7
Beyond the sky
Immaginavo
mani perfette, lunghe e morbide, che si muovessero rapide e sinuose sui tasti
di un enorme e bellissimo pianoforte. Ascoltavo, come se realmente qualcuno la
suonasse, una melodia dolce e leggera, coinvolgente e rilassante allo stesso
tempo, familiare e distante. Era splendida. Meravigliosa come la voce che
intonava parole angeliche, cantava seguendo le note della canzone, con uno
sguardo d’amore infinito, di dolcezza ineguagliabile. Era strano come quella scena, di eterna serenità,
mi balenasse più volte nella mente, come se chissà quale recondita parte della
mia memoria l’avesse richiamata. Come se davvero l’avessi vista e ora mi stessi
abbandonando ai piaceri del ricordo. Il fatto che, razionalizzando, era chiaro
che non avessi mai potuto ammirare tale impareggiabile leggiadria, non scalfiva
in alcun modo l’incanto in cui ero piacevolmente immersa. Mi sentivo lontana
dal mio corpo, abbandonato sulla consueta panchina, in una realtà strana e
serena.
Sospirai.
Da
quando Matt era entrato nella mia vita, avevo iniziato a desiderare di più.
Molto più di quanto fosse lecito, molto più di quanto non dovessi. Mi ero
concessa di spingermi oltre limiti, faticosamente costruiti, che non riuscivo
più a ricomporre. Ed ora avevo la certezza che non avrei mai più raggiunto una
felicità completa, in quella realtà. O almeno, non senza i suoi occhi, che mi
proiettavano in una dimensione parallela.
Sebbene
non fossi affatto giunta ad una conclusione su alcune cose che lo riguardavano,
sebbene non sapessi dove avessi potuto già vedere degli occhi così belli, così
profondi, un viso così perfetto, così dolce e deciso, un corpo così statuario,
senz’ombra d’una imprecisione, ero, però, arrivata a decifrare le emozioni che
più risaltavano nei suoi occhi. E, seppur avessi scorto un accenno, con radici
non poco profonde, di dolore, c’era una fortissima volontà a non lasciarsi
andare all’angoscia, una determinazione ad amare di nuovo. Non potevo
allontanare completamente da me la speranza, sebbene cercassi di farla
desistere. Sapevo che questa volta l’illusione sarebbe stata troppo dura da
sopportare. Non ero affatto sicura che il peso del dolore non mi avrebbe fatta crollare. Provavo qualcosa di nuovo, di
diverso, di meraviglioso e terribile assieme. La speranza e la paura
combattevano ora in me un’aspra battaglia, di cui più d’ogni cosa temevo il
verdetto.
Cercai
disperatamente di non pensarci e mi concentrai sulla linea d’orizzonte, sul
profilo delle colline in lontananza, dei rami, ricoperti di foglie, che mi
pareva di scorgere, ma più d’ogni altra cosa, studiai i raggi del sole, che
serpeggiavano fra i tronchi e i cespugli, fra le distesa d’erba verde ed i
campi biondi di grano, nel terriccio e sull’asfalto, creando mille, splendidi
effetti. La varietà del panorama mi distrasse un po’, mentre, ispirando
profondamente, cercavo di non associare ogni sfumatura al colore dei suoi
occhi.
Ma,
poco dopo, sospirai, sconfitta. Tutto mi ricordava lui, ogni cosa mi riportava
in mente la sua immagine. Ed il mio unico desiderio era di rivederlo, di
contemplare la sua figura, di seguire con gli occhi il suo profilo, di perdermi
nel suo mare di sensazioni e di crogiolami, duro ammetterlo, nelle mie
speranze.
Strano
come, a volte, veniamo presi in parola.
Non
ho mai creduto nel destino, in realtà. Mi è sempre piaciuto pensare che la vita
si costruisse in base alle nostre scelte. Ma, come molte volte ci viene
dimostrato, esiste qualche forza, una certa, strana forza soprannaturale che in
qualche modo interviene per unire e disgiungere. O forse è solo il caso, una
coincidenza. Ma non è importante. Ciò che in realtà fu di rilievo, è il fatto
che, proprio quando ero immersa nel disperato anelito di rivederlo, lui spuntò fra gli alberi, in un fruscio che
quasi non udii e si avvicinò a me, sereno.
Allora
capii che non mi sbagliavo. Quando lo rividi, per la prima volta dopo essermi
resa conto di desiderare qualcos’altro da lui, compresi che ne ero davvero
innamorata. Ma non fu né la strana capovolta che fece il mio stomaco, né l’eccitazione
che immediatamente sentii dentro di me, a farmelo capire. Fu il totale
appagamento che provai, fu una felicità che mi avvolse e che avrei trovato,
allora come per sempre, solo in lui.
“Ciao.”,
salutò calmo, anche se sembrava lievemente imbarazzato.
Ero
preparata ad avere un’espressione contrariata, fissarlo severa e chiedergli
perentoriamente spiegazioni. Fui solo in grado di fissarlo, sbalordita da
quanto fosse molto più bello ora, che lo guardavo diversamente, che non c’era
l’ostacolo Robert ad impedire il mio indugiare nella contemplazione della sua
perfezione.
“Ciao.”,
ricambiai, riuscendo a stento a parlare.
Lui
mi fissò, tranquillo.
“Sei
arrabbiata con me?”, domandò, studiandomi.
Aveva
una voce fantastica, ogni sua parola sembrava seguire una sinfonia dolce e
travolgente.
Lo
osservai negli occhi e risposi, ignorando le mille emozioni che si affollavano in me: “No. Dovrei esserlo, ma … non lo sono.”
L’avevo
colto di sorpresa. Lo squadrai attentamente, in attesa che riprendesse.
Sorrise.
“Credo
che sia giusto che io mi scusi lo stesso. È stato molto maleducato sparire a
quel modo.”, esordì, sincero.
Distolsi
lo sguardo dal suo, cercando di riprendere i contatti con la realtà e
soddisfare la mia curiosità, che seppur adesso non si faceva sentire, mi
avrebbe tormentata poi.
“Perché?”,
chiesi semplicemente, cercando di controllare il mio respiro.
Inesplicabilmente,
lui sorrise, divertito.
“Credevo
te lo avesse già spiegato Charlie.”
Io
sollevai le sopracciglia, scrutandolo con un’espressione di severo scetticismo.
Lui
non perse il suo sorriso, ma si fece più serio.
“Preferirei
… scusa, ma preferirei non dirtelo. So che non è giusto, che mi sono comportato
malissimo, ma, per favore, non mi chiedere altro.”, mi pregò, attento
all’effetto delle sue parole su di me.
Non
feci una piega. La mia volontà di sapere ogni cosa era crollata. Potevo mai
farmi ulteriori domande, se il mio cuore mi spingeva a catturare, sfruttando
ogni possibile occasione, la bellezza dei suoi lineamenti? Sapevo che dopo,
lontano da lui, mi sarei tormentata, ma mi sembrava poco importante, ora.
“Capisco.”,
dissi solo.
Lui
sorrise, felice che avessi compreso. Non se lo aspettava, era evidente.
“In
programma qualche altra misteriosa fuga, o hai voglia di passeggiare con me?”,
domandai, chiedendomi da dove venisse fuori tutto quel coraggio.
Il
suo volto si dipinse d’un’espressione di scusa, ma s’illuminò e replicò: “La
seconda opzione è decisamente quella che preferisco.”
Io
ricambiai e mi alzai dalla panchina.
Inaspettatamente,
facendo balzare il mio cuore ad una velocità sovrannaturale, mi sfiorò la mano
e la prese, stringendola nella sua.
Arrossii
all’istante, la speranza che iniziava a germogliare, incontrollata. Sorrisi,
sopprimendola dentro di me, con forza.
Ci
avviammo insieme, accompagnati da uno scenario bellissimo. Camminavamo lenti
sul lungomare, mentre le onde si abbattevano sulla spiaggia, con un moto
continuo e rilassante, e la spiaggia luccicava sotto il sole pomeridiano. Ma
sapevo era lui a rendere ogni cosa perfetta. Provai l’incontrollato desiderio
di farmi stringere tra le sue braccia, di poter incontrare le sue labbra.
Immediatamente
mi rimproverai. Stavo andando troppo oltre. Troppo.
“Ti
va di raccontarmi qualcosa di te?”, mi chiese, curioso. “Vorrei conoscerti meglio.”
Presa
alla sprovvista, arrossii, ma cercai di riprendermi subito.
“Ok.”,
assentii, poi soggiunsi: “Però, poi … lo farai anche tu!”
Accettò
la mia condizione, con un sorriso.
“Allora
… che dire …”, iniziai, cercando di non pensare a quanto fossi banalmente
normale. “Sono una quasi diciottenne con la testa fra le nuvole, caotica,
amante della vita, della natura e dei libri. Mi piace correre a perdifiato,
fino ad avere la sensazione di volare e il mio più grande desiderio, ma non
ridere, per favore, è fare un giro in cielo su una nuvola.”
Matt,
che era stato tutto il tempo concentrato ad ascoltarmi, s’illuminò con un
grandissimo sorriso. “Ti credevo una ragazza con i piedi per terra.”, commentò,
divertito.
Io
risi.
“Invece,
a quanto pare …”
Lui
s’illuminò ancor di più. M’immersi di nuovo nei suoi occhi, sommersa dalla sua
espressione felice.
“Be’,
tocca a te.”, ordinai, guardandolo.
Lui
mi fissò. “Non sono interessante come te.”, dichiarò.
Io
alzai gli occhi al cielo. Un ragazzo come lui, meno interessante di me? Si,
certo, in un altro mondo.
Parve
capire ciò che pensavo dalla mia espressione d’incredulità, e sorrise.
“D’accordo,
d’accordo. Però ti avevo avvertita.”, affermò, poi si fece un po’ più serio.
“Sono un quasi ventunenne, a cui piace cogliere gli aspetti più strani ed
innocenti della vita. Detesto valutare gli oggetti solo per come sono, insomma …
non sopporto la razionalità.”
Fece
una pausa, mi sorrise e poi riprese: “Adoro la musica e la poesia, mi piace
associare ad ogni cosa una melodia. Il mio sogno più grande è...”
Si
fermò, gli occhi pieni di tristezza.
Attesi
che parlasse, la curiosità e il timore alle stelle. Il silenzio si protrasse
per un po’, ma non lo interruppi.
“Il
mio sogno più grande,”, spiegò, fissando il vuoto dinanzi a sé, il viso animato
dal dolore, “è quello di rivedere la persona più bella che io abbia mai
conosciuto.”
Io
sorrisi, cercando di placare la mille sensazioni che mi si agitavano dentro.
Sapevo, ovviamente, a chi si riferiva. E c’era una cosa che avevo bisogno di
chiedergli. Qualcosa che avrebbe dato il via libera o, al contrario, avrebbe
frenato le mie speranze.
Inspirai.
“Matt
…”, iniziai.
Lui
mi fissò,riscuotendosi e recuperando quell’espressione che gli avevo visto sul
viso i primi giorni della nostra conoscenza. Una maschera indecifrabile,
perfetta.
“Sei
ancora innamorato di Anne?”, chiesi, trattenendo il respiro.
“La distanza fra di
noi mi toglie il respiro. Ma solo io sento la mancanza dell’aria. Tu sei la mia
aria, ma io non sono la tua. Sono un ornamento senza importanza, un gingillo di
cui puoi fare a meno. Ma, nonostante tutto, sei sempre tu la fonte delle mie
idee, dei miei sentimenti. Le mie emozioni ti appartengono, sebbene tu non
desideri averle. Con la tua indifferenza, di cui però non posso accusarti, mi
hai conquistato. Sono intrappolata in te e nei ricordi di una speranza mai
terminata, nel desiderio non ancora spento, troppo morboso per cessare di
tormentarmi, troppo vero, troppo illusorio. Sei la mia attesa senza fine, sei
un ricordo che non riesco ad accantonare. Sei ignaro di quanta sofferenza
provochi, non conosci il turbamento che ogni tuo sorriso, sguardo o parola
arrecano al mio cuore. Non conosci me. Sei distante, troppo. Sei la persona che
amo, ma da cui non sono amata”
Respirai.
Rilessi attentamente ciò che avevo scritto. Non potevo credere di essere
arrivata a quel punto. Non riuscivo a capacitarmi di provare qualcosa del
genere. Ora capivo. Capivo ogni cosa. Ero stata cieca, sciocca, infantile.
Avevo osato definire amore ciò che provavo per Robert. Ma adesso,
quell’emozione che rivoltava il mio cuore come un uragano, la mia anima come
una tempesta, con le onde che s’infrangevano violente dentro di me, colpendomi,
facendomi vacillare, cupe, aggressiva, ma meravigliose, spettacolari, mi apriva
finalmente gli occhi. No, non bastavano cinque lettere a definirla. Amore? Era
solo una parola. Un insulso lemma del dizionario italiano, che riportava una
definizione a dir poco inconcepibile. Chiamarla amore era riduttivo. Ma non
riuscivo ad esprimermi. Sapevo solo che adesso non mi interessava più nulla. Né
Robert, né la mia famiglia, i miei amici. Nulla. Solo lui.
Il
fatto che ora fossi consapevole di ciò che insorgeva in me era sollevante,
sebbene non mi confortasse. Gli attimi in cui non respiravo, in cui girovagavo
per la casa senza una meta, con una strana sensazione ad attanagliarmi lo
stomaco avevano dunque una spiegazione.
Sospirai.
Per
calmarmi avevo scritto ciò che mi sembrava di provare. Ma non ero stata io a
prendere la penna in mano e a tracciare quei segni, indelebili sul mio quaderno
e nel mio cuore. Era stata una forza, di cui non conoscevo l’entità, di cui non
sapevo accertare la provenienza. La mia mano si era mossa, ma non ero io a
controllarla.
Adesso
ero tornata a respirare e la sensazione di nausea si andava affievolendo. Ma al
suo posto, insidioso, c’era il dolore. L’angoscia per essermi resa conto che
ogni mio attimo di vita dipendeva da lui, la tristezza nel vederlo nella mia
mente, il suo volto, il suo sguardo, il suo sorriso e la cupa certezza che lui
non ricambiava. Aveva già donato la sua anima. Non mi aspettavo nulla da lui,
ma la prospettiva di speranze su speranze, che non riuscivo a cancellare
completamente e che sarebbero state certamente deluse, mi faceva sprofondare nello
sconforto più totale.
Sentii
gocce fredde cadermi sulle mani e mi toccai le guance. Credevo di aver sofferto
per Robert? No, non era nulla a confronto.
Matt.
Matt
era l’unico in grado di colmare il mio vuoto, completamente, meravigliosamente.
Era tutto.
Ripresi
la penna.
Le
lacrime mi scorrevano copiose sulle guance, i miei occhi verdi vagavano
attorno, tutto era sfocato.
La
posai sul foglio che avevo davanti a me.
Scivoli di me …
come pioggia.
Sento i capelli bagnati,
il corpo invaso d’acqua fredda,
i vestiti fradici …
Vorrei avere un ombrello,
per proteggermi da te.
Il
dolore che m’infliggeva l’idea che lui non mi avrebbe mai, mai, amato era
indescrivibile. Il mio stato era di prostrazione totale. Il germe della
speranza che era spuntato veniva soffocato con forza dalla mia ragione, e la
realtà opprimeva ogni spiraglio d’immaginazione, ogni confuso fotogramma della
mia fantasia.
Mi
sentivo in trappola, il cuore riarso d’angoscia, le pareti che mi si
stringevano attorno.
Di
nuovo presi la penna. Non riuscivo a capire cosa mi succedesse, ma avevo il
bisogno disperato di svelare le mie emozioni, anche se solo ad un foglio, umido
delle mie lacrime, macchiato d’inchiostro.
La
mano mi tremava, mentre premevo con forza sulla pagina e tracciavo quei segni
che avrebbero formato le parole.
Dimenticai il respiro,
brame d’oscurità,
attorno,
m’avvolgevano.
E caddi.
L’anima mia,
e le emozioni,
tra di esse m’ero
persa.
Ma
cosa stavo facendo? Cosa volevano dire quei versi che avevo scritto? Mi ero
data alla poesia? Che cosa avrebbero risolto?
Nulla.
Non
ero lucida.
Mi
distesi per terra, tutto mi roteava attorno.
Sentii
il freddo del pavimento. Rabbrividii.
Per
la prima volta comprendevo il significato della parola amore.
Per
la prima volta ero convinta di aver trovato l’unica persona che potesse farmi
amare davvero.
Per
la prima volta sperimentavo cosa si prova ad avere nel cuore un sentimento
simile, sapendo che non verrà mai condiviso.
Io
amavo lui.
Era
banale, era semplice, era terribile. Lui non amava me.
Sorrisi,
sperando di sembrare convincente.
“Che
piacere vederti, Sophie.”
Lei
mi studiò attentamente e capì.
“Che
cosa è successo?”, mi domandò, senza nascondere la sua preoccupazione.
Sospirai
e mi sedetti sul letto.
“Nulla
d’importante, te lo assicuro.”, risposi, sforzandomi di far sembrare sincera la
mia affermazione.
Lei
non mi diede ascolto. “Hai pianto?”, domandò, studiando i miei occhi.
Annuii.
“Preferirei
che parlassimo d’altro.”, annunciai, pacata, ricacciando la disperazione dentro
di me.
Moriva
di curiosità, era evidente, ma non mi fece altre domande.
“Mi
spiace di essere venuta a trovarti in un momento così poco opportuno.”, si
scusò, scuotendo la testa e facendo volteggiare elegantemente i suoi capelli
scuri.
“Non
ti scusare, Sophie.”, ribattei decisa. “Ho bisogno di distrarmi, quindi sei
assolutamente gradita.”
Lei
sorrise. Era bella quanto il fratello, aveva lo stesso colore dei suoi occhi,
ma assomigliava più a sua madre. I lineamenti del suo volto era impeccabili, i
suoi capelli scendevano lisci sulle spalle, perfetti anch’essi.
“Ero
venuta per invitarti alla mia festa di compleanno, tra due settimane. Lo so, è
un po’ in anticipo, ma vorrei assicurarmi che tu non abbia altri impegni.”,
dichiarò allegra, con gli occhi che dardeggiavano d’eccitazione.
“Che
bello!”, esclamai, mentendo magistralmente. Sperai che non se accorgesse.
Rivedere
Matt non mi avrebbe fatto bene, ma, pensai, in ogni caso ci saremmo incontrati
comunque.
“Lo
so.”, rispose Sophie. “Non vedo l’ora che arrivi quel giorno. Ti rendi conto?
16 anni!”
Io
risi. “Lo so. Per me invece incombe la vecchiaia.”
Lei
mi lanciò un’occhiataccia, rimproverandomi.
“Ma
se ne devi compiere solo 18! Ma tu guarda, già vecchia!”, protestò, infervorandosi.
Scoppiamo
entrambe in una risata fragorosa.
“Richie
dice che ha una sorpresa per me …”, annunciò, evidentemente soddisfatta.
“Sarà
sicuramente qualcosa di meraviglioso.”, profetizzai, fingendomi allegra.
La
fugace immagine di Matt al posto di Richard, di una sorpresa dedicata solo a
me, mi aveva trafitto ed il dolore era tornato insopportabile.
“Quel
romanticone …”, sospirò Sophie, pensando al suo ragazzo con affetto.
Cercai
di sorridere.
Non
riuscivo a riprendermi, ma non volevo che s’accorgesse si nulla.
Lei
alzo lo sguardo e parve sorpresa. Poi prese a guardarmi negli occhi, senza
batter ciglio. Quando distolse lo sguardo, sembrò sconvolta.
Mi
chiesi che cosa fosse successo. Era strano. Possibile che gli Elliot fossero
tutti così indecifrabili?
“Tutto
bene?”, domandai, stupita, respirando a fondo per calmarmi.
Lei
guardava verso la finestra, senza vederla veramente.
Fuori
la luce s’era affievolita e appena uno spiraglio di biondo chiarore trapelava
dalle tende, che coprivano i vetri.
Rimasi
a fissarla, in attesa.
“Sei
innamorata di mio fratello?”, chiese in un sussurro, triste.
Io
rimasi sconcertata, senza parole.
Com’era
possibile che avesse capito tutto quanto? Solo guardandomi! Cercai di
riprendermi, ma quando parlai la mia voce suonò rauca.
“Cosa
te lo fa credere?”, domandai.
Lei
si voltò nuovamente verso la finestra, preoccupata.
Ignorò
la mia domanda, ma soggiunse: “Emily, lui …”, cercò di spiegare cauta, attenta
a non ferire i miei sentimenti.
“Lo
so.”, sospirai, rinunciando a fingere che non fosse vero.
La
mia amica si voltò verso di me, sorpresa.
“Lui
non mi ama.”, affermai, cercando di suonare calma, sebbene la ferita nel mio
cuore mi gridasse di piangere, di urlare, di sfogare il mio dolore.
Sophie
sospirò.
“Mi
spiace.”, dichiarò,sincera.
“Non
preoccuparti.”, la incitai, sorridendo. “Passerà.”
Un
silenzio glaciale invase la stanza. Sapevo che avrebbe voluto consolarmi, ma
non sarebbe bastato. Capivo perché non sapesse come comportarsi e mi
rimproverai per averla messa in quella situazione. Volevo riattizzare la
conversazione, ma non sapevo come fare. Cercai d’ignorare la sensazione di
nausea che mi avvolgeva, sospirai e decisi d’infliggermi volontariamente
dolore.
“Parlami
di lui.”
Lei
si voltò, mi fissò di nuovo, attentamente, come per capire quanto fosse intenso
il mio desiderio.
“Matt
è sempre stato un fratello meraviglioso, presente quando ho avuto bisogno di
lui, affettuoso, sensibile. Mi assecondava sempre quando facevo pazzie
adolescenziali, mi copriva con i miei, che però poi scoprivano sempre tutto, mi
rendeva allegra con il suo modo di fare.”
Si
fermò, riprese fiato e valutò il mio umore. Fui abbastanza convincente, così
riprese a raccontare.
“Tu
l’hai conosciuto come un ragazzo taciturno e introverso, ma lui non è mai stato
così. Quando due anni fa Anne morì, cambiò completamente. Costruì un muro
attorno a se stesso e si rinchiuse nel suo guscio. Non sorrideva più. Gli ci
volle molto tempo per ritornare a farlo. Non è mai più stato lo stesso, ma si è
sforzato di essere un bravo fratello. Ci è riuscito, naturalmente. Ma con gli
altri non è così. Non si rapporta più a nessuno con facilità, teme di
affezionarsi a qualcuno, di soffrire ancora. Il colpo è stato troppo duro per
lui.”
Sophie
sospirò, pensosa.
Ripensai
al Matt dei primi tempi, quello silenzioso, freddo, giudicato da tutti altezzoso.
Ricordai il ragazzo che poi si era rivelato, la sua passione per ogni cosa, la
sua dolcezza, la sua comprensione.
“Si
è sentito per moltissimo tempo in colpa.”, proseguì la mia amica ed io la
guardai, attenta. Pendevo letteralmente dalle sue labbra. “Non credo che sia
ancora riuscito a superarlo.”
Ciò
che aveva detto parve rattristarla grandemente.
“Però
da quando ti conosce è cambiato, almeno in parte. Sorride di più ed è più
allegro.”, rifletté, sorridendo.
Sentii
un tuffo al cuore, ma lo misi prepotentemente a tacere.
“Solo
che …”, soggiunse la ragazza, di nuovo seria. “Non per essere cattiva, ma non
credo sia una buona idea che tu t’illuda. Non so se lui prova quel tipo
d’affetto per te.”
Io,
inaspettatamente, sorrisi. “Lo so.”
“L’amava
tanto?”, domandai, dopo un istante di riflessione, con l’evidente intento di
farmi del male da sola.
Sophie
mi guardò, alzando gli occhi al cielo.
“Sei
masochista o cosa?”, domandò, esasperata.
Incurvai
le labbra, cercando di apparire sufficientemente tranquilla.
“Dai,
parla.”, la incitai.
Lei
sospirò.
“Moltissimo.”,
esclamò, mentre gli occhi le si colmavano di dolcezza. “Pensa che, per il
giorno del suo compleanno, scrisse nel cielo una frase bellissima, che luccicò
per tutta la notte. Era bellissima!”, ricordò, con una dolce nostalgia nello
sguardo.
Io
rimasi senza parole.
“Scrisse
nel cielo?”, domandai, sicura di aver sentito male.
“Non
so come abbia fatto.”, rispose, evasiva, guardando altrove.
Decisi
di non indagare.
“Cosa
scrisse?”, chiesi, curiosa.
“…
Le stelle decisero un giorno di scrivere il nome della più bella ragazza nel
cielo, affinché potesse essere ammirato da tutti. Scelsero il tuo … E sotto
c’era scritto Anne.”, citò, sorridendo.
Io
rimasi in silenzio.
Quella
frase. Io avevo già sentito quella frase.
Quelle parole, così belle, così dolci. Com’era possibile?
“Tutto
bene?”, mi domandò Sophie, preoccupata.
La
guardai, riprendendomi e sorrisi.
“Si,
tutto ok.”, replicai, pensosa.
Sì,
l’avevo già sentita. Ma dove? Non riuscivo proprio a ricordarlo. E poi, come
facevo a rammentare una frase, di cui non potevo essere a conoscenza? E gli occhi di Matt …
Fu
coma una fulmine improvviso. Un’illuminazione istantanea. Ma certo! Io sapevo
esattamente dove li avevo già visti. Dove avevo sentito quella frase. Solo che
non era possibile. Era contro ogni legge di natura.
Rovistavo
nel baule in soffitta, alla sua disperata ricerca. Doveva esserci, per forza!
Non m’interessava mettere in disordine, non m’importava della polvere che mi
ricopriva i vestiti. Desideravo solo una conferma, che avrebbe fatto cedere le
impalcature che tenevano in piedi le mie convinzioni di sempre.
Finalmente
la trovai. Era un quaderno, impolverato, con una copertina bellissima, che
ospitava un panorama fantastico, quasi sovrannaturale, abbandonato lì da chissà
quando.
Era
la storia che avevo creato due anni prima, che avevo scritto con passione, che
avevo dimenticato.
Sfogliai
le pagine velocemente, cercando di trovare quel passo preciso, mentre mi
tormentavo incessantemente. Non era possibile, non poteva essere, mi ripetevo
incessantemente. Individuatolo, mi fermai ed iniziai a leggere.
“Le stelle decisero un giorno di scrivere
il nome della più bella ragazza nel cielo, affinché potesse essere ammirato da
tutti. Scelsero il tuo … ANNE …
Sorrise.
Era sicuro che lei avrebbe gradito la sorpresa. Fissava il
cielo, contemplando il suo bel lavoro. Quanto l’amava. E quant’era fortunato ad
essere amato da lei. Una ragazza così meritava questo ed altro. Si appoggiò
alla corteccia dell’albero, stremato. La scritta luccicava nel cielo, brillava
del suo amore, esprimeva il suo cuore. Rimase a lungo fermò, pensando a lei. La
sua immagine si rifletteva nel lago. Il suo profilo tremulo, i suoi occhi
scuri, i lineamenti perfetti, illuminati da un grande sorriso. Se la sua
bellezza era sempre evidente, quella sera lo era ancor di più. Risplendeva
d’amore, un amore indissolubile, d’una felicità aldilà di ogni sua
aspettativa.”
Alzai
gli occhi da quelle pagine. Avevo scritto quella storia due anni prima. Come potevo
conoscere la sua vita? Narravo di un mondo lontano, come diceva il titolo
stesso ‘Beyond the sky’, aldilà del cielo. Raccontavo di battaglie, di magia,
d’amore, d’amicizie. Decretavo la vita e la morte dei miei personaggi. Com’era
possibile? Lui proveniva da un altro mondo? Io avevo deciso il suo destino?
Ridicolo.
Era solo una coincidenza. Come potevo pensare una cosa del genere?
Confusa
ed agitata, con le lacrime che minacciavano di straripare sulle mia guance da
un momento all’altro, cercai un’altra parte del mio libro. Tornai alle prima
pagine, fermandomi sulla seconda.
Osservai
per un istante la mia scrittura, stretta e sinuosa, poi lessi con avidità.
“Osservò la figura della persona amata, riflessa sul vetro
della finestra. Era bellissima. I capelli biondi le ricadevano morbidi sulle
spalle, incorniciandole il viso angelico. Gli occhi, celesti, limpidi come
l’acqua di fonte, erano allegri e sereni, affascinanti, come non sarebbero mai
potuto essere gli altri. Il corpo, magro e perfetto, la pelle chiara, la
dolcezza che emanava. Quanto l’amava. Era la sua Anne. La sua meravigliosa,
stupenda, Anne.
Lei gli sorrise.
A sua volta studio il profilo di lui. Il viso calmo, ma gli
occhi, color topazio, animati da una grande ammirazione, che sconfinava quasi
in adorazione, per lei , la ragazza che amava. Come poteva meritare un ragazzo
così? Leale, coraggioso, allegro e dolce? Non riusciva veramente a
spiegarselo.”
Smisi
di leggere. Le lacrime m’inondavano ormai il viso, senza ch’io potessi
fermarle. Io conoscevo tutto di Matt. La sua storia d’amore, le sue amicizie,
le sue imprese. Ma era inconcepibile che
fosse così. Inconcepibile.
Il
cuore batteva forte ed io riuscivo a malapena a catturarne i singulti, tenendo
la mano ferma sul petto. Non avevo mai provato una sensazione simile. Era
qualcosa d’indescrivibilmente perfetto.
Seduta
sulla sabbia morbida e fresca, che scorreva fra le mie dita inerti, osservavo
l’enorme distesa blu, immensa, affascinante, senza poter esprimere in parole la
mia ammirazione. Guardavo il cielo, con la sua luna, alta e candida, luminosa
come non mai e le nuvole, sbuffi di vapore azzurro, nell’infinito blu,
brillante, sereno, tranquillizzante.
Udivo
il fruscio lento e continuo delle onde, il soffio del vento, che m’avvolgeva,
con un suono sinuoso ed elegante, morbido e avvolgente. Ascoltavo il silenzio
profondo, l’assenza di parole, l’assenza di risate, l’assenza di tristezza. Un
profondo, ineguagliabile riposo d’ogni voce, piacevole, ininterrotto.
Respiravo
l’aria salmastra, l’odore delicato e invadente del sale, della sabbia, il
profumo degli alberi in lontananza. La scia d’intenso profumo di rose mi
penetrava dolcemente nei polmoni, calda, dolce, meravigliosamente intensa e
magica.
Sfioravo
i granelli, lasciando che mi scivolassero sopra, che penetrassero del candido
vestito che indossavo, quasi fosse polvere d’oro. Accarezzavo i petali del
fiore che avevo accanto, il blu profondo della sua corona, i teneri rametti e
le piccole spine, come se fossero un gran tesoro. Le mie mani affondavano
nell’acqua, tiepida, lasciando che scorresse lungo le braccia, in minuscole
goccioline serene.
Assaporavo
il sapore dolce e allegro d’una mora, ne godevo il gusto morbido e delizioso,
con un’attenzione mai provata.
I
miei sensi erano completamente appagati, uniti in una strana e magnifica
sintonia, nel blu della sera. Non serbavo più alcun ricordo di quello che era
accaduto, ma la mia mente ed il mio cuore erano lontani dalla realtà che mi
apparteneva. Per quei magici, perfetti, fantastici istanti, dimenticai tutto
quello che mi aveva angosciato e mi abbandonai alla più completa felicità.