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Autore: Luana89    20/06/2017    1 recensioni
«Misha, sai cosa dicevano i navajo mentre camminavano in questo preciso luogo?» Sophia ci guardò come se si aspettasse una risposta, io scrollai semplicemente le spalle dando l’ennesimo tiro alla mia sigaretta. La sua voce divenne improvvisamente bassa, era l’eco di ogni mio battito. «Con la bellezza dinanzi a me avanzo. Con la bellezza dietro di me avanzo. Con la bellezza sotto di me avanzo. Con la bellezza sopra di me avanzo – l’aria si fermò improvvisamente, quasi ascoltasse anche lei – Finisce nella bellezza. Finisce nella bellezza» Sophia chiuse gli occhi come se cercasse di assaporarne meglio le parole. Misha corrugò la fronte probabilmente riflettendo sul senso di quel discorso. «E perché me lo stai dicendo?». Il silenzio ci assordò per qualche attimo.
«Sostituisci la parola ‘’bellezza’’ con ciò che ami di più, e avrai la risposta al quesito» gettai a terra la sigaretta allontanandomi da loro, mentre il mio riflesso diveniva simile ad un miraggio.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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ACT XVIII

 
 
Quella mattina ricevetti una chiamata dalla centrale di polizia. Dall’altra parte della cornetta dicevano che non ero più al sicuro e che avrei dovuto lasciare casa – una gran parola – il più presto possibile. Cominciavo a soffocare tra quelle quattro mura domestiche, austere ma impregnate di ricordi; ascoltavo distrattamente il discorso del commissario Garcia mentre i miei occhi fissavano con timore la finestra. L’idea di mettere piede fuori mi terrorizzava: preferivo rimanere e soffocare anziché uscire e rischiare di non ritornare mai più. Varcare la soglia della porta significava abbandonare tutto quanto, chiudersi il passato alle spalle ed iniziare da capo, ed io non ero pronta. Nella mia testa mi dicevo “fingi, ignora, fai finta non sia successo niente, sii la solita Sophia”, ma era troppo tardi.
In pochi giorni ho imparato a mentire diventando una bugiarda provetta. Mentivo a me stessa, fingendo una triste felicità e disinvoltura,mentivo a quei pochi amici che avevo, mentivo a Shùra, a Misha, a mio padre. A volte sentivo il peso delle bugie sulle mie spalle e gravava così tanto da schiacciarmi. In momenti del genere mi sentivo particolarmente vulnerabile. L’aria circostante, satura di sconforto ed amarezza, m’intossicava ed io non riuscivo più a mentire. Ecco, quella mattina avevo il petto appesantito e la testa tremendamente dolorante. Troppi pensieri, mi dicevo, eppure avevo un chiodo fisso e nulla più.
Il commissario mi invitò nuovamente a passare in mattinata ma non ricevette alcuna risposta da parte mia.
Quella mattina fu proprio quella chiamata a svegliarmi riportandomi alla realtà. Passai la notte nel letto di Aleksandr. Passammo le ore notturne coperti dalle sole lenzuola, tra sporadiche parole e sterili promesse che sapevano d’amore. Mi diede un bacio e pensai che quello sarebbe stato l’ultimo. A coprire il mio volto triste ci pensarono le tenebre e le spalle dell’uomo che amavo mentre la fioca luce della luna carezzava le mie spalle. Aleksandr s’addormentò ed io rimasi a vegliare contando i suoi respiri, avida di ricordi. Mi sentivo una formica: gran lavoratrice, pronta a lavorare giorno e notte per raccogliere provviste in vista dell’inverno rigido che mi aspettava. Raccoglievo ricordi, cocci di felicità d’un vaso ormai a pezzi, e mi godevo quel poco tempo rimasto.
Quella mattina nessuno era a casa. Sola con i miei pensieri la prima cosa che feci una volta riattaccato il telefono fu scrivere a Mikhail. “Ti voglio bene”, scrissi. “Io molto di più, sicuramente”, mi rispose. Lessi il messaggio e, incredula, mi chiesi come potesse essere possibile. Sapevo tutto, o quasi. Sapevo del sangue che colava dalle sue mani, dei peccati che aveva commesso, del cappio che aveva al collo eppure continuavo a vedere un Misha che non rifletteva niente di tutto ciò. Ripensai alla casetta in legno che mi costruì e mi sentii appassire. Diceva d’essere l’uomo e ch’era suo dovere proteggermi; proteggermi da chi? Da lui? Da tutti? Oppure voleva proteggersi?
Quella mattina avrei voluto svegliarmi ed essere un fiore piantato a terra. Un meraviglioso fiore che risorge e sboccia all’infinito.
Quella mattina avevo il cuore a punta. Mi trapassava il petto ad ogni battito. Mi vestii. Presi quel poco che avevo tra le mani. Me ne andai. Camminai meccanicamente. Lo sguardo perso. Mi consolavo sussurrandomi ch’ero salva perché già persa e che peggio di così le cose non potevano andare. Poi arrivai davanti alla centrale e quel cuore a punta iniziò a battere ancor più rapidamente. Venni accolta e ricevuta in un silenzio surreale, fatta accomodare in una stanza bianca dove il vuoto era colmato da un tavolino sul quale vi erano posati dei documenti. La vedevo. Vedevo la pietà negli occhi del commissario Garcia. Si sedette di fronte a me, incrociò le dita e con tono solenne iniziò un discorso che non avrebbe mai ricevuto una risposta da parte mia.
«Siamo riusciti a mandare all’aria l’affare grazie al suo aiuto». La cosa doveva farmi piacere, eppure non era così.
«Abbiamo catturato buona parte del gruppo colombiano ma i russi hanno fatto perdere le loro tracce. Se ha qualche informazione che possa tornarci utile non esiti a comunicarcela. Il suo aiuto è stato indispensabile». Altre parole dette a vuoto.
«Bene. Come le avevo detto al telefono – proseguì rispettando il mio silenzio – deve lasciare il suo domicilio al più presto. Stando ai documenti, vive con due amici proprietari di un’agenzia. I registri contabili dell’agenzia sono puliti è tutto qui a quanto sembra. Articolò quel “sembra” masticandolo a dovere. Avesse saputo quante donne là dentro erano trattate come oggetti, buchi da riempire e gettare. Un groppo in gola si formò. Era la cosa giusta dire tutto, ma non ne fui capace. Sapevo comunque che avrebbero scoperto da soli gli stretti rapporti con Sergej.
«Ma passiamo ai due punti principali: a partire da oggi lei è ufficialmente sotto la protezione dello stato americano. La polizia federale statunitense sta provando ad identificare qualche ramo d’affari della Solntsevskaya per farla integrare nel programma protezione testimoni dell’FBI». Credevo che certe cose esistessero solamente nei film americani.
«Capisco. Quand’è che dovrò lasciare casa?»
«Domani». “Domani”. Avevo ancora qualche ora per osservarli.
«Sophia – questa volta mi chiamò per nome ma s’interruppe esitante – Abbiamo fatto anche qualche ricerca sulla sua famiglia, per contattare i suoi genitori biologici. Mi dispiace». Allungò una busta sotto i pugni che stringevo sul tavolo e mi carezzò le mani rifilandomi una triste consolazione. I miei genitori. Avevo davvero dei genitori? Mio padre era Sergej Mikhailov, lo era sempre stato. Papà non era un mostro, o meglio, non il padre affettuoso che avevo conosciuto. Mai una volta che non avesse soddisfatto i miei capricci; mi ripeteva sempre che io, Sophia Mikhailova, ero una principessa. Quando tornava a casa dopo una lunga riunione con “gli azionisti” passava in camera mia con un peluche nuovo per farsi perdonare per l’appuntamento “fiaba & favola” mancato. L’idea d’aver una madre ed un padre, qualcuno che non fosse lui, non mi aveva mai sfiorata. Ora, invece, qualche meccanismo s’innescò.
Uscii dalla stanza, in fretta e furia, e cercai sostegno contro la parete. Le mani esitavano, tentennavano tenendo quella busta. Iniziai a chiedermi come fosse “mamma”. Il loro nome, il cognome, la mia identità. Magari potevo andarli a trovare! Poi aprii la busta e ritornai con i piedi a terra, in un incubo vivente.
Leggevo: “corpo mai ritrovato”, “confine russo”, “sparatoria”, “alcun risconto negli orfanotrofi”, “Sergej coinvolto nell’omicidio”, “sospetti”, “perse le tracce della donna”, “Mosca”. L’ultima linea mi uccise: era morta, anche lei. Mi dissero che era morta.. Che nell'alba l'avevano vista galleggiare. Come un cigno. Nel Volga. Come zio Yuri.
Stropicciai quel foglio con rabbia e trattenni le lacrime. Mi allagavo l’anima e mi presentavo arida. Aleksandr mi chiamò.
 
— Sophia, dove sei?
— In farmacia. Sto tornando a casa! Passo a prenderti qualcosa per pranzo?

Non riconobbi quasi la sua voce. Tornai a casa.
 
Persa. 
 
 

Aleksandr POV

 
Se avessi dovuto descrivere le ventiquattrore che seguirono la scoperta del traditore, probabilmente neppure tutto il mio impegno, o tutto l’ingegno nella manipolazione oratoria sarebbero serviti a descriverle. Tornai a casa, nonostante ogni pezzo di me pendesse come carne putrida, io tornai in quel luogo nella quale giacevano i nostri ricordi, la fissai, ci sorridemmo e facemmo l’amore. Ogni affondo dentro di lei sembrava urlare ‘’addio’’, ogni bacio era una bugia, e quando finsi di dormire sentendo il suo respiro traditore sulle mie spalle non trovai più la pace. Forse perché non c’era mai stata. Mi concessi quel giorno per stare ancora insieme a lei, prima che la vita e le mie bugie, le mie scelte sbagliate degli ultimi vent’anni, non scavassero quel divario. Quel solco profondo che ci avrebbe posti al varco, uno contro l’altra.
Per quanto ci riflettessi, non mi restava altro da fare che sbatterla fuori e divenire il suo cacciatore ufficiale. L’avevo chiamata quella mattina:
 
— Sophia, dove sei?
— In farmacia, sto tornando a casa! Passo a prenderti qualcosa per pranzo?
— No, ho ancora i blinciki che mi hai preparato tu, torna.
 
Dovevamo dirci addio in grande stile, no?
 
Stavo seduto in salotto, il bicchiere di vodka nelle mani (‶Mamma, somiglio sempre più a te‶ ), che ora era? Solo un'ora qualsiasi in una domenica qualsiasi, nel bel mezzo di una tempesta qualsiasi. E' come quando ti prepari a morire, sistemi le ultime cose e prendi un bel respiro profondo contando i passi che ti separano dal boia, io feci  la stessa cosa osservando Sophia varcare la porta. Un passo, due passi, tre passi. Ne bastarono dieci per averla seduta accanto a me; bevvi una grande quantità di liquido alcolico sospirando rumorosamente, voltandomi poi a sorriderle. Riuscivo a fingere bene? Ne dubitavo. La vedevo guardarmi con doloroso affetto, era finto anche quello? Aveva sorriso anche tre giorni prima? Mentre osservava l'orologio pensando ‶Li avranno già arrestati?‶. Accarezzai il bicchiere, i blinciki di carne giacevano su di un vassoio, Sophia li guardò con ingordigia pensando già al lauto pasto che avrebbe fatto di lì a poco.
«Ho ucciso Andrej. Gli ho maciullato il viso con un colpo di pistola, qualche notte prima del tuo aborto» il silenzio urlò squarciandomi i timpani.
«Non.. non credo di aver capito bene». Il blinciki cadde dalle mani di Sophia che d'un tratto diventò pallida, o forse lo era già da prima. Mi ero sempre vantato di saper leggere a fondo la gente, perché non c'ero riuscito con lei?
«Non lo sai già? Non è questo che hai detto alla polizia sette giorni fa? ''E' scomparso'', così hai detto». Sorrisi malevolo cercando di ricacciare il groppo, ingollando un'altra spropositata quantità di vodka, versandone ancora nel bicchiere.
«Non so di cosa parli». Era così quindi? Voleva fingere?
«L'ho fatto per te. Non c'è nulla che non farei per te.. compreso uccidere.» Sophia tremò, arpionando con le piccole mani i braccioli della poltrona incapace di respirare
«Questo ..questo non si chiama amore, ma omicidio» dettaglio irrilevante per me, ma dovevo concederglielo e quindi tacqui.
«Perché mi hai tradito?» non riuscii a pronunciare bene quella frase, nonostante tutto per me era inconcepibile.
«Dimmi che le cose non stanno così. Dimmi che tu non hai nulla a che fare con questa merda. L’uomo che amo non è un assassino bugiardo. Dimmi che Misha non è coinvolto, che non ha mai toccato un’arma e che non ha mai fatto del male a nessuno. Dimmi che non hai mai saputo niente. Dimmelo, ora. DILLO» impazzì improvvisamente, e io la seguii subito dopo, allargai le narici fracassando il bicchiere di cristallo sul tavolino. Lo schianto rumoroso fece sobbalzare Sonech'ka che si rannicchio nella poltrona cercando di proteggersi, non dalle schegge ..ma da me. La guardai cercando di non provare disgusto per me stesso di fronte la paura della donna.
«ADESSO VUOI CHE TE LO DICA? DOPO AVERMI TRADITO. AVER SCHIACCIATO ME E MISHA, ADESSO VUOI UNA FOTTUTA CONFERMA?» qualcosa di caldo mi avvolse la mano, non ci badai.
«Non azzardarti ad urlare contro di me, Aleksandr Belov. Sei complice di mio padre, mi avete mentito tutta la vita... è stato bello prendersi gioco di una stupida come me?» la sua voce sembrava stranamente sicura, ma sorda come il solito barile col buco sul fondo.
«Lo abbiamo fatto per il tuo bene. Puoi credere almeno in questo?» mi ritrovai dalla pazzia alla disperazione nel giro di un battito di cuore.
«Hai ragione tu, mentire è sicuramente la cosa migliore da fare. Quando tornavate a casa con tutte quelle ferite mi mentivate, vero? Andavate in giro a spargere sangue e poi tornavate a casa trattandomi come una perfetta cogliona che non capisce un cazzo. “Avevo del lavoro da recuperare in ufficio”. Gestire un traffico di puttane è un lavoro?» sapeva anche quello.
«Se ti dicessi che no, non gestisco quel traffico suppongo la prenderesti come l'ennesima bugia. Non voglio raccontarti la verità, voglio continuare a darti la mia pillola quotidiana di cazzate, bagnata nello zucchero» il mio tono nauseò entrambi.
«Mi fate tutti schifo..» il suo nauseò solo me.
«Sei degna figlia di tuo padre, mi hai sorriso. Hai dormito con me. Nuda. E mi avevi tradito..» si ritrasse ferita, avevo per metà ragione in fondo.
«NON PERMETTERTI DI PARAGONARMI A QUELL'ASSASSINO. SIETE VOI I NEMICI, NON IO. Vorrei che per una volta mi dicessi la verità, c'è qualcosa su cui non hai mai mentito?» sperava ancora fosse tutto uno scherzo, nonostante non ci credesse neppure lei.
«Ogni ‶ti amo‶ era sincero. Vorrei non avere le mani macchiate del sangue altrui, vorrei essere la persona corretta che tu pretendi, vorrei non avere un passato, ma non posso dirtelo.. Puoi almeno credere al fatto che ti amo? Puoi almeno..» non mi lasciò finire.
«Ti ho amato. Ti ho amato fino a distruggermi per te. Ma oggi Sophia e tutto ciò che ti riguarda muore qui e adesso». Si alzò tremando appena, gli occhi aridi non sembravano mostrare la minima traccia di cedimento, a differenza di quelli miei pronti a fuoriuscire e schiantarsi al suolo.
«Non disturbarti ad accompagnarmi alla porta .. conosco la strada. Lui pagherà, e tutti quelli che si metteranno in mezzo ..compresi voi. Voglio riscattare anche la vostra dignità, non rendermi tutto più difficile» la sicurezza nella sua voce accapponò la mia pelle.
«Morirai. Lui ti ucciderà. Non voglio perdere anche te ..ti prego. Non ho mai supplicato nessuno in vita mia, neppure gli aguzzini di mio padre ..Sonech'ka..» si tappò le orecchie urlando.
«Non chiamarmi così». Mi guardò gelida mentre il divario tra noi diveniva sempre più profondo. Abbassai il capo sconfitto, la mano sanguinava e alcune schegge di vetro mi perforavano il palmo, perché non sentivo dolore? Ero forse troppo preso dall'ascoltare quello sordo nel mio petto.
«Se varchi quella porta, se te ne vai .. la tua strada si delineerà e io sarò al varco opposto, con le armi in mano» neppure quello sarebbe servito a fermarla, lo sapevo bene.
«Ti aspetto lì allora, al varco. Non tardare, ‶Shùra‶» le conferme facevano male.
«Chi dovrei sacrificare al posto tuo? A chi dovrei strappare la testa? Misha? Il mio Misha? Dorian, Nadja, Sergej? Chi» la guardai disperato, provavo ad aggrapparmi ancora a lei.
«Te» sentii il sangue congelarsi all'interno delle vene. Aveva sul serio detto ''te''? Qualcosa si distrusse, si frantumò e si ricompose, il tutto in una frazione di secondi.
«Ti amo davvero Sophia». Non trovai niente di meglio da dire.
«Un mostro può amare?» Sophia sorrise malevola, ma i suoi occhi erano gonfi di pianto e disperazione.
«Porta con te il mio libro, e leggilo quando penserai non ci sia più speranza». Non si voltò neppure una volta.
 
 
Un mostro può amare? Distrussi ogni mobile di quella stanza, urlando fino a restare senza voce mentre le schegge di vetro ancora conficcate nel mio palmo erano ben poca cosa rispetto al dolore che provavo. Mi inginocchiai afferrandomi i capelli, era quella la fine? La vedevo, mi vedevo. Vedevo entrambi e vedevo Misha, in un modo o nell'altro ci saremmo ricongiunti. Ma da morti.
Mikhail entrò in quel momento osservando orripilato il caos di quella stanza, e me. Un groppo sembrò serrare la sua gola impedendogli di parlare mentre sollevavo gli occhi: avevo lo sguardo di un morto.
 
‶ Sophia senza di te non c'è vita, come faccio a fare a meno di te?‶
 
‶ E non dovrai farlo, mai.‶

 
When is a monster not a monster? Oh, when you love it.
 
 
***
 
 
Avrei passato un’altra notte insonne, attendendo che Misha dormisse prima di sgattaiolare fuori dalla mia stessa casa come un ladro. Non mi aveva detto nulla dopo avermi guardato in quella stanza, aveva appreso da solo della scomparsa di Sophia ma non sapeva con esattezza cosa ci fossimo detti in sua assenza, né io mi premurai di dirglielo.
Capii subito che qualcosa non andava quando provai ad aprire l’auto e non successe nulla: era già aperta. Assottigliai lo sguardo guardandomi attorno, erano passati due giorni dal fatto e dall’addio a Sophia, Sergej ormai avrebbe dovuto saperlo, che avesse mandato qualcuno? A che scopo?
Sul cruscotto spiccava l'angolo di quella che sembrava una busta, o un foglio, lì dentro non vi era nulla del genere però, o almeno questo era ciò che pensavo. Mi sedetti e aprii la busta, estraendo quella sorta di messaggio che probabilmente risiedeva lì da poco:
 
‘’Io sono amato, credo: fiducia il cuore chiede. No, non può la mia cara illudere la mia fede. Tutto è sincero in lei: il fuoco dell'amore, e, dono delle grazie, il timido pudore, le vesti e i discorsi, negligenza gentile, e dei teneri nomi la mollezza infantile.'’
 
Le parole di Puskin rimbombavano nella mia mente, accartocciai quel foglio con rabbia. Non avevo neppure bisogno della firma. Sophia. Quello era esattamente il suo stile, Sophia era come il taglio al centro delle labbra, bastava stirarle appena per sentirne il dolore. Era come il gancio rotto del tuo orologio preferito. Come i freni dell'auto che non funzionano quando prendi lo slancio. Era morte ed era vita. Lasciava lì delle parole che sapeva io avrei compreso, mi voltai e la vidi accanto a me: sorrideva. Non era il suo sorriso bonario, vi era un pizzico di perfidia.
 
Te. Ricordi? Te.
 
Lo ricordavo perfettamente, le avevo chiesto chi avrei dovuto sacrificare al posto suo. Sophia era tornata dai miei incubi per ricordarmelo ancora una volta.
Sparì confondendosi con l’aria primaverile, lasciandomi solo e ancora più disperato di prima.
 
 Volevo starle vicino. Mi piaceva vederla mangiare un cioccolatino come una bambina e poi pulirsi con la mano. Quando tutti la chiamavano e lei diceva “sono fuori con il mio Shùra”. Non era come tutte le altre. Lei non mi amava come le altre. Lei mi amava sinceramente. E anche io. Lei era la mia bambina.
 

 

Mikhail POV

 
I ricordi sono semplici maschere di c’era.
 
Senti, Misha..
 
Mh?
 
 .. secondo te sono troppo grassa?
 
Sì.
 
Fai proprio schifo. Me ne vado. Addio per sempre. E non mi fermare. Il conto lo paghi tu. Sappi che il piatto che hai preso è orrendo. Sto andando. Anche se mi fermi me ne vado. VADO? VADO.
 
...
 
NON MI VUOI BENE NEANCHE UN PO'.
 
Mi chiedo da quale buco tu sia uscita.
 
Mikhail Volkov, attento a come parli. Stai parlando a Sophia la Meravigliosa. Meravigliosa con la emme maiuscola.
 
Ultima volta che mi faccio portare fuori a mangiare.
 
Lo dici sempre e poi..
 
E poi rompi il cazzo.
 
 Non sei mai carino con me.
 
Ma non mi dire.
 
Se non mi vuoi bene allora perché esci con me?
 
Vuoi sapere cosa ti leggo in faccia?
 
Giuro che se fai un commentino simpatico ti mando a dormire con Tata Deda, vedi tu. Lo giuro.
 
Sce-ma.
 
 Sei odioso..
 
 Ti voglio bene, Sophì.
 
 
‘’So che è un po’ presto per farti gli auguri di buon natale, ma non credo avrò l’occasione di farteli di persona quest’anno. Quindi ho deciso di rimediare così, con una lettera ed una bella torta al cioccolato, una di quelle che piacciono tanto a te.
Mi sono resa conto che per anni ho vissuto con due persone che credevo di conoscere ma che, in realtà, non sapevo neanche chi fossero. Per anni son rimasta con la convinzione che queste due persone fossero semplicemente strane e per anni ho amato queste persone. Ora che ci penso bene “anni” è riduttivo: qui si parla della mia vita, la mia intera vita.
Sin da piccola ho creduto che Misha, o meglio, Mikhail fosse un ragazzino un po’ troppo particolare. Antipatico, testardo, volgare; in pratica eri e sei esattamente l’opposto del principe azzurro eppure, nonostante tutto, mi sono affezionata a te. Ho imparato a conoscere Misha, quello che non ascolta mai nessuno, che fa la pipì fuori dai finestrini, quello che adora i dolci al cioccolato. Pensavo veramente d’essere la sola a saper tutto quanto di te (dopo Shùra, ovvio, visto che tra maschietti i segreti non esistono, giusto?) e mi sentivo terribilmente felice. Credevo proprio d’essere la sola ad aver avuto l’onore – chiamiamolo così – di conoscere quel lato dolce e nascosto, ed invece.. Poi, all’età ventisette anni ho scoperto che no, non sapevo proprio niente e che magari “Misha” è solamente un personaggio inventato da te, una maschera che ti porti addosso nel tempo libero, quando sei con me. E pensare che ci ho creduto davvero, ma proprio sul serio! Che stupida che sono, vero? Ma meglio tardi che mai.
Chi sei? Cosa sei? Una volta, mentre rileggevo la storia di Pinocchio, ho pensato “oh, ma il gatto e la volpe sono proprio Shùra e Misha!” e sai cosa? Mi sono sentita in colpa perché alla fine quei due erano “i cattivi” e per me Shùra e Misha non sono mai stati cattivi. Per me quelle due persone non esistono più; ti sei fatto portare via la parte più bella di te vendendoti così tristemente. Voi tutti, tutti quanti, mi avete strappato dalla vita, strappate vite ogni giorno e vi distruggete da soli giorno dopo giorno. Io non voglio ricordarvi così, non voglio più essere una spettatrice sorda, muta e cieca. Non posso stare zitta e fingere di niente. Voglio ricordarvi come una bella favola dal finale aperto, con un sorriso sulle labbra. Voglio ricordarmi del tuo broncio senza dover ripensare al traffico di prosistu-, ah, no, modelle che gestisci. Non voglio pensare a Zio Yuri, ad Andrej... ai miei genitori.
Grazie per tutto quello che hai fatto e per tutto quello che non hai detto e perdonami per non aver mantenuto fede alle mie promesse. Mi dispiace, ma non so se sono capace di perdonare una cosa del genere. Mi dispiace. Non perdonarmi. Odiami. Dimenticami.
Ci siamo amati come due fratelli ed è stato bello finché è durato. Sei stato una delle mie più grandi gioie.

 
Tua per sempre, Sophia.’’
 
Alla vista di quella torta al cioccolato non feci i conti con le parole che quella lettera aveva in serbo per me. L'aprii ed era come se avessi appena chiuso la mia vita. Avere la certezza che Sophia sapesse tutto, il giorno che io e Shùra avevamo sempre temuto, non faceva altro che mettere fango su fango su quello che già era un cumulo di merda marcia.
Poggiai i palmi contro il ripiano della cucina, come se le gambe non potessero reggermi a dovere.
Non sostenevano più la mia figura alta e slanciata, non sostenevano più quei pensieri troppo forti da essere udibili anche a un chilometro di distanza. Lentamente, avevo perso uno dei pilastri più importanti della mia inutile e vuota vita. Prima mia madre, poi Irina, poi Sophia. Il prossimo sarebbe stato Shùra? ...Anche Nadja alla fine avrebbe abbandonato quella vita schifosa che mi trascinavo dietro come se fosse un cadavere putrefatto?
La mia Sophì, la mia principessa. La stessa donna per cui io e Shùra avevamo litigato tante volte e allo stesso tempo ci eravamo messi da parte per lei, la donna per la quale mi ero improvvisato falegname facendomi venire i calli alle dita. L'unica donna alla quale davo la mano prima di dormire quando era triste, la stessa bambina che mi faceva indossare i suoi pantaloni quando avevo inzuppato troppo il letto - tormentato dagli incubi in cui mio padre era protagonista. La bambina che mi aveva raccontato fiabe che non conoscevo, ma io non avevo mai ascoltato perché la mia Sophì meritava più attenzione quando sorrideva leggendo. La stessa donna che ogni dannata sera mi proponeva orgoglio e pregiudizio, film odioso di cui non ero mai riuscito a vedere il finale senza russare su quel divano scomodo, eppure non le avevo mai detto di no. Quella donna, quella ragazza, quella bambina, lei che adesso mi stava riponendo nello scaffale delle cose vecchie. Quelle rotte che a guardarle fanno anche un po' pena. Come i carillon a cui si è rotto qualche ingranaggio fondamentale; ero appena diventato inutile.
"Il vero Misha?" biascicai flebilmente mentre le lacrime inzuppavano quella cioccolata che a me piaceva tanto, il piccolo sorriso macabro e malinconico probabilmente faceva di me una persona terrificante o una non-persona e basta.
Non riuscii a trovare risposta, chi era il vero Misha? Esisteva? Cosa sarebbe stato senza coloro che ritenevo i miei genitori adottivi? I miei amanti platonici e i miei fratelli adorati?
Non c'era risposta, perché non sarebbe rimasto nulla.
Forse Sophia l'aveva saputo. Aveva saputo quanto fossi sporco, quanto mio padre m'avesse macchiato e come avessi ucciso metaforicamente mia madre povera martire, così bella ma così debole. Forse Sophia voleva salvarsi e ci stava provando da sola, ma io ne ero capace? Io e Shùra potevamo farlo?
Non mangiai la torta, non avrei potuto farlo. Non in quel modo, non senza di lei e le sue lamentele su quanto fossi poco educato e irrispettoso.
Certezze inutili, promesse rotte, cuore che ormai non ero certo battesse ancora.
Mi accasciai sul pavimento freddo, era come galleggiare su un lago ghiacciato giocando a fare il morto. Eppure lì nessuno stava giocando.
In quel momento capii. Capii di non meritare tutto ciò che quella ragazza aveva da offrire ad uno come me.
 
 

Aleksandr POV

 
Vidi Misha sedersi accanto a me, aveva l’aria spiritata di qualcuno che non dormiva decentemente da giorni. Bevvi l’ennesimo bicchiere di vodka facendomi coraggio per entrambi.
«Sergej mi ha chiamato». Sapevo mi avesse sentito, lo capii da come trattenne il respiro.
«Che ha detto?». La voce fioca, afferrò la bottiglia imitandomi.
«Verrà qui domani – annuì senza guardarmi – Voglio brindare alla fine Misha. La fine delle bugie». Sollevai il bicchierino sorridendo.
«E l'inizio della morte?». Risi senza motivo.
«Quella è iniziata da tempo. Non lo vedi? Stiamo marcendo, pezzo dopo pezzo». Arrivare dritto al punto era da sempre una mia dote.
«Beh, però respiriamo. Adesso stiamo bevendo e domani ci sveglieremo». Cogliere la positività nelle cose invece non era mai stata una sua dote. Che avesse imparato?
«Non riesco neppure a respirare come si deve. Domani mi sveglierò, è questa la mia certezza e la mia condanna. Domani mi sveglierò. Siamo sempre noi due Misha, l'inizio e la fine di tutto; finisce e inizia tutto con noi. Soli». Bevvi ancora.
«Te lo ricordi come ti vedo io Shùra?». Non ricordavo nulla. Ero sordo e cieco.
«No, però in qualsiasi caso vorrei vedermi davvero con i tuoi occhi». Ma non con quelli di Sophia.
«Ti vedresti come un eroe. Mi hai cambiato le lenzuola alle tre di notte quando eravamo piccoli. Sei andato in cucina di nascosto a prendermi il gelato quando ancora eravamo ragazzini e io troppo impaurito da Sergej. Mi hai insegnato a difendermi. Mi hai spiegato che il pene non si usava come lo usava mio padre, mi hai consolato, mi hai protetto, mi proteggi. Mi dai cazzotti, mi curi quando sto male, mi permetti di stare al tuo fianco, mi hai reso importante per qualcuno, mi hai insegnato cos'è la fiducia, mi hai fatto il primo regalo di compleanno, mi hai sorriso, mi hai regalato le tue lacrime, mi hai permesso di stare da solo con Sophia, mi hai fatto abbracciare mia madre tante volte. Mi hai regalato una famiglia». Continuavo a non ricordare, mi sentivo un tale fallimento.
«Sei tu la mia famiglia Misha, questa è una cosa che non può cambiare. Ti racconto una storia, ascoltala. C'erano questi due bambini, uno dei due sopportava poco l'altro perché era un piagnone e pisciava il letto, iniziò a seguirlo per evitare che combinasse casini in modo tale da non dover essere sgridato anche lui; dopo un po' di tempo iniziò a sentirsi vicino a quel bambino, lo guardava la notte quando dormiva, cambiava le lenzuola al posto suo per poi dirgli ''non vedi? sono asciutte, hai immaginato tutto'', sai perché iniziò a farlo? Per lo sguardo di quel bambino ogni volta che faceva qualcosa per lui, lo guardava come un eroe, come un essere umano. Quel bambino iniziò ad essere avido, voleva sentirsi così e si legò indissolubilmente al più piccolo, era egoismo per se stesso e anche amore per l'altro. I bambini crebbero, le cose non cambiarono però, il grande continuava a specchiarsi negli occhi chiari del più piccolo, e il suo riflesso era così umano da permettergli di respirare ancora e ancora e dire ''sono vivo''. Sei sempre stato tu. E lei. Siete sempre stati voi a rendermi una persona». Non aggiungemmo altro, la sua sedia dopo un tempo che mi parve interminabile si mosse, sentii la porta della sua stanza chiudersi e tornai solo.
Continuavo a sedere in cucina, un bicchiere poi due, poi tre avevo perso il conto. Sentii nuovamente la sedia accanto alla mia muoversi, sapevo già chi fosse senza bisogno di girarmi. Mio padre mi fissava con pena, trangugiai la vodka senza muovere un muscolo.
«Vorrei chiederti cosa faresti tu in questo caso, ma probabilmente diresti ''Ricostruisci ciò per cui hai dato la vita con i tuoi arnesi ormai logori'', non ho ragione?» continuò a guardarmi in silenzio chinando il capo. Ingoiai il groppo che ormai sostava perennemente nella mia gola. L'altra sedia si spostò, incrociai gli occhi di Yuri, il foro sulla tempia sanguinava ancora.
«Ho detto a Sophia che eri annegato nel Volga ubriaco marcio, non so neppure perché mi ostini ancora a vederti ..sto impazzendo». Lanciai il bicchiere ancora pieno a terra, tenendomi il capo. Dovevo trovare un equilibrio o sarebbe finito tutto. Sergej in quel momento era sicuramente in volo verso San Francisco, sapeva già tutto, era solo questione di ore prima che il destino di Sophia si delineasse rendendomi incapace di proteggerla. Cosa dovevo fare? Ma sopratutto, era giusto cercare ancora una volta di proteggerla? La sedia di fronte a me venne occupata da un'altra figura, e i nostri occhi si incrociarono: era Andrej. Aveva il viso deturpato, mi guardava sorridendo in maniera arcigna. Voltai il capo per osservare le tre figure, sembravano opprimermi. Sentivo l'equilibrio della mia mente andare lentamente scemando, stavo impazzendo.
«Sergej scoprirà cosa hai fatto, e allora cosa farà il nostro sicario?» La voce di Andrej somigliava all'alito della morte, chiusi gli occhi serrando la mascella.
«Da una vita come la mia ne esci solo da morto, io morirò.. ma alle mie condizioni» Misha dormiva nella stanza accanto, potevo sentire il suo respiro attraverso la porta socchiusa; avrei salvato anche lui, se Misha sopravviveva lo avrebbe fatto anche il mio spirito. Sarei rimasto immortale attraverso lui.
Aprii gli occhi e mi ritrovai di nuovo solo.
 
I will walk among you and be your God, and you will be my people (Leviticus 26:12).
 
 

Sophia POV

 
«Allora, signora Mikhailova, giusto? Sono la dottoressa Hong, psicologa e mi occupo delle persone che più o meno si trovano nella tua stessa situazione. Le avranno già presentato a grandi linee in cosa consiste questo progetto e quali sono i nostri campi d’azione, come agiamo ed a cosa miriamo. Come ben saprà, prima di cominciare col programma, dobbiamo mettere qualche punto sul suo profilo psicologico e tracciare assieme un percorso di reintegrazione. A parole sembra qualcosa estremamente difficile e grave, ma non deve preoccuparsi, è più semplice di quanto possa immaginare. In seguito passeremo al resto, ma ora un passo alla volta. Ne approfitto per presentarle l’avvocato Jones, che si occuperà della parte prettamente burocratica e legale». Silenzio da parte mia.
«È un piacere. Più tardi potremo discutere meglio sulla sua reintegrazione e negoziare certi dettagli, come la professione, la formazione e così via. Io e la mia équipe faremo del nostro meglio per garantirle il massimo della sicurezza e della libertà. Per quanto riguarda l'alloggio per il momento dovrà accontentarsi di un monolocale in un piccolo centro. Una volta disegnata la sua nuova identità e la sua nuova vita potrà le troveremo un lavoro e potrà scegliere, quando si sentirà più sicura, d'andare a vivere da sola. Ma questo lo deciderà con la dottoressa Hong, ovviamente. Vedrà, tornerà alla sua vita normale. Ora vi lascio al vostro lavoro». Ancora il silenzio come unica risposta.
«Allora, Sophia, secondo il primo esame medico lei è reduce da uno spiacevole evento. Essere madre ed avere una famiglia è il sogno di molte donne. Mi dica, secondo lei come sarebbe stata la sua famiglia se Mikhailov non l’avesse adottata? Come si immagina la sua vera famiglia? Parlarne deve essere difficile, lo immagino, ma le farà del bene. Si sfoghi»
 
Ricordo il volto della donna che da piccola chiamavo tata, il volto rassicurante di Sergej, la voce calda di Aleksandr, il broncio perenne di Misha, ma niente di voi.
A volte penso sia stata la luna a partorirmi tra spasmi di cosce pallide sapientemente allargate tra le stelle proprio in alto. Così appesa sopra un concerto di David Bowie, lei si apriva lasciandomi cadere. Caddi e mi schiantai a terra. Non riesco ad immaginare i vostri volti, le vostre voci oppure la mia vita se voi foste stati al mio fianco. Probabilmente non avrei avuto una camera tutta mia, dei gioielli ed una vita piena di agi. Non ne ho davvero idea. Siete creature esoteriche, di dubbia esistenza.
A volte penso d’essere caduta in terra punita per i peccati che avete commesso, burattina dei vostri capricci. Ora dovrei dirvi che mi mancate, che vi voglio bene e che mi sarebbe piaciuto crescere con voi, in una casa piccola ma accogliente. La verità è che non penso niente di tutto ciò; non mi mancate, non vi voglio bene e non vi desidero accanto a me. Non siete mai esistiti ed io non credo più alle favole. Le persone che mi mancano, quelle che sono alla radice di ogni problema e che stranamente sembrano esserne anche la soluzione, sono gli orchi di questa fiaba. Le fate turchine non esistono, quelle che con un soffio di polvere di fata fanno sparire ogni paura, ma gli orchi sì, crudeli e mostruosi, esistono.
Dovrei chiamarvi “mamma e papà”, perché è quel che sareste dovuti essere; “sareste dovuti essere”. Mio padre ha ucciso mio padre. Mio padre ha ucciso mio padre e mia madre. Che ironia! Mia madre era una delle tante fiamme del momento, una bella bionda dagli occhi color ghiaccio, e mio padre non è mai morto: è vivo come mai prima d’ora, pronto a tagliarmi la testa perché “la famiglia viene prima di tutto”. È quel che ho imparato sin da piccola, la famiglia prima di tutto, ora prima di me. Papà è immortale: vivo o morto rimarrà ricordato per sempre perché il suo nome è una leggenda; vivo o morto lo ricorderò sempre come l'eroe della mia infanzia e la rovina del mio presente.
Nei registri sono “Sophia Mikhailova, figlia di Sergej Mikhailov e Aida Sokolova, sorella di Nikolaj Mikhailov”. Non mi avete lasciato neanche un nome, nulla che potesse salvarmi dal peso di una famiglia che, paradossalmente, sento mia più che mai. E quindi grazie. Grazie per avermi vincolata in questo modo. Grazie per avermi permesso di vivere una vita non mia.
Cara mamma, quella che non si è mai fatta viva, se ora fossi con me ti stringerei le mani e ti direi che mi dispiace. Non mi manchi e mi dispiace. Non commetterò i vostri errori, non di nuovo. Non abbandonerò chi amo. Non morirò senza aver ripreso tutto quel che mi spetta. Non me ne andrò senza aver strappato dalla "famiglia" chi ha subito.
   
Io sono Sophia, la luna è mia madre e mio padre è un grande stronzo.   
                         
   
«Sophia, allora? Mi sente? Qualcosa non va?»
«Mh? Ah, mi scusi, stavo immaginando! Una madre affettuosa, un padre presente ed una casa piccola.. Sarei stata sicuramente felice e spesso sento la loro mancanza. Già, mi mancano»
                         
   
ora aspettami nel tuo incubo,
ci vedremo davvero.
  
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