Seconda parte
Trascorsero
minuti, poi ore. Tristan, con la mente sempre più sconvolta dall’angoscia, non
riusciva più a mantenere il senso del tempo e dello spazio, non capiva se si
trovasse in quella caverna da qualche ora o da settimane. Più e più volte aveva
avuto la tentazione di lasciarsi andare, ma si scuoteva pensando ad Aurora e
faceva violenza a se stesso per muovere ancora qualche passo, appoggiando le
mani tremanti alle pareti di roccia per cercare qualcosa che gli permettesse di
sfuggire a quel destino atroce.
Ad
un tratto la sua mano incontrò un ostacolo, qualcosa di duro infisso nella
roccia. La sua attenzione si risvegliò e lo portò ad osservare meglio ciò che
la sua mano aveva urtato. La luce che filtrava dall’apertura era fievole, ma sufficiente
per permettergli di vedere bene di cosa si trattasse: era il primo di una serie
di gradini di ferro che salivano verso l’uscita.
Il
cuore di Tristan sobbalzò: ce l’aveva fatta, quella era la salvezza che aveva
cercato disperatamente per tanto tempo! Mise un piede sul gradino e si sforzò
di tirarsi su aggrappandosi con le mani intirizzite a quello superiore, ma non
aveva fatto i conti con la propria stanchezza, il gelo che aveva fiaccato la
sua resistenza e l’intorpidimento di braccia e gambe. Perse l’appiglio e
ricadde nell’acqua che ormai gli arrivava al collo. Andò sotto, il liquido
gelido gli invase il naso e la gola e lo fece precipitare in un vortice di
terrore. In preda al panico, si dibatté per tornare in superficie e riprendere
aria, tossendo e sputando acqua, risalendo con tanta veemenza da andare a
sbattere contro la parete di roccia che gli spaccò un sopracciglio.
Negli
istanti successivi Tristan perse la testa: un gemito da bestia ferita gli uscì
suo malgrado dalle labbra, si buttò contro la parete artigliandola e
straziandosi le dita, in cerca dei gradini che adesso non riusciva più a
vedere.
“Per
favore, per favore…” lamenti e singhiozzi che il giovane non riusciva più a
trattenere, “devo uscire di qui… Aurora, Aurora!”
Mentre
Tristan pativa il suo supplizio, prigioniero dell’incantesimo di Freya, la
situazione per i Mikaelson non era meno drammatica. Elijah, coadiuvato da
Vincent e Finn, aveva liberato Freya, ma il piano di Lucien aveva avuto
comunque successo e il vampiro si era trasformato nella Bestia della Profezia,
riuscendo persino a mordere Finn. La strega Mikaelson lo aveva temporaneamente
neutralizzato per avere la possibilità di riportare il fratello gravemente
ferito a casa Mikaelson, con l’aiuto di Elijah; tuttavia Finn era in preda a
convulsioni e a dolori lancinanti ed era stato chiaro che il morso di Lucien
aveva sviluppato in lui il veleno del lupo. Klaus era stato immediatamente
allertato affinché tornasse a New Orleans in tutta fretta per dare il suo
sangue al fratello e guarirlo dall’avvelenamento.
Non
appena Klaus giunse in casa e si dedicò a curare Finn, Freya rammentò che c’era
qualcun altro che, in quel momento, stava soffrendo una tortura parimenti
atroce, sebbene solo mentale, così decise di informare subito Elijah a
proposito dell’incantesimo che aveva operato su Tristan, spiegandogli in che
cosa consisteva ma senza rivelare che era stata Hayley a chiederle di
compierlo.
L’Originale
era molto in ansia per Finn e in qualsiasi altra circostanza avrebbe preferito
restare al suo fianco piuttosto che verificare le condizioni di Tristan… però,
durante quella terribile giornata, aveva avuto modo di riflettere sulle
responsabilità del Conte De Martel rispetto a quelle di Lucien. Tristan aveva
mentito e manipolato tutti per i suoi scopi e senza dubbio puntava anche lui a
strappare il potere agli Originali, ma ciò che aveva ideato Lucien era ancor
più crudele e agghiacciante, pensando anche ai tanti lupi e vampiri catturati e
sottoposti a esperimenti per giungere al maledetto siero che lo aveva
trasformato in Bestia. Elijah non poteva fare a meno di rimproverarsi per aver
commesso un gravissimo errore di giudizio sottovalutando Lucien e punendo con
tanta severità Tristan e adesso, forse, a causa sua, i Mikaelson erano condannati
a soccombere alla Profezia.
“Andiamo
immediatamente nella mia stanza a controllare le condizioni di Tristan” disse
Elijah alla sorella, precipitandosi su per le scale e dirigendosi verso la
camera dove si trovava il giovane. “Sei in grado di spezzare l’incantesimo su
di lui?”
Nel
frattempo i due erano giunti nella stanza ed, entrati, avevano visto che
Tristan era ancora vittima del sonno ipnotico provocato dalla magia. Ciò
significava che in tutto quel tempo non era riuscito a vincere la sua paura e a
trovare la strada per uscire dalla trappola…
“Questo
incantesimo non può essere spezzato” spiegò Freya, ora consapevole di aver
esagerato. “L’unico modo che Tristan ha per salvarsi è riuscire a trovare la
via d’uscita, soltanto così la magia si annullerà. Ma ormai è passato così
tanto tempo che io credo che…”
“Cosa
possiamo fare, allora?” la interruppe bruscamente Elijah.
“L’unica
cosa che posso fare è farti entrare nella sua prigione mentale” rispose la
strega. “Ti farò arrivare all’uscita e, da lì, potrai guidarlo verso la
salvezza. Te la senti?”
“Certo
che sì” replicò impaziente l’Originale. Il suo nervosismo mascherava il rimorso
per essersi completamente disinteressato di Tristan fino a quel momento. Questa
volta non poteva raccontarsi scuse per discolparsi: sapeva troppo bene che, se
non era andato nemmeno a vedere come stava e lo aveva abbandonato a se stesso,
non era stato perché era preoccupato per i pericoli che minacciavano la
famiglia. Averlo ignorato era stata una scelta consapevole, dettata dalla
rabbia che aveva provato contro di lui dalla sera precedente. “Mandami là e
fallo in fretta!”
Freya
pronunciò le parole dell’incantesimo e, in pochi attimi, Elijah si ritrovò
all’imboccatura della caverna sommersa nella quale Tristan era prigioniero. Si
sporse dall’apertura cercando di scorgerlo nel turbinare delle acque sotto di
lui.
Tristan,
nel frattempo, aveva proseguito nei suoi tentativi di arrampicarsi sui gradini
di ferro ma questi erano tanto scivolosi da fargli perdere continuamente la
presa, aveva le mani sanguinanti e doveva combattere anche contro la violenza
dell’acqua che cercava di trascinarlo via. Le sue forze erano giunte allo
stremo e il giovane era sul punto di cedere quando la voce di Elijah gli giunse
come un soffio di speranza.
“Tristan!
Andiamo, Tristan, afferrati a quei gradini e sali verso di me!” lo udì
esclamare. “Questa è la via d’uscita, ancora uno sforzo e ce la farai.”
Esausto,
il Conte De Martel alzò lo sguardo incredulo verso il suo Creatore. I suoi
occhi erano pieni di tutta la paura e l’angoscia del mondo.
Con
la forza della disperazione, Tristan si afferrò di nuovo al gradino superiore e
tentò di tirarsi su, ma il piede gli scivolò e solo aggrappandosi convulsamente
al ferro con le mani sempre più deboli riuscì a non farsi trascinare via
dall’impeto dell’acqua.
“Non
ci riesco… non ce la faccio…” mormorò, sconfitto.
“Certo
che ce la fai” insisté Elijah, sporgendosi verso di lui e tendendogli una mano.
“Avanti, ti basterà salire un paio di quei gradini e poi mi darai la mano e
sarò io a tirarti su.”
Tristan
scosse il capo, senza avere più nemmeno l’energia per rispondere.
“Tristan,
guardami!” ordinò allora Elijah, autoritario. Doveva spingere il ragazzo a
reagire in qualsiasi modo o l’avrebbe perso per sempre. “Guarda verso di me,
sali ancora due gradini e poi afferrami la mano. Hai capito bene?”
Il
giovane Conte, scosso da quella voce imperiosa, obbedì. Ancora una volta
soggiogato dal suo Signore, raccolse le ultime forze che gli restavano per fare
quello che lui gli aveva ordinato. Salì un gradino, poi un altro, tese la mano
verso quella di Elijah… ed esitò.
Negli
occhi chiarissimi e sbarrati l’Originale lesse come in un libro aperto il
pensiero che aveva attraversato la mente di Tristan: Elijah non l’avrebbe
salvato, voleva afferrargli la mano per spingerlo sott’acqua e abbandonarlo di
nuovo a quel supplizio.
“Tristan,
non ti farò del male, sono venuto per salvarti, non sono stato io a mandarti
qui!” insisté Elijah, con una nota di disperazione nella voce che non gli era
affatto abituale. “Fidati di me, dammi la mano o sarà troppo tardi.”
Cosa
poteva fare? Tristan si rese conto che, in ogni caso, per lui non c’erano
alternative. Non sarebbe riuscito a liberarsi con le sue sole forze e, se
Elijah voleva punirlo, lui non era in grado di difendersi in alcun modo.
Andasse come andasse, ancora una volta il Conte De Martel lasciò che fosse il
suo Creatore a decidere del suo destino. Allungò la mano e sfiorò quella di
Elijah.
L’Originale
afferrò in una stretta decisa la mano di Tristan, consapevole che non poteva
lasciarsela sfuggire o non avrebbe avuto una seconda occasione. Con uno
strattone violento lo tirò verso di sé, afferrandogli nel contempo
l’avambraccio con l’altra mano. La spinta li fece rotolare entrambi sul
terreno, fuori dall’imboccatura della caverna, con Tristan affannato e ansante,
abbandonato sul petto di Elijah.
“Che
cosa ti avevo detto?” gli disse l’Originale, staccandolo con insolita
delicatezza da sé e deponendolo a terra. “Non ti avrei fatto del male, non me
ne hai dato motivo e adesso la mia famiglia ha più che mai bisogno del tuo
aiuto. Riposati e riprenditi, è finita.”
In
quello stesso istante, Elijah fu richiamato alla realtà da Freya, allarmata e
disperata.
“Elijah,
presto, devi scendere di sotto!” esclamò, con le lacrime agli occhi. “Il sangue
di Klaus non sta avendo effetto e Finn… Finn sta morendo…”
L’Originale
trasalì e si affrettò a seguire la sorella, raggiungendo il resto della
famiglia che attorniava Finn.
“Hayley
e io abbiamo scoperto che Lucien sintetizzava il veleno di tutti i branchi di
lupi esistenti” mormorò Klaus, impotente e con gli occhi lucidi di lacrime. “Io
non posso fare nulla per Finn, il mio sangue non è abbastanza potente da
salvarlo!”
Mentre
tutta la famiglia si stringeva attorno al fratello morente, al piano di sopra
Tristan, con un ansito e un sobbalzo, ritornava alla realtà e si guardava
attorno sconcertato. Era solo. Era nella stanza di Elijah, come sempre. Forse
era stato tutto un sogno spaventoso e nulla di più? Eppure era sembrato così
realistico, così vero.
Scuotendo
il capo, Tristan si alzò dal letto per schiarirsi la mente facendo due passi
per la stanza. L’esperienza avuta in sogno continuava a tormentarlo, tutto ciò
che aveva provato era stato talmente realistico… tuttavia non era la prima
volta che aveva degli incubi in cui si ritrovava prigioniero del container, a
provare ancora e ancora la terrificante tortura dell’annegamento. Che diamine,
lo sognava fin troppo spesso!
Ma
questo era stato diverso.
Tanto
per cominciare, non era nel container ma in una strana caverna e doveva trovare
la strada per fuggire… no, non era il solito sogno in cui riviveva quei momenti
atroci. E poi c’era Elijah nel suo sogno, Elijah che, incomprensibilmente, era
venuto a salvarlo…
“Appunto
per questo dovrei capire che era solo un sogno” mormorò tra sé Tristan, con un
sorriso amaro. Elijah era andato a riprenderlo dal container soltanto perché
pretendeva il suo aiuto, altrimenti sarebbe rimasto negli abissi per
l’eternità, non aveva senso quello che era accaduto in quel suo strano sogno.
Poi
Tristan si avvide di due cose che lo sorpresero: la prima era che fuori, come
poteva vedere dalle imposte socchiuse, era buio. Era possibile che avesse
dormito quasi ventiquattro ore, dalla sera prima? E la seconda era che la porta
della camera, solitamente chiusa a chiave, era semiaperta. Nella fretta di
accorrere al capezzale di Finn, Elijah e Freya non si erano curati di
richiuderla. Incuriosito e pur sapendo che, con ogni probabilità, avrebbe
finito per pentirsene, Tristan aprì piano la porta e uscì dalla stanza.
C’erano
delle voci al piano inferiore, sembravano provenire dal patio. Attratto suo
malgrado, il giovane le seguì e iniziò a scendere lentamente le scale per
vedere con i suoi occhi che cosa stava accadendo.
La
scena che gli si presentò davanti era talmente inaspettata da bloccarlo a metà
dello scalone, incapace di muovere un solo muscolo. Tutta la famiglia Mikaelson
era riunita nel patio, stringendosi accanto a qualcuno disteso sul divano che
Tristan non riusciva a scorgere ma che, con ogni evidenza, era in punto di
morte.
Com’erano
diversi i Mikaelson in quel momento, quanto sembravano fragili!
Freya
piangeva, Klaus stringeva la spalla del moribondo e anche lui pareva sull’orlo
delle lacrime; l’irriverente Kol mostrava un dolore e una commozione inusuali
per lui e Elijah… Elijah teneva forte la mano dell’uomo tra le sue, il suo
volto e i suoi occhi erano colmi di dolore e la sua voce pacata e tenera come
Tristan non aveva mai immaginato potesse essere.
“Siamo
qui, fratello, siamo qui, non ti lasceremo solo” diceva.
Fratello? Ma
allora l’uomo che sta morendo è… Finn?
Non
poteva che essere così e i Mikaelson erano tanto distrutti perché qualcuno era
riuscito a colpire a morte un membro della loro famiglia. Tristan avrebbe
dovuto gioirne, finalmente anche loro capivano cosa significasse soffrire
l’atroce pena di perdere qualcuno tanto amato… eppure ciò che provava non era
gioia, l’unica cosa che riusciva a fare era continuare a guardare il volto
addolorato di Elijah, risentire il tono affettuoso e rassicurante delle sue
parole e sentirsi morire dentro.
All’improvviso
Elijah alzò lo sguardo e i suoi occhi incontrarono quelli di Tristan, ancora
immobilizzato a metà dello scalone.
Fu
un attimo. L’Originale distolse lo sguardo e ritornò a posarlo sul fratello
morente, mentre Tristan approfittò della sua distrazione per ripercorrere il
più silenziosamente e in fretta possibile le scale, ritornarsene diritto in
camera e chiudere la porta.
Cosa
sarebbe successo, ora? Elijah si sarebbe di nuovo infuriato con lui per averlo
sorpreso in un momento in cui era vulnerabile? Oppure lo avrebbe punito per
sfogare su di lui la rabbia e il dolore per la morte di Finn?
Tristan
si sedette sul letto, attendendo, ma non accadde nulla. Con stupore, si rendeva
conto del fatto che non gli sarebbe importato niente se anche Elijah avesse
voluto prendersela con lui, non era questo a turbarlo.
Non potrei mai
sopportare di veder morire Elijah in quel modo e senza poter fare nulla… pensava,
vergognandosi del suo stesso pensiero e della spina dolorosa che gli si
conficcava nel cuore mentre lo formulava. L’unica
cosa che può tranquillizzarmi è che, se il mio Creatore morisse, io morirei con
lui e non dovrei subire lo strazio di perderlo…
Com’era
possibile che il suo asservimento lo avesse condotto a dipendere così tanto dal
suo Sire?
FINE