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Autore: Ardesis    18/06/2017    12 recensioni
E se una piccola deviazione di percorso avesse compromesso l’intera vicenda?
Genere: Erotico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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[circa dieci anni dopo]

 

 

Un gruppo di quattro uomini con gilet di cuoio e braghe larghe si riversò nella locanda come una mandria di tori agitati. Dai loro schiamazzi si poteva facilmente dedurre che quella taverna fosse l’ultima tappa di una lunga maratona di bevute. Era brutta gente in cerca di divertimenti immorali, glielo si leggeva in faccia.

L’uomo più massiccio del gruppo ordinò da bere per sé e per i compagni a voce alta, un modo poco elegante ma assai efficace per assicurarsi di non passare inosservati. L’oste annuì senza guardare nessuno dei quattro in faccia e gli altri avventori si sforzarono di ignorarli. Mentre il gruppo si addentrava rumorosamente tra i tavoli per trovare posto, lo stesso uomo che aveva chiesto da bere si guardò intorno come un cacciatore in cerca di una preda e infine puntò il dito verso due giovani ben vestiti seduti in disparte accanto ad una colonna.

-Ragazzi, guardate cosa c'è a quel tavolo. Un giovane Adone!-

Sbraitò indicando la testa bionda di Oscar. Lei percepì il peso di uno stormo di sguardi che le si posava sulle spalle. Tenne gli occhi fissi sul bicchiere mezzo vuoto e finse di non aver sentito. L’indifferenza, in situazioni simili, era la scelta più assennata. Si permise soltanto di sollevare un poco lo sguardo verso André, che le sedeva di fronte. Notò che le mani dell’amico si stavano stringendo con forza intorno al boccale. Lo guardò negli occhi e scrollò debolmente la testa. “Non voglio avere rogne, André.”

-Lascia che ti offra una birra fresca, ragazzo!-

In pochi passi, l’uomo raggiunse il loro tavolo e, con la sfacciataggine di chi crede che tutto gli sia dovuto, allungò la mano verso il viso di lei per invitarla a mostrarglielo. 

-Voglio brindare alla tua bellezza!-

Oscar non riuscì ad ignorare l’istinto di reagire. Balzò in piedi -riflessi veloci da felino contro riflessi fiacchi da bue ubriaco- e con un gesto precisissimo, quasi meccanico, gli prese il polso e gli torse il braccio. L’uomo si ritrovò piegato su se stesso, faccia a faccia con il ripiano del tavolo.

-Avete messo le mani sulla persona sbagliata.-

Ringhiò lei feroce.

-Sei vivace, questo mi eccita!-

Grugnì l’altro, per niente intimorito, sputando saliva sul tavolo. Oscar fece pressione sul suo gomito e le giunture delle ossa schioccarono, ma l’uomo non colse la minaccia e continuò a sorridere sprezzante.

-Posso pagarti bene...-

Riuscì a dire prima che André gli svuotasse il boccale di birra in faccia. L’uomo annaspò, si divincolò dalla presa di Oscar e si passò la manica della camicia sul volto, ma non appena ebbe riacquisito la posizione eretta, un paio di mani forti e indignate gli diedero una violenta spinta. La caduta fu inevitabile. Le assi di legno dello sfortunato tavolo dietro di lui non ressero l’urto e i bicchieri che vi stavano sopra schizzarono in alto finendo poi col frantumarsi rumorosamente per terra. Nella locanda calò un silenzio assoluto.

-Se vi prendo, vi fotto come si deve, bastardi!- 

Imprecò l’uomo, trattenuto sul pavimento dalle assi del tavolo. I suoi tre compagni, che avevano assistito alla scena come instupiditi, sembrarono tutt’a un tratto tornare in loro stessi. Il più anziano dei tre, un brutto ceffo calvo e con gli occhi chiarissimi, raccolse il collo di una bottiglia spezzata e la rivolse contro André digrignando i denti come un mastino.

Il silenzio nella locanda prese consistenza, divenne soffocante. Oscar cercò di mantenere la calma. Osservò prima le lame di vetro della bottiglia puntata verso di loro poi il polso di André teso e rigido e il suo pugno serrato. Al momento giusto gli avrebbe afferrato il braccio e via, si sarebbero fiondati fuori da quel tugurio a gambe levate. Ed ecco, dall’altro lato della locanda all’improvviso arrivò l’urlo preoccupato dell’oste. 

-Niente risse! Niente risse!-

Nell’attimo in cui il tizio calvo si distrasse a guardare il locandiere che si avvicinava, Oscar afferrò il polso di André e trascinò l’amico in fuga con sé verso il retrobottega. Sbucarono nella notte fresca con i respiri spezzati, montarono in fretta sui rispettivi cavalli e partirono al galoppo inseguiti da un’eco di insulti.

Cavalcarono per le strade buie col fiato sospeso finché non raggiunsero la piazza del mercato dei fiori, uno slargo vuoto e silenzioso a pochi passi dalla Senna. Allora fecero gradualmente rallentare i cavalli e li arrestarono sotto un lampione. Provarono a guardarsi indietro. Nessuno si era disturbato a seguirli.

La corrente umida che saliva dal fiume rinfrescò i loro volti accaldati.

André inspirò, si riempì bene i polmoni e si voltò verso di lei aspettandosi di trovare il suo sguardo, ma fu deluso. Il volto di Oscar era sollevato, gli occhi buttati nelle profondità del cielo, come quelli di un marinaio in cerca della stella giusta. Non osò interromperla. La osservò come non avrebbe mai potuto fare se lei fosse stata attenta. La calda luce del lampione metteva in evidenza il fantasma di una ruga sotto i suoi occhi, segno di chi dorme poco, legge molto e osserva tutto.

Sì, pensò ispirato, Oscar era un magnifico quadro in perenne evoluzione, così complesso e ricco di dettagli da poterci perdere la vista a volerne osservare tutte le sfumature.

Nella larga piazzola deserta, le raffiche di vento cominciarono a quietarsi fino ad esaurirsi del tutto. Sopraggiunse un silenzio tranquillo, soporifero. André vide le labbra di lei incurvarsi, schiudersi e liberare d’improvviso una sonora risata che sembrò riecheggiare in tutta Parigi. Una risata genuina, forte, di pancia, non come quelle risate composte, educatamente smorzate con una mano davanti alla bocca, che già raramente Oscar si lasciava sfuggire. La guardò rapito e sorrise di riflesso.

-Non mi rendevo conto di aver nostalgia di queste serate, André. Quanti anni sono passati dalla nostra ultima zuffa da osteria?-

Esclamò lei, facendo muovere il cavallo verso la Senna.

-Tanti, Oscar. L’ultima volta avevamo, credo, venticinque anni.-

-Sì, hai ragione. Impossibile dimenticarla.-

André sogghignò e scrollò la testa per sciogliere i ricordi.

-Eh sì, è vero, era il giorno della nascita del Delfino, dico bene? Quante ne abbiamo prese quella sera! E mi sembra di ricordare che avessimo giurato di smettere con queste avventure notturne.-

-Oh, André, che giuramento sciocco. Ti prego, ora giurami che non smetteremo mai! E se capiterà che io me ne dimentichi, portami fuori a bere come questa sera. Promettimelo!-

Si incamminarono a passo lento, con i volti sorridenti e gli sguardi chini sulle redini lasciate morbide. Condussero i cavalli verso il ponte che terminava sulla riva destra della Senna, proprio davanti all’imponente struttura azzurrognola del Palazzo del Louvre, e lo attraversarono gettando gli sguardi tra i flutti fangosi del fiume.

La Senna cantava placida la sua malinconica ninna nanna a Parigi, spezzando le proprie correnti sui massicci pilastri del ponte. Le fiammelle affaticate dei lampioni stavano per concludere la loro silenziosa guardia notturna e verso est il cielo si preparava ad accogliere l’alba.

Oscar e André cavalcavano vicini, fianco a fianco. Si sorridevano sereni, riconoscenti l’uno all’altra, inebriati dal vino e dal sonno. Si chiesero entrambi, al medesimo tempo, intimamente, se la gradevole sensazione di benessere che provavano potesse essere definita felicità.

Ai primi rintocchi mattutini delle campane di Notre Dame, qualche pigra finestra cominciò a spalancarsi sul nuovo giorno. Una vettura con le tende tirate si fermò davanti ad una fontanella e un uomo panciuto, vestito con abiti da provinciale, scese per abbeverarsi, poi risalì e la carrozza continuò il suo viaggio. A quell’ora Parigi era uno spettacolo per privilegiati. Pochi rumori, niente urla, niente fracasso, solo il piacevole suono della vita che si rinnovava, promettendo freschezza e nuove occasioni.

Mentre costeggiavano le mura del Palais Royal, Oscar fece segno ad Andrè di fermarsi. C’era nell’aria un leggero e distante canto, simile all’eco impalpabile di una preghiera in una cattedrale.

-Lo senti anche tu?-

Gli chiese. Sollevò lo sguardo verso la serie di finestre incastonate sulla facciata del palazzo, ma si accorse che la voce non proveniva dall’alto. 

Avanzarono lentamente, stregati da quelle fragili parole sospese nell’aria, finché nel timido chiarore dell'aurora non emerse la figura di una vecchia seduta sul selciato ad un angolo della strada. Aveva tutta l’aria di essere una povera mendicante a cui la miseria aveva tolto anche gli ultimi lumicini di ragione. I suoi occhi erano vitrei e ciechi, fissi in un punto indefinito del cielo.

La vecchia rimase immobile, con la bocca spalancata, simile ad una mostruosa garguglia, poi cominciò a muovere piano le labbra raggrinzite e riprese a cantare.

-Tu, nel mentre che Insidia è affaticata
e che la vedi sonnecchiare stanca, dammi dimora in mezzo alle tue braccia e un dolce bacio mandami. 

Mio Dio, non la svegliare questa Insidia, falsa, che ci reca dolore; ah, che non possa 

mai svegliarsi! Fa’ svelta, parla piano: dammi dimora in mezzo alle tue braccia!- *

Oscar e André le sfilarono davanti in silenzio, mentre la donna ripeteva le due strofe della poesia in una lenta e meccanica cantilena, come un carillon umano a cui qualcuno aveva dato troppa corda. La voce della mendicante continuò a seguirli per un lungo tratto finché non si perse nel rumoroso sbadiglio della città che si destava.

Dall'interno di una bottega di un fornaio venne un vivace tramestio e l'aria intorno alla bottega si impregnò in fretta del profumo fragrante delle prime pagnotte della mattina. Parigi apriva con fatica gli occhi su una nuova giornata. 

Oscar e Andrè tornarono a casa stanchi, ma senza fretta. Quando raggiunsero i cancelli di Palazzo Jarjayes, il sole aveva già iniziato a scalare il cielo e ad intiepidire l’aria.

-Ah, sono proprio pronto ad offrirmi a Morfeo.-

Esclamò Andrè entrando in casa.

-Morfeo dovrà attendere, mio caro!-

Esclamò la vecchia governante, che in quel momento stava scendendo le scale con le braccia strette attorno ad una cesta di biancheria da lavare larga quanto il suo torace. Oscar sorrise divertita e guardò l’amico sollevando le spalle. Con Marron non si discuteva.

-Abbi pietà, nonna.-

-Mi serve il tuo aiuto, non ci vorrà molto.-

Oscar gli posò una mano sul braccio e fece pressione con le dita, un gesto che sapeva di “mi dispiace”, ma anche di “grazie”, poi salutò Marron con un sorriso cortese e si ritirò al piano di sopra.

André rimase a fissare i gradini vuoti della scalinata, finché la nonna non richiamò la sua attenzione spingendogli la cesta di biancheria contro il petto.

-André, dobbiamo parlare.-

Borbottò cupa. Lui, docile, prese tra le mani il paniere e seguì la nonna fino al retro dell’ampia cucina, dove un paio di cameriere stavano preparando un catino d’acqua tiepida, liscivia di cenere e sapone. Marron le ringraziò frettolosamente e le sollecitò a congedarsi. Quando fu certa di essere rimasta da sola col nipote, gli indicò dove posare la cesta e lo invitò a prestarle attenzione con un colpo di tosse.

-André, mi duole ogni sacrosanta volta farti questo discorso, ma devo.-

Cominciò a dire, estraendo i panni dalla cesta e lasciandoli affogare nell’acqua del catino. Il sapone sfregato sulla stoffa emise subito un buon profumo di lavanda e André se ne riempì volentieri i polmoni.

-Devo ricordarti cosa sei?- continuò lei guardandolo da capo a piedi -Queste uscite notturne non si convengono.-

“Convenienza...” André sapeva quanto sua nonna amasse giocare quella carta. Si sedette su una sedia di vimini e incrociò le gambe, senza rispondere. Alla nonna non serviva il suo aiuto, era evidente che fosse stato solo un pretesto per parlargli con la garanzia che le orecchie di Oscar fossero ben lontane.

-André, quello che vedo nei tuoi occhi quando la guardi mi fa paura.-

Lui chinò la testa e si lasciò sfuggire un sospiro. Nonostante non avesse mai confessato a nessuno i segreti del proprio cuore, era tranquillamente consapevole che la nonna li conoscesse da anni, che li avesse visti nascere e crescere e che alla fine li avesse fatti anche un po’ suoi. Continuava, comunque, a godere dell’illusione di essere impenetrabile a chiunque e quando la nonna, come quel mattino, gli ricordava il contrario, sprofondava nel malumore più tetro.

-Anche un’amicizia può essere pericolosa.-

Borbottò Marron immergendo le braccia robuste nell'acqua fino al gomito. André si alzò e andò alla finestra. Il primo sole del mattino inondava di luce il parco e nel verde vivo dell’erba le gocce di rugiada brillavano come piccoli cristalli.

-So stare al mio posto.-

Parlò con voce neutra, ma con i pugni tanto stretti nelle tasche da sentire le unghie affondare nel palmo.

-Ragazzo mio, vorrei soltanto vederti felice.-

-Non voglio che tu ti dia pensiero per me. Io sto bene così.- Disse sorridendo al riflesso indistinto della nonna sul vetro della finestra, consapevole di non sembrare credibile nemmeno di spalle. -Se non hai bisogno del mio aiuto, andrei a riposare.-

Gli arrivò il suono di un sospiro, poi la stanza tornò a riempirsi del fruscio ritmato dei panni inzuppati e strofinati. La nonna si era arresa. “Missa est”.

-Certo, André, perdonami se ti ho trattenuto inutilmente. Prima che tu vada, però, devo proprio farti una domanda.-

Lui era già sulla porta, si voltò appena.

-Oscar ti ha detto che il Conte di Fersen è tornato in Francia?-

 

 

 

 

*Da una chanson di Charles D'Orleans.

   
 
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