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Autore: Luana89    15/06/2017    2 recensioni
«Misha, sai cosa dicevano i navajo mentre camminavano in questo preciso luogo?» Sophia ci guardò come se si aspettasse una risposta, io scrollai semplicemente le spalle dando l’ennesimo tiro alla mia sigaretta. La sua voce divenne improvvisamente bassa, era l’eco di ogni mio battito. «Con la bellezza dinanzi a me avanzo. Con la bellezza dietro di me avanzo. Con la bellezza sotto di me avanzo. Con la bellezza sopra di me avanzo – l’aria si fermò improvvisamente, quasi ascoltasse anche lei – Finisce nella bellezza. Finisce nella bellezza» Sophia chiuse gli occhi come se cercasse di assaporarne meglio le parole. Misha corrugò la fronte probabilmente riflettendo sul senso di quel discorso. «E perché me lo stai dicendo?». Il silenzio ci assordò per qualche attimo.
«Sostituisci la parola ‘’bellezza’’ con ciò che ami di più, e avrai la risposta al quesito» gettai a terra la sigaretta allontanandomi da loro, mentre il mio riflesso diveniva simile ad un miraggio.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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ACT XIII

 
Mosca:


Nessuno di noi aveva parlato granché durante il volo, probabilmente condividevamo i medesimi pensieri posti semplicemente in modi e prospettive diverse. Misha fu il primo a scendere dalla berlina e prendere un taxi, ero sicuro fosse diretto da Nadja a quanto sembrava la bella bionda era arrivata col volo della notte e non sembrava propensa a perdonarlo. Per cosa era un mistero, anche se a giudicare dalla nostra ultima conversazione qualche idea me l’ero fatta. Non potevo comunque preoccuparmi molto della sua situazione sentimentale ed emotiva, non quando avevo di fronte Sergej che mi squadrava come a volermi entrar dentro e capire se ciò che vedesse in quel momento corrispondesse alla realtà.
«Siete arrivati finalmente?». Ci accolse con un sorriso bonario spalancando le braccia per poter finalmente coccolare la figlia che non vedeva da mesi. Sophia non se lo fece ripetere due volte, seppellì il viso contro il suo petto stringendolo forte. I nostri occhi si incrociarono e soppesarono, abbassai per primi i miei superandoli e dirigendomi nell’ala ovest che mi aveva visto crescere per vent’anni. Viktor adesso vecchio si alzò dalla sedia venendomi incontro con la schiena ricurva, i suoi settant’anni suonati sembravano pesargli dieci volte di più; probabilmente la consapevolezza dei propri sbagli col tempo diveniva un peso difficile da sopportare.
«Shùra, finalmente sei tornato. Dov’è Misha?». Mi accarezzò il viso con dita tremanti e finalmente sorrisi sinceramente.
«E’ andato a trovare una persona, sono sicuro che presto sarà qui ..non vede l’ora di vederti». Gli diedi un bacio sulla guancia prendendo la mia valigia e dirigendomi finalmente nella mia camera. Quando aprii la porta la prima cosa che vidi fu il letto dalle lenzuola candide, mi bloccai all’ingresso mentre una piccola Sophia di appena diciotto anni sfrecciava all’interno, superando il mio braccio teso per dirigersi verso un me stesso ventunenne stravaccato sul comodo materasso intento a leggere un fumetto.
 
 

«Andiamo al parco a fare la ruota?». Il letto cigolò muovendosi fastidiosamente mentre il suo corpo smilzo e adesso tondo in quasi tutti i punti giusti continuava a saltare eccitato.
«Sonech’ka.. non vedi che sto leggendo?». Mossi il libro che avevo tra le mani indicandoglielo in maniera ovvia.
«Oggi è il mio compleanno, sono appena divenuta maggiorenne..» ancora un broncio, uno dei tanti che metteva su e che puntualmente mi addolcivano.
«Allora dovresti avere desideri da adulta adesso, e invece continui a fare richieste da mocciosa». La presi in giro chiudendo il fumetto, girandomi a pancia in su per fissare il soffitto. La sua faccia fece capolino improvvisamente oscurandomi la visuale, i lunghi capelli scuri solleticarono le mie guance. Aveva un profumo così buono.
«Voglio il mio regalo, so che lo hai già comprato. Cos’è? Una collana? Un anello? Un’altra auto? Eh?». La sua voce eccitata mi fece ridere, allungai una mano piazzandogliela dritta in faccia tirandole il naso con forza finché il suo urlo non mi perforò un timpano.
«Avrai il tuo regalo prima della festa di stasera, promesso» la vidi massaggiarsi la punta arrossata del naso fissandomi malevola.
«Ti conviene sia perfetto e bellissimo, o la pagherai bastardino». Misha entrò in quel momento ruttando in maniera teatrale come suo solito. Sophia gli lanciò il cuscino e le nostre risate si mischiarono alle urla di Viktor che ci chiedeva di far silenzio.
 
Un altro bel ricordo.
 
«Che fai qui impalato?». Tirai su col naso sfregandomi gli occhi con forza, mi bruciavano come se avessi fissato il sole per ore intere. Misha stava poggiato contro il muro, l’aria scocciata e nervosa.
«Pensavo fossi andato a chiedere perdono in ginocchio a Nadja». Lo fissai con una punta di ironia e la sua smorfia valse più di mille risposte.
«Non ne avevo voglia, così sono tornato». Scoppiai a ridere.
«Non avevi il fegato cazzetto, ammazzi gente da anni e ti sciogli tremando per una donna». Lo vidi fissarmi astioso mentre gli sbattevo l’uscio in faccia. Suppongo pensasse fossi l’ultimo a poter parlare in quel preciso momento probabilmente..
Non lasciai la mia camera per tutto il pomeriggio, l’indomani avrebbe avuto luogo il matrimonio e francamente volevo godermi un po’ di respiro prima di affrontare gli occhi delusi della donna che amavo, e quelli del padre così perennemente attenti e pieni di cose che non volevo vedere. Non più.
 

Mikhail POV

 
Quell’infame aveva ragione, nonostante avessi preso un taxi diretto da Nadja lo avevo bloccato oltre i cancelli della villa per poi tornare indietro. Che cazzo avrei potuto dirle in fondo? Avevo toppato alla grande, mi ero fatto trascinare dalla mia solita gelosia insensata, avevo mostrato un’insicurezza che solitamente non mi permettevo di avere. O meglio solitamente riuscivo a nasconderla egregiamente. Chiamai Irina, parlammo per ore e la sua voce diveniva via via più spenta, le chiesi se ci fosse qualcosa che non andava ma la sua risposta negativa mi zittì. Francamente parlando da quando Shùra era scomparso  i miei brutti presentimenti non mi lasciavano vivere in pace, mi svegliavo nel cuore della notte fradicio di sudore e col respiro pesante come se qualcuno si fosse seduto sul mio petto comprimendolo a fissarmi in maniera ossessiva. E da quando era riapparso quel malessere sembrava addirittura peggiorato. Mi sedetti su una delle panche in pietra del maestoso giardino già addobbato per i festeggiamenti, il rumore di passi mi costrinse a voltare il capo e fissare una figura familiare.
«Perché ti nascondi qui?». Mi sorrise e io mi sciolsi, come sempre del resto. Sophì restava uno dei perni della mia vita, nessuno riusciva a farmi sentire amato e accettato come lei. A parte Shùra.
«Non mi nascondo, cercavo solo di star lontano dallo stress matrimoniale». La sua risata cristallina coinvolse anche la mia, le feci posto e si sedette accanto a me.
«Papà mi ha fatto confezionare un abito bellissimo, quasi più bello di quello dei miei diciotto anni». Era una smorfiosetta adorabile.
«Impossibile, quell’abito era il migliore in assoluto». Annuì soddisfatta delle mie parole, aveva parlato di quell’abito per i due anni successivi, non so se mi spiego.
«Esatto, l’unico idiota ad avermi preso in giro è stato..» la voce venne meno, probabilmente il suo nome se prima era una piacevole abitudine improvvisamente sembrava divenuto una condanna. Il silenzio calò tra di noi.
«Sophì, io penso Shùra ti ami. Non so quale tipo di problema mentale lui abbia al momento, visto che pensavo fossi io il pazzo della famiglia .. ma so per certo ch ti ama». Mi fissò con tenerezza accarezzandomi i capelli, anche quando ero io a consolare lei mi sentivo ugualmente un bambino che giocava a fare l’adulto.
«Misha, tu hai fede?». Aggrottai la fronte stringendo il cellulare tra le mani, da piccolo Shùra mi recitava spesso versetti di quel libro che ai miei occhi era più assurdo di qualsiasi storia fantascientifica mai scritta. Eppure annuii.
«Ho fede. Ho un tipo di fede di merda, ma credo di averla». La guardai e lei chinò il capo.
«Giobbe ebbe fede anche quando Dio gli tolse tutto». Recitò quelle parole e io capii da chi provenissero. Ogni volta che affrontavamo un momento ‘’no’’ da bambini, Shùra le ripeteva come una sorta di mantra. Mi sentii ancora più confuso, non capivo più quale fosse la giusta via da seguire. La voce di Kolia in lontananza ci interruppe.
«Vai da lui, io ho da fare». Le diedi un pizzicotto sulla guancia per poi alzarmi velocemente diretto ai cancelli. Piuttosto che la parabola su Giobbe, mi interessava più il ‘’Se Maometto non va alla montagna, sarà la montagna ad andare da Maometto’’. Le religioni erano tante, ma le lezioni ripetitive in fondo.
 
***
 
 I capelli sciolti e appena umidi di doccia, mi accolse con quel profumo familiare e gli occhi guardinghi. La superai entrando nella stanza lussuosa che Sergej le aveva prenotato.
«Sei ancora incazzata con me, ciarlatana?». La fissai sorridendo ambiguamente, ma lei non sembrava in vena di ridere e scherzare.
«Ti avevo detto di non farti vedere, hai serie difficoltà di comprensione». Incrociò le braccia al petto battendo il piede nudo contro la moquette in maniera nervosa.
«Non mi piacciono le questioni insolute». Allargai le braccia avvicinandomi, lei mi superò abilmente sedendosi sul divano. Avevo ampiamente capito l’antifona, si.
«Non c’è nessuna questione ‘’insoluta’’, ci sei tu e le tue accuse assurde nei miei confronti Misha». Era la prima volta che mi chiamava così.
«Vuoi biasimarmi? Ti ho rincorso per dieci fottuti giorni mentre tu ti divertivi a fare la misteriosa, e quando chiedo mi viene detto che la MIA donna è stata vista in un cazzo di motel con un altro uomo». Alzai appena il tono della voce avanzando verso di lei che si ritrasse nervosamente.
«L’altro uomo è Shùra, e come hai visto dal suo viso e dalle sue ferite il tempo per toccarmi le tette non lo ha avuto. E NON AVVICINARTI». La sua voce si inviperì, ormai avevo imparato a conoscerla un po’ e quando si schermiva aveva paura.
«Hai paura di me?». Non ci potevo credere. Restò in silenzio qualche istante che mi parve interminabile.
«Qui a Mosca conobbi un uomo, lavorava per Sergej.. intrecciammo una relazione che durò parecchi anni. Ho consumato la mia giovinezza con lui e con le sue percosse. Quando ti poni come la scorsa sera mi ricordi lui ..e mi dai la nausea». Se mi avesse schiaffeggiato probabilmente ci sarei rimasto meno di merda. Mi sentii un pezzente.
«Non ti toccherei neanche con un dito Nadja.. » era assurdo dovessi affrontare una conversazione simile. Okay, non ero uno stinco di santo, ma neppure nei miei momenti più feroci mi sarei mai sognato di picchiarla. Avevo sognato di sfregiare quello sgorbio di segretaria che aveva Shùra, ma non la catalogavo tra le donne quindi era irrilevante.
«Lui verrà ancora a cercarmi, me lo sento..» la sua voce divenne un sussurro appena udibile. Il mio viso una maschera impietrita.
«Ci sono io adesso, e tanto basta a chiudere questa discussione». Ci fissammo a lungo e in silenzio finché non la vidi avanzare verso di me. Non fu un abbraccio come gli altri, lei richiedeva – anzi no esigeva – protezione ..e amore. Qualcosa che per vent’anni ero sicuro di aver dato alla mia Sophì. Improvvisamente mi resi conto che più che darlo a lei, lo avevo cercato per me e per le mie insicurezze; e nonostante non fossi uno stratega delle relazioni mi bastò per capire quanto tempo avessi sprecato e quanto invece ne stessi guadagnando adesso.

 
 

Aleksandr POV

 
Il tanto atteso (da chi??) matrimonio era finalmente giunto, me ne stavo nascosto contro una delle grandi colonne in marmo dell’ingresso fissando ossessivamente le scalinate che conducevano all’ala principale della casa, laddove sapevo vi era la stanza di Sophia.
Avevo visto Sergej quella mattina, mi aveva affidato l’ennesimo incarico riponendo in me la sua cieca fiducia mentre io sorridevo ambiguamente e annuivo compiaciuto dal suo tono.
La vidi in quell’istante, aveva un abito bianco, stretto in vita e dalla gonna lunga che ne fasciava le curve armoniche. Le sue esili dita lo tenevano alzato scendendo con cautela i gradini e io venni nuovamente sbalzato ad un altro ricordo. Il più importante.
 
 
Indossava un abito rosa talmente pallido da risultare quasi trasparente, la consistenza vista in lontananza sembrava impalpabile come se accarezzassi le nuvole in cielo, e i piccoli diamanti che adornavano il corpetto aderente la rendevano scintillante. Assolutamente deliziosa. Assolutamente Sonech’ka.
‘’Shùra!’’ Mi salutò così dalle scale, io l’attendevo sul finale come suo cavaliere ufficiale alla festa. La sua festa, il giorno più importante – a suo dire – della sua intera vita: i diciotto anni.
«Come sto?». Fece un giro lasciando svolazzare la lunga gonna.
«Sembri un misto tra un lampadario e una bomboniera, sei raccapricciante». Annuii convinto scostandomi appena in tempo prima che la sua scarpina di seta non si schiantasse contro il mio stinco. Si morse il labbro nervosamente guardandomi truce.
«Avrai mai una parola buona per me? Ah .. lascia perdere, mi irriti, dammi solo il mio regalo su..» allungò la mano verso di me muovendo energicamente le dita. Le porsi un libro. Un libro di poesie smunto e consunto, dalla copertina sbiadita e le pagine ingiallite.
«Prenditene cura, è un libro importante per me». Le sorrisi ambiguamente mentre le consegnavo il libro di mia madre che al suo interno, rilegato con cura, conteneva ancora i famosi diecimila dollari intatti.
«Sei serio? Mi stai regalando un misero libro per il mio ..compleanno? Sei così avaro con tutti o riservi questo delizioso pregio solo per me?». Mi fissò risentita rigirandosi il libro vecchio tra le mani, risi a bassa voce prendendole la mano.
«Non lo sai? Non bisogna mai giudicare un libro dalla copertina Sonech’ka: ‘’ Il nostro tempo fugge via. Tutto muta e porta via con sé, per il tuo poeta, diletta mia, di tenebra tu sei già vestita. E anche il poeta è morto per te’’». Mi fissò sbattendo le lunghe ciglia a bocca spalancata.
«Ma è così triste e struggente.. e comunque, sono ancora arrabbiatissima con te». La vidi arrossire e sorrisi.
«Non lo sai? Alle volte un libro salva una vita..». Io non avevo consegnato un semplice libro a Sophia. A soli ventuno anni le avevo consegnato tra le mani la mia vita: presente, passata e futura. Persino in quegli anni spensierati io sapevo, sapevo che lei era la custode della mia esistenza occulta. Era la custode di Aleksandr Petrov.
 

Stavolta non le andai incontro, la vidi bloccarsi sugli ultimi scalini e scandagliare con gli occhi felini ogni anfratto del grande ingesso alla mia ricerca. Al posto mio arrivò Sergej a darle il braccio, si sorrisero e io sentii la nausea invadermi.
«Sei bellissima, come sempre». Le diede un buffetto sulla mano continuando a camminare.
«Ti rendi conto di avermi preso un abito bianco? Solo la sposa dovrebbe usare quel colore oggi..». Lo punzecchiò con divertimento, non le dispiaceva poi molto conoscendola.
«Al diavolo la sposa, non ha la metà della tua bellezza. E poi sei mia figlia, il mio gioiello, e devi far sfigurare tutte. Andrej non vede l’ora di conoscerti». Mi allontanai in quel momento, era abbastanza per me.
Sophia fu la testimone di Kolia, teneva in mano un mazzo di rose e sorrideva al fratello che amava innocentemente. Non seguii neppure un singolo passo della cerimonia mentre i miei occhi bevevano come assetati la figura che spesso mi cercava con lo sguardo.
 
In quel tempo Gesù disse: "All'inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne.
L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto’’.
 
Gli applausi decretarono la fine di quella che per me era a tutti gli effetti una farsa bella e buona, uscii dal patio adornato e Misha mi venne incontro.
«Bella merda, mi sono addormentato due volte ..qualcuno mi ha sentito russare?». Lo fissai scuotendo il capo spintonandolo verso il buffet.
 
Bagnai le mie mani schizzando l’acqua sul marmo pregiato del bagno, una delle porte si aprì e apparve Dimitri Cernenko, forse questo era il momento di spiegare chi fosse. Dimitri, Dìma per la famiglia, non è altro che il figlio di Felix Cernenko colui che insieme a Sergej fondò la Bratva ormai anni e anni fa. Felix morì in un agguato, e al giovane Dimitri toccò ereditare tutto; non che gli dispiacesse, in se lui aveva qualcosa che io neppure in mille anni avrei posseduto: l’oscurità di un’anima nata nera e malvagia fin dal primo vagito.
I suoi occhi irriverenti mi fissarono dallo specchio, ci sorridemmo con sincerità. Aveva capelli biondi, una stazza eccessiva che veniva spalleggiata dal suo metro e novanta d’altezza. Ogni volta che si muoveva sembrava voler dire ‘’Io sono invincibile e tu ..non vali un cazzo’’.
«I lividi ti donano Shùra». Mi canzonò bonariamente, era evidente fosse stato informato della cosa a differenza di Kolia che viveva perennemente ai margini.
«Ammetto di avere vagamente fascino». Stetti al gioco sistemandomi i capelli.
«Oltre ad avere fascino mi auguro tu abbia anche sale in zucca. La famiglia è il tuo sangue, non le donne». Per Dìma la fratellanza era tutto, cresciuto in quella casa disprezzando Kolia che a sua volta lo considerava un ‘’fratello’’, sapevo per certo meditasse di ammazzarlo e prendersi tutto il potere alla fine dei giochi. Annuii e venimmo interrotti da altre tre comparse: Sergej, Misha e ..Andrej.
«Oh eccovi qui entrambi, giusto in tempo per presentarvi Andrej». Un cenno secco del capo da parte di Dìma, e un mio sguardo freddo attraverso lo specchio. Misha restò in silenzio.
«Domani alla riunione vi dirò in che modo entrerà con noi in affari». Il ragazzo appena più basso di me e dai capelli rossicci sorrise, vidi la falsità nei suoi occhi ma non me ne curai.
«Lavorare per il Vor è un onore». La risata di Sergej echeggiò lungo la stanza, io continuai a non voltarmi.
«Non chiamarmi così, è un nome che odio ..preferisco ‘’imprenditore’’». Misha curvò le labbra all’ingiù, pensai pure di averlo sentito sbuffare. Andarono via sorridenti insieme a Dìma mentre i miei occhi carichi di crudeltà li seguirono finché la porta non rimbombò dietro di loro.
«Fai sul serio?» Misha finalmente parlò, eravamo adesso soli.
«Dipende a cosa ti riferisci». Mi voltai poggiandomi ai lavabi con le braccia incrociate al petto.
«Pronto? Quel coglione dovrà sposare Sophì, ripeto: pronto?». Imitò un cornetta con le dita, era così infantile.
«E quindi?». Mi fissò sbigottito scuotendo il capo lentamente.
«Vuoi sul serio lasciar correre? Shùra ma hai preso a drogarti o cosa?». Si avvicinò e io mi ritrassi superandolo pronto ad andar via.
«Ti ho detto di restarne fuori, perché cazzo non obbedisci in silenzio almeno per una volta?». Strinsi la maniglia della porta con rabbia.
«Perché sono appena diventato il tuo peggior nemico. Se continuerai a chinare il capo ..io ti ucciderò con le mie mani. Preferisco saperti morto piuttosto che un cane rognoso alle sue dipendenze. E non cederò Sophì a quell’esaltato, ha la faccia del bastardo e io me ne intendo». La sua voce disgustata mi fece sorridere, lo fissai in silenzio per poi mollarlo lì a sbraitare la sua rabbia contro il nulla.
 
La musica tediava la mia serata, il mio calvario personale, mentre sorseggiavo champagne fissando Sophia sorridere a quell’uomo. Non so bene se raggiunsi il punto di rottura all’annuncio del loro futuro quanto imminente fidanzamento ufficiale, o quando li osservai aprire le danze. A occhi esterni sembrava tutto perfettamente normale, i miei soliti modi affabili ma freddi, gli occhi falsi ma stranamente affascinanti, ottimo oratore con tutti e con il sorriso sempre pronto. Ma dentro le ferite continuavano a perdere sostanza infetta.
Poggiai il calice di vino, Sergej assimilava ogni mio più piccolo movimento ma stavolta nessun agguato mi avrebbe atteso al varco, non sarei uscito così da quel campo minato. Né avrei pestato alcuna bomba al mio passaggio. L’unico che sarebbe sparito era sicuramente il coglione che al momento stringeva Sophia tra le braccia a bordo pista.
«Balli con me?». Sorrisi a Nadja che mi fissò stupefatta, con la coda dell’occhio la vidi cercare Misha risi di gusto trascinandola con me. Non era lei quella che volevo, ma era lei che al momento mi serviva.
«Dovresti starmi lontano per il momento, diciamo che Misha è lievemente alterato». La feci volteggiare a bordo pista avvicinandomi alla coppia che miravo.
«Lascialo cuocere ancora un po’, è giusto così. Capirà quanto ci tiene solo con terapie d’urto». La voce vagamente assente si sporcò di divertimento mio malgrado.
«Aleksandr, Shùra… non sei quindi immune alla gelosia? Dovrai convivere col suo fidanzamento da oggi, o diverrai come gli ometti che tanto detesti». Mollai la presa su di lei con uno sterile sorriso.
«Hai studiato bene la lezione». Le feci un mezzo inchino uscendo fuori dalla pista, perdendomi tra la folla.
 

Sophia POV


I ricordi sono solo un combustibile per alimentare la vita. E se per caso quel combustibile non ce l’avessi, se il cassetto dei ricordi dentro di me non esistesse, penso che già da un bel po’sarei stata spezzata in due di netto. Sarei morta sul ciglio della strada, raggomitolata in qualche miserabile buco. Che si tratti di cose importanti o di cavolate, è perché riesco a pescare nel cassetto tanti ricordi, uno dopo l’altro, che posso continuare a modo mio a tirare avanti.
In quella sala da ballo eravamo in tre: io, Andrej e Shùra. Tutti gli altri erano spariti nel nulla. La sala ai miei occhi non era altro che una stanza immensa e silenziosa. La mia mano stretta a quella del cavaliere appena conosciuto, il mio corpo a qualche centimetro dall’altro, sguardi fintamente felici ( almeno per me era così ) e tante chiacchiere sterili. L’unica persona che avrei voluto era dall’altra parte della stanza a scambiarsi sorrisi e risate tra un bicchiere di champagne e un valzer. Mentre io stavo al centro della sala trotterellando e provando a non prestare attenzione agli altri. Non una parola, un cenno di dissenso, niente di niente; chi tace acconsente? Ad Aleksandr andava veramente tutto bene? Perché non stava mantenendo la sua promessa? Perché, ancora un’altra volta, m’aveva illusa? Neanche durante l’annuncio del fidanzamento aveva espresso la sua disapprovazione, al contrario fissava Andrej con indifferenza e me con altrettanta lontananza.  Magari da bambina avevo visto troppi film, e forse interrompere la cosa con un teatrale ‘’questa donna è mia’’ era eccessivo, ma addirittura fregarsene? Eravamo due perfetti sconosciuti che sembravano essersi amati una vita fa; comunque Andrej in fin dei conti non era così male, questo continuavo a pensare probabilmente per consolarmi dall’ennesima delusione. Alto, con gli occhi color ghiaccio, lo sguardo gentile, i capelli rossicci, la pelle chiara, bravo con le parole e con i gesti, elegante nel portamento e ottimo danzatore. No non era affatto male, ma i miei occhi continuavano a cercare involontariamente la figura del.. ? Come dovevo definirlo? Fratello? Amante? Ormai non contava neanche più. Lui era troppo impegnato a ballare con quella dottoressa uscita da qualche locale a luci rosse per degnarmi d’attenzioni, e nell’impeto di rabbia e gelosia decisi di far la stessa cosa. Accantonai tutto e mi rassegnai all’idea di un Andrej  fidanzato gentile, marito amorevole e padre dei miei figli. Mentre una risata isterica rimbombava nella mia mente per enfatizzare il tutto. Beh, alla fine mio padre non si era sbagliato: sarei diventata una regina proprio come aveva sempre desiderato.
La serata terminò con un “Sophia, è stato davvero un piacere. Ci rivedremo presto, vero?”, poi uno scambio di sorrisi, un inchino principesco e la lontananza finalmente. Lo vidi in seguito scambiare qualche chiacchiera con mio padre e tutta la bella compagnia di leccaculo che lo spalleggiava da che ne avessi memoria mentre io invece mi ritiravo frettolosamente nella mia stanza al piano superiore. Il silenzio della casa fu un toccasana. C’ero solo io, io e i miei foschi pensieri o almeno così credevo. Salii gli scalini tenendo tra le dita il tessuto fine e setoso dell’abito, finché non raggiunsi il piano superiore;  incrociai lì Shùra, diretto probabilmente verso l’ala ovest; perché era lì? Per me? Il sangue iniziò a galoppare lungo le vene a causa della tensione mischiata ad aspettativa; tremai mandando giù la saliva in eccesso e poi ..il nulla. Mi passò accanto e non parlò, non respirò neppure credo, rinchiudendosi ancora nel suo atroce silenzio e in quella freddezza che aveva riservato a tutti da una vita meno che a me. E io, stupida come non mai, speravo ancora in una qualche parola o una qualsiasi frase per poterlo perdonare immediatamente ricevendo solamente altra indifferenza. Non sapevo se essere furiosa o disgustata. Non sapevo se star zitta oppure scaricare tutta la mia rabbia contro di lui.
Le mie nocche divennero bianche, la seta s’increspò quando girai velocemente il mio corpo cambiando direzione. I tacchi si scontrarono con violenza sul parquet e la porta della stanza di Aleksandr si spalancò al mio passaggio cinque minuti dopo. Ignorai la sua nudità fissandolo con rabbia e disgusto, rammarico e disperazione, poi persi il controllo della lingua e della voce un difetto che purtroppo tenevo da una vita. Le parole iniziarono ad uscire come un fiume in piena e le mie labbra, dighe immaginarie, non riuscirono a contenerlo.
«Sei un fottuto stronzo. Mi hai fatto una promessa e non l’hai mantenuta. Hai detto che non avrei dovuto sposarlo e invece ora siamo ad un passo dal fidanzamento ufficiale. SEI SOLAMENTE UN BUGIARDO. Ah no, aspetta! – la mia voce si calmò appena un poco assumendo un tono strafottente e velenoso – devo essermi immaginata quelle parole, vero? Oppure sono solo il tuo passatempo? No perché mi fa davvero piacere sapere che quando non c’è la tua bella amichetta ci sono io a tirarti su il morale! Almeno servo a qualcosa! Non è così? Perché tanto Sophia è solo una ragazzina pazza, chi vuoi che le creda. Fai davvero schifo. Sei uno stronzo. Non hai neanche fiatato. Già che c’eri potevi anche farmi gli auguri per il matrimonio alle porte, non credi? Sappi che sarai invitato, te l’avevo già detto e ovviamente ti voglio come testimone! Me lo merito per il tempo sprecato e per ciò che ti ho dato. Me le porti tu le fedi?» Le parole mi si incastrarono in gola, provai a riprendere fiato. I miei occhi prima così carichi di rabbia lo guardarono con pietà qualche secondo. Provavo pena per lui o per me stessa?
«Ti ho persino dato il mio corpo.. Papà aveva ragione. Andrej è la scelta giusta per me e grazie a te l’ho capito». Il suo viso non mutò inizialmente d’espressione e probabilmente fu questo ad atterrirmi poco prima che la sua mano si avventasse sulla mia bocca tappandola, la schiena si scontrò con qualcosa di duro alle mie spalle facendomi trasalire di dolore, e per la prima volta vidi in lui qualcuno che stentavo a riconoscere. Era totalmente accecato da rabbia e dolore fusi insieme, qualcosa che non avevo mai visto prima.
 
Un altro tassello era appena stato aggiunto.
  
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