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Autore: Luana89    18/06/2017    2 recensioni
«Misha, sai cosa dicevano i navajo mentre camminavano in questo preciso luogo?» Sophia ci guardò come se si aspettasse una risposta, io scrollai semplicemente le spalle dando l’ennesimo tiro alla mia sigaretta. La sua voce divenne improvvisamente bassa, era l’eco di ogni mio battito. «Con la bellezza dinanzi a me avanzo. Con la bellezza dietro di me avanzo. Con la bellezza sotto di me avanzo. Con la bellezza sopra di me avanzo – l’aria si fermò improvvisamente, quasi ascoltasse anche lei – Finisce nella bellezza. Finisce nella bellezza» Sophia chiuse gli occhi come se cercasse di assaporarne meglio le parole. Misha corrugò la fronte probabilmente riflettendo sul senso di quel discorso. «E perché me lo stai dicendo?». Il silenzio ci assordò per qualche attimo.
«Sostituisci la parola ‘’bellezza’’ con ciò che ami di più, e avrai la risposta al quesito» gettai a terra la sigaretta allontanandomi da loro, mentre il mio riflesso diveniva simile ad un miraggio.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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ACT XVI

 
Sophia non era in casa, me ne resi conto con terrore quando varcai la soglia urlando il suo nome. Il mio cellulare squillò in quel momento, risposi affannato mentre Anastasia mi annunciava di aver trovato il soggetto delle mie ricerche svenuta nel mio ufficio. Mandai un messaggio a Nadja chiedendole di aspettarmi in casa, e corsi alla meta con il cuore che sembrava volermi esplodere nel petto. Avevo un pessimo presentimento, era come se mi stessi dirigendo a soccorrere un cadavere, e non l’amore della mia vita, perché?
 
❝ Tutti i fiumi si riversarono in mare..
 
Vedere il sangue era qualcosa alla quale sembravo fortemente abituato, pregno fino al midollo di quel liquido denso e viscoso che non riusciva a smuovere neppure un briciolo di pietà dalla mia anima. Quando però vidi Sophia giacere in una pozza di sangue, per la prima volta nella vita, sentii le gambe tremare e cedere. Mi precipitai cadendo in ginocchio, scuotendola con forza, chiamando il suo nome a gran voce ma l'unica cosa che ottenni fu un respiro da parte dell'esile corpo ed un movimento della mano. Le dita sottili si aggrapparono al mio collo macchiandolo di sangue. Non lo sapeva ancora, ma quel sangue avrebbe ufficialmente segnato la fine della vita che ero abituato a conoscere e manipolare. La presi tra le mie braccia assicurandomi che nessuno mi vedesse uscire col suo corpo dall’agenzia, e correndo come un pazzo ritornai nella nostra casa. Ogni semaforo rosso, ogni incrocio, ogni stop erano tutti piccoli avvertimenti che non percepii.
Nadja uscì dalla stanza due ore dopo, i suoi occhi furbi e chiari sostennero i miei senza che lasciasse trapelare nulla, mentre fissava la mia camicia imbrattata di un sangue che ancora una volta non era mio. Stavo poggiato al muro quasi mi stessi facendo aiutare nel sorreggermi, ma non appena la vidi scattai in avanti come impazzito.
«Come sta? Che cazzo ha? Tutto quel sangue, che cazzo ha Sophia» allungai una mano ma mi resi conto di avere sporca anche quella, non la toccai.
«Credo che in fondo tu lo sappia cos’ha» non sorrise, e io la odiai.
«Sono un cazzo di medico? Ti sembro in vena di indovinelli? Non.. non credo possa essere ciò che penso». Ed invece si, io lo sapevo bene, ma tra il pensarlo e il dirlo vi era un fiume di dolore in piena da superare.
Aborto spontaneo, così lo chiamò. Il mio cuore tremò frantumandosi in mille pezzi, le gambe cedettero ma non vi fu nessuno a sostenermi a parte il pavimento duro e freddo. Tutte le mie azioni mi avevano portato a quel punto e adesso da solo o soccombevo o provavo a tirarmene fuori uscendone come sempre vittorioso. Ma vittorioso di cosa? Che tipo di vittoria potevo mai ottenere? Mi sentivo un assassino – ironico a dirsi – avevo ucciso il frutto del nostro amore. Perché sapevo di essere stato io a farlo in qualche modo.
«Il destino te lo crei tu, ricordalo. Nessuno di noi sa cosa ci attende, eppure continuiamo a vivere in un terrore silenzioso che molto spesso non ammettiamo a noi stessi. E sai perché lo facciamo?» incrociò le braccia al petto guardandomi ambiguamente.
«Perché?» non riconobbi la mia voce.
«Perché siamo esseri umani. Le ho dato qualcosa per calmare i dolori e probabilmente tra poco si addormenterà.. tornerò domani. Buonanotte Aleksandr» mi fissò con compassione voltandomi le spalle. ‘’Siete esseri umani’’, avrei voluto tanto dirlo.
«Non dire nulla a Misha, non è il momento giusto per dargli anche questo peso» continuavo a non riconoscere la mia voce.
«Non glielo dirò perché non spetta a me, né tantomeno a te dirglielo ..l’unica che potrebbe farlo, credo proprio non lo farà. E tu Aleksandr? Mikhail non può portare altri pesi, tu quanti pensi di poterne portare? Non sopravvalutarti, cadrai anche tu». Non le risposi stavolta lasciando che sparisse insieme al tonfo sordo della porta.
Osservai  la porta socchiusa della mia camera, sentivo le gambe come piombo un po' come il condannato di fronte al patibolo, sa di dover proseguire perché non ha scelta eppure esita, rallenta, fa di tutto per mantenersi aggrappato a quella vita che sta perdendo. Entrai.
«Ehi..» ''Ehi'' fu tutto ciò che riuscii a mettere in piedi, all'interno vi erano più parole di quanto si potesse pensare, parole che solo io e lei potevano percepire. Ma lei non volle farlo, sollevando invece lo sguardo - la mano serrata sulla stoffa della maglia all'altezza dello stomaco - mentre le parole fluivano come un fiume in piena dalle sue labbra.
«Ah, eccoti! Mi chiedevo dove fossi.. mi passi un po’ d’acqua? Non ne bevo da questo pomeriggio» la fissai come se faticassi a sentire ciò che diceva.
«Come stai?» Parole vuote che ricevettero risposte altrettanto vuote. Non era mai stato un maestro nell'arte dell'oratoria, soprattutto con chi amavo perché manipolare loro era diverso dal farlo con estranei, ma quel giorno mi sentivo più simile ad un muto che si forzava a parlare provocandosi abrasioni alla gola. Le parole continuavano ad uscir fuori come schegge di vetro, mi sedetti sulla sedia accanto al letto prendendole la mano per coprirla con le mie, sforzandomi di guardarla.
«Smettila di fissarmi così, sappiamo entrambi che ho una pessima cera..» continuai a forzarmi.
«Come ti sto fissando Sonech’ka?» sentivo ancora la voce di un estraneo anziché la mia.
«Ti facciamo pena» mi gelai e smisi di fissarla.
«Perché usi il plurale, chi mi fa pena oltre te?». Quella domanda non ebbe alcuna risposta sensata, ed io neppure ne volevo una forse, tremavo all'idea che dicesse chi oltre lei poteva farmi pena.
Volevo urlare ‘’IO MI FACCIO PENA. IO. IO. IO.’’ Ma le parole si incastrarono nuovamente nella mia gola. Passarono i minuti, o forse erano ore.
 «Non mi guardare». Lo disse con una voce talmente soffocata da farmi venire la pelle d'oca, acconsentii quasi felice. Non la guardai. Sophia era appena stata uccisa da me.
Un'altra ora, un altro discorso, qualsiasi potessimo fare però finiva sempre con la frase da parte di lei ''E' stata colpa mia''. E io rispondevo: ''Non è così''. Cercavo di soffocare il mio dolore, ma forse non ci riuscii bene perché dopo il decimo ''Non è stata colpa tua'' sussurrato con voce rotta, Sophia smise di chiedermelo.
La luna era alta nel cielo ma io non riusciva neppure a vederla, mi sentivo cieco.
«Dormi accanto a me stasera?» la guardai mentendole ancora.
«Si..ovvio che si, appena ti sarai addormentata mi stenderò accanto a te». Era una bugia, Sophia era appena stata contaminata. Contaminata da ogni mia bruttura, dal sangue, da un bambino perso, dal dolore che urlava e non voleva uscire. Scottava e io non riuscivo a starle vicino senza prender fuoco insieme a lei. Fiamme dell'inferno. Erano queste?
«Stavo pensando che a volte sei dolcissimo. Non faresti del male ad un mosca» Sophia gettò l'esca, e io abboccai.
«..Con questa faccia, capirai a chi potrei far del male. Non posso fare del male a te, è questo che conta».
Parole e ancora parole, persi di nuovo il conto del tempo, continuavo a chiederle ‘’Hai sonno?’’ ma lei non dormiva, non voleva lasciarmi libero, voleva torturarmi.
«Secondo te ha sofferto?» Ah, evidentemente no non era ancora finito quel calvario, raddrizza le spalle Aleksandr il ballo è ancora all'inizio. Continuavo a motivarmi senza sosta.
 
Era passata quanto? Un'ora, due? Non lo sapevo più, mi sentivo sfinito e le mie spalle ricurve pesavano come fossero piene di cemento. Sophia vomitò, le asciugai il viso e le labbra continuando a non guardarla.
«Io credo nel destino, è lo stesso che quindici anni fa mi portò da te» cercai di usare un tono sicuro.
«È lo stesso che mi ha portato via il nostro bambino? Lo stesso che ci ha macchiato di peccati?» perché parlava così?
«Hai commesso peccati mia dolce Sonech’ka?». I discorsi apparentemente insensati continuavano a fluire fuori, Sophia mi faceva parlare controvoglia e io sempre sottomesso a lei non me lo facevo neppure ripetere.
«Hai mai fatto scelte sbagliate? Di che tipo?» non la guardai mentre tornavo indietro di vent’anni.
«Stavo per rubare il portafogli di tuo padre quando lo conobbi, avevo dieci anni». Mi rividi a San Pietroburgo avevo freddo e fame, avevo imparato presto come procurarmi il cibo senza elemosinare nulla ai russi sempre troppo presi da se stessi per guardare chiunque al di fuori della loro bolla (‘’Sophia, sei stata fino ad oggi una russa perfetta’’). Se non avessi rubato il suo portafoglio, oggi dove sarei? Lontano da lì, un uomo retto e ‘’giusto’’ ma senza Sophia. E senza Misha. Non sarei riuscito a pentirmi dei miei sbagli finché non avrei iniziato a vederli come tali. Lasciai perdere quegli stupidi ragionamenti, e venne la notte. E con essa il sonno e il respiro regolare di lei. Le lasciai la mano andando a mettermi sul pavimento nell'angolo opposto al letto mentre con gli occhi sbarrati stetti ad osservarla tutta la notte. Vidi mio padre (‘’Vai via, non voglio vederti, non stanotte’’) e vidi lei. Finalmente la vidi davvero. Lo capii all'alba: Sonech'ka non aveva mai lasciato andare il suo maglione dalle esili dita.
Qualcosa si frantumò, si distrusse in miliardi di frammenti e si cementò nuovamente. Più forte e sbagliato di prima.
 
… ma il mare non era ancora ricolmo. ❞
 
 
***
 
«Il cavaliere di bronzo narra di un impiegato, Evghenij, che perde la fidanzata nella terribile inondazione di Pietroburgo del 1825. Impazzito per il dolore, quando passa davanti al maestoso monumento di Pietro il Grande, leva il pugno contro la statua dell'Imperatore, causa di tutti i suoi mali.
Il cavaliere si stacca dal piedistallo e lo insegue per le strade di Pietroburgo. Il povero impiegato sarà poi ritrovato senza vita davanti alla casa di legno della fidanzata»
 
«E’ una storia orrenda Shùra, è nel tuo libro di poesie?»
 
Il bronzeo cavaliere mi insegue, urlando nella notte, io continuo a correre sperando e pregando di ritrovarla.
 
❛ E illuminato dalla pallida luna vede il Cavaliere di bronzo che con la mano levata in alto sul cavallo galoppante lo segue fragorosamente alle calcagna.
Per tutta la notte il povero demente, ovunque rivolgesse i passi, sempre sentiva dietro di lui galoppare il Cavaliere di bronzo col suo pesante calpestio.
 
 
Un passo, due passi. Un battito, due battiti. Contavo il mio cuore e i miei passi silenziosi, entrambi mi stavano conducendo al mio destino. Un destino che sembrava andare di pari passo con la decadenza nella quale era piombata la mia esistenza. Le note del ‘’Bel Valzer Del Danubio Blu’’ rimbombavano nella mia mente, insieme a due corpi abbracciati al chiaro di luna mentre il freddo di Mosca gelava i cuori tranne i nostri.
La donna accanto a me continuava a guardarsi attorno spaesata e spaventata. L’avevo pagata per dare appuntamento ad Andrej in quel bordello che a quanto sembrava era uno dei suoi preferiti.
«Non ..non verrò coinvolta vero?». Era la decima volta che lo chiedeva. Sospirai senza guardarla.
«No, ti ho appena dato dei nuovi documenti, l’aereo partirà stanotte». Sorrisi affabile e la sentii scrutarmi.
«Di quelli come te è meglio non fidarsi..» il mio sorriso divenne una risata vera e propria. Il fatto che riuscissi a fingere così bene era raccapricciante. Da quella fatidica notte di sangue e lacrime non erano passati che pochi giorni. Sophia era rimasta a letto immobile finché una mattina non l’avevo ritrovata in cucina a prepararmi la colazione. Sorrideva.
«Eppure ti sei fidata, quindi». Estrassi la pistola caricandola con un colpo secco e il mio viso si indurì divenendo come scolpito nella pietra, più mi avvicinavo e più le voci concitate della gente si facevano forti e chiare. Lui era lì. Osservai la porta chiusa mettendo una mano sul pomello, stringendolo con forza, le parole di mio padre urlarono nella mia mente ormai alla deriva: ''Voglio che tu sia giusto''.
«Mi dispiace papà, il mio destino è ormai compiuto. Non c'è giustizia se non la mia». Aprii la porta, la pistola nella mano destra mentre un lento sorriso arcigno curvava le mie labbra. Mi permisi il lusso di non guardare le sette persone all'interno del comodo salotto, avevano smesso tutte di parlare per fissarmi attonite. Tutte, nessuna esclusa, erano ignare della fine incombente. Il mio sguardo non si spostò mai dal ragazzo al centro della piccola folla, lui aveva già capito.
«Che cazzo ci fai qui» un ringhio rabbioso più che una domanda.
«Tu che ne pensi, Andrej?». Sussurrai appena quella parole alzando il braccio puntando la pistola verso la prima persona alla sua destra, facendo fuoco. La donna si accasciò priva di vita. Le restanti puttane iniziarono ad urlare cercando di sparire come per magia da quella stanza, erano capitati lì per caso e avrebbero pagato come fossero tutti colpevoli. Andrej sbarrò gli occhi, le mani gli tremarono e per un istante potei vedere e sentire la sua paura. Non mi fermai iniziando implacabile la mia personale crociata. Una, due, tre, quattro. Dopo pochi minuti le uniche persone vive eravamo io, la traditrice e Andrej.. o forse solo loro due lo erano davvero. Lo vidi portare lentamente la mano sulla schiena, cercava la sua arma, mirai al ginocchio sparando un colpo. Urlò accasciandosi, sollevando la testa con odio malcelato.
«Fottuto bastardo. Sergej farà festa sul tuo cadavere» risi ma nessun suono uscì dalla mia bocca.
«Pensi che me ne importi qualcosa? Non mi vedi? Sono qui a viso scoperto, forse pagherò ma tu morirai» scrollai le spalle come se la spiegazione appena data fosse semplice.
«Perché lo fai». Inarcai un sopracciglio fingendo stupore.
«Perché... – la mia voce divenne simile al rombo cupo che precede il temporale, gli occhi iniettati di sangue e fiammeggianti – perché  lei è mia. Solo io l’avrò, né un verme come te né nessun’altro». Sparai centrandolo in pieno viso. Il corpo esanime si accasciò, e fu silenzio. Finalmente.
La donna dietro di me singhiozzò tappandosi la bocca, fissandomi terrorizzata. Forse non si aspettava tutto ciò che aveva visto.
«Non te ne vai?». Non la guardai continuando a tenere gli occhi fissi sul cadavere di Andrej.
«S-si ..». Il rumore dei suoi tacchi scandì il tempo, al decimo mi voltai mirando alla nuca che centrai osservandola cadere a peso morto sulla moquette.
«Avevi ragione tu, di quelli come me è meglio non fidarsi». Afferrai il cellulare componendo un numero.
 
– Shùra.
– Dove sei?
– A casa, perché?
– Perché dobbiamo vederci, domani possibilmente.
– Dove?
– Al capannone 22, dove mi hanno teso l’agguato mesi fa.
– E’ successo qualcosa?
– No Misha, dormi sereno e domani sii puntuale.
 
Chiusi la chiamata fissando il sangue tutto attorno a me. Sarebbe stata una lunga notte quella.
 
E ti dico ancora: qualunque cosa avvenga di te e di me, comunque si svolga la nostra vita, non accadrà mai che, nel momento in cui tu mi chiami seriamente e senta d'aver bisogno di me, mi trovi sordo al tuo appello. Mai.
 

 

Mikhail POV

 
Il mio viso sembrava una maschera grottesca di carnevale, non odiavo comunque Shùra per avermi picchiato perché pensavo di meritarmelo. E lo pensavo con più forza in momenti come quello di adesso, dove mi accingevo a tirare l’ennesima striscia di coca incurante delle sue parole. Francamente avrei anche potuto farne a meno, mi piaceva il sentirmi vivo però e le volte in cui vedevo Irina; per quanto sapessi ormai fossero allucinazioni, alle volte raccapriccianti, era comunque vitale per me poterla vedere.
La chiamata ricevuta il giorno prima mi aveva destabilizzato, non lo so c’era qualcosa nel tono di Shùra ad avermi fatto accapponare la pelle, ma cosa? Fissavo l’orologio come se volessi spingerne le lancette, mentre attendevo che la mezzanotte scoccasse per potermi recare in quel fottutissimo capannone.
E la tanto attesa ora arrivò. E io mi pentii della mia fretta. Fissavo un cadavere col volto maciullato, cioè non riuscivo a capire chi porca puttana fosse anche se una parte di me urlava il suo nome a gran voce, semplicemente non potevo crederci. Lui non poteva averlo fatto. Pensai di essere in un altro dei miei trip assurdi, ma la voce di Aleksandr mi strappò da quelle utopiche convinzioni per riportarmi alla mia patetica realtà.
«Secondo te chi è?». Le ginocchia piegate e la pistola nelle mani, mentre sostava a pochi centimetri da quel corpo. Mi ritrovai a ridere e ci misi qualche istante a capire di star ridendo sul serio.
«Io sono il re delle cazzate ..ma tu». Non riuscii a finire. Mi fissò scrollando le spalle.
«Lo hai riconosciuto quindi». Come? La carne del viso sembrava come macinata, fortuna che ero di stomaco forte.
«Non posso crederci. Lo hai ucciso. E Sergej ucciderà te». Ecco, quella era una cosa per la quale valeva la pena vomitare.
«Non è ancora il momento per lui di scoprirlo». Non capivo, mi ero fottuto il cervello con la cocaina ma lui non mi aiutava.
«Non è il momento? Ma che cazzo dici ..Non dovrà scoprirlo mai, MAI. NON VOGLIO SEPPELLIRE ANCHE TE. ERA A QUESTO CHE PENSAVI QUINDI? VOLEVI AMMAZZARLO?». Lo vidi alzarsi e puntarmi la pistola contro.
«Sei con me o contro di me?». Mi fissò con una strana calma.
«Non so neppure che cazzo vuoi fare..». Sentivo la saliva prosciugata dalla mia bocca. Mi ritrovai a fissare ancora quella massa informe d’uomo a terra.
«Lo saprai. Voglio solo sapere se sei pronto ad uscirne Misha, vuoi uscire da tutto questo delirio?». Lo stava dicendo sul serio?
«Che cazzo di domanda è. Voglio sapere che cosa stai architettando». Mi superò avanzando verso l’ingresso. Lo rincorsi strattonandolo  costringendolo a voltarsi.
«Lo saprai a tempo debito». Mi spinse verso l’uscita, evidentemente voleva disfarsi lui del cadavere.
«Posso fare tutto per te. Non c'è cosa che non farei, ma non voglio vederti impazzire. Se impazzisci tu, tutto crolla.. compreso io». Chinai il capo allargando le narici, sentivo la rabbia dilagare nel mio petto insieme al dolore. Il dolore di troppe perdite.
«Non sono impazzito. Mi seguirai all’inferno, e ripagherò il mio debito con te». Aveva un debito con me?
«Di che cazzo parli». Mi avvicinai ma lui mi spinse ancora verso l’uscita.
«Quel giorno a Mosca, invece di una pistola avrei dovuto metterti tra le mani dei soldi e farti fuggire. Non l’ho fatto, ti ho tenuto con me per egoismo e me ne pento. Ma rimedierò, quindi tieni gli occhi aperti Misha perché presto avrà inizio la guerra». Mentre mi allontanavo barcollante sentivo il rimbombo delle sue parole nelle mie orecchie. Quindi aveva da sempre un piano? Perché non me lo aveva detto? Perché non sapevo mai un cazzo.. Mi voltai un’ultima volta scorgendo le fiamme guizzanti che sembravano voler toccare le stelle, mentre dentro prendeva fuoco il corpo di Andrej. Probabilmente la miccia che avrebbe causato la furiosa esplosione.

 
 

Sophia POV

 
Le carezze mangiano il cuore degli altri.
 

Così le sue avevano mangiato il mio poco alla volta. I miei occhi ormai lo seguivano ovunque, bevevano ogni sua parola o gesto, captavano persino le diverse intonazioni a seconda del suo umore. Lui soffriva e io precipitavo.
Come aveva potuto farmi questo? Anni di menzogne, partendo da mio padre e finendo da Nadja, persino lei era coinvolta. Chiusi gli occhi ascoltando i battiti del mio cuore, lui mi avrebbe magari saputo indicare la giusta via? La chiave girò nella toppa, mentre quel profumo così familiare per me invadeva le narici costringendomi ancora una volta ad amarlo.
«Sophia, come stai?». Mi mancava il nomignolo che solo lui mi dava, ma dopo la notte di una settimana prima sembrava provare sofferenza anche solo a pensarlo.
«Sto bene .. ti ho fatto una torta». Gli sorrisi allungando le braccia verso di lui, flettendo le dita in un gesto eloquente.
«Sei diventata brava, la mia nana è ormai una donna». Mi abbracciò come volevo, e mi chiesi se anche quella non fosse una schifosa bugia. Lo sentii sospirare contro il mio collo, mi vennero i brividi. E non seppi di quale natura.
«Sophia ..Andrej sembra sia sparito». Mi scostai fissandolo confusa, sparito in che senso?
«Sparito?». Ripetei quelle parole come se avessero assunto significato grazie al mio tono, ma questo non accadde.
«Già, sembra essere uscito la scorsa notte ma nessuno lo ha più visto. La criminalità qui è in aumento, la polizia non esclude una rapina finita male». Lo vidi scrollare le spalle senza la minima emozione in viso.
«Sei stato tu…?». Non riuscii a credere di averlo detto, e forse neppure lui visto il modo in cui mi fissò. Mandai giù il bolo di saliva, era assurdo ma mi aspettavo una risposta.
«Sophia che diavolo dici? Ero con Misha. Smettila di dire cazzate». Il suo tono rabbioso sembrava quasi accendere un neon sopra di lui con su scritto ‘’bugiardo’’. O forse ero io che ormai non riuscivo a vedere la sincerità. Tranne che in una cosa.
«Mi ami?». Attesi come un assetato attenderebbe l’acqua.
«Si che ti amo. Ti amo e ti amerò sempre».  Ecco, continuavo ancora a voler credere ai suoi ti amo. A quelli si, ma fino a quando? Fino a quando la mia sincerità non sarebbe vacillata? Lo abbracciai tra le lenzuola che odoravano di noi, talmente forte da farlo mugugnare di fastidio nel sonno. Vegliai su di lui, sul suo cuore in pezzi e l’anima nera a brandelli, soffiando sul viso un alito di vita che speravo cogliesse.
 

Aleksandr POV

 
L’incontro con i colombiani divenne finalmente realtà, prese consistenza e persino una data precisa. Noi avremo portato soldi, e loro la droga e le armi. Ce ne saremmo occupati io, Misha e Vlad. Mentre Sergej minacciava ogni suo uomo di morte se non avessimo ritrovato Andrej, io affilavo il mio coltello preparando l’ennesimo attacco ai suoi danni.
Sollevai gli occhi sulle grate sopra di noi, l’odore di fogna era nauseabondo e un persistente rumore trapanava i miei timpani. Come una goccia continua che lenta sbatteva sul pavimento lercio. La stavo immaginando? Sentii Misha e Vlad litigare come loro solito, che coglioni.
«Piantatela o vi sparo qui e non mi prendo neppure la briga di seppellire i vostri cadaveri». Portai la mano al naso con espressione schifata continuando a camminare, le mie suole pestavano pozzanghere d'acqua sporca mentre stringevo la valigia contenente i soldi; sarebbe stato uno scambio pulito e veloce, droga e armi in cambio di soldi. Pulito e veloce, così lo avevo definito duemila volte solo pochi giorni prima e persino adesso. Un brivido percorse la mia schiena, non riuscii a catalogarlo finendo con l’ignorarlo senza dargli importanza. Ci ritrovammo tutti in una stanza circolare e fin troppo illuminata, assottigliai lo sguardo piantandolo sull'uomo al centro. Misha e Vlad avevano la medesima espressione arcigna mentre i discorsi divenivano man mano più concitati.
«Fammi vedere le armi, e dopo avrai i soldi». Misha si avvicinò alla grande borsa che i colombiani porgevano estraendo una Colt, sorrise come un bambino di fronte al giocattolo di Natale preferito. Il viso di Vlad invece non mutò espressione ma gli occhi parlarono per lui. Fu in quel momento che accadde qualcosa, ne percepii il movimento mentre osservavo uno strano puntino rosso che vagava per la stanza fino a posarsi sulla spalla di Misha. Sgranai gli occhi sillabando a mezza voce ''Stai giù''. Ma lui non capì. Riempii i polmoni d'aria, aprendo la bocca e urlando un ‘’MISHA STAI GIU' CAZZO’’.  Ebbi il tempo di dire quelle parole vedendo Misha gettarsi a terra, prima che un proiettile forasse la borsa contenente le armi; poi accadde l'impensabile: la polizia era lì.
«Ascoltami bene, separiamoci, o ci prenderanno come cani in gabbia». Afferrai Vlad per il braccio sillabandogli quelle parole, lo vidi annuire lapidario allontanandosi velocemente. I colombiani però non sembravano pensarla allo stesso modo.
«Che razza di figli di puttana siete? Avete mandato gli sbirri qui?» non riuscivo a credere a quelle parole.
«Devo sul serio rispondere?» evidentemente si visto come si avvicinarono.
«Fallo adesso che ne hai l'occasione russo, perché tra poco sarai morto» afferrai Misha dandogli poi le spalle osservando gli uomini davanti a noi, ci accerchiavano come delle iene rabbiose incapaci di comprendere che la miglior cosa da fare in quel momento era fuggire. Un altro sparo silenzioso, un uomo cadde a terra. Io e Misha ci guardammo annuendo complici. I cunicoli interni erano la nostra unica - e ultima - speranza; se quei bastardi non si fossero messi in mezzo saremmo già stati fuori. La rissa era ormai scoppiata, mi gettai in mezzo liberando a modo mio la strada; Misha era meno desideroso di perdere tempo, afferrò una spranga iniziando a colpire chiunque gli si parasse davanti.
La luce del sole ci accecò cinque minuti dopo, intravidi il bosco poco distante e mi mossi automaticamente fermandomi dopo qualche metro.. Dove cazzo stava Misha? Lo vidi andare verso l'auto senza riuscire a crederci, corsi per raggiungerlo prima dell’irreparabile.
«Cosa cazzo pensi di fare?» Lo strattonai rabbioso. Mi guardò come se non capisse.
«Tu che pensi? Con l'auto ci muoveremo molto più veloci» aprii la bocca per parlare, le sirene della polizia mi distrassero, strinsi il suo braccio talmente forte da rischiare di strappargli la giacca, digrignai i denti nervosamente.
 «La stessa auto della quale hanno preso la targa, è questo che vuoi? Assistere al nostro arresto al primo posto di blocco presente sulla strada? Andiamo a piedi, il bosco ci renderà invisibili per un po'». Le pupille di Misha si dilatarono ancora di più, aveva finalmente compreso l'errore. Serrò la mascella senza dire nulla incamminandosi dietro di me. Gettai un ultimo sguardo al capannone adesso fin troppo ''movimentato'', una morsa serrò il mio stomaco, era fin troppo palese: qualcuno mi aveva tradito. Ma chi?

 

Mikhail POV

 
Ci rifugiammo nel bosco. Shùra camminava in avanti facendo sì che le erbacce non mi colpissero il volto vista la mia altezza. Era sempre così, pronto a proteggermi anche quando avrebbe dovuto uccidermi. Che diavolo credevo di fare dirigendomi verso l’auto? Mi resi conto che la merda di cui mi facevo ledeva persino quei pochi ragionamenti logici che riuscivo a fare. Ma Shùra continuava a proteggermi.
Non l'avevo mai ripagato. Non avevo mai ripagato nemmeno Sophia, in quel momento mi chiesi cos'avrebbe detto nel sapere che come un fallito avevo finito per tirarmi cocaina nel cesso di casa.
Presi la bustina che avevo nella tasca dei jeans, la gettai tra l'erba morta di quel fitto bosco prima che Shùra si girasse per chiedermi se andasse tutto bene.
«Alla grande». Gli risposi mentendo e probabilmente lui capì.
«Credi che qualcuno abbia parlato?». Domandai in cerca di una risposta, ma non la ricevetti. Vedevo la sua schiena rigida e sapevo cosa voleva dire.
Quel pomeriggio capii che non avevo più tanta voglia di morire, non senza lasciare Shùra o Sophia, o Nadja. Non prima d'aver trovato Irina.
Non me lo sarei mai perdonato.
 
Una volta tornato a casa mi liberai di ogni grammo di coca senza alcun rimpianto.
 
 

Aleksandr POV

 
‘’Respira Aleksandr, respira. Pensa Aleksandr, pensa’’. La schiena ritta, la mascella serrata ero il ritratto della tensione mista a furia cieca. Osservavo il cellulare sapendo che di lì a poco avrei ricevuto ''quella chiamata'', cosa restava? Quante altre macerie potevo raccogliere prima che il mio sacco si riempisse fino all'orlo? Sbattei il pugno della mano contro la scrivania nera e lucida del mio ufficio, in quel momento il telefono si illuminò. Il tunnel prese luce. Afferrai la cornetta mantenendo il mio tono di voce solito: neutro apatico e affabile.
 
– Sergej.
– Che cazzo è successo.
– Se usi questo tono suppongo sia una domanda retorica e il mio risponderti superfluo.
– NON GIOCARE CON ME ALEKSANDR, NON GIOCARE A QUESTO FOTTUTO GIOCO CON ME.
– Sono quasi finito in manette, pensi io abbia voglia di giocare?
– Sai benissimo cosa vuol dire questo.
– No, non lo so.
– Oh si che lo sai. Mikhail, Nadja, Vlad, nessuno escluso. Igor ..e tu. Chi mi ha tradito?
– ....
– E' stato il mio perfetto sicario? Così silenzioso e letale, assennato e coraggioso? E' stata Nadja, così volenterosa e amorevole? E' stato Misha.. così pazzo, folle e sempre incurante delle regole? A chi dovrei strappare la lingua e poi la testa, dimmelo tu.
– Cosa vuoi da me.
– Trova il traditore e uccidilo.
– E se fossi io quel traditore?
– Ucciderò Misha e così il tuo spirito, Aleksandr Belov. O dovrei dire Petrov? Sei già uno zombie in una terra di vivi.
 – Lascia stare Misha, sono sicuro non c'entri nulla.
– Ucciderai anche lui se è colpevole, o la tua testa penzolerà nella cattedrale di Mosca assieme alla sua.
 
La chiamata si interruppe così, scaraventai il cellulare contro il muro urlando la mia rabbia. Mi alzai dalla sedia rovesciandola, simile a una furia; entrai nel bagno guardandomi intensamente, osservando i lividi che mi avevano gentilmente regalato quel giorno i colombiani, cosa stava succedendo? Cos'era quella decadenza, quel livore di morte che si era insediato in noi? Chi era il traditore. Misha, Igor, Nadja, Vlad e altri russi tutti fidati compagni, chi cazzo ci aveva traditi? Mi resi conto di non volere risposte a quella domanda. Il mio pugno si sollevò schiantandosi contro lo specchio, distruggendolo mentre la mia immagine si sparpagliava in mille frammenti proprio come la mia anima.
Una voce femminile, familiare e calda attirò la mia attenzione. Sophia. Sorrisi a quel ricordo, dovevo mettere anche lei nella lista? Risi come un folle di me stesso accasciandomi sul lavabo.
 

 

Sophia POV

 
Accolsi la sua figura ricurva e i passi strascicati, era evidente avesse bevuto mentre si lasciava cadere sul divano coprendo il viso con una mano.
Quella notte lo aiutai a spogliarsi, passai un panno bagnato sulla sua fronte e lo coprii con le lenzuola sedendomi accanto a lui. Gli carezzai i capelli e i suoi occhi si aprirono.
«E’ stata una pessima giornata?». Mi fece il suo solito sorrisino ambiguo, era evidente lo fosse stata a giudicare dal suo aspetto.
«Mi tradiresti mai?». Quella domanda attorcigliò le mie budella.
«Mi hai mai tradito?». Quella domanda attorcigliò le sue budella, probabilmente.
«Dormi con me, è stata una pessima giornata». Annuii sorridendo, obbedendo ancora una volta a quelli che sembravano ormai dei comandi crudeli nei miei confronti. Più tempo passavo con lui e più mi sentivo incapace di fare ciò che ritenevo più giusto. Ripagare in qualche modo i miei debiti, e riprendermi una vita che non avevo mai avuto.
 
Non so cosa sarà di me, non so quanto potrò ancora resistere, so solamente che qualsiasi cosa accada, continuerò a cercare per sempre il candore di un bacio felice. Il suo.
 

 

Aleksandr POV

 
– Perché mi hai chiamato? Ti serve qualcosa?
– Devi scoprire qualcosa per me, prima che lo facciano altri.
– Ti riferisci alla storia con i colombiani? Aleksandr che diamine è successo.
– E' successo che qualcuno pagherà, e quel qualcuno non sarò io.
– Ho già quel lavoro da fare, dovrai attendere.
– No Anastasia, questo lavoro ha la priorità.
– Va bene, cercherò informazioni, so come connettermi al server della polizia.
– Entro quanto?
– Dammi una settimana almeno, non faccio miracoli.
– Ti do tre giorni, massimo quattro, e non farne parola con nessuno. O la tua testa diventerà un trofeo, e non sto scherzando.
– Aspettati qualsiasi nome.. compreso quello di Misha.
– Mettilo ancora in mezzo e digiterai sul tuo fottuto computer con la lingua.
– Andiamo Aleksandr, cosa ti aspetti da un cocainomane?
 
*** 
 
– Hai scoperto qualcosa?
– No, esattamente come dieci minuti fa. Hai sul serio intenzione di far così?
– Anastasia, forse non ti è chiara una cosa..
– Lo so cazzo, lo so.
– Mancano due giorni, pensa al tuo collo.
– Ah beh, con le minacce lavorerò sicuramente meglio.
 
Osservai il muro di fronte a me, il sonno sembrava non voler venire quella notte; la mia mente era piena di immagini, una più distorta dell'altra, sentivo di star perdendo contatto con la realtà e questo poteva solo causare altri danni.
Chi mi aveva tradito?
Chiusi gli occhi lasciandomi andare alla deriva senza rendermene conto, la tanto agognata incoscienza mi staccò dalla realtà scaraventandomi in un cunicolo buio, stretto e lurido. Mi tappai le narici lasciando saettare lo sguardo da una parte all'altra cercando di mettere a fuoco qualcosa ma niente, un suono però mi distrasse. Cos'era? Sembrava il lamento di un bambino, camminai ancora seguendo una luce fioca apparsa da chissà dove. Strinsi gli occhi osservando una figura accucciata, avrei riconosciuto quella sagoma tra mille.
«Sonech'ka..». Sembrava scossa dai singhiozzi, stava ridendo o piangendo? Si voltò a guardarmi, era completamente inzuppata di sangue e teneva un'ascia in mano. Rideva. Feci un balzò indietro, faticavo a respirare mentre scuotevo la testa provando a parlare senza riuscirci.
«Ricordi Aleksandr? Chi scava una fossa vi cadrà dentro, e chi rotola una pietra gli ricadrà addosso. La lingua bugiarda odia quelli che ha ferito, e la bocca adulatrice produce rovina» iniziai a piangere.
«No.. – scossi la testa come in trance – no .. NO» era ferita? Stava morendo?
«Guardati. Sei morto» Sophia sorrise abbassando lo sguardo, corpi ammucchiati formavano una piramide, vidi Vlad, Nadja, Sergej e ..Misha. Urlai andando incontro a mio fratello completamente squartato ma l'ultimo cadavere, colui che finiva quella piramide mortuaria, girò il capo per fissarmi. Aveva gli occhi spenti, era morto. Ero io.
L'urlo squarciò l'aria mentre balzavo a sedere fradicio di sudore.
 
Chi era il traditore?

 
 
  
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