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Autore: SMes    21/06/2017    0 recensioni
Leggete "Novelle" e sarete subito coinvolti in un turbine di storie dalla trama affascinante e variegata.
Verrete trasportati dall'Antica Grecia alla leggendaria Atlantide per poi tornare al mondo terreno e ripartire per chissà dove. Leggete, cari lettori, e navigherete in un tempestoso mare di fantasia.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La storia che andrò a raccontarvi, ha come scenario uno dei miti più famosi ed emblematici della cultura occidentale: la città perduta di Atlantide.
 Primo luogo a cui si volge il pensiero sentendo parlare di città perdute, tesori mai ritrovati e civiltà forse mai esistite, ma che in ogni caso stuzzicano i nostri pensieri e affascinano la nostra immaginazione. “Nostra”, una parola che racchiude tanti volti illustri: da Aristotele, che la archiviò come pura fantasia platonica, a Jules Verne, che fantasticò nei suoi romanzi di una misteriosa isola mai scoperta in precedenza, fino a Isaac Newton, che cercò di trovare un collegamento tra le proprie teoria e Atlantide….E potrei continuare per ore ad elencarvi nomi, fino a far toccare la mia barba, alle punte dei miei piedi…
I nostri protagonisti sono una coppia che potrebbe risultare ad un primo sguardo più per caso che per scelta, ed in effetti, le peripezie che portarono a tale accostamento (che miei cari, non starò a narrarvi, altrimenti potrei scrivere un libro) furono proprio dettate dalla nostra cara e vecchia dea bendata. La nostra signorina, Alexandra, una giovane esploratrice per conto del  British Museum, amante della storia e personaggio estremamente meticoloso, in contrapposizione al nostro Julisseis , un uomo con un suo fascino nel suo essere rozzo e immischiato in una serie di intrallazzi con individui poco raccomandabili, tuttavia un gran sognatore, in contrapposizione col razionalismo e scetticismo di Alexandra. Ma più non sono in intenzionato a parlare se non della storia, quindi buon ascolto a tutti i compagni miei.
-Julisseis, so che sarà difficile per te credere alle mie parole, ma se esiste una persona di cui posso fidarmi e che potrebbe prendere seriamente queste parole, questa persona sei tu.- Esordì l’anziano che sembrava avesse molta fretta e Julisseis rispose in maniera piuttosto cauta: “Kuba, dopo la scoperta del 51° uovo di Fabergè credo che potrei credere a qualsiasi leggenda “vivente” di cui tu creda l’esistenza.
” –Oh mio caro, ma io non credo nell’esistenza della città sommersa, ne sono più che convinto.- “Cosa? Non ti riferirai mica ad Atlantide? Sicuro di quello che dici?” -Tanto quanto sei stato convinto tu in quel sobborgo malfamato turco a scappare a tutto gas dopo aver vinto una fortuna a dadi…- “Beh, sì, diciamo che era gente piuttosto irascibile ma…ora dimmi: cosa hai scoperto?”
 –Bene, arriva proprio qui la parte interessante, ma prima dimmi una cosa…tu conosci Platone e il suo mito riguardo Atlantide?-
“A dire il vero oltre il fatto che Platone era un filosofo greco e che narrava nel “Crizia” di questa città misteriosa su cui vi era una statua gigante di Poseidone, completamente in oro zecchino, più qualche credenza popolare.. non so che altro dirti..”

–Julisseis, quel che tu sai mi sorprende molto, in fondo c’è tanto di cui devo parlarti, ma almeno una base c’è.- “Bene, allora racconta che nel frattempo prendo una birra.” –Tu conosci le Colonne d’Ercole?-
“Certo, lo Stretto di Gibilterra, è li dove dovrebbe essere situata, questa è una delle credenze di cui ti parlavo.”
–Bingo, proprio in questo ti sbagli, tu e le credenze popolari…c’è un particolare delle Colonne d’Ercole che fornisce un indizio fondamentale, ed è la scritta posta su di esse “Non plus ultra”, ovvero “Non più avanti”; se la tua testona bacata fosse a conoscenza dei legami tra Platone e Socrate per me sarebbe tutto più facile, ma non lo è, quindi visto che il tempo stringe e non voglio annoiarti con lunghi discorsi filosofici, versami della sambuca e siediti, che inizio a raccontarti.- Julisseis prese un bicchiere lercio, specchio della catapecchia in cui si erano ritrovati i due, e vi versò una generosa dose di distillato, che al contrario era in una confezione pressoché nuova, quasi non avesse il tempo di invecchiare prima di essere sostituita; non che l’anziano Kuba fosse un abitué dell’alcool, come si poteva vedere dalle vecchie bottiglie di Gin e di Poteen che sembravano quasi risalire all’epoca dei Moonshine, semplicemente era un inguaribile amante del sapore intenso dell’anice e dei suoi derivati. Non appena l’americano sedette assieme alla sua lattina di birra ancora a tre quarti iniziarono le spiegazioni di Kuba.
–Platone era un allievo di Socrate, nonché suo grande amico e fervido seguace della sua dottrina, egli riteneva infatti, Socrate l’uomo più giusto e sapiente del tempo.- Esordì prendendo un abbondante sorso dal bicchiere.
 “E riguardo la scritta e il luogo?”
–Julisseis, vedo lo scorrere degli anni non ti ha reso più paziente; dunque la nostra chiave di volta è da ricercarsi nel significato metaforico della frase “Non plus ultra”, non solo un confine fisico del mondo, ma soprattutto il limite della conoscenza.- Julisseis ritrovava una gran confusione in quelle parole spiegate in maniera rapida e apparentemente sconclusionata, e avrebbe tanto desiderato che il vecchio arrivasse al punto: “E perché Socrate avrebbe un collegamento con Non plus ultra? Insomma non mi è chiaro…”
 –Ho capito.. taglierò corto, questo è il mio ragionamento: le Colonne d’Ercole sono identificabili come il limite della conoscenza, e Socrate era visto come l’uomo più sapiente da Platone, il non plus ultra della conoscenza, inoltre sappiamo che Socrate operò esclusivamente in Grecia, inoltre sono tanti gli indizi che Platone ci fornisce nella sua filosofia, nelle sue frasi, nei suoi miti!- L’americano sembrò alterarsi .
“Quindi io dovrei partire per un viaggio alla ricerca di qualcosa che forse neanche esiste e di cui non so praticamente nulla?!” L’espressione di Kuba si oscurò e disse in tono cupo: -Julisseis, in nome della nostra amicizia ti chiedo di fidarti, ora non posso aggiungere altro.- Prese un volume impolverato del Crizia platonico, uno ancora più vecchio e logoro della Repubblica VII e un taccuino di appunti e studi compiuti da egli stesso, si girò intorno con fare circospetto, prese una paletta e uccise con un colpo secco quello che sembrava una mosca o un insetto del genere, poi blaterò qualche imprecazione in dialetto irlandese con fare disprezzante , apparentemente eccessivo per un piccolo insetto, infine consegnò i volumi all’amico e aggiunse -Ora va’, se necessiti di aiuto nelle tue ricerche presta molta attenzione a chi ti rivolgi, e ricorda, stai lontano dagli occhi del demone.- In quelle ultime parole Julisseis notò quasi un’implorazione, tuttavia non comprese a pieno il significato di quelle parole, nonostante ciò, non proferì parola e si allontanò dalla catapecchia.
 Nel frattempo dall’altra parte dell’Europa Alexandra Linn-Parkinson era al British museum, svolgendo il suo lavoro di analisi delle opere e catalogazione dei reperti, quando squillò il cellulare: -Wood- così era conosciuto Julisseis da Alexandra, -cosa vuoi ora?- L’uomo neanche le diede il tempo di finire la frase che esclamo: “Alex, devi subito venire in Grecia, ci vediamo tra due giorni al Phaedra ad Atene” –Wood sei ubriaco?! Perché dovrei venire ad Atene?!-
 “Ora ho bisogno che ti fidi e basta, hai conoscenze su Platone?”
–Certo che lo ho ma non riesco a ca…- Non ebbe tempo di finire la frase che dall’altra parte Julisseis attaccò il telefono. Alexandra sapeva che Wood non fosse nuovo a questi comportamenti e decise con una certa riluttanza di partire , prenotò un volo last-minute e due giorni dopo arrivò allo squallido ostello ad Atene, luogo di incontro con l’americano. Julisseis non tardò e aveva l’aria di chi aveva passato intere giornate a fare qualcosa a cui non fosse abituato, in effetti aveva consumato quel taccuino di studi e aveva letto il libro in tempo record. –Wood! Mi spieghi cosa diavolo succede?!-
 “Shh, Alex entriamo che ti spiego..” I due entrarono e Alex rimase sbigottita, per certi versi indignata da racconto di Wood.
 –Quindi io sono qui per aiutarti nella ricerca di una città perduta che nemmeno esiste, e tu ti sei fidato delle parole enigmatiche di un vecchio?!-
 “Alex di Kuba posso fidarmi, ero scettico anch’io come te, tuttavia ho scoperto dei collegamenti e ho bisogno del tuo aiuto per portarli avanti..”
Nel mentre in cui diceva ciò aveva chiuso tutte le finestre e controllava ogni angolo della sudicia camera, Alex se ne accorse e chiese cosa stesse facendo ora, Julisseis sentì come un colpo quella domanda e si affrettò a spiegare le sue paure dopo aver compreso le implorazioni di Kuba nella frase “stai lontano dagli occhi del demone”.
“Alex, come ben sai Atlantide è stata cercata in continuazione nei secoli e tutt’oggi c’è un gruppo alla costante ricerca della città sommersa, è conosciuto con il titolo Tamàtoudài, pseudonimo di Ta màtia tou dàimona, letteralmente Occhi del demone, chiamati così poiché hanno cimici e spie ovunque, Kuba ne ha scovata una in casa sua, ma poteva non essere l’unica, ecco perché non mi ha potuto dire di più..” –E qui non ce ne sono? Come fai a saperlo?- “Secondo te perché sto rivoltando tutta la camera? Sono piccole, simili a delle mosche, tuttavia sono difficili da utilizzare in ambienti isolati, dove c’è silenzio, poiché sono dotate di un piccolo motore che è udibile e chiaramente riconoscibile nel silenzio, quindi shh..”
I due rimasero nel silenzio totale per un paio di minuti, poi Wood tirò un sospiro di sollievo; nella camera c’erano solo loro due.
“Alex, ora ho bisogno del tuo aiuto.” Disse Wood con il tono di chi non accetta obiezioni.
 L’americano le spiegò le teorie del vecchio irlandese; tutto quel farfugliare di parole apparentemente confuse era perfettamente esposto in quel vecchio taccuino di pelle nera, che non solo risultavano quanto più plausibili, ma portavano ad un luogo ben preciso: l’isola di Santorini, più nello specifico la porzione sprofondata dopo l’eruzione del vulcano Thera, 1600 anni prima della nascita di Cristo. Del resto la cosa non stupì Alexandra; non era una novità infatti collegare la città perduta con l’isola sprofondata, d’altronde hanno storie analoghe, entrambe crollate in pochissimo tempo, un giorno e una notte vuole il mito di Atlantide, dopo che fallì un tentativo di conquistare Atene.
 –Wood, quel sito non è nuovo a ricerche..ti rendi conto che per quanto riguarda queste affermazioni stiamo perdendo tempo?!-
“Alex, ti ho chiamato per avere un aiuto, ma se sei qui, solo per ripetermi che Kuba è un bugiardo puoi anche andartene.”
–Wood, come al solito trascuri i dettagli più importanti…quello a cui voglio arrivare è che Platone non fornisce solo un luogo sulla cartina geografica, ma va letteralmente molto più in profondità, e Kuba lo sapeva…-
“Alex, Kuba sapeva? Cosa?” –Wood, immagina solo quante tonnellate di lava può aver eruttato quel vulcano assieme alla cenere e ai lapilli, ricorda che è sprofondata un’isola e chissà quanti metri bisogni immergersi per trovare Atlantide, in effetti è plausibile che a causa di tutto quel materiale di roccia lavica mista a minerali e massi abbia reso impossibile una scansione dalla terraferma con le moderne tecnologie, il problema e che ora non abbiamo un punto di partenza nemmeno noi, se solo avessimo un anfratto, una caverna da dove partire…”
 A sentire queste parole a Julisseis si accese una lampadina e si drizzò come se avesse visto un fantasma: si affrettò a cacciare il vecchio volume settimo della Repubblica platonica donatagli da Kuba.
-È qui la soluzione! Esiste ed è una caverna, vi è un mito che ne parla!- “Wood, ti stai riferendo al celeberrimo mito della caverna di Platone, ma come sai che possa riguardare le ricerche? E poi pensaci, se pure fosse un riferimento, come potremmo mai trovarla? Ricordi quello che ti ho detto prima?” Lo scetticismo di Alexandra non scoraggiò Julisseis, che per tutta risposta iniziò una spiegazione non proprio erudita e piuttosto grossolana, ma in ogni caso efficace: -Inizialmente, dopo averlo letto, pensavo che Kuba mi avesse donato questo libro per depistare delle eventuali spie, e quella storia della caverna mi sembrava molto fantasiosa ma nulla di più… ma c’è qualcosa di più in quel mito, le metafore e la stessa caverna… forse hai ragione tu, ma pensaci, se non avessimo dei dati o delle speranze di trovare qualche indizio sul luogo non saremmo qui ora…e se fosse il sole a identificare quel punto? In fondo è il sole la metafora della conoscenza nel mito-
“Perfetta la conoscenza come è perfetto il sole a mezzogiorno nel cielo! La città è sepolta dove il sole picchia a mezzogiorno sotto l’isola di Santorini! Però Wood…non è più di un’ipotesi..” –Alex, per secoli sono partite esplorazioni e sono stati trovati tesori con non più di qualche indizio; pensa ad esempio al tesoro del Capitano Morgan, per secoli sottoterra, con un solo pezzo di carta strappato e logoro come indizio.- La conversazione si fermò dopo poco, Julisseis riuscì a convincere Alexandra e il giorno dopo si ritrovarono a immergersi nei pressi della costa sud del Nea Kameni: vulcano ormai spento dell’isola di Santorini, in una zona particolarmente ricca di materiale piroclastico. È mezzogiorno in punto quando i due arrivarono sul luogo dell’immersione, accompagnati da una guida locale su di un gommone abbastanza vissuto, dopo venticinque minuti di viaggio dal porto di Athinios; il loro equipaggiamento era piuttosto semplice: una tuta da sub con ricetrasmittente per entrambi con una scorta di pesanti bombole d’ossigeno ovviamente piene, quante più ne riuscirono a portare, d’altronde non avevano idea della profondità a cui avrebbero trovato qualcosa. “Wood, e se non avessimo abbastanza ossigeno? Se pure trovassimo questa “caverna” ma non fosse alla nostra portata?” Julisseis abbassò lo sguardo e rimase a riflettere qualche secondo, poi lo rialzò e disse in tono estremamente calmo: -Esiste un antico detto sui pescatori greci : quando questi si immergevano e entravano in una insenatura a caccia di aragoste, una volta arrivati a un punto in cui non avrebbero avuto abbastanza fiato per tornare indietro non potevano fare altro che continuare a nuotare sperando in un’uscita.-
Detto ciò guardo Alex per un paio di secondi e si gettò in mare. Alexandra rimase impietrita da quella risposta e al contempo sbigottita per la velocità con cui era avvenuta l’intera azione, tuttavia dopo pochi secondi, seppur con incertezza decise di tuffarsi. I due non persero tempo e subito si avvicinarono alla massiccia struttura di lava solidificata; la maestosità con cui si presentava quella distesa enorme era eufemisticamente disarmante e dopo un quarto d’ora di ricerche i due non avevano scoperto nulla, anche l’impavido americano sembrava scoraggiato, iniziò a pensare che forse questa volta Alex avesse ragione e che Kuba fosse totalmente uscito fuori strada nelle sue ricerche a causa di alcune ingannevoli coincidenze. Tuttavia mentre si convinceva che forse la cosa migliore da fare fosse risalire in superficie, dall’auricolare sentì un’esclamazione: “Wood! Guarda i riflessi del sole, portano a quella serie di strutture laviche a forma di stalattiti!” In effetti Julisseis aveva già notato quella strana struttura vicina alla superficie, causata dall’immediata solidificazione della pioggia lavica, tuttavia non vi trovava nulla di interessante fin quando nell’avvicinarsi intravide un piccolo foro del diametro di circa settanta centimetri, troppo stretto per entrarvi con tutta l’attrezzatura; per questo Julisseis non esitò a sganciare le bombole d’ossigeno e collegò il respiratore ad una piccola riserva che in circostanze normali sarebbe servita per risalire nel caso di un malfunzionamento delle bombole, ma ora era diventata fonte di vita per l’esplorazione e letteralmente per Julisseis che aveva calcolato di avere non più di cinque minuti: tre della riserva più due di fiato, senza alcun indugio si apprestò ad esplorare quell’anfratto. Spese i primi trentacinque secondi di ossigeno nuotando all’interno dell’oscurità, quando la sua torcia illuminò un’altra serie di stalattiti laviche, questa volta disposte a mo di barriera come se fossero le sbarre di una cella, vi era una piccola apertura dove poter passare, ma si sarebbe immerso nel buio di nuovo, un buio ancora più fitto. Titubante, al punto di tornare indietro rivide in un flashback immaginario la scena della distruzione di Atlantide, con a capo Poseidone, punito per aver osato attaccare la città più bella e fiorente della Grecia: Atene. D’un tratto l’illuminazione. Non perse tempo Julisseis e si immerse nel buio, ripensando ad un punto cruciale del racconto platoniano: la punizione di Poseidone. In effetti la forma delle stalattiti laviche sembrava veramente quella delle sbarre di una cella, e qualunque cosa si fosse trovata immersa nell’oscurità sarebbe sembrata come imprigionata nella montagna; mentre ripensava a tutto ciò sentì i polmoni iniziare a cedere erano passati circa 90 secondi dall’immersione senza bombole, Julisseis cominciò a pensare che forse la sua resistenza non fosse così eccezionale, fece per prendere la sacca di sicurezza che sarebbe significato l’annullamento della missione; tuttavia lasciò accidentalmente cadere la torcia, che illuminò con un fascio di luce una superficie lucida, poiché il riflesso accecò per un attimo l’americano. Carico di adrenalina Julisseis compì un balzo in avanti verso quel bagliore ed in un attimo fu solo luce. Un secondo che racchiuse tutte le ore di studio di Kuba, che smentì le pereplessità di Alexandra, Julisseis nonostante avesse i polmoni in piena riserva, lanciò un forte urlo liberatore, che si spense poco dopo, seguito da un forte respiro affannato: era di fronte ad un dio, e non perché fosse all’altro mondo…anzi, questa divinità era completamente materiale, totalmente scolpita nell’oro massiccio, con tre punte di diamante sul proprio tridente e uno sproporzionato numero di ametiste, topazi, smeraldi e rubini su quella che doveva essere la sua corona e due zaffiri come occhi, che solenni incrociavano quelli di Julisseis. Aveva trovato la caverna sottomarina e purtroppo non vi era alcuna città sommersa, ma la bellezza di quella statua ripagò pienamente gli sforzi di tutte le menti che vi erano dietro la mirabile scoperta. Julisseis rimase qualche minuto ad osservarla, poi si ricordò di Alex e decise di correre a raccontarle la scoperta. Gli occhi di Poseidone erano tornati a brillare, illuminati dalla torcia dell’uomo, ma dall’altra parte della scogliera erano ormai spenti e senza vita gli occhi di cinque subacquei, anche loro imprigionati, ma da una rovinosa frana, durante l’esplorazione di un anfratto. Il loro peccato? L’imprudenza e l’ignoranza forse, l’unica certezza è che gli Occhi del Demone non hanno potuto vedere la luce del sole nella notte oscura.
 
 
 
   
 
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