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Autore: Luana89    19/06/2017    1 recensioni
«Misha, sai cosa dicevano i navajo mentre camminavano in questo preciso luogo?» Sophia ci guardò come se si aspettasse una risposta, io scrollai semplicemente le spalle dando l’ennesimo tiro alla mia sigaretta. La sua voce divenne improvvisamente bassa, era l’eco di ogni mio battito. «Con la bellezza dinanzi a me avanzo. Con la bellezza dietro di me avanzo. Con la bellezza sotto di me avanzo. Con la bellezza sopra di me avanzo – l’aria si fermò improvvisamente, quasi ascoltasse anche lei – Finisce nella bellezza. Finisce nella bellezza» Sophia chiuse gli occhi come se cercasse di assaporarne meglio le parole. Misha corrugò la fronte probabilmente riflettendo sul senso di quel discorso. «E perché me lo stai dicendo?». Il silenzio ci assordò per qualche attimo.
«Sostituisci la parola ‘’bellezza’’ con ciò che ami di più, e avrai la risposta al quesito» gettai a terra la sigaretta allontanandomi da loro, mentre il mio riflesso diveniva simile ad un miraggio.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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ACT XVII

 
 
La notizia dell’agguato e del conseguente tradimento aveva smosso ingranaggi pericolosi tra tutti i membri della Bratva presenti a San Francisco. Ci fissavamo come cani rabbiosi, con gli occhi lucidi di sospetto e io temevo il momento in cui persino Shùra mi avrebbe fissato in quel modo. Ero io il principale sospettato, tutti pensavano fossi impazzito totalmente con la cocaina, ma soprattutto non era un mistero l’avversione nutrita per Sergej in tutti quegli anni. Avevo un movente perfetto, sentivo quasi il cappio attorno al mio collo. Passai una mano sul mio viso sudato fissando il cellulare muto, non aveva più squillato dopo la notte nel bosco. Non mi ero neppure presentato in agenzia per timore che qualcuno potesse dirmi qualcosa, temevo le mie reazioni. Avrei solo aggiunto altri sospetti a quelli già esistenti. Non ero io il traditore. O si? Magari avevo avvisato la polizia durante una delle mie allucinazioni? Il solo pensiero mi faceva accapponare la pelle. Per non parlare del viso sfigurato di Andrej, era quasi più nauseante del pensare al possibile traditore; se Sergej avesse scoperto ciò che Shùra aveva fatto non ci sarebbe stata alcuna speranza per lui, ma solo una fottuta condanna a morte. Coprii il viso con le mani oscurando i miei occhi, persino il mio appartamento iniziava a risultare insopportabile. Volevo vedere Sophia, la sua voce candida mi avrebbe dato la pace. O Nadja magari, la mia Nadja. Aveva deciso di trasferirsi nel mio appartamento, non si sentiva tranquilla in casa sua, nonostante Vlad e Igor la seguissero ovunque, a causa dell’ex che non avevo ancora avuto modo di incontrare. Avrei voluto ammazzarlo ogni volta che la vedevo tremare parlando di lui.
Il cellulare squillò in quel momento, sobbalzai per poi rilassarmi visibilmente quando mi resi conto che il soggetto dei miei pensieri sembrava essersi improvvisamente materializzato, quasi volesse esaudire il mio desiderio.
«Mikhail vieni subito qui». La sua voce tremante mi fece alzare di scatto, che diavolo era successo adesso?

 
 

Nadja POV

 
«Aleksandr, vieni immediatamente». Doveva essere qualcosa di veloce: entrare nel mio appartamento, riempire la valigia e trasferirmi momentaneamente nell'appartamento di Mikhail. Cosa poteva andar storto?
Il brutto presentimento mi perseguitava da almeno due ore, Vlad e Igor non rispondevano a nessuna delle mie telefonate o messaggi, la cosa mi mandò in paranoia. Non che ci volesse molto ormai; da quando un mese prima erano ricominciate le telefonate mute nel cuore della notte, bastava una banalità per farmi scattare e impazzire.
I due russi mi affiancavano ormai da due anni, ombre silenziose in difesa di una donna che fisicamente era fragile e vulnerabile, un regalo di Sergej per tenere al sicuro il suo miglior medico ma anche per controllarmi non ero stupida.
Non appena aprii la porta del mio appartamento capii immediatamente che qualcosa che non andava, ne ebbi la conferma dopo pochi secondi, quando raggiunsi la camera da letto.
Quello che mi si parò davanti fu un orrendo spettacolo fatto di sangue e morte. I cadaveri degli uomini che avevano l'incarico di proteggermi giacevano senza vita, brutalmente sfigurati e martoriati, uno sul letto l'altro a terra.
L'odore ferruginoso del sangue che ricopriva tutta la stanza, dai mobili ai muri mi obbligò a portare una mano tremante davanti la bocca nel vano tentativo di non vomitare. Non era la prima volta che mi trovavo davanti a scene come quella, ma sapere che quei corpi appartenevano ai miei due fidati Vlad e Igor riuscì a scuotermi nel profondo. Avevo condiviso innumerevoli viaggi con loro due, ero stata protetta e al sicuro per tutto quel tempo, mi erano stati vicini in ogni momento del giorno... e ora non c'erano più.
I miei occhi vagarono per la stanza, nella mia mente il volto di colui che aveva compiuto quel massacro diventava sempre più chiaro, finché non mi bloccai davanti allo specchio nel vedere la conferma ai miei atroci sospetti.
Le parole scritte con il sangue riuscirono a ferirmi come una lama dritta al cuore, la responsabile della loro morte ero io, Sasha era tornato per punirmi, ero andata con un altro uomo e quello era solo l'inizio delle conseguenze.
 
“Ti ho già portato via tutto, lo farò di nuovo se necessario.”
 
La fine stava giungendo anche per me. Mi venne da vomitare.
Quando Aleksandr entrò nella camera si immobilizzò davanti all'orrore di quei corpi così mutilati, vi era una ferocia in quelle ferite da far presumere che solo un pazzo psicopatico avrebbe potuto esserne l'artefice. Fissavo i corpi dei due russi con uno sguardo vuoto, seduta sulla sedia della scrivania presente nella stanza. Sembravo morta come loro, se non fosse stato per le dita della mia mano che continuavano a sfregare tra loro in lenti movimenti circolari. Ero stata la causa di altre morti, come aveva predetto quell'uomo, ero proprio come una rosa. Chiunque mi si avvicinasse finiva per farsi male. Chiamai Aleksandr e Mikhail, era vitale che entrambi sapessero.
«Che cazzo è successo?». La voce di Aleksandr arrivato per primo mi riportò alla realtà, smisi di torturarmi e chiusi gli occhi riuscendo comunque a vedere i due corpi martoriati: li avevo impressi bene nella mia testa, lì, nella mia memoria in maniera indelebile. Era un peso che avrei portato fino alla fine.
«Aleksandr... Non vi ho traditi. Non sono stata io ad avvisare la polizia». Furono le uniche cose che riuscii a sussurrare mentre gli passavo accanto. Ma sembrava non mi avesse ascoltata neppure mentre vagava per la stanza come in trance. In effetti adesso due dei sospetti erano stati appena fatti fuori in casa mia, il cerchio si restringeva sempre di più attorno al collo del mio Mikhail
Prima di lasciare definitivamente quella stanza degli orrori lanciai un'ultima occhiata allo specchio leggendo nuovamente quella scritta ed osservando il mio riflesso: “I'm watching you”. Tatuai anche quelle parole nel mio cervello, mentre una smorfia alterava i lineamenti del mio viso. La vera assassina ero io e lo specchio non mentiva.
«Cosa cazzo è successo».  Mi ritrovai davanti un Mikhail sbigottito che fissava ad intervalli regolari Aleksandr e i due cadaveri.
«Non li ho ammazzati io, se è questo che pensi». Aggrottai la fronte al tono acido usato per parlare, che stava succedendo tra quei due? Vidi Mikhail irrigidirsi visibilmente a quella frase.
«Non ho detto nulla». Li bloccai sollevando le mani, ero già abbastanza sconvolta di mio.
«E’ stato Sasha, è evidente. Quindi piantatela di battibeccare tra di voi». Li fissai inferocita e li vidi calmarsi improvvisamente. In fondo erano compagni anche loro.
«Fantastico, prima Andrej poi il tradimento e adesso loro due. Chiamare Sergej sta diventando un’agonia nelle mie giornate». Osservai Aleksandr pensierosa, avevo saputo della sparizione di Andrej ed ero certa che fosse lui il colpevole, ma lo tenni per me.
«Posso parlarti?» Mikhail indicò il terrazzino e io mi allontanai lasciando loro il tempo necessario per chiarirsi.

 
 

Aleksandr POV
 

L’incubo di quella notte aveva continuato a ripetersi senza sosta, quasi come se volesse avvisarmi di qualcosa. Ma cosa? Era forse un modo per dirmi che saremmo morti tutti e che la colpa era soltanto mia? Il sospiro di Mikhail mi strappò da quelle congetture costringendomi a fissarlo.
«Pensi sul serio li abbia uccisi io?». Misi le mani in tasca, correvo il rischio di rimettergliele in faccia e non mi sembrava il caso.
«Io non penso un cazzo, è la mia specialità se ricordi bene. Ricapitoliamo: Andrej è ‘’sparito’’ – calcò quella parola con ironia – qualcuno ci ha traditi, e ora muoiono pure Vlad e Igor.. sta diventando assurdo». Mi si avvicinò e io non mi scostai.
«Mi stai accusando di qualcosa?». Respirai profondamente cercando inutilmente di mantenere la calma.
«Hai parlato di un piano .. nel tuo piano c’era la soffiata alla polizia? Sei stato tu?». Lo afferrai per il bavero della giacca e lui mi imitò.
«O magari sei stato tu? . Ci fissammo rabbiosi per un secondo finché il senso delle nostre parole non ci colpì in pieno lasciandoci tremanti e sbigottiti. Eravamo sul serio arrivati a sospettare l’uno dell’altro? Noi eravamo Shùra e Misha, eravamo immuni a cose simili perché il nostro non era un rapporto comune. Lo guardai con dolore.
«Tra ventiquattrore saprò chi è il traditore..». La voce mi venne meno, Misha annuì fissandosi le scarpe.
«Magari è stato Vlad e non potrà più pagare..» era come se ci sperasse fortemente. Sospettava di se stesso adesso? Mi sentivo impazzire mentre gli voltavo le spalle e mi accingevo a comporre per l’ennesima volta il numero di Sergej dandogli ancora un’altra notizia di morte. Ero divenuto simile al cupo mietitore ormai.
 
 
***
 
«Vuoi andare a mangiare un gelato con me?». La fissai stesa sul letto intenta a guardare un punto non ben preciso del muro. Scosse il capo con aria stanca.
«Non voglio..». Era ormai così da giorni, sembrava vuota e priva di forze. Probabilmente il mio essere poco presente aveva favorito il peggioramento delle sue condizioni insieme alla notizia su Andrej.
«Facciamo qualcosa, qualsiasi cosa tu voglia fare». L’avrei accontentata su ogni cosa in quel preciso momento, vederla così faceva del male a me più che a lei.
«Ieri ho visto Misha». Si sedette sul letto invitandomi ad imitarla. Obbedii.
«Ah si? E dove?». Le scompigliai i capelli e la vidi accennarmi finalmente un sorriso.
«A casa sua, abbiamo fatto insieme i biscotti». Stavolta toccò a me sorridere e annuire.
«Scommetto saranno immangiabili». La sua espressione cambiò improvvisamente mentre con gli occhi scandagliava il mio viso.
«Hai avuto notizie di Andrej?». Scossi il capo consapevole della mia espressione neutra e insensibile. Non riuscivo a fingere anche in quello.
«La polizia dice che al 90% è morto» chinò il capo annuendo appena.
«E tu eri con Misha..». Sbuffai innervosendomi, perché diavolo se ne usciva così adesso?
«Mi spieghi che cazzo vuoi insinuare? Sono giorni che ci giri attorno». Sentivo la presa divenire sempre più debole.
«Tu non hai fatto nulla, giusto?». Ci fissammo per istanti che mi parvero interminabili.
«Stai dubitando di me?». Il solo pensiero mi atterriva.
«No, assolutamente» per la prima volta nella mia vita non le diedi fiducia.
«Non so nulla. Non c'entro nulla. Non lo vedo dalla sera prima della sparizione, quel giorno giocavo a poker con Vlad e Misha». Usai la solita scusa, la stessa che avevo propinato anche a Sergej. Poker con Misha. Poker. Poker con Misha, non dimenticare Aleksandr.
«Quella sera?» sapevo a quale sera si riferisse.
«Ero con Misha a giocare anche in quel caso» mentii ancora.
«Quindi quando Anastasia mi ha detto "ha del lavoro da sbrigare con Misha" in verità eri a giocare a poker» abbassai il capo respirando profondamente.
«E' un interrogatorio questo? Chiamo i miei avvocati nel caso. Stai dubitando di me. Okay, questa è bella, e se fossi io il colpevole?». Lo sono cazzo. Io sono il colpevole.
«No è che.. sai com'è, avrei preferito averti accanto quando.. niente, non fa niente. Lascia stare» i sensi di colpa tornarono a tormentarmi come quella notte.
«Lo so, mi dispiace non essere stato lì con te. Vorrei poterti dire che tornando indietro ti sarei stato accanto, lì in quell’ufficio» Bugia. Tornando indietro avrei rifatto la stessa cosa e questo mi avrebbe portato ancora una volta lontano da lei. Bugie e ancora bugie.
 
Per ogni ferita che io possa averti causato, ne ho causata una uguale a me stesso.
 
 
***
 
La porta dell'ufficio si aprì quasi stentatamente, sedevo sulla poltrona firmando fogli della quale neppure mi premuravo di leggerne il contenuto; a quel suono non distolsi lo sguardo limitandomi ad un cenno con la mano ed un ''entra'' sillabato quasi. Poggiai la stilografica sul foglio alzandomi, puntando lo sguardo su Anastasia appena entrata, il sorriso mi si congelò e le ginocchia cedettero facendomi ricadere sulla sedia. Aveva il viso tirato, gli occhi cerchiati di chi si era rigirato ossessivamente nel letto; le sue mani tremavano appena, e il bianco degli occhi era coperto da pagliuzze rosse che facevano pensare potessero esplodere da un momento all'altro. Provai ad aprire la bocca per parlare ma non uscì alcun suono, quindi mi schiarii la voce riprovandoci ancora.
«Che cazzo ti è successo..» Anastasia non disse nulla, aveva probabilmente cercato disperatamente le parole dalla notte prima, da quando finalmente il server della polizia era divenuto accessibile ma non vi era riuscita viste le occhiaie. Poggiò la busta sulla scrivania, le dita tremarono appena ed io la guardai per un istante iniziando finalmente a comprendere. Sentii il cuore serrarsi in una morsa, Anastasia era insieme a me da anni e se quella era la sua faccia dopo aver letto il contenuto, non osavo immaginare cosa potesse esservi scritto ...Misha, era lui davvero il traditore?
«Aleksandr, io...». Le parole non fuoriuscirono. Mi innervosii.
«TU COSA, COSA. MI STAI FACENDO IMPAZZIRE» la colpa non era sua ma dovevo pur sfogarmi con qualcuno.
«Capo, questa è la fine». ''Capo, questa è la fine?''. La vidi coprirsi il viso con le mani sussurrando frasi sconnesse, riuscii solo a captarne alcune: ''Non voglio vedere la sua testa appesa ad un cappio'', ''E' ancora così giovane..''. Improvvisamente sentii il bisogno di vomitare, c'era una nota stonata qualcosa che non sapevo e che il mio sesto senso aveva già capito. Ma cosa? Sollevò lo sguardo piantandolo su di me.
«Sergej verrà a saperlo entro pochi giorni, mentre cercavo mi sono imbattuta in qualcosa di strano. Credo abbia assoldato qualcuno anche lui per avere quel nome, è evidente non si fidi di te..». Girò sui tacchi lasciandomi seduto preda di una confusione che aveva con se un retrogusto doloroso.
 
Aprii la busta e all'interno vi era una sorta di confessione, lessi quelle parole e prima ancora di vedere la firma seppi già chi ci aveva traditi. Poggiai il foglio sulla scrivania, mi girava la testa mentre tentavo di sorreggerla con le mani quasi che temessi di vederla staccarsi dal collo. Mi tappai  la bocca soffocando un conato, alzandomi in maniera così rabbiosa da far rovesciare quasi la sedia; mi trascinai in bagno a stento rigettando tutta la colazione nel cesso, provando a svuotarmi da qualsiasi cosa mi comprimesse il petto in quel momento. Persino dai miei sentimenti. I miei inutili e fottuti sentimenti.
Mi accasciai a terra sentendo la guancia bagnata, la toccai: erano lacrime. Poggiai i palmi contro il viso, schiacciandolo talmente forte da annaspare quasi alla ricerca di aria, soffocando l'urlo disperato che fuoriuscì comunque dalla mia gola. Questa era la fine. La fine, nient'altro che la fottuta fine. Niente addii, niente sorrisi, niente baci o abbracci di commiato, la fine era arrivata lenta ed inesorabile. Come avevo fatto a non accorgermene? Adesso lo sapevo, vedevo ogni indizio che mi aveva lasciato in quei giorni. Dio quanto ero stato stupido. Il dolore al petto sembrava non volersene andare, la mia vita sembrava essersi improvvisamente fermata, non riuscivo ad alzarmi, non potevo neppure strisciare fuori. Fuori vi era la realtà, la guerra e la morte. Sentii la voce di Misha provenire dal corridoio, era arrivata la fine anche per lui solo che ancora non lo sapeva.
«Shùra sei lì dentro?». Non ero pronto a vederlo, non ancora.
«Non entrare». Provai a modulare la voce, ma ci riuscii male.
«Ti senti bene?». Bene? Potendo mi sarei decomposto al suolo a furia di ridere a dirotto.
«Vediamoci al campetto da basket stasera alle otto, ti aspetto lì..». Sentii la porta chiudersi mentre tornavo a strisciare e svuotarmi l’intestino.
 
 
***
 
Calpestai il suolo del campo da basket fissando il cielo nuvoloso, volsi il capo verso Misha che sembrava ansioso di disputare quella partita. ‶Non lo sai? Abbiamo già perso fratello‶, avrei voluto dirlo ma le parole sembravano incastrate in gola, mentre nella tasca dei pantaloni pesava come piombo la lettera.
''Sei il centro, Misha‶. Lui era il centro di ogni cosa per me, era il perno della mia vita ma allora perché il mio unico pensiero al momento era: ‶Avrei voluto fossi stato tu il traditore‶. Non dissi neanche quello, limitandomi a spiegare le regole del basket già sentite e risentite miliardi di volte. Come un disco rotto che trasmette sempre le stesse notizie.
‶Che notizie hai per me oggi?‶
‶Nulla di che, solo presagi di morte Misha.‶
‶E' lei, Misha‶. E' lei cosa? E' lei il veleno e l'antidoto al tempo stesso? E' lei la donna per la quale abbiamo litigato vent’anni? E' lei l'asse su cui ruotano le nostre vite? E' lei la lama affilata del coltello che ci trapasserà. E' lei la traditrice. Sophia. La sua firma spicca in nero a chiudere quel flusso di parole poste all'interno di una sterile lettera. Riuscii a contare tutte le sue lacrime, tutti i singhiozzi spesi facendo quella confessione, ma sopratutto riuscii a percepire l'odio che cospargeva il foglio, come un manto nero.
‶Ehi, non ha mai fatto il nostro nome però, è una consolazione no? Che dici Misha??‶, non dissi neanche quello, a testa china gli passai la lettera che iniziò a leggere. Conoscevo a memoria il contenuto, ma anche se così non fosse stato, mi sarebbe bastato guardare il mutevole cambio d'espressioni sul viso di Misha per capire a che punto fosse arrivato.
«Chi lo sa oltre noi..» la sua voce cadaverica non mi destabilizzò.
«Nessuno. Ho due giorni di tempo» come quella notte, ancora una volta, non riconobbi la mia.
«Due giorni ..per cosa, Aleksandr?» lo sapevamo entrambi.
«Per mandarla via e diventare il suo nemico. Non pensare minimamente di ammazzare Anastasia; non c’entra nulla, le ho chiesto io di indagare. Sergej ha smosso altre persone per arrivare al colpevole» supposi non ci fosse altro da dire.
«Cosa facciamo...» Mikhail annaspava alla ricerca di aria, cercava di aggrapparsi al suo perno, ma in quel momento ‶il perno‶ non riusciva a trovare il proprio baricentro. Lo vidi fissarmi per un istante e riuscii ad assimilare quasi il suo dolore.
«Avrei preferito fossi stato tu il traditore ..sono una cattiva persona per questo?» lo guardai senza vederlo, riuscendo quasi a sorridere.
«No, perché avrei preferito anch'io leggere il tuo nome». Non vi era bisogno di giustificazioni, lo sapevamo entrambi.
 
‶Misha lasciami qualche minuto, ho bisogno ..non lo so di cosa ho bisogno, ma so che devo stare solo. Se vedi il mio viso adesso non riuscirò più a salvarci‶, non dissi neppure questo ma lui capì, o forse aveva semplicemente i medesimi pensieri, si allontanò barcollando senza girarsi al rumore del tonfo sordo, il rumore del mio inutile corpo che cadeva inerme al suolo. Si sedette sugli spalti, così vicino eppure così lontano da me.
Iniziò a piovere ed ecco la prima cortina che si formò, come una barriera tra lui e me.
Iniziai a piangere, ecco la seconda. Non vidi nulla se non il dolore. Era ovunque, mi ammorbava soffocandomi, sentivo i singhiozzi di Misha o forse erano solo i miei. Il groppo che avevo in gola non andò via, stava lì a soffocarmi quasi a volermi dire ‶muori Aleksandr, muori‶. Ma come può morire un morto? Chiamai mio padre ma quel giorno lui non accorse, neppure un alito che faceva presupporre il suo pallido fantasma, niente di niente, mi aveva abbandonato anche lui. Mi rannicchiai a terra lasciando che la pioggia si mischiasse alle lacrime, quella era la fine o l'inizio della partita? A quel punto non ero più sicuro.
 
 -  Una delle mie paure più grandi è che tu mi veda come io vedo me stesso.
 
Alla fine era successo davvero. Ci eravamo visti tutti e tre, nudi e inermi per ciò che eravamo. Cosa aveva visto Sophia? Cosa Misha? E cosa io?
 
 

Mikhail POV

 
«Ok Belov, sono pronto. Ce la giochiamo e allora deciderò se perdonarti o meno per tutte le botte che mi hai dato in queste settimane». Io e Shùra avevamo sempre avuto un campo da basket in cui giocarci ogni faccenda, andavamo lì in pantaloncini ed un’aria insolita da ragazzini disegnata sul volto, forse un espressione che usciva fuori solo quando stavamo insieme e da soli. Quella volta Shùra non aveva la mia stessa espressione però. Fece un sorriso tirato ed abbassò la testa, come se l'avessi appena battuto ad una partita di play-off.
«Sei il centro Misha». Shùra mi guardò tirandomi la palla che presi al volo, la guardai quasi con diffidenza passandomela tra le mani, dopodiché alzai il viso e gli sorrisi fingendo di aver capito e gli ripassai la palla.
«Sei il solito idiota, ti ho persino insegnato a giocare a basket ma non ti sei mai degnato di imparare i ruoli. Il centro è il perno della squadra, uno dei ruoli standard della pallacanestro. Il centro, detto anche "cinque", è generalmente il giocatore più alto della squadra e preferibilmente il più massiccio dal punto di vista muscolare. Solitamente, ad un centro si richiede di saper sfruttare la sua grande massa soprattutto nei pressi del canestro. All'interno dell'area dei tre secondi deve saper segnare, difendere e stoppare i tiri degli avversari, cioè spazzare via con le mani il pallone mentre vola verso il canestro.. mi segui testa di cazzo?» «Sono tutto questo? O forse è un modo per persuadermi dal ridurti uno straccio?» avevo come l’impressione che non stessimo parlando più del basket.
«Sei tutto questo Misha, ma tu ancora non l'hai capito. Cosa devo fare per convincerti?». Fui certo di vedere delle lacrime negli occhi di Shùra. Mi avvicinai a lui e gli presi la palla tra le mani, la guardai attentamente e risi di me gettandola dietro le mie spalle. Io e Shùra ci guardammo, ma nessuno parlò. Quel silenzio tra noi mi fece avere le stesse lacrime che mio fratello aveva negli occhi.
«Tu sei il playmaker o la guardia tiratrice?». Cacciò un foglio dalla tasca, aveva tutto l'aspetto d'essere una lettera ormai maltrattata, come se l’avesse letta e riletta nel vano tentativo che il contenuto cambiasse. La guardai, poi guardai lui che rivolse lo sguardo oltre la mia figura.
«Vorrei essere entrambe, compresa l'ala grande». Quel giorno Aleksandr mi parve morto, finii per convincermi che stessi parlando con un fantasma o lo spirito sconsolato e dannato di quella che era, e sarebbe stata per sempre, la persona più importante della mia vita.
«Cos'è quella?». Mi sentii improvvisamente diffidente.
«E' lei, Misha». Le mie orecchie sembravano otturate.
 «Lei chi? Di cosa parli? Andiamo, se è una tattica per vincere te la stai giocando male». Non lo era, non c'era nessuna tattica e nessun imbroglio nel foglio che mi consegnò Shùra. Lo lessi svogliatamente, come se ciò che ci fosse scritto non rientrasse nei miei interessi. Ma via via, parola per parola e lettera per lettera cominciai a realizzare cosa avessi tra le mani. Gli consegnai il foglio senza andare oltre l'ultima riga, era inutile leggere il nome a quel punto.
Sophia.
La mia Sophia, la mia principessa. La donna alla quale avevo dedicato tante promesse, tante parole dolci che nemmeno mi appartenevano. La donna di cui mi cui mi ero innamorato a soli cinque anni, colei che io e Shùra avevamo sempre protetto, la donna alla quale avevamo costantemente mentito. Le avevamo fatto direttamente del bene e indirettamente del male.
Mi voltai di spalle, Aleksandr non parlò, non gli uscirono parole ma sentii il tonfo cupo di qualcuno che aveva appena perso la propria anima, il proprio cuore.
Andai a sedermi su quegli spalti e sul viso sentii il fuoco agghiacciante di quelle luci artificiali. Shùra era ancora in campo.
Piansi, piansi fino a sentirmi le pupille uscire fuori dalle orbite. La vista era completamente andata. Sentivo d'esser diventato cieco.
Da quegli spalti stavo assistendo alla partita ormai finita di quella che era stata la mia povera vita, quella di Shùra e quella di Sophia.

 
 

Sophia POV
 

( cinque giorni prima )

 
 
Quel giorno mi sono sentita una traditrice. Una vera traditrice.
Passai l’intera giornata a fissare la centrale di polizia dall’altro lato della strada, in silenzio. Ogni tanto ripercorrevo la lunghezza della stradina poco affollata alla ricerca del coraggio e della convinzione che non avevo mai avuto. Mi chiedevo se fosse la cosa giusta da fare, se fosse il momento più adatto ma non trovai la risposta da nessuna parte. A volte gli occhi ricadevano sulla figura che si rifletteva dalle vetrine dei negozi e più mi guardavo più provavo pena per me stessa. Avevo perso un bambino, il mio bambino, ed ora ero lì pronta perdere tutto quel che avevo. Certo, erano solo montagne di bugie dalle fondamenta marce, ma avevo paura di perdere anche quelle e rimanere col nulla tra le braccia. Allora distoglievo lo sguardo e guardavo altrove, in basso, piena di vergogna e a quel punto rivedevo le mie interiora defluire lasciando solamente un gran vuoto, una vasta ed imponente desolazione.
“Sophia, andrà tutto bene, dovrai solamente dire la verità e la verità è sempre la cosa giusta”, mi ripetevo con una convinzione così finta da far ridere.
Le ore passavano ed il sole iniziava a nascondersi rabbuiando tutto quel che mi circondava. Pensavo. Sì, pensavo a quanto la vita fosse stata paradossalmente ingiusta: ti da e poi ti prende tutto senza neanche lasciarti il tempo per capire cosa ti succede intorno. Mi aveva dato una vita perfetta, la famiglia dei sogni, persone meravigliose, l’amore, un bambino. Ed ora non avevo nulla, niente se non un rancore smisuratamente eccessivo nei confronti di Sergej Mikhailov, mio padre. Ci pensavo, realizzavo e il sangue ribolliva nelle vene dandomi finalmente quell’impulso a varcare il marciapiede della strada.
Armata del mio coraggio, pronta ad affrontare tutto e tutti fermai il primo agente e lo fissai cercando le parole giuste, parole che non trovavo.
 
— Signora, posso esserle d’aiuto?
— No.. cioè, sì, sì.
— E in cosa potrei aiutarla?
 

Beh, quella domanda. Mi ripiegai su me stessa, quasi volessi annullarmi e scomparire nel nulla, inghiottita dalle tenebre, e invece no ero ben illuminata dalle luci al neon bianche ed abbaglianti. Non c’erano parole sufficientemente adatte e non c’era neanche il coraggio per pronunciare il nome di certe persone. Ma dovevo, era la cosa giusta e poco importava se l’avrei rimpianto per sempre.
 
«Sono qui per parlare di una cosa delicata, ma non con lei. Magari con un commissario, insomma, qualcuno che possa fare qualcosa..». Perché quell’uomo dal viso scarno ed il ciuffo ondulato non mi pareva il massimo.
«Sta parlando col commissario di questa centrale, quindi credo proprio che si dovrà accontentare. Allora – cambiò discorso riprendendo l’argomento principale e a lui ancora ignoto – di cosa voleva parlare? Una denuncia?» "Sophia, sei sicura?", si sono sicura. Presi un respiro, contai i battiti del mio cuore ed afferrai la mia carta d’identità, unico documento che avevo addosso.
 «Sono la figlia di Sergej Mikhailov ‘Mikhas. Andrej Averin, figlio di Viktor Averin, è scomparso qui a Seoul qualche giorno fa. Mikhailov, mercoledì deve concludere una trattativa con un gruppo colombiano qui a San Francisco, so dove avverrà lo scambio di armi e droga. Non so altro al momento». L’uomo s’immobilizzò. Sulla targhetta leggevo ‘’commissario Garcia’’ mentre nelle orecchie rimbombava il rumore assordante del mio cuore. Non disse nulla, non si mosse, non reagì. Rimase fermo lì dove si trovava a fissarmi, a studiare il mio sguardo e i miei movimenti. Poi mi afferrò per un braccio e mi trascinò in una stanza, lontani da tutte le orecchie indiscrete che avrebbero potuto ascoltare le mie parole. Dalle mie labbra usciva oro colato, parole che valevano una fortuna.
«Calma, calma. Stiamo parlando dello stesso Mikhailov?». La carta d’identità finì a pochi centimetri dal suo naso.
«Parliamo dello stesso Mikhailov, ho capito. Lei sa quel che sta facendo in questo momento? Ne è consapevole? A quanto pare è suo padre». Annuii.
«Va bene. Vado a prendere il registro delle dichiarazioni e le faccio preparare i moduli per farla rientrare nel programma protezione testimoni». Annuii ancora una volta con un cenno del capo, poco convinta.
Uscii da quella centrale con la mente vuota, la mano sul ventre per proteggere quel che non c’era più. Ricordavo solamente un mare di parole, un fiume in piena che sfociava e non si fermava più. Le orecchie di chi mi ascoltava erano più attente che mai. Non pronunciai neanche una volta il nome di Aleksandr. Non osai nominare Mikhail e non fui neanche capace di mettere in mezzo Nadja, che così simpatica non era. Eppure sapevo che sarebbero risaliti anche a loro, io lo sapevo e non mi ero ugualmente fermata.
Ma ciò che avrei ricordato di più di quella giornata fu la fitta che provai, una morsa che mi fece singhiozzare tra una lacrima e l’altra.
   


 
Vedevo la mia testa pendere,

appesa dai capelli,

dalla cattedrale di San Basilio

tra curve e colori.
  
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