Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: Happy_Pumpkin    12/06/2017    2 recensioni
E' l'ultimo anno delle superiori. Akashi sa che presto lui e gli altri ragazzi della Generazione dei Miracoli dovranno scegliere l'università e, forse, contemplare la possibilità di ritrovarsi di nuovo assieme. Quindi perché non cominciare a fortificare i legami giocando online? E infine... il mare, assieme. Prima degli esami, prima di decidere delle loro rispettive vite.
[AoKuro; shonen-ai fluff e nostalgico]
Genere: Fluff, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Daiki Aomine, Satsuki Momoi, Seijuro Akashi, Tetsuya Kuroko, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Arriverà il momento in cui dovrai capire cos’è che vuoi veramente.




Aomine stava sdraiato supino sul letto, con i piedi che toccavano abbondantemente terra e le ginocchia piegate, invece le braccia erano incrociate dietro la testa, pratico cuscino per guardare meglio un banalissimo soffitto. Per questo, in effetti, Daiki aveva smesso di fissarlo, chiudendo gli occhi mentre Momoi si ostinava a sfogliare quei dannatissimi fogli dell’università; risultato: lui si era annoiato ancor prima di cominciare.
Non che mancasse di entusiasmo all’idea di continuare a giocare a basket in una squadra prestigiosa, ma il pensiero di iscriversi – se mai la media scolastica tremenda non avesse inciso sulla selezione, a beneficio esclusivo del club di basket – lo portava inevitabilmente a confrontarsi con la possibilità che magari anche Kuroko ambisse a una strada simile. Il fatto era che… non voleva illudersi, lui che era sempre stato tanto meravigliosamente cinico in tutto. Solo perché i rapporti sembravano essersi stretti di più negli ultimi anni –  complice anche quell’assurda storia del gioco online, questo doveva riconoscerlo ad Akashi – non significava che all’improvviso sarebbero diventati…
Cosa?
“Dai-chan mi stai ascoltando?” domandò Momoi, intenta a fissarlo in piedi davanti a lui.
Aomine non aprì gli occhi, limitandosi a sollevare un piede che appoggiò sul materasso:
“Che c’è Satsuki?”
Quest’ultima sospirò. No, non mi stava ascoltando.
“Lascia perdere, i miei resoconti te li farò un’altra sera – lanciò uno sguardo alla camera finalmente riportata ad uno stato vivibile, poi commentò – abbiamo fatto un bel lavoro di pulizia. Vuoi tornare a giocare con gli altri? Dovrebbero essere online.”
“Nah. Andrò a fare qualche tiro.” Replicò. Sentiva il bisogno di uscire dalla stanza e di non pensare affatto, concentrandosi su quella che era la sua vita reale.
Momoi lo osservò qualche istante, poi gli si sedette accanto, sul bordo del letto. Fuori il cielo iniziava a scurirsi, facendola riflettere su quanto il tempo fosse passato in fretta: non solo avevano riordinato la stanza, ma con il pretesto di ordinare dozzinale cibo d’asporto lei ne aveva approfittato per insistere con la questione delle università, sorda alle lamentele dell’amico.
Sì, ho proprio torturato Dai-chan oggi.
Ma se non faceva così rischiava che Aomine pensasse solo al basket, ignorando forse di proposito tutto il contorno del suo futuro. Credeva però di intuire almeno parte delle ragioni per cui Daiki continuasse ostinatamente a procrastinare il momento della scelta universitaria.
“Perché non chiedi a Tetsu-kun che università ha intenzione di frequentare?”
Aomine saltò su a sedere, come se fosse stato folgorato da un teaser sparato in pieno petto:
“Satsuki! Che ti passa per il cervello? Chiedere a Tetsu? E perché dovrei?”
Sollevò un labbro in una smorfia poi, approfittando di essere già in piedi, si risolse a raccattare le scarpe nere da basket – il modello che continuava a comprare anno dopo anno, suola consumata dopo suola consumata. Si sedette sulla sedia della scrivania e le indossò, ignorando il fatto che Momoi lo fissava.
Quest’ultima scrollò le spalle: “Io vorrei andare all’università con lui.”
In quei casi sapeva che era meglio decentrare la questione su di sé, per far sentire Aomine meno esposto. Era uno schiacciassassi, Aomine, ma quando si trattava di sentimenti che lo riguardavano da vicino rischiava di essere più fragile di tante persone apparentemente sensibili.
Come prevedibile Daiki replicò, alzandosi in piedi e afferrando un pallone:
“Vacci. Mica devi sempre starmi appresso, Satsuki – alzò gli occhi verso il soffitto, rendendosi conto di essere stato un po’ troppo brusco – Ti piace Tetsu, no? Forse è ora che tu ti faccia una tua vita sentimentale.”
Wow, di bene in meglio. Aomine si rese conto di aver se possibile detto cose ancora peggiori di prima. Si mise la palla da basket sotto braccio e tacque, perché davvero non sapeva che altro aggiungere.
Ma Momoi non era una ragazza come tutte le altre o non sarebbe arrivata a quel punto con Aomine, anche se certe volte era difficile non sentirsi urtata dai suoi modi, o per tutte le occasioni in cui lui la scaricava per il basket e per… Kuroko. Sì, la questione girava sempre attorno a entrambe le cose.
Un tempo credeva che Kuroko fosse un sottogruppo all’interno del grande insieme dominante del basket; ora non ne era più tanto sicura.
“Pensavo che anche a te piacesse Tetsu-kun.”
Ribatté con apparente noncuranza, alzandosi a sua volta in piedi quasi senza pensarci.
Ad Aomine cascò la palla da sotto il braccio, che compì due rimbalzi sordi prima di rotolare poco distante.
“Che accidenti stai dicendo, Satsuki? Sono due cose diverse! Che c’era nel cibo, allucinogeni? Ora ti riaccompagno a casa, prima che tu mi tiri fuori altre cose fuori di testa.”
Sbottò, aprendo la porta della stanza. Si sentiva confuso, irritato, infastidito da quelle poche, semplici, parole. Perché prendersela tanto, in fondo?
Perché…
Momoi gli porse il pallone, sorridendo:
“Già, hai ragione. Dai, andiamo – gli fece una linguaccia – tanto so già che rimarrai fuori fino a tardi a giocare. Quando si tratta di basket perdi proprio la concezione del tempo. E prendi il cellulare, non si sa mai.”
Aomine roteò gli occhi, passandosi una mano dietro il collo, ma alla fin fine le dette ascolto e si mise in tasca il cellulare, oltre alle chiavi di casa.
Quando furono in strada lo tirò fuori e si rese conto dei messaggi sul gruppo, una buona parte dei quali appartenevano tendenzialmente a Kise, che spammava stupidaggini come se davvero non avesse nulla di meglio da fare nella vita, mentre gli altri commenti erano relativi alla serata online che Aomine aveva saltato.
Sembrava che il raid fosse andato bene e Kuroko, con la sua solita fortuna sfacciata, aveva addirittura droppato un pezzo di set leggendario. Momoi commentò, aggiornata sulla chat in maniera sicuramente più esaustiva di Aomine, che l’oggetto in questione aveva anche una bella estetica.

Bravo Kurokocchi, sono fiero di te:3

Ora voglio vederti curare come se non ci fosse un domani. Ma se scudi ancora Aomine ti tolgo il saluto.

Aomine storse la bocca: ma perché Kagami non sapeva mai farsi gli affari suoi?

Grazie. Stasera non c’era Aomine-kun, per questa volta niente scudi :-)

Chissà perché quello smile piazzato da Kuroko così, a fondo frase, aveva qualcosa di inquietante.

Ahahah… -_- grandi risate, proprio. Ma… Ahomine – Bakagami, muori male –  si è dato alla macchia?

Era con Momochin

Aaaaaaaah, serata focosa, insomma ;-)

Aomine fissò lo schermo. Chi era quel minorato mentale che era riuscito da avere il controllo sui pollici opponibili abbastanza a lungo da scrivere stronzate simili?
Sentì Momoi scoppiare a ridere, probabilmente perché aveva visto la sua faccia.

Takao? Che ci fai in chat? Sparisci! E già che ci sei ricordati domani mattina di venirmi a prendere puntuale.

Boh, mi sono trovato aggiunto.

Aggiunto io mesi fa, supponevo che Midorima non avesse whatsapp.

E perché mai non dovrei avere whatsapp, Akashi?

Perché sei vecchio dentro, Midorimacchi X°D

“In realtà lo ha installato appositamente per parlare con voi – ammise Momoi sorridendo, continuando a camminare mentre sbirciava ogni tanto lo scorrere dei messaggi di Aomine – mi ha chiesto di fargli vedere dove trovare la app.”
Il ragazzo mosse il pollice sul touchscreen per vedersi etichettato un paio di volte come persona insensibile davanti alle donzelle da Kise, con il manforte di Kagami che interveniva giusto per punzecchiarlo, dato che nemmeno lui possedeva chissà quale gran tatto umano; nel mezzo c’erano le scuse a profusione di Takao che non si era reso conto della presenza di Momoi in chat.
“Idioti.” Borbottò Aomine ma, prima di mettere via il telefono, comparve nuovamente un messaggio di Kuroko.

Stacco prima, vado a portare il cane.

Non perderti Kurokocchi, mi raccomando, stasera mi sei sembrato un po’ distratto °-° Akashicchi devi per forza curarci tu?

Sì, qualche problema?

Credo che Kise obietti la tua tendenza a fare dps anche quando sei healer, tralasciando le cure. Ma poi… perché stiamo scrivendo qui se siamo in chat vocale?

Midochin ha ragione. Mi state annoiando a parlare in contemporanea.

Vabbé, vuoi che ti accompagni, Kuroko?

“E che cosa sei, la sua balia?” sbottò Aomine.

No, grazie, Kagami-kun. A domani.

Aomine mise via il telefono, infilandosi una mano nel pantaloncini mentre l’altra penzolava con il braccio stretto attorno al pallone da basket.
“Ci scambiano sempre per una coppia.” Commentò Momoi, ridacchiando.
“Non c’è niente da ridere, Satsuki.” Ribatté Aomine. Ancora qualche centinaio di metri e sarebbero arrivati davanti a casa dell’amica.
Quest’ultima lo fissò un istante, per poi tornare a guardare davanti a sé:
“Lo so che non c’è da ridere. A scuola i ragazzi non si avvicinano perché pensano che io stia con te e che tu possa picchiarli, Dai-chan!”
Ecco, il nomignolo che si portavano appresso sin dall’infanzia le era venuto fuori spontaneo, anche se non erano propriamente in pubblico. A scuola infatti evitava di chiamarlo così, altrimenti le voci di corridoio che li davano già per fidanzati storici sarebbero esponenzialmente aumentate.
Daiki sgranò gli occhi. Non avevano mai parlato tanto apertamente della loro strana relazione e di quello che implicava con gli altri; semplicemente andavano avanti dando per scontato che non ci sarebbero mai stati problemi di sorta a causa delle idee che il loro rapporto generava nelle teste altrui. Ora, invece, appariva chiaro che i problemi ci fossero eccome e anche belli grossi.
“Da quanto va avanti questa storia, Satsuki?” domandò, rendendosi conto che lui sapeva benissimo cosa credevano gli altri. Solo che non gliene era mai fregato nulla. Ed era stato egoista nei confronti di Satsuki, perché anche se lui non aveva grande interesse per le relazioni umane di qualche tipo, specialmente amorose, non necessariamente lo stesso poteva magari dirsi di Momoi.
“Lascia perdere Dai-chan, siamo arrivati. E comunque non è questo il punto: arriverà il momento in cui dovrai capire cos’è che vuoi veramente.”
Aprì la porta di casa ma prima di entrare gli disse ancora, dato che lui taceva: “E cerca di non fare tardi stasera. Domani ti voglio carico per studiare in vista dell’esame di storia, l’ultimo prima delle vacanze estive, ok?”
Aomine roteò gli occhi ma non ribatté seccato come faceva altre volte:
“Va bene, va bene. ‘Notte Satsuki.”
“Buonanotte, Dai-chan.”
Richiuse la porta e Aomine proseguì verso il campo da basket, con la mente decisamente in conflitto. Forse avrebbe semplicemente dovuto chiedere a Momoi di ufficializzare la cosa, mettersi assieme e tanti saluti. In fondo lei non era poi così male, aveva delle belle tette e lo conosceva talmente bene da non rischiare che potesse rompergli le scatole quando doveva giocare o allenarsi. Però… perché non funzionava? Perché l’idea di stare con Satsuki gli era semplicemente assurda?
Era la sua migliore amica, sua sorella, la madre che in fondo non aveva, la sua coscienza e una persona per cui avrebbe dato la vita; sì, per cui avrebbe anche picchiato se le si fosse torto un capello. Ma… non la amava.
Giunse a quella conclusione quando fu davanti al campo da basket, protetto da una recinzione metallica e illuminato dai lampioni che davano quasi un’aria surreale al perimetro, mentre la strada poco frequentata era silenziosa.
Voleva, doveva, svuotarsi la mente.
Cominciò a tirare, correndo per il campo come se ci fossero migliaia di ostacoli invisibili, mentre la palla quasi scivolava tra le sue dita simile a un nastro di seta. Non sapeva perché ma ormai dopo tutti quegli anni il suo corpo si muoveva da solo, ogni movimento era così naturale da sembrargli strano doverci pensare. Lanciava la palla, ovunque egli fosse, e questa inevitabilmente finiva a canestro, calamitata dal cerchio metallico.
Kagami era stato l’unico ad averlo materialmente sconfitto e la sensazione di perdere, quella volta, era stata una merda. Perché era una consapevolezza amara che gli era rimasta in bocca per molte notti successive alla partita. Però… paradossalmente era stata anche un’esperienza utile per capire che se fosse rimasto lo stesso cestista imbattibile sin dai tempi della Teiko, Daiki non sarebbe mai migliorato davvero, come giocatore e come persona.
Per questo aveva cominciato a smettere di comportarsi da egoista, o di ritenere che gli altri non meritassero di esistere nella sua esigente sfera personale. Se già allora avesse ascoltato di più Kuroko, quello che lui provava, la sua vita forse sarebbe andata diversamente e Aomine non si sarebbe ritrovato, tra le altre cose, a dover recuperare il terreno perso con gli altri, a causa degli infiniti allenamenti saltati.
Da quel primo anno la situazione era dunque cambiata, anche se con lentezza; era difficile scrollarsi di dosso tutto con un colpo solo. Infatti, come dimostravano le parole di Satsuki, Daiki aveva compreso che avrebbe dovuto lavorare ancora molto con se stesso prima di giungere a un punto d’arrivo veramente soddisfacente.
Si arrestò, asciugandosi il sudore dalla fronte.
La palla era rotolata ai suoi piedi.
Sospirò e fece per raccoglierla, quando sentì il cellulare appoggiato sulla panchina suonare, affiancato dalle chiavi che stavano per cadere.
“Satsuki?” pensò, considerandola l’unica che potesse chiamarlo a quell’ora. Magari voleva assicurarsi che stesse tornando a casa.
Roteò gli occhi, ma suo malgrado fece una corsa. Quando afferrò il telefono però si accorse che si trattava di… Kuroko. Kuroko lo stava chiamando.
Aomine rimase immobile. Per un istante gli venne il dubbio che fosse uno scherzo di quell’idiota di Kagami: Tetsuya lo chiamava con la rarità con cui pioveva nel deserto, quindi praticamente mai – e viceversa. E quando lo faceva era nei momenti più disparati che, spesso, portavano Aomine a mollare tutto quello che stava facendo per raggiungerlo.
Si decise a rispondere.
“Tetsu?”
“Ciao Aomine-kun – la sua voce… sempre così leggera, impossibile da leggere, com’era impossibile leggere il suo volto – ti disturbo?”
Aomine guardò un istante la palla: “No. Che succede?” domandò, d’istinto.
“Ero in giro con Tetsuya 2. Vuoi fare due passi?”
“Eh? Ma che ti salta in mente a quest’ora, Tetsu? – sospirò, infilandosi però le chiavi in tasca, pronto a incamminarsi – Dove sei?”
“Qui.”
Ad Aomine sembrò di sentire un vago eco, come un’interferenza nella voce.
“Qui dove?” sbottò.
“Dietro di te.”
Aomine si girò quasi distrattamente, aspettandosi che quello fosse un modo generico per dire a due passi dal campo, ma Kuroko sapeva essere molto letterale in quello che diceva.
Infatti sobbalzò quando si vide il ragazzo davanti, a neanche un metro da lui, con in mano la sua palla da basket e nell’altra il guinzaglio con cui teneva Tetsuya 2.
“Accidenti, Tetsu! Prima o poi qualcuno che ti vede comparire così muore d’infarto.”Borbottò.
“Stavi giocando, Aomine-kun?” domandò il ragazzo, capace come sempre di tralasciare le sue abilità di svanimento e comparsa improvvisi, oltre al fatto che in realtà non aveva davvero bisogno di telefonare al suo amico, visto che lo aveva già raggiunto. Questo perché era difficile spiegargli che, in fin dei conti, Kuroko voleva comunque sentire Aomine, parlargli, prima ancora di vederlo.
Era da una vita che non lo chiamava.
Daiki scrollò le spalle e riprese in mano la palla che gli tendeva Kuroko:
“No, avevo finito.”
Si abbassò e grattò le orecchie a Tetsuya 2, il quale scodinzolò allegro per poi mettersi a pancia in su e farsi vezzeggiare ancora da Aomine che, come sempre, lo riempiva di coccole.
Poi Daiki alzò gli occhi, incrociando quelli grandi e imperscrutabili di Tetsuya: “Vuoi fare due tiri? Chiudiamo il cancelletto e Tetsu  2 gioca con noi.”
Il ragazzo ci pensò un istante, infine annuì: “Solo se giochi sempre al massimo, Aomine-kun. Quest’anno ho seguito anche l’allenamento con quelli del secondo anno per migliorare il mio tiro, anche se sono un senpai.”
Ammise, consapevole delle sue carenze procrastinate nel lanciare a canestro. Aomine si era chiesto perché, durante il primo anno delle superiori, Tetsu avesse chiesto proprio a lui di insegnargli a tirare.
Non lo aveva turbato eccessivamente il fatto che gli avesse esposto quella strana richiesta proprio dopo averlo sconfitto, bensì la consapevolezza che si fosse rivolto a lui anziché a tiratori impeccabili come Midorima.
La verità era che Kuroko aveva istintivamente preso il telefono e chiamato Aomine; lui e nessun altro. Non Kagami, non Midorima, nessuno. Esattamente come quella sera.
Aomine chiuse il cancello, così che Kuroko lasciò libero il cane, il quale prese a scorazzare per il campo puntando subito la palla.
“Con te do sempre il massimo, Tetsu.”
Aomine lo rassicurò, d’istinto. Infine gli lanciò la palla e Kuroko la afferrò, così da tirare dopo essersi preso un istante per concentrarsi.
Entrambi con il fiato sospeso osservarono la traiettoria del pallone, consapevoli che in quel lancio c’era la passione e la devozione di tutti gli allenamenti fatti in quegli anni, le partite, le delusioni così come le vittorie. Finché la palla…  rimbalzò contro l’asse in legno della struttura e non centrò manco alla lontana il canestro.
Kuroko guardò il pallone rimbalzare tristemente a terra ma non disse nulla. Tetsuya 2 mugolò, grattandosi un orecchio.
“Testu – constatò Aomine – che era quella roba?”
“Un mezzo schifo?” propose Kuroko, andando a prendere l’oggetto incriminato.
Si chinò e rimase giù, fissandolo. I capelli gli andarono davanti agli occhi. Aomine, in piedi, lo osservò in silenziosa attesa, visto che il compagno di partita stava immobile. Tetsuya 2 si mise seduto e guaì, guardando il proprio padrone.
“Tetsu?” domandò infine Aomine, avvicinandosi. Forse era stato troppo brusco? Non seppe che dire o fare, Kuroko era l’unico ad avere quello straordinario potere di sconvolgerlo.
Sentì Kuroko prendere un respiro, per poi alzare lo sguardo verso Daiki, nonostante fosse ancora accovacciato e con il pallone tra le mani.
Aveva gli occhi lucidi.
Merda! Perché Tetsu sta piangendo? Mi sono espresso di merda come al solito?
“Ehi, lascia perdere la faccenda del tiro, facciamo dei passaggi…” fece per proporre, ma Kuroko scosse la testa e si alzò in piedi, affrettandosi a dire:
“No, scusami Aomine-kun. Oggi è stata una giornata un po’ particolare ma in realtà mi hanno reso felice le tue parole. Il fatto che tu voglia dare il massimo, con me.”
Fece per ritentare il tiro ma Aomine gli tolse la palla dalle mani e sbottò:
“Che stai dicendo? Non giochiamo finché non mi dici che accidenti che sta succedendo, Tetsu!”
Kuroko lo fissò. Beh, se l’era voluta. Avrebbe dovuto pensarci non due ma tre volte prima di sollevare impulsivamente il telefono e chiamare Aomine. Non poteva semplicemente accontentarsi di giocare con lui e dimenticarsi del resto, non dopo che lo aveva visto con gli occhi lucidi.
“Oggi sono stato dal veterinario.”
Aomine sollevò entrambe le sopracciglia, poi fissò Tetsuya 2 che si grattava la schiena, rotolandosi.
Kuroko guardò a sua volta il cane e proseguì: “Tetsuya 2 doveva fare il vaccino, ma quando il veterinario gli ha toccato il fianco lui si è messo a guaire. Dopo aver fatto una lastra si è visto un ingrossamento vicino al fegato – sospirò, mordendosi un secondo il labbro – potrebbe essere qualsiasi cosa, un’infiammazione, come una formazione tumorale.”
Tornò a guardare Aomine; chissà perché mentre parlava era riuscito a risultare pacato come al solito, mentre dentro di sé sentiva il petto contorcersi in un maremoto di sensazioni.
Aomine scosse la testa, come per ritrovare la lucidità e cercare delle parole da dire a Kuroko, parole che non fossero banali, perché… con lui avrebbe voluto essere tutto meno che banale:
“Oi, Tetsu, non vuol dire nulla. Ti hanno dato qualcosa?”
“Cortisone. Pastiglie.” Rispose semplicemente, misurato come al solito con le parole nella sua ponderata bilancia della vita.
“Ok, allora vediamo di fargliele mangiare. Magari assieme a del riso. Possiamo fare delle polpette.” Propose, meditabondo: istintivamente voleva far concentrare Kuroko sulla soluzione, anziché sul problema. Si era pure incluso in tutta la faccenda.
Improvvisamente Kuroko sorrise, stringendo i pugni:
“Grazie, Aomine-kun. Per tutto – un accenno di sospiro – Ora… va meglio. E’ sempre così, in un modo o nell’altro.”
Aomine Daiki, asso del basket insensibile, egocentrico, permaloso e un tempo menefreghista, arrossì. Arrossì dalla fronte alla punta delle orecchie, sentendosi le guance andare a fuoco.
Per quelle parole tirate fuori così, in quel campo, da un Kuroko che aveva paura di perdere il suo amato cane e che aveva infine espresso tanto profondamente se stesso. Nonostante i suoi occhi fossero grandi, chiari, non erano mai veramente capaci di trasmettere dolcezza, o sentimenti: erano così fissi e imperscrutabili da risultare anzi piuttosto freddi, persino distanti. Era infatti attraverso le parole che Kuroko mostrava qualcosa di sé: perché erano sempre sincere, in un modo o nell’altro, talmente tanto da lasciare spesso l’interlocutore impreparato ad accogliere tutte le emozioni che esse incanalavano.
Capitava anche ad Aomine che, nonostante tutto, lo conosceva da una vita.
“Ma che mi ringrazi a fare, Testu? – borbottò burbero, per schermarsi – Dai, vedi di farmi un tiro decente o me ne torno a casa con Tetsuya 2.”
Il cane lo guardò, con la lingua di fuori.
Kuroko annuì: “Ok! – afferrò la palla – pronto?”
“Vai.” Confermò Daiki.
Kuroko tirò. E fece centro. Un tiro perfetto, senza una sbavatura. Aomine lo vide sorridere, quel sorriso accennato ma disteso, come se il suo corpo intero avesse smesso di essere in tensione.
Istintivamente, allora, Daiki gli passò un braccio attorno al collo per poi scombinargli i capelli. Lo toccò, così vicino, con quella spontaneità splendida che aveva quando erano alle medie e lui era la sua ombra.
“Bravo, Tetsu!”
Kuroko rise, lasciandosi spettinare la chioma già di per sé ribelle, e dentro si sentì il petto esplodere. Perché se quel pomeriggio, dal veterinario, aveva creduto di morire e veder sparire Tetsuya 2 davanti agli occhi, adesso che era lì, sul campo, tutto sembrava diverso: aveva tirato e Aomine-kun era nuovamente tanto vicino da sentire i suoi muscoli del corpo asciutto contro il proprio, con la sua certezza che Numero 2 sarebbe stato bene, avrebbe continuato a vivere. Sì, adesso Kuroko si sentiva vivo.
Dopotutto, forse, Aomine era un healer migliore di lui.




Sproloqui di una zucca

Eccoci qui al terzo capitolo. In questo caso prende più spazio il rapporto tra Momoi e Aomine, i pensieri di entrambi e come appaiono di fronte agli altri che non li conoscono. Infine Aomine e Kuroko, loro due, nessun altro. Povero Tetsu 2 T_T Mi sono sentita molto vicina a Kuroko perché so cosa vuol dire vedere i propri animali star male.
Sì, c'è Aomine a gogo in questa storia, sarà che lo trovo ispirosissimo *___*
Spero che possiate trovare i personaggi IC e, allo stesso modo, vi possano piacere i dialoghi o i frammenti di vita raccontati di questo ipotetico futuro nel quale si muovono ragazzi ormai prossimi a diventare uomini.

Grazie a coloro che leggono, a chi ha inserito questa storia tra i preferiti/seguiti etc!



   
 
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