due giorni toglierò la benda e sapremo di più». Annuii lasciandola andare, entrando nella stanza dell’ammalato rompi coglioni.
«Stare chiuso qui mi snerva». Mi fissò col solito cipiglio incazzato mentre mi poggiavo al comò di fronte il letto a braccia incrociate.
«Devi portare pazienza». Quante volte glielo avevo detto?
«Devo vedere Irina. E Sophì». Abbassai lo sguardo, e quando lo risollevai incrociai il suo intento a scrutarmi.
«Senti..». Attaccai cercando di modulare la voce, volevo dirgli ciò che era successo ma non ci riuscivo.
«Si può sapere che cazzo hai? Sembri Cristo in croce». Sbuffò sistemandosi i cuscini, io continuavo a fissarlo in silenzio. «Mi devi dire qualcosa Shùra?». Qualcosa? Dovevo in effetti. Tossii e maledissi Sophia per avermi attaccato il suo raffreddore.
«No, solo di fare attenzione. Sto tenendo d’occhio Boris, vuoi avere tu il piacere di vendicarti?». Gli sorrisi affabile, lo vidi fissarmi felice come se gli avessi appena ceduto il pezzo di torta migliore.
«Tu si che sai come allietare le mie giornate»
 
 
Con Misha fuori gioco il traffico delle puttane era divenuto incombenza mia, fissavo le ragazze scendere dal furgone senza prestarvi particolare attenzione, ai miei occhi erano merce e per giunta avariata. Non scambiai neppure una parola con loro limitandomi a condurle nel solito posto, lasciandole alle cure dei ragazzi che avrebbero saputo sicuramente come intrattenersi a differenza mia. Il cellulare squillò, osservai il nome aggrottando la fronte.
 
– Misha che cazzo vuoi a quest’ora?
– Siamo nel pieno di una crisi.
– In che senso..
– La televisione mi ha appena mandato uno strano messaggio subliminale Shùra.
– Che messaggio? Ma la smetti di parlare in codice.
– E che cazzo ne so? Una puttana con l’ombrellino ha detto qualcosa come ‘’supercalifragilichecazzoneso’’, che devo fare?
– Misha quanti cazzo di sedativi hai preso?
– NON LO SO OKAY? L’OCCHIO MI FA MALE.
– Aspettami e stai fermo.
– No, chi cazzo ti vuole vedere? Perché mi chiami? Se metti un piede in casa ti sgozzo.
– Sei bipolare?
– Senti portami il gelato, appena arrivi giochiamo a chi piscia più lontano.
– Tu non stai bene.
 
 

Mikhail POV

 
 
«Vivrai nell’ala ovest del mio palazzo, ma non sarai solo. Sono sicuro che il nostro Aleksandr sarà contentissimo di avere un nuovo fratello. E di certo lo sarà anche Sophia» Sergej mi fece percorrere molte scale, pensavo d’essere in un castello come quello delle favole che mia madre ogni tanto mi raccontava quando mio padre non c’era. Ne sorrisi al pensiero, forse in quel castello avrei trovato Irina.
Sergej mi condusse in una grande sala delineata da un arco in legno, molto più grande dell’altezza dell’uomo stesso. Lì vedemmo un bambino intento a giocare con un elastico, era seduto su di una poltrona blu e sembrava annoiarsi tra i molteplici sbuffi. Aveva i capelli in ordine ed i vestiti sembravano nuovi di zecca, a differenza mia invece che parevo un trovatello – ed in fin dei conti lo ero.
 «Shùra, questo è Mikhail. Da oggi vivrà in casa con noi» Sergej parlò per primo, mi mise una mano dietro la spalla e spinse appena verso quel bambino che non ci degnò di uno sguardo.
«Molto… molto piacere, io sono Mikhail ma visto che vivremo insieme puoi chiamarmi Misha». Dissi frettolosamente, mi sistemai con le mani i capelli cercando in qualche modo d’essere alla sua altezza o qualcosa di simile. Mi misi in posizione perfettamente eretta, Aleksandr mi rivolse il primo sguardo da quando eravamo lì e restò qualche secondo a fissarmi, poi scoppiò a ridere senza motivo apparente.
«Suppongo andrete d’accordo» disse Sergej prima di congedarsi, lo guardai andar via e poi rivolsi lo sguardo vispo verso il mio nuovo amico.
 «Tu si che sei un tipo buffo, hai gli occhi assurdi e di un colore strano, fanno impressione» Aleksandr abbandonò l’elastico da qualche parte sull’immensa poltrona, come se lo trovasse improvvisamente noioso e scese di lì girandomi attorno con le braccia conserte  «Per non parlare di quelle guance… solo le ragazze ce l’hanno così grasse e rosse». Scosse la testa e sospirò quasi rassegnato, io non dissi molto ma mi limitai a seguirlo in ogni angolo e dopo qualche ora mi diede così il permesso di chiamarlo Shùra.
Quel giorno per me fu un bel giorno. Shùra ascoltò la mia storia e non provò ribrezzo per me, anzi, dopo tutte quelle lacrime che versai per mia madre e per Irina, mi prese per mano e mi portò nel grande bagno destinato a noi. Mi fece spogliare e per un attimo pensai che fosse come mio padre, ma fece un verso disgustato quando feci per togliermi i boxer, mi fermò subito tirandomeli su.
 «Oh Misha che cavolo fai! Non sono mica frocio… devi tenere i boxer» disse rimproverandomi, io guardai in basso e poi annuii. Lui sorrise, non so perché.
Shùra mi fece immergere nella vasca e mi insaponò la schiena, le gambe ed il petto. Mi fece sollevare le braccia per insaponarmi anche lì, dopodiché mi lavò i capelli.
 «Adesso metti le mani lì dentro e lavati il coso» lo disse con un’espressione quasi disgustata, io annuii per l’ennesima volta e gli porsi i palmi aperti aspettando che mi versasse un po’ di quel sapone colorato e profumato. Mi lavai e lui tenne per tutto il tempo il viso voltato da un'altra parte. Quando finii, picchiettai il dito sulla sua spalla per avvisarlo, mi sciacquò e mi fece uscire asciugandomi subito dopo.
«Se-sergej è il tuo pa…papà?» chiesi mentre l’aria calda e confortante del fon mi investiva il viso e scompigliava i capelli. Le mie gambe dondolavano spensierate su quella sedia dove Shùra mi aveva fatto sedere.
 «No» rispose secco.
 «D-dove sta il tuo papà?»
 «Perché diavolo balbetti? Dio che nervi»
 «N-non lo so…». Dissi sconsolato. Shùra spense il fon e mi sistemò i capelli con le dita, quando si voltò gli afferrai la maglia trattenendolo, mi fissò in attesa probabilmente di capire cosa volessi.
«C’è…qua-lche ciuffo ancora ba-bagnato…» mormorai.
«Me se sono… ho capito, abbassa la testa.»
 
Da quel giorno, io e Shùra non avremmo vissuto un solo istante l’uno lontano dall’altro.
 
 
 

‘’Hai venti minuti per venire immediatamente’’, inoltrai quel messaggio a Nadja e mi sedetti ad attenderla. Avevo fatto circa tre docce nell’arco di quella mattinata, continuavo a sudare senza sosta, poi a dormire, poi ad imbottirmi di antidolorifici e infine mi restava del tempo per commiserarmi.
Il campanello suonò quindici minuti dopo, mi avviai ad aprire e quando la figura sexy della donna si palesò davanti a me gettai un fischio.
«C’hai messo sul serio meno di venti minuti, sei così professionale». Lo sguardo che mi riservò non fu dei migliori, la feci passare seguendola in soggiorno.
«Che succede?». Si voltò verso di me fissandomi altezzosa. Non aveva un’altra fottuta espressione da riservarmi.
«Mi fanno male le mani». Le sorrisi sarcastico lasciandomi cadere sul divano. Che cazzo di domanda era quella? Se l’avevo chiamata, a parte molestarla, era evidente mi facesse male l’occhio. La sentii sospirare.
«Aleksandr mi ha detto che stai esagerando con i medicinali. Dì un po’ pensi ti abbia salvato per vederti morire coi farmaci?». Sporsi le labbra annuendo appena, era evidente non sapessi probabilmente spiegarmi bene.
«L’occhio mi fa un fottuto male. Vuoi un disegnino o pensi di arrivarci da sola?». Mi alzai avvicinandomi a lei, non la intimorii mentre rimaneva ritta e stoica a guardarmi.
«Credo sia giunto il momento di controllare la tua vista». A quelle parole mi bloccai deviando verso la cucina.
«Vuoi del vino? Ho solo alcolici in casa». Le sorrisi ambiguamente, sembrò bersela.
«Mi auguro sia decente almeno». No non l’aveva bevuta, stava solo acconsentendo ai miei capricci come si farebbe con qualsiasi idiota. La cosa mi intrigava.
«Se riuscirò a vedere bene potrò tornare a lavorare?». Le versai il vino senza guardarla.
«Suppongo di si». Pronunciò quelle parole in maniera cauta. Sorseggiammo in silenzio l’alcolico finché non mi fece cenno di sedermi sullo sgabello. Obbedii restando immobile mentre le sue dita affusolate iniziavano a togliere la benda, la cosa positiva era che avevo le sue tette in faccia. La luce infastidì il mio occhio ferito, provai a chiuderlo ma me lo impedì continuando a visitarmi.
«Quante dita sono?». Restai zitto un istante osservandola.
«Tre» mi guardò allontanandosi appena.
«Va bene». Va bene? Va bene cosa? C’avevo preso? Sentii un magone ostruirmi la gola. Vedevo sfocato.
«Quindi ho superato la prova? Te l’avevo detto che ci avrei visto benissimo». Provai a mascherare la tensione ma non fui sicuro d’esserci riuscito.
«Dovrai mettere dei colliri, la tua retina è ancora ferita». Non aveva risposto alla mia domanda. Non le dissi più nulla, feci solo ciò che mi veniva meglio: lasciai perdere. Non avrei detto a nessuno del peggioramento della mia vista, nessuno l’avrebbe scoperto.
 

 

Aleksandr POV
 

Nel parcheggio sotterraneo dell’agenzia mi attendeva Nadja, mi venne incontro senza neppure salutarmi.
«Non ci vede». Mi freddai sul polso sbattendo le palpebre.
«Che cazzo vuol dire». In realtà sapevo cosa volesse dire, semplicemente non lo accettavo.
«I casi sono due: o la retina è completamente danneggiata, o deve solo riprendere lentamente le sue normali funzioni. Ma Misha non collaborerà, ha mentito già oggi. Gli ho prescritto dei colliri, vedi di assicurarti che li prenda». Mi voltò le spalle pronta ad andarsene.
«Quanto vuoi per non dirlo a Sergej?». L’eco della mia voce si perse nel vasto parcheggio. Si voltò scoccandomi un mezzo sorrisino ambiguo.
«Tu e Misha siete convinti io sia qui per rovinarlo vero? Non ho bisogno di soldi, ho bisogno che lui prenda quei maledetti colliri Aleksandr. Gli do due settimane di tempo, se l’occhio non si sarà ripreso almeno un po’ saprò chi avvisare». Stavolta non la fermai. Non ne ebbi la forza.
 
Misha non era in casa, non mi lasciai sopraffare dall’ansia provando a chiamarlo al cellulare parecchie volte ma senza successo. Giravo in tondo nel suo soggiorno pensando a dove potesse essere a quell’ora della sera, mi auguravo non fosse andato a cercare Boris visto che non era ancora in grado di gestirla da solo. Alla fine mi rassegnai e salii l’unico piano che mi separava dal mio appartamento, quando la chiave girò nella toppa e la porta si aprì un odore di cibo mi investì seguito dalle urla di Sophia. Aveva bruciato tutto? Mossi qualche passo bloccandomi quasi all’ingresso non appena la figura di Misha mi venne incontro, i miei occhi lo sondarono in maniera eloquente senza potermi esprimere a parole.
«Sei qui finalmente? Guarda chi è tornato completamente malconcio? Ha avuto un incidente sul set, Shùra esigo tu non lo mandi più in posti simili. Poteva ammazzarsi». La voce isterica di Sophia mi colse impreparato, era evidente le avesse raccontato una stronzata così com’era evidente pensasse io ne fossi a conoscenza. Annuii per togliermi dall’impiccio.
«Misha vieni con me». Mi diressi in camera mia aspettando che mi raggiungesse. Sentii la porta chiudersi e le molle del letto cigolare, mi voltai aspettando quantomeno una spiegazione decente.
«Senti mi ero rotto il cazzo. Volevo tornare da Sophì». Allargò le braccia come fosse la cosa più logica del mondo e io sentii le budella aggrovigliarsi. Ancora una volta ebbi voglia di dirgli tutto, e ancora una volta mi mancò il coraggio. Poggiai una mano sulla sua spalla stringendola appena.
«No, hai fatto bene. Hai trovato una scusa decente per Sonech’ka?». Annuì con convinzione.
«Si, le ho detto che sono caduto con la moto mentre giravo alcuni scatti, l’ha bevuta senza sospettare». La sua risata non riuscì a coinvolgermi, avevamo ancora mentito. Era come un castello di mattoni ormai talmente alto da non vederne più la cima. Temevo il crollo. Tossii ancora tirando su col naso, lo vidi guardarmi in maniera strana, sapevo il perché: anche Sophia aveva il raffreddore.
«Domani arriverà un carico al molo, credo entreremo presto in affari con i colombiani». Sviai abilmente togliendo l’orologio che poggiai sulla scrivania.
«A che ora dobbiamo essere lì?» slacciai la camicia senza guardarlo togliendola poi del tutto per gettarla sul letto.
«Tu non verrai». Il mio tono neutro sapevo non l’avrebbe tenuto buono, mi fissò con astio.
«Mi vuoi far fuori anche tu?». Si alzò venendomi incontro rabbioso, non mi scomposi con lui era routine. Sembrava farlo apposta, ignorava spesso i miei gesti preoccupati vedendovi sempre il male.
«Se sarà necessario sarà ciò che farò, stronzo di merda. Pensa a mettere colliri e far bene la cura, o giuro su ciò che ho di più caro che ti farò relegare io stesso in una scrivania dimenticata da Dio». Ci fronteggiammo con astio finché la porta non si aprì di colpo. Sophia ci fissò aggrottando la fronte.
«Com’è che state sempre a litigare? Shùra smettila subito di infastidire Misha, non vedi come sta? Venite comunque, è pronta la cena»
 
 
   
 
 
– E’ tutto pronto per domani?
– Si, ho detto a Boris che dovrà venire insieme a te alla consegna.
– Perfetto, grazie Anastasia.

 
Chiusi il telefono scolandomi il bicchierino di vodka di fronte a me. La casa verteva nel silenzio totale mentre gli altri due inquilini chiassosi dormivano placidamente sui sacchi a pelo nella camera di Sophia. Per celebrare il bentornato a Misha avevano deciso di passare la notte insieme come ai vecchi tempi, quando andavamo al campeggio, inutile dire che non mi ero messo in mezzo quella volta né avevo voluto aggregarmi limitandomi a uscire il necessario dall’armadio sistemandolo per loro. Fissai il vetro trasparente del bicchiere adesso vuoto con occhi assenti, troppi pensieri inondavano la mia mente e nessuno di questi sembrava piacevole, a parte forse la trappola ai danni di Boris.
Respirai profondamente alzandomi nel totale silenzio, aprii la porta della stanza fissando le due sagome che dormivano vicine, i loro mignoli intrecciati come da bambini. Non so bene quanto stetti a fissarli, sapevo solo che gli occhi mi bruciavano, era come se bruciassi tutto ma da dentro. Un movimento attirò la mia attenzione, mi feci più attento e in quel momento vidi Sonech’ka fissarmi. Portò un dito alle labbra intimandomi il silenzio, guardandomi con quelle iridi piene di calore e amore. Mio padre diceva che quel pazzo sentimento, il folle innamoramento, poteva portare tanta gioia e tanta disperazione, io e Sophia sembravamo incarnare quei due sentimenti contrapposti. Mi chiesi il perché non riuscissi ad essere felice, poi capii: come potevo esser felice di un’intera vita fondata su bugie. Chi amava in realtà Sophia? Amava un certo Aleksandr Belov? Ma non ero io. Non ero neppure Aleksandr Petrov in effetti. Non sembravo avere più alcuna identità.
 
 
***
 
 
La trappola per Boris era scattata, avevo bisogno di un pretesto che mi fornisse un alibi rendendomi intoccabile quando avrei portato a termine la vedetta. Questo il motivo principale per la quale lo avevo portato al molo con me, gli avevo dato condizioni di trattativa errate e questo aveva generato una specie di rissa durante lo scambio. Riuscii a sedarla egregiamente con i miei soliti modi affabili, distendendo gli animi improvvisamente accaldati; non potevo di certo permettere che quei pezzenti uccidessero Boris al posto di Misha. Lui era già carne da macello: la nostra. Chiamai Sergej subito dopo, annunciandogli che il suo adorato Boris aveva avuto disguidi con i trafficanti, non si dimostrò felice della cosa ed io sorrisi nella penombra della mia stanza.
Esattamente dodici ore dopo percorrevo il corridoio scarsamente illuminato di un night, la musica giungeva ovattata alle mie orecchie e alcuni uomini mi superarono senza degnarmi di uno sguardo. Aprii la porta di fronte a me fissando la bisca clandestina formata da componenti che conoscevo bene, primo tra tutti Boris appunto. Ci soppesammo e io sorrisi, credo fu in quel momento che capì tutto.
«Sei venuto a giocare anche tu?». La sua voce perennemente strascicata dall’alcool suonò beffarda mentre lanciava alcune fiches sul tavolo verde. Continuai a sorridere scrollando le spalle.
«Si, ho portato anche un amico con me». Mi feci da parte lasciando entrare Misha, teneva già l’arma in mano e senza neppure una parola sparò ad ogni uomo presente a quel tavolo, compreso il bastardo che lo aveva quasi privato di un occhio. Osservai il suo modo di sparare adesso impreciso, dovetti aiutarlo io a finire il lavoro ma non dissi nulla. La vendetta era compiuta e nessun testimone avrebbe fatto i nostri nomi. Ci guardammo senza proferir parola e allo stesso modo uscimmo da quella camera adesso silenziosa.
 
 
– Boris è morto.
– Che cosa stai dicendo.
– A quanto pare gli uomini della scorsa sera non si erano rasserenati come pensavo.
– Trovali e uccidili.
– L’ho già fatto, non temere. Una vera perdita per noi.
– Se non ti conoscessi bene penserei abbia architettato tutto tu, è nel tuo stile.
– E invece mi conosci benissimo.
– Chi lo sa, mai dare nulla per scontato figlio mio.
 
Aveva ragione. Mi conosceva fin troppo bene.
 

 

Mikhail POV

 
Continuavo a rigirarmi nel letto senza riuscire a prender sonno, sudavo e faticavo a respirare. Suppongo fossi divenuto ansioso a causa della ferita all’occhio, avevo notato io stesso il modo impreciso in cui avevo sparato a quegli uomini. Senza Shùra a definire il lavoro, mi avrebbero probabilmente colpito. Mi misi a sedere respirando profondamente, stringendo le lenzuola tra le dita senza vedere sul serio la fantasia di quest’ultime. Forse ero solo iper eccitato per aver ammazzato quel figlio di puttana di Boris. Mi alzai in silenzio dirigendomi lungo il corridoio, avevo preteso di avere l’unica stanza al piano di sopra del nostro appartamento e Shùra mi aveva accontentato litigando con quella primadonna di Sophì. Il pensiero mi fece ridere. Scesi le scale a piedi scalzi ma dei sussurri mi bloccarono, aggrottai la fronte continuando a scendere in maniera ancora più silenziosa; una parte di me voleva andar via, come se sapesse. Un’altra mi spingeva sempre più avanti.
«Mi fai il solletico». La risata di Sophì sembrò riempire la mia mente, mi sporsi appena oltre il muro e la scena che vidi mi piantò al pavimento, come una fottuta e vuota statua di marmo. Sophì sedeva a cavalcioni su Shùra in una delle sedie della cucina, fissai le cosce nude e le mani di lui che continuavano ad accarezzarla. Mossi ancora un passo e finalmente lo vidi. Ciò di cui ero stato curioso per vent’anni: vedere finalmente Sophia con gli occhi di Shùra.
Lo vidi. Vidi il sentimento, vidi la debolezza, la passione, vidi l’amore. Vidi il tradimento alla fratellanza, vidi semplicemente Sophia con i suoi occhi. Avevo finalmente la mia risposta, adesso sapevo se i nostri sguardi in quei vent’anni avevano coinciso. Mossi ancora un passo e fui finalmente sotto la luce. Ci guardammo in silenzio per un tempo che mi parve interminabile, e quando lo udii pronunciare il mio nome con un tono che mai avrei dimenticato, sorrisi spezzandomi in due:
 
«Misha». 

 
  
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