Kaiserreich
9
Esilio
Parigi, La Comune di
Francia1
31 Maggio 1920
Il tramonto di Parigi era scarlatto come il cuore della
sua gente e come il sangue che l’aveva liberata dalle catene. Era questo uno
dei tanti slogan del nuovo governo sindacalista2 francese, uscito
vittorioso dalla breve ma brutale guerra civile che aveva consumato la Nazione.
La gente era felice, sembrava spensierata, come se le catene che l’opprimeva
fossero veramente state tolte. Francia, seduto nel suo studio con un bicchiere
di vino (rosso, come il socialismo ormai imperante), non la pensava così. La
Rivoluzione del 1789 promise le stesse cose, che non furono ottenute in gran
parte. Per di più, erano state recise forse le vere catene? Erano state la
morte, la fame, la malattia sconfitte? Erano forse liberi da un governo
centrale? Francia bevve un sorso, malinconicamente pensando alla sua posizione.
Lui doveva fare ciò che era la volontà del popolo, e lo avrebbe fatto, ma aveva
anche vissuto abbastanza a lungo per capire come andasse il mondo, un mondo che
non ha spazio per l’uguaglianza. La paura di Francia era quella di trovarsi a
che fare con un nuovo Terrore, e che la spinta positiva che accompagna sempre
il periodo immediatamente successivo ad una rivoluzione si spegnesse col sangue
della sua gente, come accadde in passato. Mentre rifletteva, Francia assunse la
sua postura abituale di ragionamento, o così almeno la considerava: con la
schiena e la nuca appoggiate allo schienale della sedia e le gambe sulla
scrivania, dove era poggiato “Il Manifesto del Comunismo” di Marx. Una lettura
obbligatoria per lui, ma contemporaneamente una lettura svogliata e mal
sopportata. E difatti stava anche cercando una scusa per non leggerlo, che
fortunatamente arrivò. Bussarono alla porta, e dopo aver ottenuto il consenso,
entrò un giovane funzionario con due lettere in mano.
“Compagno Francia, le lettere sono arrivate.”
“Trés bien, poggiale sulla scrivania. Merci beaucoup,
Filippe3.”
Il ragazzo sorrise e lasciò la stanza. Francia si mise
composto ed afferrò la prima lettera, come al solito con la busta completamente
bianca e anonima. L’aprì, e notò subito un particolare profumo femminile, che
sapeva di mirto, e una scrittura raffinata e minuta. Ed iniziò a leggere la
lettera di sua sorella Corsica.
Roma, Italia
4 Gennaio 1920
A Piazza del Quirinale, Corsica scese dalla carrozza
che l’aveva scortata dalla stazione ferroviaria. Entrò nel palazzo, salutata
con gli onori dovuti dai corazzieri di guardia. Entrò nel cortile, dove vi
erano, allineati e negli abiti migliori, il Re, la Regina, i tre fratelli
Italia e Vaticano, circondati da carabinieri a cavallo. Anche Corsica era
elegante, vestita di un lungo abito azzurro e protetta dal freddo da una
pelliccia su le spalle. I capelli, lucidi e splendenti, le cadevano sulla
schiena. Camminò verso le persone a lei così care, a passi solenni, seguita da
tre soldati: ognuno di loro portava un drappo, ogni drappo era una provincia
staccatasi dalla Francia con un referendum ed unitasi al Regno d’Italia (ormai
con i giorni contati). Corsica arrivò davanti ai due regnanti, e si inchinò con
riverenza, per poi porgere al Re i drappi. Fino ad allora era stato il silenzio
a caratterizzare la cerimonia, silenzio che fu rotto da Corsica:
“Vostra Maestà, oggi vi consegno i drappi di Nizza,
Savoia e Corsica, e a nome della popolazione che lì risiede, vi chiedo di
accettare l’esito del referendum tenutosi in quelle aree ed in cui la gente ha
espresso il desiderio di tornare nella loro patria originale, il Regno
d’Italia.”
La Nazione si inchinò davanti ai due sovrani, e i tre
soldati consegnarono i drappi, che vennero presi dal Re. Vittorio Emanuele poi
fece rialzare Corsica, dopo aver consegnato ai corazzieri i drappi, e
solennemente disse:
“Io, Vittorio Emanuele III, Re d’Italia, accetto le
volontà delle genti di Corsica, Nizza e Savoia, e giuro sulla Costituzione del
regno che servirò le persone che, con spirito patriottico, hanno deciso di
tornare nella Patria Nostra.”
Detto ciò, i regnanti e la famiglia Vargas entrarono
nel Palazzo, mentre gli stendardi vennero posizionati vicino a quelli delle già
esistenti regioni del Regno.
Corsica era seduta sul letto della sua nuova camera al
Quirinale, rilassandosi dopo aver riposto le sue cose ed aspettando la chiamata
al pranzo di famiglia con i suoi fratellastri italiani e lo zio Vaticano,
nonché, o almeno era questo ciò che prometteva Feliciano, gli altri fratellastri
Seborga e San Marino. Vivienne si guardava intorno curiosa: era dai tempi di Nonno
Roma e papà Occidente4 che non tornava a vivere nell’Urbe. Ed ora
eccola lì, al Quirinale, ormai facente parte del Regno d’Italia. Ma tra tutti i
dubbi, ce n’era uno che l’assillava più degli altri… Fu interrotta nei suoi
pensieri da un rumore proveniente da una porta più stretta di quella
principale, e che prima d’ora non aveva notato. Si alzò e si avvicinò alla
porta, ma appena toccò la maniglia si sentì di nuovo il rumore di oggetti che
cadevano e cozzavano fra loro. Corsica, stranita ed inquietata, bussò
titubante.
“C’è qualcuno? Se sì esci fuori, non è uno scherzo
divertente!”
Rimase per un po’ il silenzio, per poi rompersi con una
voce stridula, e piuttosto ridicola.
“N-non c’è nessuno! Hai le allucinazioni uditive!”
Alla corsa la voce sembrò familiare, e quindi tentò di
aprire la porta, trovando una fiera resistenza dall’altra parte.
“Esci da lì, chiunque tu sia!”
“No! Sono la fatina degli sgabuzzini, non posso
lasciare il mio habitat!”
Alla fine Corsica vinse: riuscì a spalancare la porta e
venne travolta dalla fatina all’interno
dello sgabuzzino. Aprendo gli occhi, vide sopra di sé una ragazza giovane e
molto simile a lei: aveva gli occhi castano scuro, i capelli lunghi e neri
raccolti in una coda di cavallo, un sorriso furbo e vivace, incorniciato in un
viso dai tratti dolci e dalla bellezza selvaggia. Vivienne rimase a bocca
aperta, mentre sua sorella Sardegna le stampava un bacio in fronte. Le due si
alzarono e si abbracciarono immediatamente.
“Lavinia! Da quanto tempo che non ti vedo!”
“Eh, hai ragione Viviana.”
“Vivienne, per favore, lo preferisco.”
“Allora vivere con il cugino Francis ti ha cambiata non
poco! Dì un po’, come sta la mia testina di moro4?”
“Sta bene la tua testina, ed è anche sorpresa di
vederti. Pensavo fossi rimasta a Cagliari. E che ci facevi nello sgabuzzino?”
Sardegna ridacchiò, prese per mano la sorella e si
sedette sul letto trascinandola.
“Volevo farti una sorpresa stanotte.”
“E ti sei posizionata qui così presto?”
“Non importa, l’attesa era ben spesa comunque.”
Corsica sospirò ed osservò la sorella: indossava una
camicia bianca con maniche vaporose ed una larga gonna rossa. Oltre al viso,
solo le mani, più forti ma non per questo meno belle di quelle della sorella,
uscivano dall’abito. Che era tutto impolverato.
“Così non va bene!” esclamò Corsica fiondandosi al suo
armadio.
“Cosa c’è?” Chiese Lavinia, sorpresa dallo scatto
felino della sorella.
“Il tuo abito è sporco di polvere e non è adatto ad
un’occasione del genere!”
“Ma è un pranzo di famiglia.”
“Prova questo.”
Corsica le diede un abito bianco ed una gonna nera che
arrivava alle ginocchia, e forzò la sorella ad indossarlo. Tuttavia Sardegna
non era sicura.
“Non credi che metta troppo in risalto… queste?” disse
tastandosi i seni.
“Meglio così, fidati. Bene, ora possiamo andare!”
E detto ciò, trascinò la sorella fuori dalla stanza, e
per tutto il tragitto non fecero altro che scherzare come due ragazzine che non
si vedevano da secoli.
Parigi, La Comune di Francia
31 Maggio 1920
Francia ripiegò la lettera della sorella, con un
sorriso dolce sulle labbra. Era sinceramente felice che Corsica avesse
ritrovato Sardegna e si trovasse bene in Italia. Francis, infatti, era fiero di
dire che, al contrario del rivale Inghilterra, si curava dei suoi familiari,
anche se in quel tangente, come in molti altri, Inghilterra non centrasse
nulla. Il biondo posò la lettera e prese l’altra busta, scartandola. Stavolta
un altro odore, inebriante e forte come la sabbia del Sahara, lo travolse. Ed
iniziò a leggere la lettera della sua affezionata Algeria.
Algeri, Repubblica di
Francia
4 Gennaio 1920
Al porto di Algeri era attraccata una corrazzata. Non
era una corrazzata qualsiasi, era la punta di diamante della flotta del Mediterraneo
della Francia. E conteneva un carico speciale, che ora si trovava a terra,
davanti ad una ragazza alta e dalla bellezza straordinaria: le calde
temperature del sole calante algerino avevano spinto la giovane a vestirsi con
un abito unico di colore blu, che lasciava scoperte le braccia ambrate
culminanti con due mani delicate e lunghe e che valorizzava le forme attraenti
della ragazza; il viso, lungo e dolce, che incastonava una piccola bocca
adorabile, un naso altrettanto minuto e due occhi neri e profondi, che
incantavano chiunque li osservasse, era a sua volta incorniciato da un velo
verde. Davanti ad Algeria c’era il Maresciallo Foch, leader del governo
francese in esilio in Africa dopo la Guerra Civile.
“Mademoiselle Algerie, je suis enchanté.5”
Disse il Maresciallo baciandole la mano.
“Min diwaei saruri6, maresciallo. Le notizie
della rivoluzione sono giunte da noi, e i popoli dell’Africa sono pronti a
servire lealmente il legittimo governo di Francia.”
“La vostra lealtà sarà ricordata. Ad ogni modo,
signorina, ho una lettera per lei.”
Detto ciò le consegnò la lettera, e Algeria notò con
stupore che proveniva da Francia stesso. Ringraziò il maresciallo, che fu poi
scortato fino al municipio di Algeri, nuovo palazzo del governo francese. Nel frattempo
Algeria rimase sul lungo mare per leggere la lettera. Non fece neanche in tempo
a strappare la busta che fu cinta da due esili braccia, accompagnate da una
squillante voce femminile.
“Che fai, Tlemcen?”
Algeria riconobbe sua sorella Tunisia, e sporgendo il
capo oltre la giovane notò avvicinarsi anche suo fratello Marocco.
“Ah, ci siete anche voi allora.”
Il ragazzo si avvicinò, staccando Tunisia dalla schiena
dell’algerina e mettendosela a cavalcioni sul collo, lungo e massiccio, in
confronto alla corporatura esile ed al volto lungo e secco. Tunisia aveva le
stesse caratteristiche nel viso, tuttavia non gli stessi capelli lisci del
fratello. Al contrario, i suoi capelli erano lunghi, color carbone e ricci,
come quelli di suo padre Cartagine7. Marocco si sporse per vedere la
lettera appena presa da Algeria.
“Una lettera? Di chi?” chiese.
“Da parte di Francia, ma non so proprio cosa
aspettarmi. La leggiamo assieme?”
Gli altri due annuirono, e Algeria iniziò a leggere la
lettera con la sua voce melodiosa, lettera che trascriverò dal francese per
facilitarne la comprensione:
Mia adorata Tlemcen,
Quando avrai ricevuto questa lettera vorrà dire che la
Francia sarà ormai diventata un paese socialista, e che il legittimo governo
democratico sarà stato costretto all’esilio in Africa. Come ben sai, come
Nazione io non posso altro che essere leale verso il popolo, e dunque non li
tradirò; tuttavia desidero che tu porti avanti lo spirito della Francia e che
un giorno potrai riconquistare la mia terra e liberare il mio popolo dalle
invisibili catene dell’ignoranza e della disperazione, oggi da loro viste come
ali di libertà. Ti chiederai perché io decida di affidarmi ad una colonia che
potrebbe approfittare del caos per liberarsi. Beh, francamente, mia cara, mi fido
di te come nessun altro mio sottoposto, e spero che non deluderai la mia
fiducia. Se accetterai il compito, prometto la libertà per te ed i tuoi
fratelli, parola d’onore. Contando in un tuo appoggio, ho pensato di scriverti
anche delle disposizioni che ti aiuteranno: accetta le richieste di Germania al
trattato di pace, il tuo primo obbiettivo sarà la riconquista della Francia;
continua il forte legame di alleanza con l’Intesa ed Inghilterra in
particolare, poiché da sola non potrai farcela; Confida in te stessa più che
negli altri, perché sei tu, Tlemcen, la persona che dovrà guidare il mio
destino. Il mio fato, Algeria amatissima, è nelle tue splendide mani, rendimelo
indietro e sarai libera. Fatti forza, amica mia, perché da oggi non sei più
Algeria, ma la Repubblica di Francia.
A te con animo devoto,
Francis Bonnefoy
PS: saluta quella piccola peste di Tunisia!
Marocco rimase piuttosto stupito, e rigirò il foglio
più volte tra le mani, mentre Tunisia, sorridente, aveva desiderio di
ricambiare il saluto al suo signore.
“Comunque, è un compito piuttosto arduo, Tlemcen, sei
sicura che… ehi, ci sei?”
Algeria era assorta con aria sognante verso il mare
color del vino, e mormorò, inconscia in questa sua trance amorosa:
“Mi ha chiamato amatissima…”
Marocco sospirò rassegnato, e infilò la lettera in una
tasca della giacca.
“Invece di pensare al principe azzurro (o forse è
meglio dire rosso), che ne dici se torniamo a casa? Sta calando il sole…”
Algeria si alzò stizzita, afferrò la lettera, e se ne
andò borbottando:
“Taci, Muhammad, non capisci nulla!”
Marocco rimase a guardarla stranito, e si rivolse alla
sorellina, ancora seduta sulle sue spalle.
“Cos’ha che non va?”
“Forse ha fame… ehi! Facciamo il couscous?”
Marocco rise e si avviò anche lui verso il municipio di
Algeri. Capitale della Repubblica di Francia
Note:
1 Dato che ormai i socialisti hanno vinto la guerra civile,
il nome del Paese è cambiato da Francia a La Comune di Francia, ad imitazione
della Comune di Parigi, primo stato socialista della Storia, durato pochi mesi
tra il 1870 e il 1871, durante la guerra Franco-Prussiana.
2 Nella timeline di Kaiserreich (in cui si ambienta la
storia), il sindacalismo è n’ideologia politica che dà il potere ad
un’assemblea di sindacati. Il risultato è quello di un comunismo più “leggero”
di quello Marxista e Leninista.
3 “Grazie mille, Filippe” in francese.
4 Sardegna chiama Corsica così riferendosi al simbolo delle
due isole, le teste di moro: 4 per la Sardegna, 1 per la Corsica.
5 “Signorina Algeria, sono incantato.” In francese.
6 “Il piacere è mio.” In arabo.
7 Una piccola parentesi sulla famiglia del Maghreb. Algeria,
Marocco e Libia sono fratelli naturali, figli di Berbero. Tunisia invece è
stata adottata: figlia naturale di Cartagine, a sua volta fratello di Libano e
figlio di Fenicia, fu presa in custodia da Nonno Roma nel 146 a.C. Fu poi
adottata da Berbero dopo la conquista araba dei possedimenti nordafricani
dell’Impero Bizantino.
Salve a tutti! Scusatemi il ritardo, ma tra vari
contrattempi e l’imprevista lunghezza del capitolo (che doveva essere un ponte
e si è ritrovato ad essere uno dei più lunghi), non sono riuscito a portarlo la
scorsa settimana. Spero non me ne vogliate. Eccoci dunque, Francia aveva
ragione: la rivoluzione ha scosso il suo Paese ed ora il governo democratico è
stato costretto all’esilio in Africa. Abbiamo anche scoperto così a chi era
diretta la lettera, e abbiamo fatto conoscenza di tre dei quattro fratelli del
Maghreb. Ci manca ancora Libia! Nel frattempo Corsica è fuggita in Italia,
portandosi dietro la sua isola, Nizza e la Savoia, e ricongiungendosi dopo
molti anni con la sorella Sardegna. E sono ben quattro le nuove Nazioni di
questo capitolo. Quale sarà il loro destino? Lo scoprirete leggendolo! Oltre a
questo, vi avviso che prenderò una pausa estiva: ho il mese di giugno e la
prima settimana di luglio piuttosto piena di impegni, per poi andare finalmente
in vacanza (si va a trovare Grecia e i suoi innumerevoli gatti!). Questo vuol
dire che la pubblicazione settimanale si interrompe qui, e non ci sarà una data
precisa per il prossimo capitolo. Aspettatevi qualcosina per la seconda
settimana di luglio tuttavia! Bene, ho detto tutto ciò che dovevo dire, dunque
non mi resta che ringraziarvi per aver letto, invitarvi a lasciare una
recensione, a dirmi cosa ne pensate della coppia Algeria x Francia, e
ricordarvi che, se vi foste annoiati, non s’è fatto apposta. Ciao, alla
prossima!