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Autore: Luana89    14/06/2017    2 recensioni
«Misha, sai cosa dicevano i navajo mentre camminavano in questo preciso luogo?» Sophia ci guardò come se si aspettasse una risposta, io scrollai semplicemente le spalle dando l’ennesimo tiro alla mia sigaretta. La sua voce divenne improvvisamente bassa, era l’eco di ogni mio battito. «Con la bellezza dinanzi a me avanzo. Con la bellezza dietro di me avanzo. Con la bellezza sotto di me avanzo. Con la bellezza sopra di me avanzo – l’aria si fermò improvvisamente, quasi ascoltasse anche lei – Finisce nella bellezza. Finisce nella bellezza» Sophia chiuse gli occhi come se cercasse di assaporarne meglio le parole. Misha corrugò la fronte probabilmente riflettendo sul senso di quel discorso. «E perché me lo stai dicendo?». Il silenzio ci assordò per qualche attimo.
«Sostituisci la parola ‘’bellezza’’ con ciò che ami di più, e avrai la risposta al quesito» gettai a terra la sigaretta allontanandomi da loro, mentre il mio riflesso diveniva simile ad un miraggio.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza
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ACT XII

 

Continuavo a star seduto di fronte lo specchio fissandomi ossessivamente, cambiando l’espressione nei miei occhi a seconda delle immagini che scorrevano nella mia mente. Cinque giorni erano ormai passati da quando mi ero risvegliato in quel motel, non avevo cercato Misha né lui era riuscito a mettersi in contatto con me. Nadja mi aveva informato della chiamata di Sergej e degli ordini da esso dati per compensare la mia assenza. La principessa dei ghiacci entrò in quel momento, la stanza si riempì del suo profumo. Non era quello giusto.
«Stai consultando lo specchio per sapere se sei ancora il più bello del reame?». Il tono canzonatorio non sortì alcun effetto in me che restai seduto nella medesima posizione.
«Sei venuta a cambiare le bende?». Al suo cenno affermativo mi alzai con fatica dalla sedia piazzandomi sul letto. Le sue mani iniziarono a controllarmi, io osservavo la sua espressione decifrando qualsiasi pensiero non espresso a parole.
«I punti sono ancora freschi, devi fare il minimo indispensabile quindi piantala di alzarti dal letto quando pare e piace a te». Mi rimbrottò con occhi severi e io sorrisi per la prima volta. Indossai nuovamente la maglia sistemando i cuscini dietro la mia schiena, odiavo star disteso mi sentivo ancor più inutile di quanto già non fossi di mio in quel preciso momento.
«Hai visto Misha e ..» il nome di Sophia non uscì dalla mia bocca, ogni volta che ci provavo il magone ostruiva la mia gola, puntuale come un orologio svizzero. Avrei dovuto risolvere anche quel problema prima di fare la mia ricomparsa.
«Entrambi lavorano tutto il giorno va tutto bene, ma Misha non mi parla da giorni perché non gli ho detto dove stai». Fece un sorriso tirato e per la prima volta la commiserai. Chiusi gli occhi respirando profondamente.
«Lo chiamerò appena andrai via, vedrò di rassicurarlo». La sedia scricchiolò appena, la fissai inarcando un sopracciglio.
«Perché sei ridotto in questo stato?». Mi piantò gli occhi addosso sfacciatamente, quindi neppure lei sapeva.
«Perché? Perché mi hanno malmenato mi sembra chiaro». Le sorrisi affabile, non gradì la battuta vista la smorfia che mise su.
«Vorrei solo capire cosa potrebbe mai aver fatto Aleksandr Belov al Vor per farsi ridurre in questo stato. Gli ho visto tessere le tue lodi per anni, eri intoccabile». La indicai col dito sorridendo mestamente.
« ‘’Ero’’, ottimo uso del verbo dottoressa. Le cose cambiano, sono stato un bambino cattivo. Ho toccato uno dei suoi oggetti preziosi, e questo non gli è andato giù». La vidi irrigidirsi, non ci volle molto a capire di quale ‘’oggetto’’ parlassimo. Probabilmente era una vita che vedeva me e Misha andar dietro a Sophia come fosse la madonna in terra. Sospirò scuotendo il capo.
«Cosa potrà mai avere Sophia rispetto ad altre donne? E’ una bambina nel corpo di un adulta. E’ stupida, capricciosa e soprattutto egoista». La fissai truce per un istante e alla fine scoppiai a ridere.
«Nadja ..Naden’ka, non sei quindi immune alla gelosia? Dovrai convivere col fatto che Misha l’ha amata a modo suo per anni, fallo o diverrai come le donnicciole che tanto detesti». Non rispose, a che pro? L’avevo appena spenta su tutta la linea. Qualcuno bussò alla porta, ci voltammo simultaneamente con i medesimi occhi guardinghi.
«Chi è?». Feci cenno a Nadja di tacere mentre la voce di Anastasia mi faceva sospirare di sollievo o quasi. Mi alzai fermando la bionda tutta curve già pronta ad aprire, indicandole un angolo della stanza. Non potevo fidarmi di nessuno, neppure di Anastasia. Aprii uno spiraglio di porta incontrando gli occhi della donna attraverso le lenti dei suoi occhiali, provò a mettere un piede dentro ma le piantai la mano sulla fronte impedendole l’ingresso.
«Dove corri Anastasia, non puoi entrare qui dentro». Provò a far forza e io sentii i punti tirare, ma non cedetti.
«Capo ..ti ho cercato dappertutto hai idea di quanto fossi preoccupata?». Probabilmente lo era davvero.
«Come mi hai trovato?». Continuai a tenerla ferma nonostante forzasse il suo ingresso, sembrava un toro pronto ad incornare.
«Mi sembra logico ho rintracciato il gps del tuo cellulare, essendo spento mi ci sono voluti parecchi giorni». Il suo tono saccente, pure se affannato dallo sforzo, mi lasciò sbigottito.
«Chi cazzo sei la CIA?». Fece forza nuovamente e stavolta riuscì ad entrare, mi pressai il fianco imprecando silenziosamente. Nadja la squadrò avvicinandosi.
«E lei che ci fa qui?». Ci indicò come se avesse di fronte Satana e Gesù Bambino nella stessa stanza, non mi era chiaro se mi considerasse una specie di stupratore o cosa.
«Non ha importanza, dimmi cosa volevi e poi va via». Iniziai a spazientirmi.
«Si tratta di Mikhail. Capo ha preso il tuo posto e penso tu lo sappia, il punto è che ci manderà in bancarotta. Due finanziatori hanno appena ritirato i loro soldi, dicono di non volerci aiutare e questo dopo aver parlato con lui in ufficio. Ti dico solo che le parole più usate erano ‘’fottiti e culo’’ ..» fissai Nadja e lei chinò lo sguardo.
«Andava tutto bene vero? Uscite da qui. Entrambe». Gli ringhiai contro sbattendole fuori. Se ne andarono in silenzio e io afferrai il cellulare che riaccesi dopo una settimana di sparizione assoluta, ignorai i messaggi che continuavano ad arrivare componendo velocemente un numero.

– Qui è il presidente Volkov.
– Presidente dei coglioni, al massimo.
– Ma tu guarda chi si degna di chiamarmi.
– Spero tu sia pronto al mio ritorno Misha.
– Ovvio, dopo il lavoro andrò a comprare coriandoli e fuochi d’artificio.
– Fai bene, perché li scoppierò dopo aver ballato sul tuo cadavere.
– Ho come l’impressione di aver commesso qualcosa, ma cosa?
– Giuro che ti ammazzo Misha.
– Mi sei mancato fratello. Ehy non odiarmi, il lavoro era l’unica cosa che ti avrebbe fatto tornare.

Mi chiuse in faccia il telefono e io fissai sgomento lo schermo nero. Voleva mandarmi in bancarotta solo per vedermi riapparire? Purtroppo in vent’anni gli avevo insegnato di tutto, tranne che a comportarsi come ogni essere umano. Andava oltre le mie capacità. Steso sul letto fissavo il soffitto senza pensare a nulla, lasciando solo che immagini sconnesse scivolassero sul bianco immacolato di una tela improvvisata. Il mio rientro era ormai imminente, non potevo più posticiparlo né tantomeno lo volevo.

 

Mikhail POV

«Perché mi hai chiesto di vederci?». Accolsi così Nadja appena entrata nel mio appartamento. Avevo lasciato Sophì dormiente approfittandone e sgusciando fuori da quella casa che puzzava di depressione. Non mi parlava da giorni, non mi diceva che cazzo le avesse detto il padre. Niente di niente. Mi sentivo il protagonista di una sorta di gioco sadico: facciamo impazzire Misha.
«Se ti dicessi che voglio scopare, che risponderesti?». Mi sorrise furba, sapeva toccare i tasti giusti.
«Ti direi che mi sto già spogliando». Allargai le braccia passandole poi un calice di vino.
«Aleksandr tornerà tra pochi giorni». Affilai lo sguardo sedendomi su uno sgabello, bevendo lentamente senza staccarle gli occhi di dosso.
«Lo so, mi ha chiamato oggi». La vidi annuire e avvicinarsi, le nostre labbra si accarezzarono mentre le mie mani prendevano possesso dei suoi fianchi. C’era una sorta di disperazione e stanchezza nei suoi gesti mentre mi cingeva il collo avvicinandosi sempre di più; sembrava voler finalmente colmare le nostre distanze, la sentivo spaventata ma non riuscivo a capire da cosa.
«Ho speso la mia intera vita giurando lealtà a Sergej, mi sono resa conto troppo tardi che non ne valeva la pena». La sua voce era poco più che un sussurro mentre esponeva con parole chiare ciò che io pensavo da una vita. Non gli ero mai stato fedele, per me era solo un sacco di merda al pari di mio padre, ma a differenza dell’ultimo lui riusciva a cospargersi e ungersi di finta benevolenza. Mi dava il vomito. La cosa che più mi mandava ai matti era la consapevolezza che Shùra la pensasse come me, quindi perché non mi aveva mai assecondato? Per salvarmi la vita? Me ne fottevo della mia vita, non valeva comunque la pena viverla in queste condizioni. Eppure mentre spogliavo Nadja, mentre le sue dita si posavano sulla mia pelle dandomi piacere, il seme del dubbio si insinuò in me: forse un po’ iniziava a valerne la pena?

***

«Sgorbio portami il caffè in ufficio». Sorrisi ad Anastasia che mi fissò con una smorfia, mi odiava e non lo nascondeva neppure. Avrei dovuto usare un po’ dello charme che Shùra sfoggiava, restava un solo problema per mettere in atto quel piano .. che cazzo era lo charme?
«Amaro e bollente». Tirò su gli occhiali da vista porgendomi la tazza fumante, era seriamente un computer umano quella donna. Memorizzava dati, abitudini e tutto in pochi istanti, iniziavo e capire il perché Shùra la considerasse vitale e non l’avesse rimpiazzata con una bella figa.
«Ho appuntamenti per oggi?». Le sorrisi poggiandomi alla poltrona, avevo visto tutti i film del caso per dire le cose giuste e atteggiarmi a ‘’presidente’’ ma da come mi guardava lo sgorbio non sembravo riuscirci.
«Ieri ho visto Aleksandr, tornerà presto quindi facciamo che per i restanti giorni fingi di lavorare e resti chiuso qui giocando coi lego?». All’accenno su Shùra la mia schiena si raddrizzò. Lo aveva visto? Era qui?
«Dove cazzo è, se non vuoi che ti sfregi ancora di più quel viso da sgorbio .. ti conviene parlare». Mi sorrise furbamente, per la prima volta aveva il coltello dalla parte del manico. Questo ratto ignobile mi stava sempre più sui coglioni.
«Era in un motel.. – mi voltò le spalle allontanandosi, aprendo la porta per poi voltarsi – con Nadja». L’uscio si richiuse mentre aveva appena mosso uno scacco matto che mai più avrei dimenticato. Mi appuntai mentalmente: mai beffeggiare le sgorbie frigide, prima o poi ti avrebbero ripagato a caro prezzo.

 

Aleksandr POV

Rientrare in quella casa non mi era mai sembrato così difficile. Seduto in cucina attendevo gli altri due residenti che sembravano voler tardare come per farmela pagare, loro avevano atteso me per nove giorni e io adesso avrei dovuto attendere loro. Fissavo la punta delle mie scarpe in maniera ossessiva mentre il suono della chiave annunciava l’arrivo di coloro che attendevo.
«Sophì ti hanno truffata come cazzo devo dirtelo? Questo vaso non è in cristallo, è vetro di merda». Le loro voci concitate non erano cambiate di una virgola, sorrisi mio malgrado prima di sollevare lo sguardo su di loro. Il suono del vaso frantumato a terra seguì un singhiozzo di Sophia che si tappò immediatamente le labbra fissandomi inorridita. In effetti non potevo biasimarla, ero andato via integro e tornavo reduce da un incontro clandestino di lotta libera. Misha mi fissò senza sapere cosa dire, muovendo qualche passo dentro la stanza adesso troppo angusta.
«Shùra..» la sua voce cristallina era come sale nelle mie ferite. La guardai con freddezza per poi sorriderle.
«Non è nulla, solo una lite finita male». Scrollai le spalle versandomi del vino, lo bevvi avidamente deviando gli occhi di Misha che continuavano a scrutarmi. Lui sapeva che non c’era stata nessuna lite, ma non lo disse limitandosi a sedersi e ingozzarsi di blinciki. A quanto pare Sophia non aveva fatto altro in mia assenza.
«Hai idea di quanto fossimo preoccupati? Perché non hai chiamato? Ho sentito papà giorni fa, era preoccupato anche lui..» mi venne da ridere e quindi bevvi per sopperire la voglia annuendo poi con una gravità che non provavo.
«L’ho avvisato poco prima di venire, stai tranquilla». Mi si piazzò davanti sedendosi accanto a me, le sue mani afferrarono la mia e io non mi ritrassi continuando a guardarla.
«Papà ha detto ..papà ha detto che devo sposare un ragazzo. Qualcuno che conoscerò al matrimonio di Kolia, Shùra .. tu devi..» le parole gli vennero meno al solo guardarmi. Misha sputò il blinciki dandosi pacche sul petto, era evidente non lo sapesse fino a quel momento.
«Sposare chi? Cosa? Che cazzo state dicendo». Alzò il tono della voce e io mollai le mani di Sophia.Vidi i suoi occhi feriti piantarmi domande silenziose simili a coltelli, facevano più male delle percosse ricevute.
«Sono già stato informato anche di questo. Andrai a conoscerlo, non sposerai nessuno che tu non voglia Sophia..» Si alzò così repentinamente da rovesciare la sedia, vidi Misha fissarmi sgomento.
«Andrò a conoscerlo? Ma di che diavolo parli? Noi..» si bloccò fissando disperata Misha come se si aspettasse un aiuto da lui.
«Non esiste nessun noi per il momento, andremo tutti al matrimonio e tutti faremo la nostra cazzo di parte. Fine della storia». Mi voltai chiudendomi nella mia camera, alle mie orecchie mi giunse attutito il pianto di Sophia seguito dai cocci di vetro che venivano raccolti. Io stavo raccogliendo i miei, ma metterli insieme si stava rivelando più ardua del previsto.


Sophia smise di parlarmi, mi evitava come la peste nonostante la beccassi spesso a fissarmi come se non mi riconoscesse. Ero consapevole di ciò che vedeva, ma quella era l’unica soluzione se volevo mantenermi ancora in vita e far qualcosa di concreto per me stesso e soprattutto per lei.
«Parliamo». Misha entrò nel mio ufficio a passo di furia, si sedette senza invito scrutandomi con quelle pozze ghiacciate.
«Di cosa?». Continuai a firmare i documenti senza prestargli molta attenzione.
«Sei serio? Chi cazzo sei tu esattamente? Sono giorni che ti guardo senza riconoscerti.. voglio sapere cosa è successo in quei giorni». La sua voce era carica di tensione, poggiai la stilografica alzando gli occhi su di lui.
«Sergej ha scoperto di me e Sophia, quindi ..secondo te cosa può mai essere successo Misha?». Centellinai con cura quelle parole, snocciolandole col mio solito modo di fare calmo e pacato. Lo vidi pressarsi la fronte sbuffando.
«Perfetto. Quindi? Vuoi fermarti? Finisce così? MI SONO FATTO DA PARTE PER TE LURIDO BASTARDO, E TU VUOI MOLLARE TUTTO PER ESSERE IL CANE DI QUEL VERME?». Mi urlò quelle parole ad un centimetro dal viso, non mi scomposi limitandomi a sorridergli ambiguamente. Continuavo ancora a lasciarlo ai margini. Uscì dal mio ufficio sbattendo rabbiosamente la porta, pochi istanti dopo delle urla mi costrinsero a metter piede nel corridoio. Lo vidi sbattere al muro un nostro dipendente che tremava come una foglia cercando di rabbonirlo. Gli andai addosso, le mie dita si chiusero sulla sua giacca mentre lo scrollavo con veemenza.
«Quale cazzo di problemi hai?». Il malcapitato fuggì velocemente approfittando della mia comparsa. Le mie urla rimbombarono lungo il corridoio.
«Sei tu che dovresti dirmi quale cazzo di problema hai, Aleksandr». Mi spinse lontano da se, imprecai di dolore ma tornai ad afferrarlo per la giacca spintonandolo contro il muro.
«Non metterti in mezzo, so cosa fare». Sillabai quelle parole ad un centimetro dal suo viso.
«Scoparti Nadja fa parte del piano?». La sorpresa per quelle parole mi fece mollare la presa, ne approfittò per spintonarmi e allontanarsi.
«E anche quando? Sarebbe solo una scopata tra tante. O vuoi dirmi che ti piace? Condividiamola al massimo, abbiamo condiviso Sophia per vent’anni». Allargai le braccia sorridendo sghembo, mi si avventò contro pronto a sferrarmi un cazzotto, ma si bloccò.
«Ho mollato la presa su Sophia perché pensavo tu fossi molto più degno di me..inizio a pentirmi di quella scelta». Mi mollò disgustato andando via in fretta, mentre io restavo fermo a fissare la sua schiena guardandolo con occhi colmi di dolore. Finalmente un po’ di pace, almeno finché non lo vidi sparire in ascensore tornando quello di poco prima.

 

Sophia POV

Per darci un futuro migliore, mischiammo le nostre vite col demonio.

– La prego, mancano solo pochi dollari! Le posso dare tutto quel che vuole. La mia fede in oro, la vuole? La vuole?
– Tutto quel che voglio?
– Tutto quel che vuole. Lei chieda e le sarà dato, ma ci dia quei biglietti per Mosca.
– Non voglio niente in cambio. Dovrà solamente portare questa valigia e portarla all’ambasciata russa.
– Tutto qui? Non vuole altro?
– Tutto qui. E buon viaggio! Mi raccomando, la valigia.

Le ultime parole di mio marito, mentre tenevo in braccio la nostra piccola Sophia, prima di cadere a terra privo di vita, furono: ‘’Marina, andrà tutto bene’’.

Arrivammo a Mosca a stento, tutto grazie a quella misteriosa valigia nera che neanche ci apparteneva. Per un mese dormimmo nelle strade, sotto gli sguardi critici dei passanti russi che ci fissavano con superiorità. Era la prima volta che vedevo degli occhi blu così chiari e freddi nonostante le similitudini; così diversi da noi, strani, alieni. Sudici della nostra miseria decidemmo di partire con quella ventiquattrore decisi più che mai a trovare l’ambasciata, punto di riferimento e nostra unica speranza. Nessuno ci aiutò, nessuno provò a comprendere il russo povero di contenuti di due giovani di campagna che puzzavano di concime e paglia. Eravamo soli, noi.

Perdemmo il conto dei giorni. Ricordavo solamente d’aver assistito a sette albe e sette tramonti, poi cominciai a non badare più allo scorrere del tempo. Girammo in lungo in largo, a destra e manca senza farci scappare neanche il più piccolo ed insignificante indizio che potesse tornarci utile. Poi, quando il sole sorse per l’ennesima volta, riuscimmo ad intravedere dall’altra parte di una stradina, chissà dove, abbastanza visibile una bandiera. Mi fermai e mi fissai in giro, sospettosa.

– Non mi piace.
– Andiamo, stiamo girando da giorni. Ora che ci siamo perché devi rovinare tutto?
– Non andare.
– Marina, fidati di me. Andrà tutto bene. Aspettami qui, io torno subito.

Entrò e sparì dietro la porta, inghiottito da quell’edificio che di rassicurante aveva poco e nulla. Io, invece, mi cinsi il ventre ed aspettai dieci, quindici, venti, trenta minuti. Continuavo ad aspettarlo nel silenzio più totale poi mi decisi a muovere un primo passo per attraversare la strada che ci divideva, ormai impaziente e preoccupata.

Un passo,

un altro passo,

un altro passo ancora.

Uno sparo,

due,

tre,

cinque.

Urla poi il silenzio più totale. Qualcuno uscì di lì, giacca e cravatta, facendo finta di nulla. Tra loro c’era un uomo che per il suo portamento e l’aria autoritaria ed impassibile si distingueva da tutti gli altri. Lo guardai per una frazione di secondo, ancora inconsapevole. Non lasciai neanche per un secondo la vestaglia (quella che mi regalò mia nonna per affrontare le notti gelate) con la quale riparavo mi figlia di soli otto mesi dal freddo.
Ero sulla soglia della porta, con mezzo piede all’inferno. Mi bastò guardare quel paesaggio apocalittico per smettere di respirare e squarciare quel silenzio irreale e rumoroso.

«Возьмите ( prendetela )».

 

Cosa stava succedendo? Cosa stava succedendo a quella vita che pensavo di aver costruito su solidi affetti e verità indissolubili? Gli occhi di Shùra continuavano a tormentarmi da quella notte, non erano gli stessi era come se un velo vi fosse calato impedendomi di vedere. Di razionalizzare. Di capire quale fosse la strada più giusta da intraprendere. Nonostante la mia mente mi orientasse sull’epilogo più doloroso, il cuore sembrava rifiutarsi di seguirla. Non potevo credere fosse stata tutta una bugia, non potevo credere mi stesse semplicemente gettando via, e ogni volta che provavo a chiederglielo la voce non usciva, non riuscivo a guardarlo quando lo faceva lui, e continuavo a capo chino vivendo dei giorni di intima solitudine. Chi ero? Iniziavo a non saperlo più. Ero sempre stata sicura di me stessa, sicura della gente che mi amava e proteggeva da una vita, perdere loro equivaleva a perdere me stessa, non riuscivo a respirare a quel pensiero. Mi alzai uscendo dalla camera nella quale stavo rintanata, vidi Shùra seduto sul divano in silenzio a braccia incrociate, era come se mi aspettasse.
«Non sei andato a lavoro?». Non mi fissò, voleva forse ripagarmi con la stessa moneta?
«Sono tornato prima, volevo stare con te senza nessuno attorno». Il mio cuore perse un battito, mentre la mia mente si riempiva di confusione. Presi posto nell’angolo più lontano del divano portando le ginocchia al petto che cinsi con le braccia.
«Quindi vuoi ancora stare con me?». La mio voce uscì spezzata, non la riconobbi. Ma riconobbi per un istante i suoi occhi nel momento in cui si posarono su di me.
«Devi fidarti di me. Devi fidarti anche quando tutto appare senza speranza». Mi stava confondendo di proposito? Voleva tenermi buona dopo avermi mollato? Il mio cuore ancora una volta non ascoltò la mente e mi ritrovai a piangere in silenzio.
«Come puoi chiedermi questo.. non voglio sposare nessuno. Io voglio stare con te». Mi sentivo così patetica mentre asciugavo le mie lacrime rifiutandomi di guardarlo.
«Non sposerai nessuno che tu non voglia, Sophia». Era così sicuro di se, pure quando le mie speranze naufragavano.
«Non voglio parlare di altri. Voglio parlare di noi..  mio padre ha detto che ti sei fatto una gran bella risata parlando di tutti i castelli in aria che mi sono fatta su di noi. E’ così? Mi devi guardare e devi dirmi se è così». Lo afferrai per la maglia, le mie dita si strinsero sul tessuto convulsamente mentre provavo a scrutare quei pozzi neri e all’apparenza vuoti.
«Tu che dici? Ho detto sul serio quelle cose?». Ancora domande e nessuna risposta.
«Cosa vuoi esattamente? Vuoi che creda ciecamente? Vuoi che creda nonostante tutto mi porti a lasciar perdere? Nonostante tu mi porti a lasciar perdere». Avvicinò il viso lasciando unire le nostre fronti, chiuse gli occhi e io persi il mio baricentro. Da chi potevo avere la verità che tanto cercavo? Era sul serio così semplice? Dovevo sul serio seguire le mie emozioni e non dubitare ancora?
«Giobbe ha creduto, anche quando Dio gli ha tolto ogni cosa». Mormorò quelle parole respirando profondamente, lo faceva sempre quando voleva sentire il mio odore. Baciai le sue labbra ferite che si mischiarono alle mie lacrime, ero sicura bruciasse in quel momento ma non si scostò. Restammo avvinghiati nel  buio della notte finché la mattina persi ancora le tracce di lui, e con esse anche la mia fede. Volevo che qualcuno mi insegnasse ad averla. Iniziai a guardarlo con occhi diversi, iniziai a fissare i suoi tatuaggi che per anni mi erano sembrati solo scarabocchi di un’anima egocentrica. Iniziai a fissare le cicatrici sul suo corpo, erano sul serio semplici cadute senza importanza?

 

Mikhail POV

La casa in penombra accolse il ticchettio dei suoi tacchi, non mi notò finché non accesi la lampada sul comodino. La vidi sobbalzare fissandomi in tralice.
«Ti sei deciso a venire finalmente?». Mi si avvicinò e io non mi spostai lasciando che le sue dita carezzassero le mie guance.
«Ho avuto del lavoro da fare». Eri in un motel con Aleksandr? Hai scopato con lui? Volevo porle quelle domande, ma il mio orgoglio me lo impediva. Stava crollando tutto a pezzi e io sembravo l’unico a rendersene conto. Sophia era chiusa nella sua personale bolla di dolore, Nadja mi mentiva, e Shùra.. quando ancora non sapevo che fine avesse fatto mi auguravo solo tornasse vivo e vegeto. Ma quando i miei occhi avevano incontrato i suoi in cucina mi ero trovato di fronte un morto. Non riuscivo a riconoscerlo, per quanto mi sforzassi non riuscivo più a penetrare quella corazza che forgiava da una vita, quella corazza invalicabile per tutti tranne che per me. Tramava qualcosa, ma cosa?
«Ho saputo che hai di nuovo litigato con Aleksandr, Misha è ancora ferito ti prenderai tu la responsabilità se gli salteranno i punti?». Fracassai il mio bicchiere contro il muro e la vidi impallidire sgomenta. Le afferrai il polso strattonandola finché la punta del suo naso non toccò la mia.
«Da quanto ti preoccupi così tanto?». Le sorrisi ma il mio sorriso non arrivò agli occhi che restarono freddi e taglienti.
«Prima di essere la tua donna, sono un medico». Provò a divincolarsi ma non glielo permisi.
«Ho una domanda, anzi due. Hai scopato con lui?». Mi fissò come se fossi impazzito ma fu solo un secondo.
«Esci fuori da casa mia». Strattonò con forza il braccio allontanandosi da me, fissandomi inviperita. Suppongo avessi adesso la risposta alle mie domande. Non era stata lei a darmele, ma Shùra e come sempre me ne resi conto tardi. Lasciai il suo appartamento senza dire più nulla. Alla fine non le avevo neppure posto l’altra domanda.


Lo trovai a fumare sui gradini del palazzo, non sapevo se aspettasse me o fosse solo una casualità.
«Che ci fai qui?». Mi guardò brevemente tornando a fissare la strada di fronte a se, scrollando le spalle.
«Provo a stare in pace per qualche minuto». Non sapevo bene cosa avesse voluto dire, ma supponevo che la situazione con Sophia non fosse delle più idilliache.
«Perché mi hai fatto credere di aver scopato con Nadja». Sorrise e per un secondo rividi Shùra.
«Io non ti ho fatto credere nulla, sei tu ad aver creduto ciò che volevi Misha. Ti ho chiesto solo se potevamo dividerla.. ti costava tanto rispondere che stavolta la volevi tutta per te? Che era quella giusta in questo preciso momento della tua vita?». Quindi andava così, il bastardo machiavellico ordiva trappole e io continuavo a caderci come un coglione? Fantastico.
«Non puoi dire le cose come la gente normale? Gradirei non sentirmi sempre in un fottuto gioco mentale in tua presenza». La nube di fumo che uscì dalla sua bocca mi oscurò per un istante la figura seduta, mi sembrò di vederlo piangere ma quando sbattei le palpebre lui stava ancora lì, fermo e con gli occhi aridi. Mi sentivo a disagio.
«Vai a dormire Misha, tra poche settimane andremo a Mosca per il matrimonio. Inizierà un periodo duro per tutti..». Che cazzo voleva dire adesso? Dio santo perché mi era toccato vivere con Saw l’enigmista?
«C’è qualcosa che non mi stai dicendo?». Domanda banale lo ammetto, ma appropriata alla mia confusione.
«Ci sono tante cose che non ti sto dicendo, ed è inutile tu le chieda..». Gettò la cicca alzandosi e allontanandosi lungo la via, lasciandomi solo come uno stronzo. Come lo stronzo che ero da una vita probabilmente.
«POTEVI DIRMI PRIMA DI NON AVER SCOPATO CON LEI, BASTARDO INFAME.  PER COLPA TUA MI HA MOLLATO».  La colpa non era sua, e lo sapevamo entrambi. Sollevò il braccio sventolandolo a mo di saluto, mi sembrò quasi la sua figura divenisse evanescente.

 

Aleksandr POV

I problemi chiamavano problemi, era come un effetto domino difficile da fermare. Per la prima volta nella mia vita stavo pensando seriamente a come vedere affondare una nave ben collaudata, salvando una singola scialuppa prima che il resto dell’equipaggio si accorgesse della falla. Tutti erano ignari dei meccanismi ormai avviati nella mia mente, le percosse al capannone non avevano fatto altro che smuovere ciò che a lungo era rimasto sopito nel mio animo. Aleksandr Belov aveva scelto la sua vita una notte d’inverno a San Pietroburgo, e da quella vita ne uscivi solo da morto.  Lo sapevo bene e non mi sarei tirato indietro, bisognava attendere solo il momento giusto per tirare le fantomatiche cuoia.
«Chiamatemi Misha immediatamente». Mentre attendevo il momento propizio cercavo di risolvere i casini che ormai sembravano messi lì per ricordarmi bene chi mi fosse accanto. Lo vidi entrare con occhi carichi di sfida.
«Mi hai di nuovo prosciugato il conto, assurdo». Il suo modo di trovare la ragione ovunque non ci fosse era disarmante.
«Secondo me e Sergej l’unico modo di inculcarti giudizio è questo, toglierti il denaro piccolo bastardo avido». Gli sorrisi.
«Non ti stanchi mai di fargli da cagnolino?». Mi provocò avvicinandosi appena.
«Se denigrarmi ti fa star meglio continua pure». Scrollai le spalle con espressione vuota.
«Ti costa così tanto prendere le mie difese almeno una volta?». I miei occhi si affilarono.
«Le prendo sempre quando c'è da prenderle, se mi ammazzi un poliziotto non posso sicuramente farti applauso e balletto. Dovevi solo osservare e supervisionare .. hai ucciso un poliziotto. UN FOTTUTO POLIZIOTTO». La mia mano si schiantò contro la scrivania. Lo vidi irrigidirsi, non avrebbe comunque ammesso i suoi errori.
«Ha gironzolato nel posto sbagliato al momento sbagliato, devo proteggere gli affari». Tornò di nuovo sulla difensiva.
«Bisogna proteggerli usando anche il cervello, non solo le cazzo di armi Misha. Sapere maneggiare un’arma non fa di te un Dio .. quanto te ne renderai conto? Quando avremo entrambi metri di terra addosso?». Lo fissai ansante, ero stanco.
«Magari da morti un po’ di pace l’avremo». Non aveva detto qualcosa di completamente sbagliato, quello in fondo era il mio piano. Mi avrebbe seguito all’inferno?

*** 

«Sophia getta quel gelato, dobbiamo andare». Mi obbedì senza guardarmi, Misha si alzò superandomi in silenzio e io li seguii senza staccare gli occhi dalle loro schiene. Mosca ci stava aspettando. Sergej ci stava aspettando. Il misterioso uomo ci stava aspettando. Sorrisi; non sapevano che ero io ad attendere tutti loro nel varco immaginario che avevo creato.
Era passato un mese da quella fatidica notte, i punti si erano asciugati e i lividi andavano sbiadendo, ma le ferite nella mia anima continuavano a perdere materia infetta senza sosta.

 

  
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