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Autore: Luana89    13/06/2017    1 recensioni
«Misha, sai cosa dicevano i navajo mentre camminavano in questo preciso luogo?» Sophia ci guardò come se si aspettasse una risposta, io scrollai semplicemente le spalle dando l’ennesimo tiro alla mia sigaretta. La sua voce divenne improvvisamente bassa, era l’eco di ogni mio battito. «Con la bellezza dinanzi a me avanzo. Con la bellezza dietro di me avanzo. Con la bellezza sotto di me avanzo. Con la bellezza sopra di me avanzo – l’aria si fermò improvvisamente, quasi ascoltasse anche lei – Finisce nella bellezza. Finisce nella bellezza» Sophia chiuse gli occhi come se cercasse di assaporarne meglio le parole. Misha corrugò la fronte probabilmente riflettendo sul senso di quel discorso. «E perché me lo stai dicendo?». Il silenzio ci assordò per qualche attimo.
«Sostituisci la parola ‘’bellezza’’ con ciò che ami di più, e avrai la risposta al quesito» gettai a terra la sigaretta allontanandomi da loro, mentre il mio riflesso diveniva simile ad un miraggio.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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ACT XI
 

 
 «Pensi sia così facile far cadere ME?»
 
 
Un ringhio cupo proruppe dal mio petto. Non sarei caduto così non senza reagire, ne valeva del mio orgoglio. Aiutato dal peso di Ivor che provava a piegarmi ancora mi rimisi in piedi, continuando a bloccare la spranga con entrambe le mani. Vidi le sue braccia tremare nello sforzo al pari delle mie, un suono mi distrasse, lo spinsi lontano e fissai il gruppo che aveva fatto cerchio attorno a me, non pensavano evidentemente dovesse finire velocemente. In fondo era normale, colui che erano venuti a picchiare – o forse uccidere –  non era un membro qualsiasi: era il sicario. E lui andava aggredito in gruppo mai da solo. Vidi uno degli uomini estrarre il coltello, il primo fendente mi colpì dritto alla spalla strappando la camicia e lacerandomi profondamente la pelle. Mi piegai in ginocchio gettando un urlo rabbioso, mentre il sangue iniziava a sgorgare copioso dalla ferita.
«Non lo penso, ecco perché siamo tutti qui Aleksandr Belov». La voce di Ivor era greve e tremante, nonostante la nostra vita riuscivamo a instaurare legami affettivi che vedevamo poi dissolversi come neve al sole.
Il secondo fendente squarciò il mio fianco all'altezza delle costole, provocando l'ennesima lacerazione; caddi rovinosamente a terra e stavolta non mi rialzai mentre pedate, pugni e sprangate iniziavano a percuotere il mio corpo. Nei miei occhi non vi era traccia di dolore ma solo una lenta consapevolezza, e uno strisciante odio. Chiusi il pugno della mano cercando di sollevarmi sui gomiti, ignorando il dolore delle ferite ma una voce mi fermò, anzi mi paralizzò letteralmente, era la stessa che sentivo ormai da vent’anni, quella per cui avevo dato la mia anima in pasto al demonio.
«Vi avevo detto di non toccare il suo viso, siete stupidi o solo folli?». Il Vor si piazzò di fronte a me, inginocchiandosi pochi istanti dopo, i nostri occhi si cercarono – trovandosi – e mille parole silenziose passarono tra noi. L'espressione di Sergej era un misto di rabbia e cupo dolore, la mia probabilmente un qualcosa di talmente spaventoso da risultare indefinibile. Vi era morte nelle mie iridi. Tossii e sputai sangue.
«Ti ho accolto in casa mia e come mi ripaghi tu? PRENDENDOTI MIA FIGLIA?». Le sue urla risuonarono per tutto il capannone, gli uomini attorno a me fecero un passo indietro spaventati.
«E’ da una vita che ti ripago, ho venduto pezzi di me stesso per poterlo fare». La voce uscì affaticata. L'espressione del Vor si tinse di un curioso divertimento, solo il suo Shùra poteva pensare di parlargli con tanta insolenza senza rischiare la perdita della lingua. Lo vidi estrarre il coltello afferrandomi il braccio, voltandomi il palmo della mano in su e tenendomi fermo il polso. Serrai le labbra in una linea dura, ero consapevole di cosa stava per accadere, vi era una via d'uscita? Mi tornò in mente Yuri e il nostro primo incontro, chi avrebbe potuto dire che la storia si sarebbe ripetuta? Sollevò il braccio, la lama del coltello brillò di una luce sinistra. 
«Ti farò una semplice domanda: hai toccato con queste mani Sophia? L’hai toccata da uomo e non da fratello? Rispondimi». Lo  guardai intensamente chinando poi il capo, ciò che lessi nei suoi occhi mi nauseò. Mi stava ponendo l'ennesima prova, mi stava istigando all'ennesima rinuncia, prima Yuri, poi mio padre e adesso Sophia. Respirai profondamente e con fatica, il bivio si palesò ancora una volta e stavolta non ebbi dubbi su quale strada prendere.
«No non l’ho mai toccata da uomo, non esiste niente di tutto questo». Le mie parole uscirono sorde e vuote, la momentanea sconfitta bruciante ostruì quasi la mia gola impedendomi di respirare e deglutire correttamente. Alle volte prendere la strada più tortuosa non ti ripagava col benessere istantaneo. L'urlo furioso di Sergej squarciò l'aria, la lama del coltello si abbatté sulla mia pelle, ma invece di tranciarmi l'arto di netto si limitò a scavare una ferita profonda sul mio polso. Non urlai. Non avevo né la forza per farlo, né tanto meno il diritto.
Rinnegare. Così come per mio padre in Siberia, nel giro di pochi anni avevo rinnegato anche la donna che amavo. Era il prezzo da pagare.
Gettò il coltello restando accucciato accanto a me: fu quello il segnale. Gli uomini lentamente si allontanarono uscendo da lì, mentre lui mi afferrava le spalle trascinandomi su una pila di scatoloni, sedendomi e mettendosi di fronte a me. Non c'era uomo che Sergej stimasse di più, non vi era ragazzo per la quale non avrebbe fatto qualunque cosa come per me. La fiducia è facile da spezzarsi, ma ancora più difficile da ripristinare, e nella Bratva avevano modi che la gente comune avrebbe definito barbari, abietti e orribili. Ci guardammo ancora negli occhi, sentivo la camicia inzupparsi di qualcosa di denso e viscoso, probabilmente sangue, e la coscienza divenire sempre meno presente. Sergej si strappò un lembo della camicia afferrando il polso che lui stesso aveva tagliato, mettendovi su una benda improvvisata per frenare l'emorragia.
«Hai idea di cosa io abbia provato a fare questo? Hai idea delle aspettative che ho per te? Non puoi tradirmi così, non per una donna, neppure se questa è Sophia. Anzi a maggior ragione se è lei. Ho già programmato il suo matrimonio..» non reagii minimamente alla notizia, il mio sguardo restò vuoto mentre lo sentivo continuare quel monologo. 
«Sarà un matrimonio fatto apposta per lei, darà benefici a tutti e le permetterà di vivere in quella bolla che tanto le piace. Pensi sia stato io a chiuderla lì, vero Shùra? Ti sbagli: si è chiusa da sola. Perché lei non vuole vedere Aleksandr, lei si rifiuta. Perché? Perché è meglio vedere una madre perfetta, un padre perfetto, una fratello amorevole. Misha strano ma buono..e poi tu. Siamo tutti perfetti nella sua mente perché lei ci vuole così, perché è egoista tanto quanto noi. Cosa pensi che farà quando scoprirà chi sei?» lo guardai inarcando un sopracciglio divertito, ci riuscivo ancora quindi? Sorrisi senza gioia consapevole di cosa volesse dirmi. 
«Esatto. Ti masticherà e sputerà via. Perché non ti adatterai più ai suoi standard, alla sua vita perfetta. Non commettere un errore simile, non ne vale la pena perdere la vita per questo. E poi.. lei resta intoccabile per chiunque, compreso te. Ti ho accolto come un figlio, sei l’uomo nella quale ripongo le mie più alte aspettative, il mio Shùra con quel viso d’angelo capace di commettere le peggiori atrocità senza batter ciglio, mi sei sempre piaciuto per questo. Cosa pensi che succederà ai sei uomini lì fuori? La pagheranno, uno per uno, perché ci sono andati pesante con te disobbedendo al mio ordine. Io lo farò per te. Quindi ripagami come hai sempre fatto, puoi farlo no?» Sergej si alzò allontanandosi da me, muovendo i primi passi verso l'uscita mentre la mia voce spezzò il silenzio risuonando letale e calma. 
«Posso farlo e lo farò». Ero certo stesse sorridendo compiaciuto mentre abbandonava finalmente quel luogo.
 
Urlai, urlai talmente tanto da graffiarmi la gola, le sue parole erano penetrate sottopelle scavando ferite larghe e profonde difficili da guarire. Non mi curai neppure di chiamare qualcuno, sapevo che di lì a poco l'aiuto sarebbe arrivato. Ma non era ciò che cercavo in quel momento. Non lo sarebbe mai stato dopo quella notte.
 
The trap had a ghastly perfection.
 
 
 

Nadja POV

 
Mosca, 13-11-1997
 
 
Quel giorno era senza colori. Tutto attorno a lei aveva assunto degli strani toni grigi, dal più chiaro al più scuro. Di tanto in tanto passava qualche ombra bianca, ma agli occhi di una piccola ed esile Nadja tutto ormai aveva assunto un sapore insipido, privo di ogni emozione, nemmeno una nota colorata.
Gli alberi erano grigi.
L'erba era grigia.
Le macchine erano grigio scuro.
Il suo vestitino era nero.
Ed il cielo... anche quello era grigio.
Lo sguardo di Nadja si era svuotato la sera stessa in cui aprì la porta aspettandosi il ritorno del padre, si ritrovò davanti un uomo mai visto prima, che la prese in braccio e la portò semplicemente via in una nuova “casa”.
«Il tuo papà non c'è più... E' morto come un eroe». Eppure quelle parole non riuscivano a consolare il suo cuore infranto. Aveva perso tutto, ai suoi occhi suo padre non aveva bisogno di sacrificarsi per proteggere un altra persona per essere un eroe. Ma il destino fu davvero sadico e perverso, lo chiamavano eroe, quando in realtà era solo un povero uomo che si era trovato nel posto giusto al momento giusto per beccarsi una pallottola destinata al suo capo.
«E' morto facendo il suo lavoro». Bugie, tutte bugie e lei lo sapeva benissimo.
Nonostante avesse solo dieci anni era ben consapevole dei reali desideri di suo padre. Voleva andarsene dalla Russia ed abbandonare quella “famiglia”, voleva crescerla nel paese di sua madre, libera di poter diventare una donna bella e dolce proprio come lei.
Ma tutto questo le venne portato via senza la minima pietà, lasciandola sola al mondo.
Rimase in ginocchio a lungo, a piangere davanti la tomba di suo padre anche quando il funerale fu terminato.
Anche il cielo piangeva quel giorno, la pioggia scendeva senza sosta bagnandola completamente, ma non le importava nulla. Tremava, ma non sentiva freddo. Piangeva, urlava, si disperava davanti a quella tomba dove pochi metri sotto terra vi riposava il grande amore della sua vita: suo padre.
Cos'avrebbe fatto senza di lui?
Il suo destino era segnato, l'aspettava un freddo orfanotrofio di una Russia degli anni novanta. Senza suo padre, sarebbe morta... E a dieci anni, desiderò davvero morire. Voleva raggiungere il suo amato padre, voleva conoscere sua madre che aveva dato la vita per metterla al mondo, pensava fosse giusto in fondo; ora che non aveva più nulla, per cosa avrebbe vissuto?
La pioggia improvvisamente terminò di abbattersi su di lei, eppure continuava a cadere nel paesaggio circostante. Smise di piangere e tra i singhiozzi sollevò il capo trovando così un uomo accanto a lei, che teneva un ombrello proprio sopra la sua testa.
Non l'aveva mai visto prima di quel giorno, non conosceva nessuno dei presenti a quel funerale, ma aveva capito subito che lui era qualcuno di molto importante data la scorta che aveva al seguito.
Si guardarono in silenzio, lei singhiozzava e lui sembrava non provare nessuna emozione inizialmente ma quando si chinò su di lei riuscì a vedere un piccolo sorriso malinconico sul suo volto e i suoi occhi verdi. Proprio come quelli di suo padre.
«Tuo padre aveva ragione... somigli molto a tua madre». Il tono di voce di quel russo era caldo, dolce così come la sua espressione che riuscì lentamente a farla smettere di piangere.
«Da oggi in poi, se vorrai, saremo la tua nuova famiglia». Una nuova famiglia. Quelle parole si ripetevano nella sua testa, mentre i suoi occhi chiari si spostarono sulla tomba del padre, pensò che non voleva una nuova famiglia la sua le andava benissimo... Ma non c'era più.
«Tuo padre vuole che tu viva, Nadja». Tornò a guardare quell'uomo che le stava porgendo una mano, in quel momento sentì freddo e le ginocchia doloranti a causa di tutto quel tempo passato su di esse. Aveva ragione, suo padre gliel'aveva sempre detto: “Cresci, vivi, sii felice, non permettere a nessuno di fermarti nemmeno a te stessa”, le ripeteva sempre.
Doveva vivere per suo padre. Doveva vivere per sua madre. Doveva vivere.
Si alzò in piedi, afferrando quella mano che in confronto alla sua era così grande e calda. Lui le fece un sorriso e la prese in braccio, fregandosene di quanto fosse fradicia o sporca a causa della pioggia, la strinse e la portò via lontana da quel cimitero.
Fu la sua ancora di salvezza, tendendogli la mano le offrì una famiglia ma sopratutto un motivo per vivere.
Nadja osservò in silenzio la strada che si lasciava alle spalle, dietro il finestrino dell'auto con gli occhi ormai asciutti. Tremava a causa dei vestiti del tutto bagnati e quell'uomo che si dimostrò essere il suo salvatore si tolse la propria giacca per poi coprirla con essa, stringendola a sé per tutto il tragitto.
 
Quella fu la prima ed ultima volta che Sergej l'abbracciò, ma fu abbastanza per lei.
 
 

 
Il cellulare squillò svegliandomi e io annaspai cercando aria, era sempre così in fondo. Incubi che mi inseguivano partoriti dal profondo della mia anima. Riconobbi il numero e risposi, la voce seria e greve di Sergej mi destabilizzò.
«Vai subito al molo, il solito capannone. Una parola a Misha e verrai punita». Mi chiuse in faccia il cellulare lasciandomi sbigottita, da un lato ero sollevata perché se aveva fatto accenno a Mikhail evidentemente ciò che avrei trovato lì non lo riguardava. Appena misi piede nel luogo indicatomi capii di essermi sbagliata.
L’odore del sangue impregnò subito le mie narici, mi sporcai le costose scarpe senza curarmene finché non vidi l’ombra di qualcuno, vi era un corpo semi disteso a ridosso di alcune scatole impolverate. I miei occhi gelidi si poggiarono sul viso tumefatto e all’apparenza svenuto di Aleksandr.
«E’ vivo?» Ivor sobbalzò a pochi passi da me sentendo la mia domanda, forse pensava non l’avessi visto.
«Lo è, e dovrebbe ringraziare il Dio nella quale non credo per esserlo». Sorrisi sprezzante indicandogli il corpo.
«Risparmiami le tue frasette da tragedia scadente e chiama gli altri, dobbiamo portarlo subito fuori di qui,  sta perdendo sangue… troppo sangue». Una punta d’ansia si insinuò nella mia voce per la prima volta da che ne avessi memoria,  non ero spaventata dall’idea di perderlo.. io ero spaventata dalla reazione di Misha se non l’avessi salvato. Mi chinai allungando una mano per tastargli la fronte, mi afferrò il polso così improvvisamente da strapparmi un urlo. I suoi occhi spiritati mi guardarono senza vedermi,  era zuppo di sangue e sudore.
«Ricuci bene e non rovinare il tatuaggio sul fianco.. Non dirlo a Misha, o ti ucciderò con le mie stesse mani».  Lo guardai confusamente annuendo senza la benché minima idea di cosa avesse voluto dire all’inizio, delirava forse?  Perse nuovamente i sensi e stavolta non li recuperò più.
Dopo averlo steso sul lettino di un motel gli strappai la camicia e capii: sul fianco vi era il tatuaggio della morte. Ebbi pietà di lui, che diavolo poteva aver passato quell’uomo per raffigurarsi in quella tetra figura tanto da volerla salvare? Persi ore a suturare, a travasare sangue nel suo corpo per compensare quello mancante mentre Ivor sostava fuori dalla porta con evidente nervosismo. Stando a quanto avevo capito se Shùra moriva parecchie teste sarebbero saltate: compresa la sua. Ironico come il mandante di quella vergognosa esecuzione si rivoltasse contro agli stessi aguzzini da lui chiamati. Ma quello era Sergej, quella era la Bratva. C’era stato un tempo molto lontano della mia vita in cui la figura del Vor aveva compensato la mancanza di mio padre, erano anni che adesso mi apparivano lontanissimi. Crescendo i miei occhi si erano aperti, avevo visto il suo vero volto e la mia invidia per Sophia si era tramutata in pietà.
«E’  vivo,  ma non riprende conoscenza. E francamente.. non so se lo farà». Erano passate ore e Shùra non si svegliava, vidi Ivor annuire e sudare. Sorrisi compiaciuta lasciando il motel.
 


Mikhail POV


Seduto sul divano continuavo a fissare la televisione senza vederla mentre Sophì dormiva accanto a me,  o meglio fingeva stando in posizione fetale ad occhi chiusi. Qualcosa non mi tornava. Shùra le aveva lasciato un semplice messaggio scritto a mano, lo avevo letto e riletto senza trovarvi un senso: ‘’Viaggio d’affari improvviso, aspettami e resta con Misha’’. Perché non ero stato informato di questo fantomatico viaggio d’affari? Avevo provato a cercarlo sia sul numero che tutti conoscevano,  sia su quello riservato agli ‘’affari’’, la segreteria telefonica aveva accolto le mie imprecazioni in entrambi i casi. In più persino quella stronza bionda di Nadja era sparita, mi ero addormentato con lei accanto e al mio risveglio non l’avevo trovata. Avevo ovviamente chiamato anche lei, e indovina? Ancora una fottutissima segreteria telefonica. Sarei impazzito.
«Quando torna lo uccido..» la voce sommessa di Sophì mi strappò dai miei pensieri, mi voltai sorridendole divertito.
«Sophì so che può sembrarti strano, ma vedi .. è così che va nel mondo del lavoro». Mi scoccò un’occhiata apatica senza il solito cipiglio ogni qualvolta la prendevo in giro.
«E se non torna?». Mi freddai e risi in maniera forzata.
«Ma che cazzo dici Sophì. Ovvio che tornerà». Il telefono squillò in quel momento e per poco non mi prese un infarto, ero troppo influenzabile da quella piccola ragazzina e prendevo per oro colato ogni sua parola incoerente e insensata. Si alzò andando a rispondere, a giudicare dal tono concitato ero sicuro fosse Sergej; qualcosa però sembrò cambiare, il viso divenne livido e nessuna parola uscì più dalle sue labbra. Mi innervosii alzandomi. Parlavano di persone e amici, ma amici di cosa?
«Che voleva?». Non mi guardò e la vidi spegnere il cellulare. Pessimo segno considerando che fino a cinque minuti prima lo teneva incollato al culo aspettando un chiamata di Shùra.
«Nulla, voleva solo salutarmi». Si chiuse in camera e sentii la chiave girare nella toppa. Cosa porca puttana stava succedendo?
 

Sophia POV

 
– Ricordati del matrimonio di tuo fratello.
 – Lo so papà, lo so. E puoi dire a Nikolaj che sono arrabbiatissima con lui. Dovevo essere la prima a sapere del suo matrimonio.
– Voleva farti una sorpresa, non biasimarlo.
– Certo, come no. La scusa della sorpresa è sempre buona.
 – A proposito di sorprese, quando verrai qui dovrò presentarti una persona. Sono certo che ti piacerà.
– Una persona? Chi? È simpatica? Un amico di famiglia?
– Un ragazzo, poco più grande di te. Te l'ho detto, te lo presento quando sarai qui. È un buon partito.
– Papà, ti prego, non m'interessa e po-
– Sophia, la mia non è una richiesta.
– Sì, ma Shùra..
– Aleksandr? Ancora con questa storia? Lascia stare quel povero ragazzo e smettila d'importunarlo con i tuoi capricci. Ti ho quasi creduto quando mi hai detto che era il tuo "fidanzatino". Quando gliel'ho chiesto si è fatto un paio di risate smentendo.
– Cos'ha detto?
– Che accontentava i tuoi capricci, come sempre. Devo smetterla di viziarti così, sai?
– Papà, ora sono proprio stanca. È tardi e domani devo svegliarmi presto. Ti richiamo io appena posso.
– Va bene, allora vai a letto. Mi raccomando, non essere un peso anche per Mikhail.
 
Era tutto un gioco e neanche me n’ero accorta?  Mi sentivo un tantino stupida e tarda. Eppure ci avevo creduto sul serio; avevo creduto a tutte le sue parole, alle promesse, a tutto. Era stato scorretto. Doveva dirmelo prima che era tutta scena, almeno mi sarei risparmiata la figura dell'idiota.
Già. Sophia, smettila di essere un peso per tutti.
Probabilmente ho sempre avuto la certezza di esserlo, semplicemente non me n’ero mai curata più di tanto. Nel mio mondo fatato tutto mi era concesso, e sempre nel mio mondo a nessuno dispiaceva sostenermi e sorreggermi, men che meno al mio Shùra. Forse avevo fatto i conti senza l’oste, forse era stato tutto un sogno – o incubo dipende da come la guardassi – eppure le immagini di noi in questo letto erano talmente vivide da farmi rabbrividire. Io sentivo ancora le sue mani su di me, così come il suo respiro, come poteva essere tutto uno scherzo? Non sentivo però il suono del suo ‘’ti amo’’ nelle mie orecchie,  forse perché quelle parole non le aveva mai dette.
Non riuscii ad arrendermi, non riuscii a capacitarmene e per la prima volta nella mia vita dubitai di mio padre. Avevo bisogno di vedere gli occhi di Aleksandr, e solo in quel momento avrei saputo cosa fare. Tutto però sembrò frantumarsi in me nel momento in cui un pensiero sfrecciò nella mente: mi fidavo davvero di Shùra? Quel pensiero sgradito mi lasciò tremante contro la porta chiusa, mentre provavo con tutte le mie forze a non cedere alle lacrime. Fallii su tutta la linea.
La mia bolla stava esplodendo, me ne accorsi tardi.
 

Aleksandr POV
 

Bloccato in un tunnel buio sentivo il rumore dei miei stessi passi come un eco che diveniva man mano più deciso e forte, mi guardai attorno non riuscendo a vedere nulla – neppure me stesso – mentre  continuavo a camminare senza curarmi di guardare oltre, attirato come una falena da quella luce che vedevo in lontananza. Delle ombre mi superarono, assottigliai lo sguardo cercando di metterle a fuoco, sembravano figure umane e pure familiari così allungai una mano provando ad afferrare la prima e quando mi sembrò di averla toccata ecco che la riconobbi: era mia madre.
Deglutii, la riconobbi  a causa del viso sfocato,  solo lei poteva avere dei contorni così poco delineati e questo perché io non ricordava più il suo viso. Non lo avevo mai ammesso, ma in quel frangente mi venne fin troppo semplice farlo. Io non la ricordavo più.
‶Mamma mi dispiace, sarei dovuto venire a salvarti, ma come potevo ..‶, la mia voce divenne quasi un lamento mentre la figura svaniva nel nulla lasciandomi da solo. Tornai a guardarmi attorno in maniera quasi furiosa, non volevo restare solo ed ecco altre due figure accostarsi di fianco a me e quelle le riconobbi molto bene: erano Misha e Sophia. Sorridevano tra loro e sembravano quasi non vedermi; mi limitai a restare immobile a guardarle mentre un persistente bruciore invadeva i miei occhi,  li stropicciai con forza ma non ne uscì nulla e il bruciore rimase. Le figure si allontanarono nonostante urlassi loro di restare, una delle due si girò guardandomi in maniera truce e delusa, mi zittii senza riuscire a dire altro. Lei non mi aveva mai fissato così.
Ero bloccato nel mio incubo personale e non sapevo come uscirne. Iniziai a correre poco prima che qualcosa mi sbarrasse la strada. La terza figura che mi comparve davanti era lui:  mio padre. Mi gettai ai suoi piedi singhiozzando, pregandolo – anzi supplicandolo –  quasi: ‶Indicami tu la giusta via, mi sono perso papà e non mi so più ritrovare‶. Mi accarezzò il capo senza dire nulla, indicandomi un punto non ben definito di quel lungo tunnel per poi sparire come aria:
«NON ANDARE, NON ANDARE»
Odiavo il buio, nonostante ci vivessi da anni e anni io lo detestavo. Era come se quel tunnel fosse stato forgiato per privarmi di ogni cosa, nulla era come prima lì dentro. Tutte le persone che amavano mi abbandonavano.
 
‘’Perché tu hai abbandonato noi.’’
 
Sentivo le loro voci sussurrarmi questa frase incessantemente. Avrei voluto dire loro che no, non l’avevo mai fatto. Ma come potevo? Come potevo spiegar loro il tipo di scelta che sentivo di avere intrapreso quando Sergej aveva ferito il mio corpo?
Improvvisamente il buio iniziò a non spaventarmi più, anzi era come se ne sentissi il richiamo, il bisogno di nascondermi tra le ombre e nascondere soprattutto ciò che non avrei potuto mostrare ad anima viva. In ginocchio mi asciugai le lacrime per poi alzarmi, fissando la luce in lontananza.

– Che cosa c’è in fondo al tunnel? Una luce, dei fuochi d’artificio o al contrario una rotonda che ci fa tornare indietro?
– E allora spegni la luce in fondo al tunnel, altrimenti mi troveranno.
 
 

Mikhail POV

 
«Dov’è Shùra?». La vidi sobbalzare con la chiave ancora tra le mani, mi guardò come sempre come se avesse di fronte un bambino discolo e impertinente.
«Cosa ti fa pensare io lo sappia?». Mise la mano sul fianco, non mi sarei fatto prendere per il culo.
«Quando perdiamo le tracce di qualcuno è sempre a te che è meglio chiedere, è triste non trovi?». Le sorrisi senza gioia poggiandomi alla porta ancora chiusa. Abbassò lo sguardo e infine mi parlò.
«Chiedilo direttamente a lui ..quando tornerà». Ci fissammo, io con astio e lei con un sentimento che non riuscivo a determinare. Stava succedendo qualcosa, era così e io non sembravo in grado di porvi rimedio. Il mio cellulare squillò, e dalla mia espressione stupefatta suppongo fosse stato semplice intuire il mittente: Sergej.
 
– Tu che chiami me?
– Io che chiamo te, pensa ai casi assurdi della vita Misha.
– Shùra non risponde nemmeno alle tue chiamate?
– Oh no, alle mie lui risponderà sempre Misha. Volevo parlare con te.
– Di cosa? E dove sta Shùra.
– Le due cose sono strettamente correlate.
– Ovvero?
– Ovvero prenditi l’incarico dei traffici e dell’agenzia per qualche giorno, Shùra è impegnato a causa mia. Puoi farlo senza mandare in malora tutto?
– Che impegno?
– Non sei autorizzato a sapere ogni cosa Mikhail, inizia a capire qual è il tuo posto
.
 
Qual’era il mio posto? Era una domanda che in effetti mi ponevo spesso e mentre fissavo il cellulare adesso muto iniziai a pormela in maniera ben più pressante. Lo posai tornando a guardare Nadja che non mise su alcuna espressione, cosa che mi insospettì più del dovuto.
«Io so che sta succedendo qualcosa, Nadja. E quando scoprirò tutto la pagherai anche tu». Le sorrisi dandole le spalle pronto per andar via.
«Le uniche parole che Shùra mi ha rivolto quando l’ho visto sono state: tieni fuori Misha da questo affare». Aggrottai la fronte tornando a fissarla, mi stava mentendo? A giudicare dal suo viso mortificato e ansioso sembrava di no. Non mi restava altro che attendere seduto e obbediente. Se era stato Shùra a dirlo allora lo avrei fatto. Ma se quella fosse stata una menzogna .. l’avrebbero pagata tutti.
 

 

Aleksandr POV

 
Sbarrai gli occhi improvvisamente, ero sudato e ansante come se invece di star steso avessi corso una specie di maratona infinita. Provai ad alzarmi ma il dolore lancinante me lo impedì, mi girò la testa e ricaddi sui cuscini. Respirai profondamente iniziando a guardarmi intorno, a giudicare dall’arredamento era un motel, piuttosto scadente anche. Provai ad alzarmi di nuovo, ero nudo a parte i boxer. Sicuramente avrei preferito esserlo per una nottata focosa, ma il dolore in tutto il corpo non lasciava spazio a molti dubbi.
Cautamente mi sollevai ignorando i continui giramenti di testa, aggrappandomi ai mobili e al muro riuscii ad arrivare di fronte uno specchio. La barba ispida copriva appena il livido sulla mascella, mentre era ben visibile quello all’occhio e al labbro completamente spaccato. Mandai giù la saliva scendendo verso il fianco, mentre le immagini di Nadja al capannone mi giungevano adesso alla mente come proiettili.
«Due giorni come un morto, pensavo ti avessimo perso. Ho fatto il possibile, e tu dovresti essere a letto». Incontrai la sua figura attraverso il riflesso non prima di aver controllato la grossa benda macchiata di sangue sul fianco.
«Vorrei sentire la mia cartella clinica, dottoressa». Le sorrisi tirato e la vidi osservarmi dubbiosa: sapevo il perché. Bastava guardarmi per capirlo. Strinse le labbra muovendosi verso la sedia nella quale si accomodò, mentre io a passo strascicato tornai verso il letto.
«La ferita sulla spalla era profonda, così come quella al polso. Ha rischiato di recidere di netto i tendini, è una fortuna che non sia successo o avresti potuto scordare l’uso della pistola». La fissai senza scompormi.
«Sono ambidestro, vai avanti». La vidi sbuffare scocciata, non sentii il bisogno di sorridere.
«Il tatuaggio è quasi intatto se questo è ciò che realmente ti importa. Ho provato a suturare al meglio delle mie capacità, ma non posso far miracoli Shùra». Annuii afferrando il bicchiere d’acqua sul comodino, lo fissai senza berne una singola goccia.
«Misha non sa nulla vero?». La vidi trasalire, evidentemente non ero il primo a chiederglielo. Si coprì il viso stancamente.
«No, Sergej me lo ha proibito e tu non sei stato da meno se ricordi. Ma dovrai farlo, guardati.. Pensi di stare rintanato qui per un mese?». Mi indicò come se fossi cieco. Lei non lo sapeva ancora ma quei due giorni di tunnel oscuro mi avevano permesso di vederci come mai nella mia vita.
«Un mese? Non è nei miei piani, anzi ho parecchia fretta .. vedi di darmi il tuo consenso entro sette giorni o tornerò per conto mio». Le sorrisi e la vidi spianare la fronte. Il suo turbamento aumentò mentre osservava il mio sorriso maligno delinearsi e deturpare il mio viso già ferito.
 

There must be a few times in life when you stand at a precipice of a decision. When you know there will forever be a Before and an After...I knew there would be no turning back if I designated this moment as my own Prime Meridian from which everything else would be measured.
  
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