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Autore: sabre    26/06/2017    5 recensioni
La piccola mano bianca stringe la sua e una voce sussurra al suo orecchio “Eccomi Andrè, sono tornata da te…. ”
Ripercorriamo l'adorata storia originale seguendo il sentimento che li lega, che è come una catena, che lega due individui rendendoli un’unità, forte come il più debole dei suoi anelli. Gli anelli di questa catena sono tanti: comprensione, affiatamento, complicità, condivisione, fiducia, pazienza, dedizione, passione… Ognuno è stato forgiato da quello che sono, da quello che hanno vissuto insieme e da quello che hanno portato delle loro esperienze personali…
Questa idea, probabilmente un po’ balorda, di rilettura della storia mi è venuta leggendo una recensione, in cui si sottolineava come la storia di Oscar e Andrè non fosse solo la storia di due innamorati separati dal destino.
Da tutto questo l’idea di questa raccolta di OneShot, ogni capitolo un anello, a partire ovviamente dal primo: “Amicizia”
P.S. Ho modificato il rating del capitolo solo per correttezza a causa di qualche dettaglio storico e espressione nei dialoghi
Fanart in cap1 e cap2.
Genere: Romantico, Slice of life, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Venerdì 26 Ottobre 1781, Versailles

 
I preziosi marmi disposti in motivi geometrici e il soffitto a volta imitano la severa maestosità del Salone delle Guardie, ma, come al solito, l’algido rigore è stato ben confinato oltre la porta chiusa dell’ufficio di Oscar. Dopo tanti anni, anche la servitù di corte ha imparato a conoscere e anticipare i desideri del Comandante delle Guardie Reali, e un tepore avvolgente aleggia sempre in questa stanza, senza che sia necessario dare disposizioni. Oggi, però, il fuoco è stato alimentato e ravvivato forse con un po’ troppa generosa solerzia e arde tanto alto nel camino da rendere l’aria quasi irrespirabile.
Si avvicina alla grande finestra rivolta a est[i], incrociando pigramente le mani dietro la schiena, e subito un brivido a fior di pelle gli solletica il viso, invitandolo ad accostarsi di più al vetro freddo in cerca di un po’ di ristoro. Trattiene per un attimo il fiato, poi riprende a respirare, piano per non appannare la superficie trasparente, lasciando lo sguardo perdersi oltre.
È quasi una settimana che non si scorge la più piccola nube, come se anche il cielo avesse deciso di attenersi all’etichetta e festeggiare degnamente il lieto evento, offrendo per l’occasione un orizzonte limpido, di un azzurro intenso per quanto metallico e crudo. Sotto, la piazza d’armi brulica di vita, come non accadeva da tempo. Le ricche toilette all’ultima moda e le livree di gala si mischiano al sobrio fasto della seta nera degli abiti delle corporazioni; qualcuno si attarda per un ultimo cerimonioso commiato, mentre altri già sciamano in direzione degli ampi viali. I più s’incamminano lungo Avenue de Paris, alcuni trovano posto sui carri, orgogliosamente addobbati per l’occasione, che procedono affiancati alle più eleganti e sfarzose carrozze. Meno affollate Avenue de Saint Cloud e Avenue de Sceaux[ii], percorse da chi deve raggiungere villaggi o palazzi fuori città.
Con l’approssimarsi del tramonto, l’ombra della reggia si allunga sulla piazza come se volesse seguirli e non lasciarli andare, timorosa di non vederli tornare come promesso l’indomani per nuovi festeggiamenti e onori.
Dopo tanta attesa, la Francia ha finalmente il suo Delfino, a dispetto dei molti che avevano rinunciato a sperare, e dei pochi che avevano ricominciato[iii] dopo la lunga sterilità seguita alla nascita di Madame Royale[iv]. Come allora i festeggiamenti dureranno mesi a corte, a Parigi e in ogni angolo del paese, con maggior fasto di quanto fatto per la nascita della principessa quasi tre anni fa, anche se forse non con più autentica gioia[v]. Comunque, l’arrivo dell’erede al trono ha imposto ai sudditi di ripopolare Versailles.
Anche les Mesdames si sono viste costrette a lasciare il loro castello[vi] per tornare a occupare, almeno per qualche tempo, i vecchi appartamenti, seguite dalla sempre più nutrita schiera di nobili, che negli ultimi anni ha via via disertato la reggia[vii].
La corte di Bellevue e quella di Palais Royal sono accorse, loro malgrado, per rendere omaggio al Delfino e al Re, e da cinque giorni non abbandonano le sale e le gallerie, alimentando l’illusione che i fasti e la gloria di Versailles fossero solo temporaneamente sopiti. Persino i giardini, nonostante l’autunno inoltrato, sono stati allestiti con decori e bracieri per consentire alla folla di ospiti aristocratici e residenti privilegiati d’intrattenersi festeggiando a ogni ora del giorno e della notte.
A differenza di Oscar, lui ha sempre amato le feste. L’allegria e la leggerezza di chi lo circonda riesce in qualche modo a contagiarlo ogni volta, anche se per indole, o forse per educazione, non è certo propenso a farsi trascinare nel turbine o a prendere parte alle piccole grandi follie di Versailles, cosa che comunque non si confarebbe in alcun modo al suo ruolo. Eppure, dopo cinque giorni di celebrazioni ininterrotte, di delegazioni festanti, di canti, di balli e di brindisi, di salve di cannone e di fuochi d’artificio, tutta quella confusione è diventata un po’ troppa anche per lui, e non gli spiace affatto trovarsi costretto ad aspettare nella quieta solitudine di quella stanza, con la prospettiva di tornare finalmente al Palazzo e alle sue immutabili consuetudini, estranee a ogni mondanità.
Abbandona oltre il vetro la frenesia, che ancora anima la Piazza d’Armi, e si gira, abbassando lo sguardo sui pochi oggetti disposti sulla scrivania di Oscar: un cumulo di documenti, già revisionati e firmati, impilati sulla destra del piano in radica, una piccola risma di carta purissima sulla sinistra e accanto un tagliacarte d’argento, tutto perfettamente allineato come sempre.
Gli viene da sorridere, perché se non fossero passati tanti anni e Monsieur Douffort[viii] non fosse ormai solo un malinconico ricordo d’infanzia, giurerebbe di trovarsi di fronte al banco di Oscar nello studio vicino alla biblioteca: minuta ed elegante, spigolosa a tratti, come a tradire un’irrequietezza trattenuta a forza, la sua grafia inconfondibile sui compiti finiti da una parte e dall’altra tutto il resto, sempre disciplinatamente ordinato e a portata di mano. Solo quell’improbabile completo da scrittoio[ix] troneggia al centro, disturbando l’illusione.
Si morde le labbra nel tentativo di contenere una mezza risata.
Per quanto di fine fattura e innegabile pregio, si è sempre chiesto come Maria Antonietta abbia potuto pensare che un oggetto tanto inutilmente sfarzoso potesse essere un regalo adatto a Oscar. Anche se le deve riconoscere delle insospettabili capacità di stratega per il modo in cui ha costretto il suo incorruttibile Comandante delle Guardie ad accettarlo!
“Si può sapere cosa c’è da ridere?!”
Sobbalza, sollevando di scatto lo sguardo e trovandosi di fronte Oscar, che già si sta chiudendo la porta alle spalle e lo fissa con un’espressione tra il perplesso e il divertito.
“Non… non ti ho sentita entrare…”
La osserva accostarsi al camino, fregandosi le mani, e allungare i palmi verso il fuoco, come se il calore della stanza non fosse già più che sufficiente.
“Allora?” lo incalza.
“Niente… niente d’importante.”
“Però sembrava divertente, ma se non me lo vuoi dire…” ostenta indifferenza, ma subito si gira a catturare il suo sguardo ”… da quando in qua mi nascondi dei segreti, André?”
Conosce bene il luccichio di sfida nei suoi occhi, ma quel mezzo sorriso lo lascia interdetto e incerto. Sarebbe quasi tentato di definirlo malizioso, se non fosse impensabile per la sua Oscar, per come lui la conosce. Schiude le labbra, senza riuscire ad articolare una parola e si limita a replicare sorridendo e scrollando il capo per schermirsi.
Quando risolleva il viso, lei è di nuovo persa tra le fiamme che si agitano nel camino. Rimangono per un po’ così, sospesi in quel silenzio rotto solo dal crepitio del fuoco, fino a che non è lui finalmente a parlare, esibendo un tono fintamente cerimonioso.
“Piuttosto ditemi Comandante, la Regina ha apprezzato il resoconto della sfilata delle corporazioni di oggi, resole come di consueto dal suo Augusto Consorte?”
Non ha dubbi questa volta su come interpretare l’occhiata di divertito rimprovero che gli restituisce, incrociando le braccia al petto e sforzandosi si assumere un contegno.
“Beh, possiamo dire che… ha dato prova di tutto il suo impegno nel cercare di prestare la dovuta attenzione a un racconto estremamente lungo e dettagliato, anche se certo Madame Campan e Madame Poitrine[x] si sono dimostrate più entusiaste e partecipi.”
Non è certo una novità riservata all’arrivo del tanto sospirato erede al trono, il fatto che il Re trascorra ogni momento disponibile nelle stanze della Regina per starle accanto e tenerle compagnia. Dopo la nascita di Madame Royale vi si è trattenuto per tutte le due settimane del puerperio, rinunciando persino alla sua amata caccia e dedicando a lei e alla piccola principessa ogni momento lasciato libero da impegni ufficiali inderogabili.
Già in quell’occasione il puntuale resoconto dei festeggiamenti era diventato da subito un rito quotidiano. Secondo il costume di corte, qualcuno si era dilettato a malignare su un comportamento tanto inusuale per un padre e ancor più per un Re, altri avevano rincarato la dose insinuando che non fosse altro che l’ennesima dimostrazione di come Luigi XVI fosse succube della moglie. Alla fine tutte queste voci erano decadute prima della costante dedizione del Sovrano, lasciando il posto ad altre, se non più fondate certo più nuove.
“Ha gradito particolarmente la descrizione del comignolo portato in trionfo e dei piccoli spazzacamino cantanti[xi], ha trovato adorabili le scarpine regalate dai calzolai[xii] e anche il dono[xiii] dei meccanici da principio l’ha incuriosita. Certo… non ha mostrato lo stesso entusiasmo, quando il Re ha cominciato a descrivere il meccanismo in tutti i minimi dettagli, ma quando, preso dall’eccitazione, è arrivato a sedersi accanto a lei sul letto per illustrarle meglio il modo in cui era riuscito ad aprire quel complicatissimo lucchetto, è parsa… teneramente divertita e lo ha elogiato con fare quasi… materno.”
La vede aggrottare appena la fronte e una nube sembra velare di preoccupazione il cielo dei suoi occhi o forse… d’incertezza.
Neanche le più velenose malelingue metterebbero mai in dubbio l’amore di Luigi XVI per la sposa che altri hanno scelto per lui per ragione di stato, quando erano entrambi poco più che bambini. Da principio, è stato rapito, come tutti, dalla grazia leggiadra della giovane Maria Antonietta. Ben presto, però, si sono palesate le incolmabili distanze tra due caratteri, che non avrebbero potuto essere più diversi, ma l’affetto e la devozione del giovane Re non ne sono stati minimamente scalfiti, anzi. Sono cresciuti, trasformandosi in un amore fatto di totale comprensione e accettazione. Il Sovrano ha imparato a conoscere profondamente l’indole della sua adorata sposa, non perde occasione per elogiarne le virtù e non ha mai una parola di rimprovero per quelli che i più criticano come mancanze o difetti. Non li nega né li ignora, semplicemente li accoglie come parte di lei e vi si adegua. Per contenere la sua passione per le piume, che lui detesta, le ha regalato la più preziosa aegrette[xiv] in diamanti; per darle un luogo nel quale sfuggire all’etichetta di corte, che lei non tollera, il rifugio del Petit Trianon, dove è sovrana assoluta.
“Lo capisce, sai…”
“Cosa?”
“… che lo fa solo per lei...”
Cerca i suoi occhi, come se le servisse un appiglio per continuare.
“…raccontare ogni dettaglio delle celebrazioni, degli abiti, dei gioielli… non gli è mai piaciuto… parlare di queste cose, essere al centro dell’attenzione… lo fa solo per lei, perché sa che ama tanto le feste e quanto la opprima dover rimanere confinata nelle sue stanze.”
“Penso tu abbia ragione, ma… per come la ama non credo potrebbe fare altrimenti, pur di vederla felice.”
“Felice…” sospira profondamente “sono certa che capisca e gliene sia grata. Ha un grande affetto per lui, è suo marito. Solo…” aggrotta la fronte.
“Cosa…”
“… a volte mi chiedo se possa davvero bastare.”
Quelle parole lo colgono alla sprovvista e deve fare uno sforzo per sostenere il suo sguardo. A un tratto, ha l’impressione di vacillare e annegare in quell’azzurro che si fa troppo trasparente e profondo, e non gli concede scampo. Non dice nulla. Si schiarisce la gola e deglutisce a forza. Sente la bocca secca e quel caldo sempre più opprimente.
“Bah…” Oscar si porta una mano alla fronte e scrolla il capo con una smorfia “… che pensieri assurdi.” ridacchia, schernendosi.
L’ombra si dilegua, improvvisa come era comparsa, lasciando un cielo di nuovo limpido come lo conosce e alleggerendogli il cuore.
“Sono state giornate lunghe e faticose… deve essere la stanchezza a farmi dire certe sciocchezze. Perdonami.”
Gli sorride complice e lui non può che ricambiare, andandole incontro.
“Ancora qualche giorno e le udienze straordinarie si concluderanno. I turni di guardia torneranno regolari e potrai tirare un sospiro di sollievo.”
“Già, anche se…” solleva un sopracciglio dubbiosa “… tra poco più di una settimana la Regina ricomincerà a uscire. Allora ci saranno gli impegni ufficiali: la visita alla cattedrale, i balli in onore del Delfino a Parigi...”
Mentre parla si allontana, aggirando l’ostacolo del mobilio e andando a prender il posto che lui ha appena lasciato, tra lo scrittoio e la finestra. Si è fatta di nuovo seria, ma come è abituato a vederla quando si concentra per organizzare mentalmente il lavoro.
“Hai già gestito tutto egregiamente tre anni fa e non ci sono stati problemi, non c’è motivo di preoccuparsi.”
Oscar scosta la sedia, lasciandovisi cadere un po’ scomposta, come certo non farebbe mai di fronte ad altri.
“Effettivamente potremmo replicare il medesimo programma e lo stesso servizio di guardia, limitandoci a perfezionare qualche aspetto logistico…”
Meditabonda afferra un foglio e intinge veloce la penna nell’inchiostro, ma si attarda a tergerla con cura tra il bordo di cristallo e i petali di una piccola rosa finemente cesellata, prima di aggredire senza esitazioni il candore della carta.
“…nel frattempo Girodelle si occuperà di perlustrare i percorsi verso Parigi, così da verificare se siano necessari ulteriori provvedimenti. Per il Delfino il protocollo prevede una maggiore solennità, ma il primo evento sarà comunque la cerimonia di consegna delle vesti a Notre Dame…”
Lo strano verso che gli sfugge interrompe bruscamente il flusso dei suoi pensieri e della penna sulla carta, attirando su di lui un’occhiata sbieca, questa volta per niente divertita.
“Beh… cosa c’è di così spassoso adesso?”
Fa appena in tempo a scuotere il capo, che subito lo anticipa.
“… e non dire niente, come al solito. Se ti fa tanto ridere, sarà qualcosa!”
“Niente…” gli scappa, facendo comparire sul viso di lei una rassegnata insofferenza.
“Allora!?”
“Perdonami, Oscar… ” inspira profondamente cercando di ricomporsi“… è solo…”
“Cosa!” Impaziente e indispettita, ma stranamente anche questo non fa che alimentare la sua strana allegria.
“Mi è solo tornata in mente la cerimonia di tre anni fa.”
“Quindi?”
Quell’espressione interrogativa esige ulteriori spiegazioni.
“Niente… ” la sente sbuffare e si affretta a rimediare “ consideravo che… per il battesimo del Delfino è stato convocato addirittura il Cardinale di Rohan[xv], il cannone ha potuto finalmente sparare tutte le sue centouno salve e il medico di corte sarà rimeritato con una pensione decisamente più cospicua e adeguata, ma non riesco a immaginare come il ministro della polizia potrà riuscire a fare di meglio della volta scorsa!”
“Non so veramente cosa tu voglia dire.” aggrotta la fronte, tornando al suo foglio ” Cento coppie di fidanzati scelte tra i popolo, cui la Regina ha donato le vesti per il matrimonio… niente di più. Non credo sarà difficile trovarne altre.”
“Non è a questo, che mi riferivo.”
“A cosa allora?”
“Davvero non lo indovini, Oscar? Davvero non è parso anche a te, che i prescelti fossero tutti insolitamente… belli?!”
Cerca d’imprimere a quell’ultimo aggettivo una certa ironica solennità, che però lei non pare cogliere, limitandosi a liquidarlo con un brontolio vago.
“Bah, sciocchezze.”
In realtà, per quanto nessuno l’avesse pubblicamente ammesso, in molti avevano notato la particolare avvenenza delle due ali di giovani festanti, che avevano accolto in cattedrale la loro regale benefattrice. La ragionevole ipotesi era stata che le autorità competenti avessero fatto di tutto per reclutare solo bella gente, così da assecondare le ben note preferenze della sovrana. L’unica a non aver notato la felice coincidenza, oltre a Maria Antonietta, sembrava essere proprio Oscar.
“Sarà come dici tu…” inutile insistere “… vedremo che aspetto avranno questa volta i fortunati.” ma può sempre punzecchiarla ancora un po’.
Sta già sorridendo, quando l’occhiataccia attesa lo dardeggia da sotto in su, tra lo scoppiettare del fuoco e il ruvido crepitio degli ultimi tratti del pennino.
“Sei il solito insopportabile pettegolo, sai?” lo apostrofa con pretesa indifferenza, mentre sparge accuratamente il polverino sulla carta.
“Lo so…” sospira e si accomoda impettito su una delle due sedute di fronte alla scrivania, sporgendosi in avanti per mettersi a giocherellare col lezioso coperchio del calamaio ancora aperto “non è certo la prima volta che mi rivolgi una simile immeritata accusa e, come sempre, mi permetto di dissentire.” attende un attimo prima di proseguire, il tempo necessario perché lei torni a guardarlo, dopo essersi accertata, che l’inchiostro si sia asciugato in ogni punto del foglio “Non è certo colpa mia se sono un così acuto osservatore!”
Sa che quell’impertinenza è sufficiente a provocarla, ma, non pago, si attarda un attimo di troppo a trastullarsi dispettoso con i preziosi fronzoli del suo completo da scrittoio, abbastanza da farsi cogliere alla sprovvista. Uno sbuffo di polvere lo costringe ad arretrare di scatto, senza riuscire a trattenere un violento starnuto, subito seguito da un altro.
“Heiiii.”
“Perdonami... non l’ho fatto a posta.” un tono fintamente innocente accompagna lo sguardo tagliente e compiaciuto, che lo spia sopra al foglio, da cui gli ha appena soffiato dritto in faccia tutto il polverino.
Le restituisce una smorfia, spolverandosi la giacca con ostentazione mentre si accomoda contro lo schienale, soddisfatto di riuscire a strapparle un sorriso.
“Comunque sia…” continua Oscar, apprestandosi a porre il sigillo in calce al documento “la cerimonia rientra nella tradizione dei festeggiamenti per rendere il popolo partecipe della felicità per la nascita di un Principe di Sangue Reale ed è sempre stata accolta con gioia dalla popolazione di Parigi. Non vedo perché non debba esserlo anche questa volta.”
“Non lo metto in dubbio! Per le prossime due settimane, ne saranno tutti entusiasti, come dei fuochi d’artificio, del vino che spilla dalle fontane, della distribuzione di pane e salsicce, e dell’ingresso gratuito a La Comedie Francaise!”
“Quindi?” lo incalza, vagamente acre, come l’odore della cera lacca appena colata.
“Non mi fraintendere, non credo ci sia niente di male, solo penso che sarebbe necessario dare un minimo di continuità a queste esplosioni di giubilo e magari sostenere più in concreto le speranze del popolo.”
“La nascita di un Delfino!” sbotta, pestando con un po’ troppa irruenza ed enfasi il piccolo cilindro di ottone nel rosso fuso di resina. Inspira profondamente prima di continuare “La nascita di un Delfino, che garantisca un futuro alla Francia, cosa ci può essere di più concreto per dare speranza al popolo?”
Ha recuperato il suo solito contegno, ma lo vede dal modo in cui ancora stringe il sigillo tra le dita, dallo sbiancare delle nocche, quello che le si agita dentro.
“Certo, hai ragione, solo… ” esita “ mi auguro che dopo tanta attesa non arrivi il giorno in cui al popolo non basti più il ricordo dei carbonai seduti per qualche sera nel palco del re e delle pescivendole in quello della regina.”
Tace, in attesa della sua reazione, limitandosi a sostenere quello sguardo limpido come il cristallo e acceso di rabbia, ma non accade nulla. Basta un istante perché il fuoco si tramuti in ghiaccio, gelido e duro come il tono della sua voce.
“Ora che la Francia ha finalmente il suo Delfino, tutto sarà diverso.” Non lo guarda neanche più, ma qualcosa tra le parole comincia a scricchiolare “Ora che la Francia ha finalmente il suo Delfino, tutto sarà esattamente come avrebbe sempre dovuto essere.”
“Oscar…”
“Sarà così, André. Vedrai… ne sono certa.”
Gli occhi tornano, fissi nei suoi, per dare maggiore slancio alle parole, ma non è così sicuro di essere lui quello che vuole convincere, e per un attimo ha l’impressione che il ghiaccio sia sul punto di sciogliersi e tracimare.
Sospira “Lo spero, Oscar. Spero con tutto il cuore, che tu abbia ragione.”
Non ha il cuore di aggiungere altro.
Già dopo la nascita di Madame Royale in molti avevano sperato che la giovane sovrana, finalmente madre felice, avrebbe abbandonato la sua vita sregolata per diventare seria e coscienziosa come si confà a una regina, modello e ispirazione per il suo popolo, sostegno e conforto per il suo re. Il paese intero aveva gioito tra feste e cerimonie, nel miraggio di una vita coniugale finalmente salda e sicura, specchio dell’unità della corte e di tutta la Francia. Nonostante tutto, nel giro di qualche mese Maria Antonietta aveva ripreso le vecchie abitudini; le feste, le amicizie discutibili e il gioco erano tornati a rubare tempo alle udienze e agli impegni ufficiali, e certo l’aver ricevuto in dono dal marito per il lieto evento il Petit Trianon, non aveva favorito la sua dedizione alla vita di corte. La moglie del re era anche la sua favorita e ne riceveva in dono la dimora. Qui, sovrana assoluta, si era concessa in spese per la ristrutturazione e intrattenimenti, con la tanto ristretta quanto famigerata cerchia della sua nuova società, quello che nessuna prima di lei aveva mai neanche osato chiedere. Da sempre la favorita di un re è per utilità o consuetudine il bersaglio prediletto del malanimo della corte e del risentimento del popolo, ma nessuno può perdonare a una regina quello che concederebbe con sdegnata indulgenza a un’amante.
“Ne sono certa…” ribadisce e stenta un sorriso speranzoso “non sarà come l’altra volta… le aspettative di tutti, l’insistenza sempre più incalzante dell’Imperatrice Madre per una nuova gravidanza[xvi], per un erede maschio, al più presto… sono state troppe le pressioni, poi l’incidente[xvii]… troppo, non ce l’ha fatta a sopportare. Ma adesso, l’erede tanto atteso è finalmente arrivato! Tu non l’hai vista… era così tesa, quando ancora non sapeva … poi il Re è rientrato e con voce tonante ha annunciato ‘Monsieur le Dauphin demande de entrer[xviii]… una luce nuova le ha illuminato il volto e ha cominciato a ridere tra le lacrime… lacrime di gioia! Era così felice… Davvero, non c’è più motivo per cui non debba andare tutto per il meglio.”
Annuisce e si sforza di sorridere anche lui, ma non ce la fa e abbassa lo sguardo. Per quanto si sforzi e lo desideri, non riesce proprio a condividere l’ottimistica visione del futuro di Oscar, ma non riesce neanche a trovare il coraggio d’infrangere quello scampolo di speranza, cui lei sembra aggrapparsi con tanta innocente tenacia.
Non saprebbe dire quante volte gli abbia raccontato quella storia negli ultimi giorni, talmente tante da avere l’impressione di esserci stato anche lui, un attendente qualunque, tra i pochi eletti ammessi ad assistere al parto.
Il re, solitamente così restio a imporre il suo volere e propenso ad aggrapparsi al rigido sostegno delle regole imposte dal protocollo di corte, questa volta si era mostrato irremovibile, opponendosi all’antica tradizione del parto pubblico per la nascita di un principe di sangue reale[xix]. Troppo il tormento e l’umiliazione, cui era stata sottoposta la prima volta la sua amata sposa durante il lungo travaglio, troppo lo spavento per il malore che l’aveva colta subito dopo aver dato alla luce la loro primogenita. In questa occasione, era stato concesso di presenziare solo ad una cerchia estremamente ristretta, in cui era stata inclusa Oscar, più per il sincero affetto che la legava a Maria Antonietta, che per il suo titolo o l’incarico di Comandante della Guardia Reale.
Forse proprio per il contesto più conciliante o semplicemente perché le cose dovevano andare così, si era giunti al parto senza lunghe attese o particolari problemi. Il piccolo era stato immediatamente portato via per essere lavato e vestito, e la regina, nuovamente madre, era rimasta ad attendere con serena apprensione come ogni altro suddito, che il re tornasse per annunciare alla Francia l’avvento del tanto atteso erede al trono, innescando l’esplosione di giubilo, che avrebbe animato tutta la corte e l’intero paese ancora per settimane e mesi. Quasi tutti i presenti si erano riversati immediatamente fuori dalle stanze della regina, disperdendosi per le gallerie, le sale e i giardini al grido di ‘Un Dauphin… Le Dauphin de France!’. Oscar ovviamente non si era lasciata travolgere da quelle scomposte e rumorose esternazioni. Aveva atteso in disparte di poter presentare per prima le proprie felicitazioni alla sua regina, trovandosi testimone, suo malgrado, di un raro e prezioso momento d’intimità concesso ai sovrani. Erano rimasti a lungo a fissarsi, senza dire una parola, con gli occhi umidi e le guance rigate di lacrime di gioia per la benedizione di quel figlio o per il sollievo di aver finalmente adempiuto agli obblighi dinastici, questo non l’aveva saputo dire. Sicuramente qualcosa l’aveva colpita, perché appena arrivata a Palazzo era corsa a cercarlo per raccontargli ogni cosa la prima volta, poi ancora tante altre nei giorni successivi, aggiungendo a ogni occasione nuovi dettagli.
“… però… è un peccato…”
è quasi un sussurro, ma sufficiente a riscuoterlo e a riportarlo da lei, che giocherella distratta con il foglio ormai ripiegato e sigillato, come se stesse solo pensando ad alta voce.
“Cosa, Oscar?...“ lo occhieggia di sfuggita, quasi fosse sorpresa di trovarlo lì “Cosa è un peccato?”
“… che l’Imperatrice Madre non abbia vissuto abbastanza per assistere alla nascita di un erede al trono di Francia del suo sangue… ”
Aggrotta istintivamente la fronte, interdetto.
“… dopo avere tanto atteso e sperato…” continua frammentaria “… l’avrebbe resa tanto felice…”
“… chi? L’imperatrice madre?”
“Eh?… chi?…” sembra riscuotersi “Oh, sì certo… Sua Altezza Imperiale se ne sarebbe immensamente compiaciuta, ma mi riferivo alla Regina… la mia Regina…“ sorride ”l’avrebbe resa veramente felice riuscire finalmente a dare una simile gioia alla Madre… l’erede maschio tanto atteso, finalmente...”
Schiude le labbra, ma non trova parole. Scrolla il capo “Sarà… ” sospira.
“Non credi?” è lei ora, che sembra non capacitarsi di come lui possa non capire “Io ne sono certa.”
“Sicuramente sei in grado di giudicare meglio di me, Oscar…” sonda in silenzio l’inquietudine, che si agita nella profondità dei suoi occhi, fino a che, troppo indiscreto, non la vede sfuggire. Allora continua brusco, per quanto riesce ad essere con lei “… dubito però che questo bambino sarebbe mai nato se l’imperatrice non fosse venuta a mancare[xx].”
È sufficiente perché lo fulmini senza però controbattere. Scatta in piedi, con tanta irruenza da far quasi precipitare a terra la sedia, che arretra in uno stridio sordo di legno.
“Si è fatto tardi.” taglia corto infilandosi frettolosamente i guanti “Sarà il caso di sbrigarsi, mia Madre ci sta già aspettando nella Galleria degli Specchi.”
Non aggiunge altro, non lo guarda nemmeno, passandogli accanto e affrettandosi verso la porta.
Gli è fin troppo familiare quel repentino arroccarsi in un algido distacco e troppe volte è capitato d’inciampare in quello sgradevole argomento, per non sapere quanto la disturbi.
Come spesso accade, la semplice realtà è più triste e sconfortante delle mille storie assurde inventate ad arte e passate di bocca in bocca per anni, delle falsità maligne pubblicate in libelli osceni per farsi beffe di un giovane uomo, fin troppo mite per essere re, e per gettare fango su una ragazzina, che, nonostante l’alto lignaggio, forse non era nata per essere regina. Come per tanti prima di loro, non è certo l’amore coniugale ad aver portato alla Francia questi Figli[xxi], ma, a differenza di tanti, neanche la cosciente dedizione prestata al servizio di una dinastia reale[xxii]. La devozione di Luigi XVI per la sua sposa è tanto incondizionata e assoluta quanto deferente e distante. Per essere felice sembra bastargli contemplarla da lontano, servire ogni suo desiderio, quasi la considerasse una dea o un ideale, che non osa o non si sente degno nemmeno di sfiorare. L’affetto di Maria Antonietta per il marito è come lei, tenero e semplice, a tratti infantile, spesso capriccioso e volubile. La giovane regina è irrequieta e smaniosa di vita; leggiadra e incostante come una farfalla cerca ogni modo per sfuggire alla gabbia dorata della corte e alla monotonia di un amore troppo disadorno, massiccio e immutabile per affascinarla. La costringe, la annoia, non ne ha mai fatto segreto[xxiii], ma è in quel solido rifugio che corre a cercare certezze e conforto ogni qual volta si ritrova smarrita di fronte alla brutale realtà del mondo. È accaduto la prima volta quando ormai tutta Europa attendeva solo il momento in cui sarebbe stata ripudiata e addirittura l’Imperatore suo fratello era accorso per cercare di salvare la sempre più fragile alleanza. L’incertezza e l’apprensione avevano finalmente suggellato il legame con la nascita di Madame Royale. Poi il Conte di Fersen[xxiv] era partito per le Americhe e, anche se nessuno[xxv], o quasi, sembrava aver notato la coincidenza, lo sconforto e la solitudine avevano riportato Maria Antonietta a dedicarsi alla cura dei suoi prediletti amici con più generosità e dedizione di quanto mai visto prima, alienandole così la devozione, che la nascita della principessa le aveva fatto riconquistare. La maggior parte della corte e dell’aristocrazia francese, esclusa dai privilegi riservati a pochi favoriti, l’aveva disconosciuta, arrivando ad accusare l’Austriaca di finanziare le guerre del fratello con il denaro della tesoreria reale[xxvi]. Allora erano state le accuse di tradimento a portare un bambino mai nato, così come la morte della tanto amata quanto temuta madre aveva ricondotto la regina tra le braccia del marito in cerca di conforto, tributando finalmente al regno l’agognato Delfino. Pare ormai evidente che solo infelicità e sventure riescano a donare questi Figli alla Francia.
Forse è come ha detto Oscar, non può veramente bastare. Una vita di dedizione assoluta, un amore incondizionato che non chiede nulla per sé, assecondare il solo desiderio di sostenerla, averne cura, tenerla al sicuro, non può bastare, a nessuno. Per quanto si creda di non poter fare altrimenti o che nessun altro potrebbe fare di più, è chiedere troppo ed è inutile illudersi.
Di nuovo quel caldo opprimente, che gli toglie il fiato. Porta la mano alla gola, affannato, e può solo seguire con lo sguardo i ricci dorati, che s’inanellano e ondeggiano sul broccato carminio della giubba, la sua schiena che si allontana verso il quadro della porta chiusa. Non si alza da quella sedia, ha l’impressione che le gambe non lo reggerebbero. Gonfia il petto, infila le dita tra la pelle e la mussola, cercando di allentare il nodo che gli stringe la gola. Poi finalmente la serratura scatta, l’anta si apre e una ventata gelida s’insinua, fendendo l’aria ferma, schiaffeggiandogli il viso e restituendogli lucidità.
“Allora?...” lo fissa interdetta “Non vieni, André?!”
“Certo!...” scatta in piedi “Eccomi, Oscar.”
Allunga il passo per raggiungerla. Lei ha già varcato la soglia.
 
Un colpo secco e sonoro accoglie l’ingresso di Oscar nel Salone delle Guardie. I tacchi dei soldati scattano sull’attenti sui due lati e il tenente Ponthieu al centro alla comparsa del Comandante interrompe qualunque cosa stesse facendo. Le figure rigide e impettite sullo sfondo degli spigolosi decori in marmo alle pareti, gli sguardi alti e sospesi in attesa di ordini, l’aria pungente di quell’ambiente impossibile riscaldare, lo riportano alla realtà.
“Riposo.” il comando netto dell’altra voce di Oscar “Tenente…” ergendosi fiera di fronte a Ponthieu.
“Sì, Signore.”
“Il Capitano Girodelle sta passando in rivista la ronda nei giardini, appena tornerà consegnategli queste disposizioni e riferitegli, che discuteremo meglio i dettagli domani.”
“Agli ordini, Signore” chiaro e netto, privo d’inflessioni o dubbi, come dovuto rispondendo a un ordine.
Il giovane tenente sta già sollevando la mano per ricevere il documento da Oscar, quando una voce lo blocca, intromettendosi nella ritualità del protocollo.
“Signor Comandante…” morbido e garbato, opportunamente deferente, senza però tradire alcuna incertezza “… perdonate l’intromissione, ma, se me lo concedete, posso provvedere io a consegnare il vostro messaggio al mio Signore.”
La palese impudenza è accompagnata da una riverenza profonda, abbastanza ossequiosa e sottomessa da prevenire reazioni piccate.
“Voi siete?...”
André, rimasto opportunamente arretrato di un passo, fissa la sua schiena, ma non ha alcun bisogno di vederla in viso per sapere quale espressione di altero distacco stia rivolgendo la sua Oscar all’intruso. Dal tono riesce a immaginare, come se l’avesse davanti agli occhi, il sopracciglio diffidentemente arcuato e la mascella serrata come l’elegante mano guantata, che osserva chiudersi a pugno dietro la schiena eretta e rigida.
“Etienne Vincent, per servirvi Signore.” Si solleva, esibendo il più decoroso eppure accattivante dei sorrisi, e facendo bella mostra di un’altezza invidiabile e una corporatura longilinea ed elegante, che ben valorizza la ricercata livrea verde e oro, rendendo quasi accettabile anche la parrucca, un po’ troppo rigida e incipriata per la sua giovane età.
“Etienne è il nuovo attendente del Capitano Girodelle, Oscar.”
“Oh!” Si è girata di scatto, richiamata dalla sua voce, e lo fissa perplessa, come in attesa di ulteriori numi.
“Ho ricevuto disposizioni di raggiungere il mio Padrone proprio ora…” di nuovo la sua nuca, attenta al nuovo venuto “… se foste così generoso da accordarmi la vostra fiducia[xxvii], potrei farmi carico io di questa incombenza.”
“Orbene, certo è una soluzione poco ortodossa…” e sa bene quanto il solido appiglio delle regole rassicuri la sua Oscar “…ma suppongo in questo caso sia la più efficiente e ragionevole.”
Il foglio ripiegato tentenna un’ultima volta tra le sue lunghe dita prima di venire consegnato nelle mani del solerte servitore.
“Vi ringrazio infinitamente per la fiducia che mi fate l’onore di accordarmi.” un’altra profondissima riverenza “Se ora mi consentite, Signore.”
“Certo, potete andare.”
Etienne si avvia spedito.
“Voi Ponthieu sapete già quali siano gli ordini. Vi potete ritirare.”
“Signore.”
Un altro colpo di tacchi accompagna il saluto militare, cui Oscar risponde con un distratto cenno del capo, per rivolgere di nuovo lo sguardo verso figura in verde che si appresta a uscire dal salone.
Appena Ponthieu si è allontanato, le si affianca, contempla per un attimo il suo profilo leggermente corrucciato, poi si gira, fingendo di prestare attenzione alla medesima scena. Oltre le ante spalancate, Etienne ha già superato l’ampio ballatoio e posato il piede sul primo gradino. Rimangono a guardarlo scomparire giù per la scalinata, fianco a fianco, in silenzio.
È quasi un mese che il giovane attendente ha sostituito Jacob al seguito del Capitano Girodelle. Gli si è presentato il primo giorno in modo estremamente cortese, com’è lecito aspettarsi per buona creanza, trovandosi a prestare servizio in simili circostanze, e per tacita regola, essendo il suo padrone in posizione di subordine a quella che per tutti è da sempre la sua padrona.
Quello che l’aveva subito colpito era l’abissale differenza rispetto al suo predecessore. Non che Jacob non fosse preparato o pronto nello svolgere le sue mansioni, anzi. Dopo una decina d’anni al servizio del padre del giovane tenente, poi diventato capitano, era fin troppo accostumato al servizio e alla corte per commettere errori. Probabilmente il vecchio Conte, che come il figlio era uomo di mondo per quanto di un'altra generazione, gliel’aveva assegnato proprio per facilitarlo nell’orientarsi in quell’intricato dedalo di regole scritte e non, che è da sempre la reggia di Versailles. Tanta esperienza sembrava però aver alimentato nel tempo anche una sua certa naturale predisposizione a risparmiare le forze, totalmente estranea a Etienne, che, al contrario, si distingue per l’estrema, a volte eccessiva, propensione a voler essere sempre più che impeccabile nell’adempiere ai suoi compiti. Questo poteva dipendere tanto da un’innata intraprendenza quanto, probabilmente, dall’apprensione per il trovarsi a ricoprire una simile posizione in così giovane età. Non era questo però che lo aveva colpito inizialmente e che continuava a stupirlo, quanto la sua capacità di apparire sempre come il perfetto complemento del Conte Victor Clement de Girodelle. Sicuramente giovane e gradevole nell’aspetto, ma soprattutto elegante, rampante, tanto intraprendente da arrischiarsi ad allentare qualche regola, ma sempre con tanto garbo e fascino da non risultare mai sgradevole; decisamente niente a che vedere con il pragmatismo a volte un po’ grossolano[xxviii] e decisamente poco a la mode del suo appesantito predecessore.
Sarebbe pronto a scommettere siano queste le caratteristiche, che hanno indotto Girodelle a sceglierlo come suo attendente a dispetto della scarsa esperienza, tanto quanto potrebbe giurare non siano certo questi i pensieri, che gli sembra di sentire macinare come gli ingranaggi di un automaton[xxix]nella testa della sua Oscar, data la sua scarsa propensione a curarsi di certe apparenze.
“Da quando…” la sua Signora interrompe il silenzio, con lo sguardo sempre concentrato nella medesima direzione.
“Quasi un mese.” anche lui sempre rivolto verso la figura ormai scomparsa.
“Ed è sempre così…”
Intraprendente?” gli viene da sorridere, perché è sicuro che non sia il termine, cui stava pensando “Oh, sì! Anche molto più di così.”
“E che fine ha fatto…”
“…Jacob.” non che Oscar abbia mai mostrato di apprezzarlo di più, ma probabilmente col tempo ci si era abituata “Ha preso moglie e il Conte ha provveduto ad assegnargli un incarico presso i loro possedimenti in Borgogna.”
“Ah…” temporeggia, come se stesse cercando una frase di circostanza a proposito di un argomento estraneo o comunque di scarso interesse “… beh, suppongo certi cambiamenti siano nella natura delle cose.”
Non aggiunge altro, avviandosi semplicemente verso l’uscita, certa che lui la segua.
 
Scesi nell’atrio, Etienne è già scomparso oltre le guardie schierate per l’occasione ai piedi della scala della Regina, disperdendosi tra i capannelli di donne fieramente racchiuse nelle austere ed eleganti vesti di seta nera. La loro attenzione viene immediatamente attirata dalla comparsa di Oscar o forse, più probabilmente, dall’ aristocratica autorità che traspare tanto dalla sua uniforme quanto dal suo portamento.
“Dio benedica la Regina e il Delfino!” acclama quella che pare la più anziana, andandole incontro e subito le altre fanno eco.
Pour le bonheur des Francais,
Puor répandre en notre coeur
Félicité parfaite
Conserve, o ciel protecteur,
Les jours d'Antoinette.[xxx]
Oscar si limita a rispondere con un composto cenno del capo e allunga il passo tra le due ali di donne, che si aprono al suo passaggio, quasi non osassero nemmeno sfiorare l’aria che la circonda, piegandosi in profonde riverenze e continuando a declamare versi in onore della loro amatissima Sovrana.
Hanno già raggiunto la galleria semideserta, quando riesce ad affiancarla.
“È da quando sono arrivate questa mattina che declamano versi di Le Harve in onore della Regina.”
Oscar non risponde subito, come se le servisse tempo per soppesare il significato di quella semplice affermazione, infine tutto quello che le esce è “Sorprendente…”
“Cosa?”
“Come le cose cambino.”
Il tono amaro trasuda inevitabilmente dal contegno apparentemente impassibile ed è tutto troppo simile ad allora perché lui possa non capire: lo stesso luogo in occasione di un’altra celebrazione per la nascita di un erede di sangue reale, le stesse donne del mercato abbigliate a festa. L’aria impregnata del sole d’agosto di sei anni fa rendeva tutto più caldo e accogliente, ma certo non aveva trattenuto quelle stesse donne dal dare della puttana e scagliarsi con ferocia contro la stessa Anoinette, che ora celebrano augurandole ogni felicità.
Comprende, ma non riesce a trattenersi dall’osservare “Almeno loro sono qui.”
È tagliente e fulmineo come un fendente lo sguardo con cui lei lo trafigge prima di accelerare e lasciarlo nuovamente indietro di un passo.
Sospira, ma non aggiunge altro, limitandosi a seguirla.
Lungo il percorso, a intervalli regolari le uniformi salutano marziali il loro comandante, in ordine sparso altre vesti nere si piegano in inchini più profondi che appropriati, mentre le livree di corte scivolano via operose, invisibile e silenziose. Le prime ricche vesti aristocratiche compaiono solo nella prima anticamera, qualcuna si attarda a conversare lungo la scala in pietra e nella seconda anticamera al piano superiore, ma il crepitare sonoro e indistinto delle voci, che sovrasta la melodia degli archi, anticipa la moltitudine blasonata che affolla la galleria degli specchi.
Sono tutti lì per rendere omaggio al Re e al Delfino. Poco importa che probabilmente si nasconda proprio tra i convenuti chi, negli ultimi mesi, tanto si è speso per diffondere quegli scandalosi libelli, in cui viene messa in dubbio la legittimità di questa discendenza[xxxi]. Ognuno è tornato a recitare la sua parte e a competere nell’impresa di meglio esaltare i sovrani che finalmente hanno fatto il loro dovere, garantendo la continuità della linea di sangue e il futuro della monarchia.
Oscar avanza, lasciando scorrere lo sguardo tra la folla con consumata indifferenza, senza prestare attenzione alle occhiate indiscrete che come sempre la seguono, scrutano, indagano, solo per tornare fugaci a condividere i segreti, che sembrano convinte di avere carpito.
“André, riesci a vedere mia Madre?”
Tutt’intorno è una fitta selva di fogge alla moda, sete finissime, tessuti ricercati, pregiati merletti, e poi ricami, gioielli, oro e bottoni, cappelli e nastri, acconciature gonfie e boccoli incipriati. Nessuno si è certo risparmiato nell’esibirsi al meglio. Curioso è però come un tale sforzo nel primeggiare in apparenza, alla fine produca esattamente l’effetto opposto. Difficile distinguere qualcuno, che non sembri semplicemente parte di una scenografia uniforme, solo l’ennesimo costoso orpello in mezzo a una profusione di fregi, stucchi e specchi.
“Eccola, Oscar… lì, sulla sinistra, accanto alla finestra.”
Parzialmente nascosta da una ninfa dorata, che presidia la sala con la sua cornucopia, dà loro le spalle intenta a conversare, ma sarebbe in grado di riconoscere ovunque il portamento nobile e aggraziato di Madame Marguerite, che certo non dipende da quello che indossa, esattamente come quello della figlia.
Oscar fende la folla per raggiungerla e, appena è abbastanza vicina, si piega in un composto inchino, come ha imparato a fare sin da bambina.
“Madre.” rispettosa, ma, risollevando lo sguardo, quasi si scompone tanta è la sorpresa “… ma… cosa… !”
Voltandosi la Contessa svela l’identità della sua compagnia.
“… Rosalie!”
Il sorriso sempre amabile e garbato di Madame si accende di una scintilla di divertita malizia di fronte all’autentico stupore del Comandante. “Hai visto Oscar!? Solo un futuro Re di Francia poteva riuscire a ricondurre a Corte una suddita tanto caparbia.”
La giovane al suo fianco ricorre al ventaglio per nascondere la risatina importuna che proprio non riesce a contenere.
“Rosalie, ci sei anche tu, ma…”
“Semplicemente in quest’occasione desideravo venire, Madamigella, così l’ho fatto.”
Lo sguardo che Rosalie restituisce è sereno e semplice, come la sua risposta.
“Mi fa molto piacere.” sorride senza aggiungere altro, ancora incredula.
 
È da più di quattro anni, dalla sera del ballo in onore dell’Imperatore d’Austria, che Rosalie non mette piede a corte. Appena rientrata a Palazzo, Oscar l’aveva convocata nelle sue stanze e lei era arrivata subito, ma, nonostante l’ora tarda, non indossava la veste da camera. Si era liberata dei gioielli, del ricco abito e dell’acconciatura ricercata, solo per infilarsi un vestito vecchio e spoglio, troppo logoro anche per essere indossato in casa. La faceva tanto assomigliare a una bambina, alla stessa bambina che quasi avevano dimenticato, comparsa a Palazzo poco più di un anno prima, stanca, disperata e arrabbiata.
“Rosalie, ti prego siedi, ti devo parlare.” aveva cominciato.
“Ditemi Madamigella, vi ascolto.” era rimasta in piedi, seria e impassibile al centro del salon.
Si era mosso per lasciarle sole, ma Oscar lo aveva bloccato.
“Rimani, André.”
Rosalie non aveva battuto ciglio. Sicuramente si era preparata a venire aspramente rimproverata, magari anche punita per il suo comportamento a corte alla presenza dei sovrani, trovandosi di fronte la Contessa di Polignac. Certo non si aspettava le venisse rivelato che quella donna e la sua vera madre erano, dopo tante ricerche, la stessa persona. Nonostante tutto era rimasta ancora immobile, impassibile, limitandosi a sollevare gli occhi da terra per rivolgere a Oscar uno sguardo distante.
“Madamigella…”
“Sì, Rosalie, dimmi…”
“Se non avete più bisogno di me, mi ritirerei.”
Il tono era limpido, ma non lasciava trasparire nulla.
“Certo… vai pure.” non era riuscita ad aggiungere altro.
La voce si era spenta nel silenzio pietrificato, in cui l’avevano guardata scomparire oltre la soglia. Solo dopo aver visto l’anta chiudersi, Oscar si era girata a cercare i suoi occhi.
“Dovevi dirglielo, non potevi rimandare oltre.”
“Sì, certo. Lo so.” con lo sguardo altero e l’intonazione sicura di quando impartiva ordini ai suoi soldati, subito prima di sfuggire e sprofondarsi nel divano.
“Ho sete, versami da bere.”
Aveva riempito generosamente il bicchiere di entrambi e si era seduto accanto a lei, come tante altre sere, senza dire una parola, a guardare la candida mano stringersi e torturarsi intorno alla fragile perfezione del cristallo.
La mattina successiva si erano ritrovati tutti e tre nell’orangerie, immersi nel fulgore di un’altra meravigliosa giornata estiva. Come d’uso, Sandrine li aveva lasciati appena completato il servizio ed erano rimaste solo le piante cariche di frutti acerbi ad assistere alla rappresentazione fatta di familiari frasi di circostanza, stralci di cortese conversazione e persino qualche battuta impertinente, capace di strappare un sorriso o una risata nel tentativo di smuovere l’aria ferma. Nessuno aveva più sfiorato l’argomento che continuava a stagnare come l’aroma stucchevole degli ultimi fiori tardivi. Dalle grandi vetrate spalancate non un refolo a concedere un po’ di ristoro, solo un’inondazione di luce impietosa e la dissonanza incessante del canto degli uccelli e del frinire delle cicale.
Come se niente fosse successo, il fitto programma di lezioni, allenamenti, impegni in società, all’interno della ristretta cerchia selezionata da Madame, aveva ripreso a scandire le giornate di Rosalie. Sembrava dedicarvisi con ancora più dedizione e disciplina, quasi a volersi aggrappare all’apparenza di una consuetudine sempre più gravosa e tesa, fino a che una sera era voluta uscire per una passeggiata a cavallo prima del tramonto, sola, come mai prima. Era accaduto di nuovo dopo qualche giorno, poi ancora, sempre più di frequente, fino a che l’eccezione era diventata una nuova abitudine. Tornava ogni volta più irrequieta e turbata, ogni volta un po’ più tardi. Poi una sera il sole era scomparso oltre l’orizzonte senza che lei fosse ancora rientrata.
 
“E tu, André?” la voce carezzevole di Madame lo richiama dalla sua posizione opportunamente defilata “Non sembri sorpreso quanto Oscar del ritorno a Corte della nostra Rosalie. Te lo aspettavi, dunque?”
“Veramente, Madame…” contraccambia il delicato sorriso, abbassando lo sguardo. “… non posso affermare che me lo aspettassi, ma non direi nemmeno che la cosa mi colga alla sprovvista. Davvero, non saprei cosa rispondere.”
“Veramente?” lo scruta per un attimo, quasi non fosse convinta delle sue parole “Non ti si può dunque più sorprendere? Se tu stesso lo affermi, deve proprio essere così! D’altra parte, dopo tanti anni sarai fin troppo avvezzo ai colpi di testa e alla natura volubile delle donne di questa famiglia.” osserva tra il serio e il faceto.
“Voi credete, Madame? Certo ne sapete più di me, quindi non posso che darvi ragione.” accenna un inchino, stando al gioco.
“Naturalmente,” sorride lanciandogli uno sguardo, che non è certo di come interpretare “anche se non sono sicura, che con questo ti sia stato poi reso un così buon servigio.”
“Ritenete dunque, Madame, che io sia oramai rovinato?”
“Forse…”
“Beh, allora vorrà dire che mi dovrete tenere con voi per forza.” ostentando un’espressione di eccessiva, quanto palesemente finta, rassegnazione.
“Madre, davvero non capisco cosa…” s’intromette Oscar, infastidita da quell’insolito intermezzo teatrale, ma subito interrotta dal sopraggiungere di una voce argentina e flautata, che parrebbe appartenere a una bambina.
“Madame de Jarjayes! Non sapete quale gioia sia rivedervi finalmente a Corte!”
Piccola di statura e di una morbidezza vagamente fanciullesca, sembra veramente possedere ancora tutta l’innocenza dell’infanzia la giovane, che si fa loro incontro con passo leggiadro dal centro della sala, attraversando quel mare di personalità blasonate, che si separa e inchina al suo passaggio.
“Madame… ” la Contessa presenta i suoi rispetti con un’impeccabile riverenza, imitata da Rosalie “mi fate troppo onore, considerato il piacere che è per me rivedere Voi.”
Sorride con occhi scintillanti di gioia sincera e rivolge un cenno di saluto al resto della piccola compagnia, ancora in doverosa attesa “Comandante… ”
“Madame.” anche Oscar s’inchina composta e rispettosa.
L’abito elegante e di finissimo pregio è appropriato per l’occasione, ma lo si potrebbe quasi definire modesto rispetto a tanti altri, se non fosse corredato dal ricco decoro di un volto che palesa il lignaggio e lo stretto legame con il Re. Come il fratello maggiore, Madame Elisabeth non si può certo dire bella, nonostante la freschezza dell’età[xxxii], ma con lui, oltre ai tratti, condivide uno sguardo luminoso e gentile, tanto da renderla irresistibilmente amabile.
“Sono felice di vedervi in salute[xxxiii], Madame, e di poter condividere con Voi la gioia di questo lietissimo evento.” allunga la piccola mano per stringere quella di una buona amica, mettendo in evidenza l’unico gioiello che indossa, un anellino da mignolo “Ditemi, avete già goduto il bene di vedere il Delfino, mio nipote? Non è il bambino più bello di sempre? Oh, credete possa esserci gioia più grande?!”
“è una gioia immensa per tutta la Francia salutare l’arrivo del Delfino, e non posso che darvi ragione, Madame, è un bambino bellissimo.”
Tanto sembra bastare per rendere, se possibile, il suo sorriso ancor più luminoso.
“Oh, lo so, non potrebbe essere altrimenti. L’ho scritto subito anche a Madame Clotilde, sapete? È il bambino più bello e dolce del mondo, non c’è dubbio e quando lo vedrà…” d’un tratto un velo di malinconia sembra rabbuiarle il viso e le dita corrono ad aggrapparsi all’anellino[xxxiv].
Non è un segreto per nessuno quanto Madame Elisabeth sia legata alla sorella maggiore e quanto ancora le manchi. Il distacco, per vederla andare in moglie al Principe di Sardegna, l’ha fatta soffrire immensamente. Un po’ l’ha consolata negli anni sapere che quel matrimonio, arrangiato per interesse politico come sempre accade per una principessa di sangue, si sia rivelato invece estremamente felice, regalando alla sua amata Clotilde quel rifugio familiare, sicuro e accogliente, che, sotto tanti aspetti, le era mancato nella casa natale[xxxv].
Da principio, forse, aveva sperato di ritrovare nell’allora delfina una nuova sorella, ma, che sia per indole o per educazione, la giovane Principessa di Borbone è sempre stata troppo giudiziosa e pacata per condividere la volubile irrequietezza di Maria Antonietta, e, a dispetto dei nove anni in meno, troppo ponderata e salda nei suoi principi anche per lasciarsi momentaneamente sedurre e trasportare dalla leggerezza del suo fascino. Troppo spesso la pacatezza, di quella che appare come una timida bambina, è stata liquidata dalla Regina con la superficiale condiscendenza che si potrebbe riservare a una zia un po’ pedante.
È la Contessa questa volta a farsi avanti per confortarla con una stretta delicata della mano.
“Sono certa che il calore della vostra lettera riuscirà a trasmetterle tutta la gioia di questo momento, benché le circostanze non le consentano di presenziare. Chi meglio di una sorella?”
Il sorriso dolce e comprensivo riesce a dissipare un po’ della malinconia che offusca lo sguardo di Madame Elisabeth.
“Avete ragione, non c’è legame più forte di quello tra sorelle.” ricambia la stretta, tornando a illuminarsi.
“Come madre di sei figlie non posso che confidare nel vostro saggio responso.” replica la Contessa con tono rispettosamente divertito, lanciando di sottecchi un’occhiata alla figlia Comandante.
A lei, come ad André, non deve essere sfuggita l’impercettibile fugace ombra di disappunto balenata nello sguardo di Oscar, che probabilmente non ritiene l’idillio descritto corrispondere esattamente alla sua esperienza con tutte le sue sorelle.
“Ne potete essere certa! Su questo anche la Regina[xxxvi] è assolutamente del mio stesso parere: l’amore di una sorella può competere solo con quello di una madre. Infatti anche Maria Teresa è già irrimediabilmente innamorata di suo fratello.” ribadisce compiaciuta.
“Dite davvero?“
“Certo è ancora una bambina[xxxvii], ma anche in così giovane età si può ben vedere la costanza di un carattere buono e nobile come quello della nostra piccola. La Regina afferma di riconoscere nella nostra Mousseline la Penseuse[xxxviii] il temperamento di sua Madre l’Imperatrice, anche se io certo su questo non posso esprimermi.”
“Il sangue certo non mente.”
“Ve lo posso assicurare, Madame Royale è già affezionata e devota a suo fratello Louis Joseph e sempre lo sarà, come ogni buona sorella.” annuisce per dare maggior forza alle parole “Anche Madame Clotilde certo già lo ama e la renderà felice ricevere il ritratto di nostro Nipote che le ho promesso, appena sarà pronto.”
“Un ritratto è certo il modo migliore per celebrare e conservare memoria di un tale evento.” conviene Madame Marguerite “Credo però che vostra sorella sarebbe ancor più felice di riceverne uno di vostra mano.” azzarda.
“Madame, cosa dite!” arrossisce, abbassando per un attimo lo sguardo “Voi mi lusingate, ma non ho certo le capacità per una simile impresa. Monsieur Leclerc e, naturalmente, Madame Vigeè-Le Brun hanno già ricevuto incarico… io non sono all’altezza…” si schermisce.
“Voi siete troppo modesta, Madame.” la pungola amabile “Ditemi voi se sbaglio, Mademoiselle Grosholtz[xxxix].”
“Naturalmente non sbagliate, Contessa.” Risponde, avanzando di un passo, la giovane un po’ anonima se non fosse per i grandi occhi scuri, che finora è rimasta silenziosamente in disparte, di scorta a Madame Elisabeth “La Principessa è sempre troppo modesta. Posso affermare con certezza che in quest’impresa non sarebbe certo da meno di tanti maestri.”
“Oh, Marie…” sorride e arrossisce ancora di più, lasciando trasparire tutta la familiarità del legame che le unisce “… siete sempre troppo indulgente con me. Come potrò mai migliorare, se non sarete una Maestra più severa?”
“Sarò molto severa, se continuerete a sminuire i vostri talenti.” la rimbrotta scherzosa.
“Vedete? Un talento non può sbagliare a riconoscerne un altro.” sentenzia Madame Marguerite, compiacendosi di riuscire quasi a strappare un’importuna risatina a entrambe le giovani.
“Sapete quale sarebbe veramente una grande idea?” la principessa pare sul punto di lasciarsi travolgere dall’entusiasmo “Se Voi, Marie, realizzaste un ritratto in cera!”
“Oh, Madame, veramente io non so…” ora è la giovane maestra d’arte ad apparire titubante.
“Vi prego, non dite subito di no. Così avrei anche la possibilità d’imparare almeno un po’ da voi quest’arte. Lo desidero da tanto senza che ce ne sia mai occasione.”
“Madame sapete, che non è previsto…” stenta a opporsi Mademoiselle Grosholtz.
“Ah, lo so. Ma ditemi voi, Contessa, lo riterreste così sconveniente?”
“Mia cara, davvero non saprei, certo dovreste chiedere l’avvallo di Vostro Fratello il Re.”
“Naturalmente, ma non avete avuto occasione di ammirare le opere in mostra a Parigi? Sono sicura che un vostro parere positivo sarebbe tenuto in debita considerazione anche da sua Maestà.”
“Mi trovo costretta ad ammettere di non avere avuto l’opportunità di farmi un’opinione in merito. Con gli impegni a Corte prima e per via della mia salute poi, sono anni che non ho il piacere di frequentare Palais Royal. è un vero peccato e certo un’occasione mancata anche per la mia Rosalie, non è vero cara?”
André solleva lo sguardo cercando in Oscar qualcosa che tradisca la stessa sorpresa che lui si sta impegnando a dissimulare.
“Naturalmente zia[xl], ma, come avete detto voi, con la vostra salute…” replica la giovane protetta, con un’espressione compassionevole tanto ben riuscita da apparire come il frutto di un copione già inscenato molte volte.
Tanto basta per far comparire nell’impassibile perfezione del volto di Oscar una lieve increspatura tra le sopracciglia, che però è quasi certo di essere stato l’unico a notare.
“Dimmi Oscar, cara, tu hai avuto il piacere? Tu frequenti Parigi sicuramente più di me.”
“Io…” la domanda della Madre sembra coglierla alla sprovvista “… no, Madre. Mi reco raramente a Palais Royale e solo per dovere. Mi spiace, ma non posso esservi di aiuto.” composta e deferente verso la Madre e la Principessa.
André la osserva, divertito nel vederla accampare la scusa del dovere per svicolare sulla natura decisamente poco aristocratica delle loro visite in città, esattamente come la Madre ha approfittato con disinvoltura della sua millantata salute cagionevole per non approfondire la sua diffidenza rispetto alle mode parigine.
Nonostante la sua lunga esperienza e il suo ruolo alla reggia, Madame non è certo mai stata particolarmente amante delle mode e della mondanità, se non per quello che serve a mantenere buoni rapporti e una rispettabile reputazione in società. È uno dei tanti aspetti su cui si è sempre trovata in perfetta sintonia con suo marito il Generale, e la frequentazione di Palais Royale, la cui dinamica vivacità distilla il meglio come il peggio della vita parigina, è sempre stata considerata con una certa diffidenza a Palazzo.
“… e tu, André? Tu, ne avrai almeno sentito parlare.”
Anche Oscar si gira verso di lui e non c’è proprio niente di trattenuto nell’occhiata che gli rivolge, trovandolo a fissarla in simili circostanze.
“Sì…” si ricompone in fretta, trattenendo una smorfia divertita e importuna “…sì, Madame. Ne ho sentito parlare, naturalmente, e ho anche avuto la fortuna di ammirare i lavori del Dottor Curtius e di Mademoiselle Grosholtz.” e voltandosi verso la giovane “Devo farvi i miei complimenti, Mademoiselle, avete un grande talento. Se mi consentite, il ritratto Rousseau, in particolare, è davvero notevole…” e continua con un sorriso ammirato “… dà l’impressione di poterlo sentir parlare da un momento all’altro. Questa è sicuramente un’arte!”
“Vi ringrazio, Monsieur, ma mi fate troppo onore.”
“E cosa ne pensi, André?” interviene nuovamente la Contessa “Ritieni che una simile arte si addica all’educazione di una Principessa o possa essere considerata sconveniente?”
“Suppongo sconveniente quanto lo può essere mostrare la realtà per ciò che è in ogni dettaglio, senza trucchi o abbellimenti, Madame.” accenna un inchino “Ma chi sono io per giudicare se questo si addica alla formazione di una fanciulla di nobili natali?”
“Vorrà dire che ci dovremo necessariamente fare un’opinione di persona.” lo asseconda “Dimmi, Rosalie, ti farebbe piacere se organizzassimo una visita uno di questi giorni?”
“Se voi lo ritenete opportuno, zia.”
“Bene, allora vedremo di organizzare al più presto e, se Oscar crede di poter fare a meno dei tuoi servigi per un giorno, ci potresti fare da guida, André.”
“Naturalmente, Madame.” un altro deferente inchino, prima di continuare “Ma, perdonate se mi permetto, Mademoiselle Grosholtz, ho saputo che vostro zio sta preparando una mostra del tutto nuova.”
“Veramente, Marie? Non me lo avevate detto.” si sorprende, Madame Elisabeth, incuriosita.
“È vero, Madame, ma non mi pareva cosa di alcun interesse o rilevanza.” minimizza “Siete davvero bene informato, Monsieur, anche se ci vorrà ancora qualche mese prima che sia pronta l’esposizione.”
“Allora noi, nel frattempo, ci accontenteremo di Palais Royale. Vero, Rosalie?”
“Certo, zia.”
“Ma, se potete anticiparci qualcosa, Mademoiselle, sapete già quali illustri personaggi saranno riprodotti in questa nuova esposizione?”
“Veramente, Madame…” tentenna, stranamente imbarazzata “… non credo che illustri sia la definizione più appropriata…” ancora più incerta, riuscendo solo ad alimentare l’interesse.
“Famosi forse?” azzarda Rosalie.
“Famigerati...” interviene André, prendendosi la responsabilità di rinunciare al pudore “… credo sia questa la definizione più calzante. Sbaglio forse, Mademoiselle?”
“No, non sbagliate affatto.” in qualche modo sollevata, senza però concedere nulla alla crescente palpabile curiosità.
“Se mi consentite…” le viene in aiuto.
“Ve ne prego.”
“La nuova mostra sarà intitolata ‘La Ceverne des Grande Voleurs [xli]’ e sarà allestita in Boulevard du Temple[xlii]. Il solo annuncio ha destato molto interesse.” conclude, divertito per l’eccitazione, malamente camuffata da sdegno, comparsa sul volto delle dame più giovani.
Ladri dunque.” si limita a commentare sollevando un sopracciglio Oscar, non altrettanto impressionata.
“Sicuramente se, come si dice, l’arte del Dottor Curtius è tanto eccezionale, sarà un grande successo.” interviene pacatamente Madame Marguerite “D’altronde, è opinione comune che troppa eccitazione non si addica a una fanciulla, che non dovrebbe mai avere motivo d’interessarsi a ladri e malfattori, ma suppongo… dipenda dalla fanciulla! Noi comunque, nel dubbio, per questa volta ci limiteremo ai personaggi illustri. Concordate, Madame?”
“Naturalmente.” replica la Principessa, ricambiando il sorriso dell’amica, ma qualcosa, dal fondo della sala, distrae la sua attenzione.
Lo scattare di un portone, una risata o forse solo il ronzare più intenso del brusio e buona parte dei presenti sciamano verso l’ingresso laterale a sud, quello da cui sono arrivati, poco prima, André e Oscar direttamente dall’ala della Regina. L’assembramento rende difficile distinguere l’oggetto di tanto interesse, ma l’espressione improvvisamente algida di Madame Elisabeth lascia pochi dubbi su chi abbia appena fatto il suo ingresso, a chi la conosce abbastanza.
“È tempo per me di tornare alle Stanze della Regina e rimettermi al servizio del Delfino e di sua Madre.” dichiara di nuovo sorridente, come se nulla fosse accaduto.
“Comprendiamo, Madame.”
Un ultimo cenno del capo, in risposta a riverenze e inchini, e la Principessa scompare con Mademoiselle Grosholtz verso il passaggio finalmente sgombro tra il diradare della folla.
“La carrozza oramai dovrebbe essere pronta.” osserva distrattamente Madame Marguerite distogliendo lo sguardo “Rosalie…” ma ecco altre due dame avvicinarsi, reclamando la sua attenzione.
“Madame de Jarjayes, quale gradita sorpresa!”
“Madame de Frontenac, Madame de Fiesque, che insperato piacere.
“Comandante…”
“Signore…”
Riverenze e inchini a scandire il protocollo.
Carissima, è davvero troppo tempo che non ci concedete il piacere della vostra compagnia.” ingaggia la più corpulenta, facendo frusciare i metri e metri di seta viola del suo ricco abito e agitando il capo quel tanto da far oscillare i vistosi pendenti di diamanti che le adornano le orecchie.
“Mi costringete a dichiararmi colpevole, Madame de Frontenac.” la Contessa vela il sorriso, dispiegando parzialmente il prezioso ventaglio d’avorio, finemente inciso con le iniziali di Maria Antonietta, dono della Regina a una Dama e amica prediletta “Incredibile a dirsi, ma temo siano oramai… oh, cielo, almeno sei anni che non ci è dato il bene d’incontrarci!”
“Davvero!” interviene l’altra, segaligna, ostentando un’espressione di cordoglio e portando la mano al petto, adorno di topazi “Quasi sette, se ben ricordo. Da quando vi siete vista costretta ad abbandonare il seguito di Sua Maestà, vostro malgrado.”
“Dite, Madame de Fiesque? Mi pareva di ricordare che Voi aveste già deciso di ritirarvi dalla vita di Corte qualche mese prima del mio allontanamento, in seguito alla mancata nomina di vostro marito… ma ricorderete certo Voi meglio di me. Sarà la memoria a ingannarmi, alla mia età… “realisticamente non molto dissimile da quella delle altre due.
“Già, la memoria… che strumento prodigioso, a volte gioca brutti scherzi, mentre in altre occasioni ci protegge provvidenzialmente da fatti che sicuramente è meglio dimenticare.” si tende eretta, ancor più contegnosa, stringendo le mani in grembo “Ma in fondo, che importanza potrà mai avere tenere a mente ciò che è dipeso solo dal capriccio e dal caso?”
“Come avete ragione, mia cara amica. Perché mai dovremmo noi darci la pena di ricordare, quando nemmeno chi avrebbe il compito di custodire e garantire la tradizione e il diritto acquisito per nascita e onorato servizio, li tiene più in alcun conto?” sorride con pretesa leggerezza Madame de Frontenac “Se questa è la nuova regola che governa la Corte, non ci rimane che adeguarci.” un’occhiata d’intesa all’amica, prima di dirigere platealmente lo sguardo verso il centro della sala, dove la Duchessa di Polignac è giunta alla guida del suo nutrito seguito, che intrattiene con divertita indulgenza, offrendosi tanto agli sguardi ammirati e complici quanto a quelli invidiosi e mal celatamente astiosi, con la generosità e la sfrontatezza di chi oramai non nutre più alcun dubbio sul proprio potere.
“Inutile rimpiangere i tempi in cui il Tabouret era privilegio riservato solo al più elevato lignaggio.[xliii].” stride inevitabilmente la nota acida, che Madame de Fiesque si sforza di nascondere dietro la più squisita cortesia.
“In vero, a voler ben ricordare, anche allora molte sono le signore che se lo sono guadagnato[xliv]…” insinua divertita la compare “… anche se per i servizi resi al Re e non certo[xlv] alla…”
“Signore, io n…” s’intromette Oscar, con l’irruenza di un granatiere che all’improvviso si abbatta su duellanti intenti a sfidarsi in punta di fioretto.
“Oscar, mia cara!” la stoccata di Madame de Jarjayes la blocca tempestivamente “Saresti così gentile da andare ad assicurarti che stiano preparando la carrozza?” elegante e morbida.
“Ma… Madre…” colta alla sprovvista.
“Mi rendo conto di chiederti molto, ma è stata una lunga giornata e sento veramente il bisogno di ritirarmi al più presto…” e rivolgendosi di nuovo al resto della compagnia “… mi perdonerete, sapete, la mia salute.” sollevando appena di lato la mano che Rosalie si affretta a stringere, come per garantirle il necessario sostegno.
“Ma certo, Madame, come potremmo non comprendere…”
“Naturalmente…”
Replicano premurose le altre due, evidentemente use a interpretare lo stesso copione.
“Ti spiace?”
“No… certo Madre, provvedo subito.” abbassa lo sguardo in un accenno di inchino, per poi risollevarlo a catturare fuggevolmente quello di André nell’abituale tacito accordo.
“Oscar, cara… ”
“Sì, Madre…” sollecita.
“… se non ti è indispensabile, ti chiederei anche di lasciare André qui con noi, in caso io o Rosalie dovessimo avere bisogno di assistenza. Certo comprenderai.” sorride amabile, apparentemente delicata e arrendevole, come sempre.
“Co… come desiderate, Madre.”
André restituisce il dovuto cenno di assenso, fingendo d’ignorare l’occhiata perplessa lanciatagli da Oscar.
“Qualunque cosa Vi possa essere di conforto, Madre.” e con un ultimo inchino si congeda.
André la segue con lo sguardo mentre attraversa la sala fiera e risoluta, come sempre all’apparenza, ma è quasi certo che quelle falcate lunghe e decise siano alimentate più dalla frustrazione per essere stata così autorevolmente richiamata all’ordine, che alla determinazione di portare a termine, suo malgrado, l’improbabile quanto inutile compito affidatole.
“Perdonate, Signore, stavamo dicendo…” approfittando con destrezza della tempestiva interruzione, Madame Marguerite riprende elegantemente il comando della conversazione “… mi pare vi riferiste ai privilegi che è nella totale discrezione dei nostro amati Sovrani accordare, in base alla loro generosità e saggezza, per rimeritare la fedeltà e il doveroso servizio, cui noi tutti siamo vincolati nei loro confronti. Sbaglio forse?”
Un’espressione dolce affiora a illuminarle il volto, mentre le Mesdames sembrano avere qualche problema a dissimulare con altrettanta grazia di aver accusato il garbato affondo.
“Parlate bene Voi Madame…” tenta un sorriso la Fiesque, ma le riesce più un ghigno “… ma quando la Tradizione e il Protocollo vengono sviliti a un… gioco!” non aggiunge altro, limitandosi a puntare di nuovo uno sguardo pieno di altero sdegno sulla signora che domina il centro della sala.
“Un gioco dite…” Madame de Jarjayes corruga lievemente la fronte, meditabonda, come se veramente avesse bisogno di raccogliere i pensieri rivolgendo l’attenzione al medesimo soggetto.
La Duchessa di Polignac si gira, quasi le occhiate affilate della sua detrattrice fossero arrivate a solleticarle la nuca. In lontananza sorride e china appena il capo in segno di riconoscimento e saluto a Madame de Jarjayes, che subito ricambia con misura, serenità e garbo prima di continuare “… non è lecito pensare che, in fondo, sia sempre stato un gioco?”
“Un gioco dite?” replicano in coro, stridenti di perplessità e indignazione.
“In un certo qual modo… come un gioco ha regole cui è necessario attenersi e vi si può prendere parte animati da motivazioni molto diverse.”
“Motivazioni diverse? E quali sarebbero, di grazia!” più per sfida che per sincero interesse.
“Certo noi tutti vi prendiamo parte per dedizione e fedeltà alla Famiglia Reale, c’est les noblesse oblige[xlvi]” una piccola pausa per conferire il giusto peso alle parole “in questo caso sapere di avere adempiuto al proprio dovere è la più grande ricompensa.”
“Naturalmente!”
“Certo, la più alta e l’unica che veramente importi!”
Si affrettano a sottolineare le mesdames, improvvisamente memori del loro antichissimo lignaggio.
“Non si può però negare che alcuni abbiamo perso memoria del loro dovere e, orfani del conforto e della guida dell’onore, si limitino a seguire per consuetudine le regole della buona società. Per questi solo l’approvazione e l’ammirazione degli altri serve a ripagare i loro sforzi anziché la propria buona coscienza.”
André deve ricorrere a tutta la sua forza di volontà per non farsi sfuggire la risatina che sente pungere alla soglia delle labbra di fronte alle teatrali espressioni di disapprovazione comparse sui volti imbellettati delle due nobildonne al pensiero di questi ‘nobili indegni’.
“Certo è una moneta leggera e incostante, ma serve comunque a compensare un animo fragile e conservare l’ordine e la tradizione, fino a che la buona società conserva memoria di quale sia il suo dovere.”
“Madame, a Corte si sente proprio la mancanza del vostro saggio consiglio.” la blandisce Madame de Fiesque, prima che abbia concluso.
“Infine, ci sono quelli che non tengono più in alcun conto né il dovere né la reputazione e competono solo per l’ambizione di un premio.”
“Indegno.”
“Inaccettabile.”
Sentenziano, ma Madame Marguerite pare ignorarle.
“Orbene, forse non sono la persona più adatta a dare consigli, perché senza dubbio siete più esperte di me nell’arte del gioco,” sorride incrociando lo sguardo di Madame de Fiesque, le cui imprese a Faraone[xlvii] e relative disfatte sono da tempo uno dei segreti peggio custoditi di Parigi “ma per il poco che ne so, se quel che interessa è solo la posta in palio, occorre assoggettarsi al capriccio del banco. Sbaglio forse?”
“Dite bene, Madame.” interviene André, visto che le due signore sembrano rimaste a corto di parole “Impossibile vincere e inutile lamentarsi, se non ci si adegua alle regole stabilite da chi tiene il banco, la posta è persa in partenza.”
Se gli sguardi fossero lame, è sicuro che il suo sangue e le sue budella starebbero già imbrattando il prezioso legno ambrato del pavimento.
“Grazie, André. Ero certa di poter contare sul tuo prezioso supporto per queste cose di mondo.” Madame accorre in sua difesa, sorridendo graziosa alle sfidanti “Ma a ben considerare, mie care amiche, che rilevanza può mai avere il premio, se non si apprezza il gioco? Un privilegio, un titolo… non vale più della persona che lo porta, non credete?”
Per un interminabile istante, le signore rimangono in silenzio, forse incerte se tentare un ulteriore assalto.
“Cosa potremmo mai aggiungere, Madame…” temporeggia ancora la Frontenac, facendosi avanti per prima, “… se non ripetere che parlate con grande saggezza.”
“Il vostro giudizio è prezioso, come sempre.”
Chiosano entrambe, evidentemente soddisfatte dell’occasione offerta di rassegnare le armi, conservando però l’onore dei loro antichi titoli conquistati per diritto di sangue e matrimonio, come da tradizione.
Sinceramente ammirato dalla maestria della Contessa, André corre con gli occhi a Rosalie, rimasta per tutto il tempo in silenzio e un po’ arretrata al seguito della sua tutrice, attenta e pronta a intervenire, solo se direttamente interpellata, come si conviene a una signorina bene educata. L’espressione sul giovane volto è serafica e imperturbabile, come sempre, tanto che gli viene da chiedersi se in quell’apparenza da bambola si sia resa conto della portata del duello appena tenutosi.
Sta quasi per distogliere lo sguardo quando carpisce un guizzo: solo una lieve increspatura delle labbra e una scintilla di compiacimento negli occhi sfuggono alla compostezza, lasciandogli intendere che la competenza della Contessa nel conquistare la vittoria su terreni tanto insidiosi non sia certo una novità per la piccola Rosalie.
Per la prima volta è lui a trovarsi a considerare tutte le colazioni, le cene, i ricevimenti in selezionatissimi salotti, cui la giovane è stata diligentemente accompagnata in quegli anni, alla stregua delle interminabili sessioni di allenamento impartite dal Generale a Oscar, le serate chiuse nelle stanze della Contessa a perfezionare l’arte della conversazione come lezioni di strategia militare. Con una disciplina che nulla ha da invidiare a quella del Marito, e la stessa dedizione riservata in passato alle sorelle di Oscar, la Contessa ha preparato la sua giovane protetta per un campo di battaglia forse meno evidentemente cruento, ma certo non meno irto d’insidie per la reputazione e il successo di una fanciulla. Un po’ lo fa sorridere il pensiero di quanto maldestra si sia dimostrata la sua sempre elegantissima Oscar in quella circostanza, ma la spensieratezza non fa in tempo ad arrivare alle labbra, spazzata via da un fiotto di malinconica amarezza.
“Perdonate,” riprende la Frontenac, evidentemente non intenzionata ad abbandonare comunque il campo “sbaglio o un attimo fa era Madame Elisabeth a farvi l’onore della sua compagnia?”
“Affatto. La Principessa è stata così generosa da venirci a salutare ed intrattenersi con noi per un’amabile conversazione. Un’esperienza deliziosa, vero Rosalie, mia cara?”
“Davvero, zia, e sicuramente un grande onore. Ma più ancora, la Principessa è così dolce e gentile che non si può fare a meno di amarla al primo sguardo.”
Il portamento fiero ma aggraziato, un sorriso appena accennato, lo sguardo diretto abbastanza da accompagnare degnamente le prevedibili parole, ma non tanto da risultare sfrontato, solo per poi tornare ad abbassarsi timidamente. A decoro del tutto affiora anche un lieve rossore, la perfezione che ci si attende da una signorina bene educata. È innegabile che Rosalie abbia fatto enormi progressi dalla sua ultima visita a Corte, tanto da non apparire quasi come la stessa persona.
“Madame! Le nostre comuni amiche a Parigi ci avevano già decantato le grazie e i talenti di vostra nipote, ma devo dire che le parole non bastano a renderle giustizia. È veramente adorabile, vi devo fare i miei complimenti.”
“Così graziosa e bene educata, e con tanto garbo e misura nelle parole. Ma come potrebbe essere altrimenti con una Maestra come Voi.”
“Mi riconoscete meriti non miei, Signore. Le lodi vanno tutte e solo a Rosalie.”
“Zia cara, siete sempre troppo buona con me.” di nuovo un umile sorriso e un adeguatissimo pudore a imporporare le gote.
“Davvero deliziosa…” cinguetta Madame de Frontenac “… e dite, piccola cara[xlviii], siete felice dell’occasione di presenziare a Corte?”
“è un onore e una gioia che non so descrivere a parole, più che un dovere, tanto più in occasione una così fausta circostanza.” declama sotto lo sguardo vigile e compiaciuto di Madame.
“Dite bene, cara, è la più grande gioia per tutti noi che il futuro della Francia sia stato finalmente benedetto dalla nascita del Delfino,” anche Madame de Fiesque si adegua, dando il suo contributo alla sequela di frasi di circostanza, ma ancora con qualche intento bellicoso “… specialmente dopo una così lunga attesa!”
“Non è in nostro potere affrettare ciò che dipende solo da Dio.” interviene Madame, non intenzionata a lasciare spazio a ben note malignità “La Francia è stata benedetta dalla nascita del Delfino e noi possiamo solo gioirne.”
“Com’è naturale.” la asseconda la Frontenac, stranamente arrendevole dopo un simile rimbrotto “Noi tutti ne siamo sommamente lieti e siamo qui oggi per rendere il dovuto omaggio al Delfino e al Re.” una brevissima pausa, che riesce solo a rendere più evidente l’assente tra i destinatari di tanta devozione, ma subito continua con più leggerezza “…anche se credo la nostra grande gioia sia ben poca cosa a confronto di quella che deve colmare il cuore di Madame Elisabeth. Sbaglio forse, Madame?” Sorride invitante, come a voler condurre la Contessa su un terreno apparentemente più confortevole per tutte.
“Non sbagliate affatto. Credo di non averla mai vista più felice, neanche in occasione della nascita di Madame Royale, che pure è tanto cara al suo cuore. Si è infatti trattenuta solo per poco, per tornare in tutta fretta a mettersi a disposizione del Delfino e di sua Madre, la Regina.” contraccambia il sorriso.
“Certo, non potrebbe essere altrimenti…” ossequiosa “anche se…” s’interrompe bruscamente, come se un pensiero la cogliesse alla sprovvista.
“Cosa, amica cara?” pronta la sua spalla.
“Oh, nulla d’importante, davvero…” minimizza “… se non fosse assurdo anche solo pensarlo, si potrebbe trovate curioso che Madame si sia allontanata in tutta fretta proprio nel momento in cui è arrivata la Duchessa di Polignac.” con tutta la pretesa innocenza di cui è capace.
“Una semplice coincidenza.” taglia cortesemente corto Madame.
“Naturalmente sarà così. Notavo solo quanto sia singolare che il caso sembri sempre condurre la Principessa il più lontano possibile da questa Signora. È quasi impossibile incontrarle nel medesimo luogo… si potrebbe tranquillamente supporre siano anni che Madame Elisabeth non trova occasione di rivolgerle un cenno di saluto. Non lo trovate sorprendente?” ma il suo tono insinuante lascia intendere tutto tranne la sorpresa.
“Oh, mie care Signore…” replica divertita la Contessa, cogliendola alla sprovvista “se così fosse, cosa mai si potrebbe dire di noi?”
“Di noi?” le fa eco la Fiesque, incauta.
“Certo! Nonostante frequentiamo abitualmente la buona società di Parigi, sono anni che non abbiamo occasione d’incontrarci e rivolgerci un saluto. Suggerite, dunque, che si dovrebbe supporre ci sia stata dell’intenzione nell’evitarci? Che solo le circostanze ci abbiamo costrette qui oggi a rivolgerci la parola, nostro malgrado?” ostentando la finzione di un’espressione corrucciata.
“Ma… Madame, cosa dite… certo che no!” con un diletto degno del palco de La Comedie Francaise.
“Chi mai potrebbe credere a una cosa simile?!” stupore da Operà.
Corrono ai ripari entrambe, arricchendo l’interpretazione di una risatina arginata da un vezzoso gesto della mano, appena troppo affettato.
“Certo nessuno.” le rassicura la Contessa “…ma come ben sapete, è sempre meglio essere cauti nel dare voce alle supposizioni. C’è sempre il rischio che labbra meno nobili e con minor giudizio ne facciano odiosi pettegolezzi.”
“Per carità, non sia mai!”
“Dio non voglia!” la Frontenac con una venatura di sdegno, neanche l’insinuazione fosse stata avanzata da qualcun altro “Non possiamo che concordare con Voi. Si tratta ovviamente di una casualità, imputabile al fatto che la Principessa è semplicemente troppo riservata e giudiziosa per intrattenersi in frivolezze tanto popolari tra altre signore qui a Corte. Il fatto può apparire curioso a un osservatore superficiale, ma non certo a chi, come noi, conosce bene i suoi meriti e la sua devozione alla Famiglia.”
“Dite bene.” si limita a chiosare la Contessa, ma Madame de Fiesque non sembra necessitare di ulteriori spunti per insistere.
“Tanto devota da rifiutare l’occasione di diventare Imperatrice[xlix]… certo una disposizione d’animo più unica che rara!” butta lì e incrocia lo sguardo di Madame de Jarjayes, che ricambia impassibile senza proferire verbo “Madame Cotilde non si è opposta a un’unione certo meno vantaggiosa e dubito che neanche le Mesdames, a loro tempo, avrebbero ardito declinare una simile proposta.”
“… ma noi non possiamo saperlo per certo.” interviene la Frontenac con maggior giudizio nell’interpretare l’ostinato silenzio di Madame Marguerite “Noi possiamo solo ammirare e prendere a esempio la modestia dimostrata dalla Principessa, la sua vocazione a sacrificarsi per rimanere al servizio della Famiglia Reale e di suo fratello, il Re” sorride conciliante, ma non riesce proprio a trattenersi dall’aggiungere “… tanto più considerando che c’è chi invece non si fa alcuno scrupolo pur di conquistare un titolo e un patrimonio.” e torna a bersagliare il centro della sala, traboccante di supponente sdegno come la sua aristocratica compare.
Non particolarmente interessato al solito spettacolo offerto dalla Polignac e dalla sua corte, André approfitta dell’intervallo e della posizione defilata per soffermarsi a osservare Madame Marguerite che si guarda intorno con pretesa indifferenza. Le membra flessuose e il volto disteso, occhi come un cielo terso e quelle labbra appena arcuate nell’idea di un delicato sorriso, Madame ha sempre avuto il dono d’infondere calma al primo sguardo. Senza alcun apparente sforzo, riesce a trasmettere la rassicurante sensazione che non possa accadere nulla di tanto grave da scomporre o anche solo sfiorare tanta amabile eleganza, al riparo della quale parrebbe aver trovato quel riparo, in cui Oscar cerca inutilmente di rifugiarsi, arroccandosi nella pretesa del suo algido distacco.
Sicuro dell’invisibilità concessa a un umile attendente, lascia correre lo sguardo fino alle mani adagiate tra le morbide pieghe dell’abito, lievi e appena conserte come in preghiera per custodire il prezioso ventaglio.
“Nessun ritegno, neanche a sacrificare l’innocenza del proprio stesso sangue!” stride insistente la Fiesque e le stecche d’avorio scricchiolano nella stretta improvvisa di quelle dita lunghe e nervose, dita da pianista, le stesse di Oscar.
André deve mordersi le labbra per dissimulare il piacere di una simile sorpresa. Solleva veloce lo sguardo, ansioso di cogliere qualche altro dettaglio sfuggito a quel capolavoro di compostezza, ma niente nell’espressione o nel contegno di Madame tradisce la stessa irritazione, nessuna di quelle minuzie, invisibili a chiunque altro, che però sfuggono ogni volta al marziale controllo della figlia. La linea del lungo collo, la curva delicata della mascella e il rilievo lieve delle narici non tradiscono la stessa tensione, benché ritrovi in ogni tratto la sua Oscar, perché nessuna delle figlie della Contessa ha ereditato la bellezza e la grazia della Madre con più generosità di quella destinata dal Padre a diventare il suo erede. Si è sempre chiesto come sia possibile che nessuno, a parte lui, sembri rendersene conto, come se un’uniforme potesse bastare a non riconoscere una goccia della stessa acqua. Lo stesso mare, che si agita tempestoso in Oscar, è fluido e luminoso in Madame Marguerite, tanto placido e calmo da far naufragare inesorabilmente ogni volta persino l’indomabile irruenza del Generale.
“Ma guardate, le bambole della regina[l] oggi sembrano scintillare di delizia!” l’ennesimo strale diretto questa volta alle fanciulle, poco più che due bambine, che scortano la Duchessa di Polignac, attirando non meno attenzione e non solo per la ricercatezza dei loro abiti o la ricchezza dei loro gioielli “Curioso… sembrano non provare poi tanta nostalgia dei diletti privati del loro piccolo castello dei balocchi[li], ora che gli è precluso.”
“La gioventù è volubile, ma sappiamo bene chi certo non si starà risparmiando per intrattenerle. Monsieur[lii] è ben esperto in questo genere di divertimenti.” la mano della Frontenac si solleva a velare un sorrisetto maligno, sicuramente più per vezzo che per pudore.
“Monsieur però non è qui…” obietta la Fiesque.
“Oh, certo non sarà lontano. Monsieur de Polastron è stato provvidenzialmente trattenuto a Parigi per impegni inderogabili.”
“Certo il Visconte sa bene[liii] come amministrare i propri beni a suo vantaggio.”
“Il sangue non è acqua...” la mezza occhiata della Frontenac sembra voler sfidare apertamente Madame a fermare quel fuoco di fila, senza però sortire alcun effetto “… anche se solo per metà[liv]. Si può dire lo stesso della sua giovane Signora, un simile talento non si può improvvisare e lei mette a buon frutto la sua eredità[lv]. Avete ammirato i rubini che indossa oggi Madame de Polastron?”
“Come non notarli, spiccano meravigliosamente sul candore del suo incarnato. La rendono ancor più pallida e languida.”
“Contribuiscono a far risaltare i risultati della sua dedizione ai salassi[lvi].” inevitabilmente acida “Con un simile regalo Monsieur[lvii] l’avrà voluta rimeritare per ogni stilla di sangue versata per compiacerlo, adora l’apparenza di tanta innocente voluttà.”
“Alla fine la civetteria ammantata di fragilità lo ha affascinato più del fresco fiore dell’innocenza.”
“Forse… certo anche la ragione lo avrà indotto a considerare che un giovane Duca non si sarebbe mostrato accomodante quanto un Visconte[lviii] nel cedere ad altri l’innocenza del proprio fiore.”
André corre istintivamente con lo sguardo a Rosalie. Nonostante la sua età ed esperienza a Corte, lui stesso fatica a nascondere l’insofferenza per simili discorsi, ma su quel volto non è comparsa neanche l’ombra di un lieve rossore. Quasi fosse plasmata nella porcellana, con lo stesso immutabile timido sorriso, Rosalie si guarda svagatamente intorno come se quelle sudice parole per lei non avessero alcun significato. Sarebbe disposto a credere all’illusione, se si trattasse di una delle giovani aristocratiche allevate in convento per essere consegnate illibate ed ignare al marito, ma sa fin troppo bene che una ragazza cresciuta in miseria per le strade di Parigi non può non comprendere di quale commercio stiano parlando. Vorrebbe dire qualcosa, farle smettere, ma non c’è niente che possa fare.
“Perdonate, Signore,…” fortunatamente è Madame a intervenire “ sono desolata, ma ora proprio ci vediamo costrette ad abbandonarvi.”
“Madame, ve ne preghiamo, concedeteci ancora per un poco il piacere della vostra compagnia.” la invita la Frontenac, ma qualcosa nel tono rende evidente che sono solo parole.
“Non sapete quanto mi farebbe piacere…” altre vuote parole “… ma la nostra carrozza è pronta e proprio non ci possiamo trattenere oltre.” sorride cortese all’espressione un po’ piccata delle altre due, limitandosi a sollevare graziosamente la mano a indicare vagamente qualcosa all’altro lato del salone “Stanno già venendoci a chiamare.”
Anche ad André serve un attimo per riuscire a identificare, oltre la folla disordinata, l’elegante figura di Oscar, che, senza alcuna fretta, sta tornando da loro.
“Confidiamo di rincontrarci al più presto.” asserisce la Frontenac.
“Certo non mancherà occasione.” sorride rassicurante Madame.
“Avremo il piacere di rivedere anche voi, Mademoiselle de Laborde[lix].”
“Magari in occasione di qualche fausto annuncio, che certo non mancherà di arrivare.[lx]” aggiunge cinguettando la Fiesque.
Altri convenevoli, ossequiosi augurii, muti e vezzosi sorrisi, riverenze e inchini per adempiere alla cerimonia di commiato e subito si avviano per andare incontro a Oscar, lasciando le Mesdames a presidiare la loro postazione di vedetta tra una ninfa dorata e una grande finestra a cornice del panorama dei giardini imporporati dal tramonto. Avanzando tra il folto dei convenuti, al seguito di Madame e Rosalie, André ha come l’impressione di avvertire le loro occhiate maligne punzecchiargli la schiena.
“Madre…” s’inchina Oscar, fermandosi appena la raggiungono al centro della sala “la carrozza non è ancora pronta, c’è molto traffico nel piazzale in questo momento. Appena disponibile ci avvertiranno, stavo giusto venendo ad informarvi, non era necessario che vi affrettaste.”
“Grazie, Oscar, per la tua premura,” sorride garbata come sempre, ma c’è una dolcezza ben diversa nello sguardo che rivolge alla figlia “… non fartene un cruccio, avevamo concluso la nostra conversazione con le Signore.” si gira appena e flette il capo in cenno di saluto, certa com’è di ritrovarle allo stesso posto con lo sguardo ancora fisso su di loro “Non è vero, Rosalie?”
“Sì, Zia.” imitandola graziosamente nel ricambiare il saluto in lontananza, una piccola pausa e aggiunge “Certo è un vero peccato.”.
“Cosa, cara?” aggrottando impercettibilmente le sopracciglia.
“Che dopo questa fortunata circostanza, non avremo più occasione di godere del piacere della loro compagnia per molto tempo.” sospira, come rassegnata all’ineluttabilità degli eventi.
Ad André sembra di cogliere un impeto di divertita malizia nella fugace contrazione della bocca di Madame, ma è tanto veloce da farlo persino dubitare di averla vista veramente.
“Ah,” sospira “credo tu abbia ragione, mia cara, non le rivedremo per molto tempo, forse per anni.” si fa seria “Sono così poche le cose in nostro potere e non possiamo che assoggettarci ai capricci della sorte.” conclude solenne.
Questa volta è certo di aver carpito quel mezzo sorriso, anche se elegantemente nascosto dietro le falde del ventaglio. Non potrebbe addurre alcuna prova, ma sarebbe disposto a scommettere la sua anima immortale che i capricci della sorte abbiano avuto ben poco a che fare con la mancata frequentazione della Fiesque e della Frontenac negli ultimi sette anni, o che, nel caso, la sorte abbia avuto la creanza di attenersi puntualmente ai desideri della Contessa.
Per un lunghissimo istante Madame rimane in silenzio, lasciando scivolare lo sguardo sul panorama offerto dalla sala tutto intorno, via via più pensierosa.
“È curioso…” osserva a mezza voce, quasi tra sé e sé, poi sorridendo scrolla appena il capo “…è curioso come qualcosa di tanto familiare possa all’improvviso apparire estraneo, pur rimanendo esattamente lo stesso…”
“Madre...” perplessa.
“Oh, perdonami, Oscar. Non dare troppo peso alle mie parole.” rassicurante “È troppo tempo che non frequento la Corte ed è stata una lunga giornata, deve essere la stanchezza a farmi dire cose senza senso.”
“Non…” s’intromette Rosalie, arrossendo vistosamente, questa volta, di fronte ai loro sguardi sorpresi. Deve schiarirsi la voce per racimolare coraggio e riprendere “Io credo… credo di capire cosa intendete, Zia.”
“Dici davvero, cara?” la incoraggia.
“È come… credo sia come quando si osserva un grande quadro: può affascinarci da lontano, senza sapere il perché, ma è necessario avvicinarsi molto per capire come sia fatto, per riconoscere le pennellate, perderci nello studiarne i dettagli. Per avere la visione d’insieme, però, occorre allontanarsi di nuovo, e può capitare che non ci piaccia più quanto la prima volta, perché oramai ne conosciamo i pregi, ma anche tutti i difetti.” conclude eloquente, solo per poi arrossire di nuovo e balbettare “O almeno… almeno credo.”
“Rosalie!” esclama Madame, facendola sobbalzare “Piccola cara, davvero mi lasci senza parole…” ma non è certo un rimprovero quello che intende rivolgerle. È ammirazione, forse anche orgoglio, a illuminarle il viso mentre la fissa come se la vedesse veramente per la prima volta “… non avrei saputo esprimermi in modo più appropriato!”
L’apprezzamento non sembra però bastare a farle riprendere coraggio e Madame deve allungare la mano per sollevarle delicatamente il mento.
“Ecco, così…” riuscendo finalmente a catturare i suoi occhi “mai abbassare lo sguardo e tradire incertezze.” quasi sottovoce, poi riprendendo il tono consueto “Dico bene, Oscar?”
“Benissimo, Madre, come sempre.”
C’è una complicità singolare nello sguardo che si scambiano al di là delle parole.
“La nostra Rosalie è diventata una vera Signorina, impeccabile nei modi e nella conversazione, tanto da figurare al meglio anche qui a Corte.”
“Era ciò in cui confidavo, Madre, e di cui non ho mai dubitato in questi anni.”
“Io… io…” di nuovo quel sincero imbarazzo che le fa abbassare lo sguardo.
“Ah ah, Rosalie… ” un tenero rimbrotto, che la costringe a mantenere il giusto contegno “la modestia è sempre una virtù, mentre l’incertezza… è un peccato mortale!” ammicca “Ho ragione, André?”
“Assolutamente, Madame, specialmente qui a Corte…” e, sentendosi forse un po’ troppo coraggioso, continua con fare cospiratorio “… la fiutano, come fiere la preda.”
“André!” esclama Oscar, per niente divertita.
“Oh, che impudente!” lo ammonisce scherzosamente la Contessa puntandogli contro il ventaglio, mentre Rosalie solleva graziosa una mano per nascondere una risatina.
È un momento d’intimità singolare, tanto più in quel luogo, ma troppo esposto perché subito qualcuno non arrivi a interromperlo.
“Madame de Jarjayes, mi concedete l’onore di porgervi i miei omaggi?”
“Monsieur, è mio l’onore.” replica all’inchino con una riverenza ancor più profonda.
“Comandante… Mademoiselle…” impeccabile il giovane Duca nel premurarsi di rivolgere un cenno di saluto a chiunque meriti la sua attenzione.
Antoine VIII Louis-Marie di Gramont, Duca de Guiche[lxi], si destreggia a corte con la disinvoltura che ci si attende da un Pari di Francia. Indiscutibilmente bello, ha il dono di affascinare tanto le donne quanto gli uomini, forse per un che di impalpabilmente femmineo, anche se non ci si può certo ingannare sul suo sesso. Alto ed elegante, ispira naturalmente rispetto, anche se la deferenza che gli viene tributata è imputabile, più che al portamento, al titolo, concessogli in uso dal Re da appena un paio d’anni, che pone un giovane uomo della stesa età di André ai vertici della gerarchia sociale, dentro e fuori da quella sala. Certo i gradi sulla giubba grigio argento della sua uniforme sono solo quelli di un Colonnello in seconda del Reggimento di fanteria della Regina, ma nessuno dubita che ben presto gli verrà concesso di elevarsi anche nella carriera militare, recuperando il divario che ancora, come ufficiale, lo sottometterebbe a Oscar per aver cominciato la sua carriera due anni più tardi e per non aver beneficiato delle particolari simpatie di Maria Antonietta.
“Mi spiace interrompere quella che appare come una gradevolissima conversazione, ma desideravo approfittare della tanto rara quanto fortunata occasione di trovarvi a Corte per presentarvi finalmente mia Moglie, Charlotte Louise Françoise Gabrielle Gramont, Duchessa de Guiche.” Si china leggermente, porgendo il braccio e la mano aperta alla graziosa dama al suo fianco, che avanza di un passo.
“Madame, sono veramente felice di rivedervi a Corte.” per prima la Duchessa, che poco più di un anno fa avrebbe dovuto attendere di essere interpellata per rivolgere la parola alla Contessa de Jarjayes.
“Madame, è un piacere e un onore.” Madame Marguerite replica, affondando in una profondissima riverenza.
I grandi occhi, così simili a quelli della madre, come due viole umide[lxii], sono sempre gli stessi, l’incarnato luminoso e roseo ha ancora tutta la freschezza dell’infanzia, mentre l’altezza e la figura flessuosa sono quelle di chi si appresta a fiorire in una giovane donna. Il seno in boccio affiora dalla profonda scollatura, l’avorio cangiante della seta fascia la vita sottile per poi schiudersi in un’opulenta corolla, che si allarga fino a terra. La giovane Duchessa de Guiche risplende nella sala come i fiori di diamanti che le adornano i capelli e il lungo collo, offuscando l’immagine della piccola Charlotte come un diamante può offuscare il fuoco: il diamante, per quanto luminoso, è semplice riflesso, mentre il fuoco era vivo[lxiii].
“Ci è molto dispiaciuto che non abbiate potuto presenziare alle nostre nozze qui a Versailles.”
“È stato un grande dispiacere anche per me non poter prendere parte alla vostra felicità. Purtroppo la salute, come sapete, me lo ha impedito.”
Annuisce solennemente, quella che non è più la piccola Charlotte.
La Contessa de Jarjayes è certo una delle poche, se non la sola componente dell’aristocrazia francese ammessa a Corte, con l’eccezione di infanti, infermi e impegnati in territorio di guerra, a non aver partecipato alle grandiose nozze dell’estremamente ambito Duca de Guiche con la figlia dell’amica prediletta di sua Maestà la Regina. In virtù di tale legame, la celebrazione si era tenuta in via del tutto eccezionale a Versailles, con una solennità e uno sfarzo degni di un matrimonio regale, ufficializzando, oltre al legame tra due antiche linee di sangue, l’apice dell’ascesa di Madame de Polignac.
“Mi è stato riportato che si sia trattato di una cerimonia e una celebrazione magnifica, e che anche la vostra presentazione a Corte non sia stata certo da meno.”
“Oh, davvero! È stata un’esperienza che non potrò mai dimenticare.” cinguetta Madame de Guiche compiaciuta e vezzosa “E siete anche venuta a sapere che la Regina per l’occasione ha concesso a Maman, Madame de Polignac e a me l’immenso onore di essere ospitate nel suo padiglione al Petiti Trianon?” tradendo l’eccesso di entusiasmo di una bambina eccitata per il dono di una meravigliosa casa delle bambole.
“Grazie all’amicizia e alla generosità della nostra Sovrana, il debutto della mia adorabile Signora è stato un successo senza eguali.” interviene il giovane Duca, gonfio di orgoglio “Credo di poter tranquillamente affermare di essere il più fortunato degli uomini e uno più invidiati del regno per il dono di possedere un simile gioiello.” chinandosi per sfiorare con le labbra la piccola candida mano della sua moglie bambina.
“Non posso che cogliere l’occasione per augurarvi ogni felicità.”
“Vi ringraziamo, Madame, e siamo felici di rivedervi finalmente in salute.”
“Certo non potevo mancare di rendere omaggio ai sovrani in occasione della nascita del Delfino.”
“Certo che no.” conviene Monsieur “Come tutti noi, d’altra parte.”
“Speriamo dunque che in futuro per un battesimo ci vorrete fare l’onore della vostra presenza. Certo se sarà un maschio, si terrà a Versailles!” Madame de Guiche, una bambina eccitata all’idea di una nuova grandiosa festa.
“Madame, voi…” stenta la Contessa, sforzandosi di dissimulare un certo disagio nella sorpresa.
“Oh, non ancora, ma sono certa presto. Non può essere altrimenti!” con l’adamantina sicurezza che solo la mancanza di esperienza può instillare.
“Oh, mia cara, forse…” cerca di trattenerla il giovane marito.
“Madame, vi auguro di tutto cuore di realizzare ogni vostro desiderio.” ma c’è un che di malinconico nella voce e soprattutto nello sguardo di Madame de Jarjayes.
“Vi ringrazio.” sorride di delizia “Confido ci sarà occasione di rivederci al più presto, Madame, e anche voi, Mademoiselle…” punta oltre la spalla destra della Contessa dritto su Rosalie, rimasta finora debitamente silenziosa e in disparte. Madame de Guiche aggrotta appena la fronte, come nel tentativo di richiamare qualcosa che le sfugge, ma certo il suo talento di attrice non eguaglia quello nell’essere graziosa ed evanescente “Madamoiselle de… Laborde, se non sbaglio…”
“Madame,…” Rosalie affonda a sua volta in una riverenza impeccabile “… ricordate perfettamente.” e solleva lo sguardo per guardarla dritta negli occhi, ma non c’è astio né sfida.
“Conoscete mia nipote, Madame?” interviene pretendendo ignoranza la Contessa, che ben conosce i loro trascorsi.
Annuisce solennemente, quella che un tempo era la piccola Charlotte de Polignac, prima di continuare altera “Mio caro, permettimi di presentarti, Mademoiselle Rosalie de Laborde, nipote e protetta di Madame de Jarjayes.”
“Mademoiselle, è un piacere fare la vostra conoscenza.”
“Monsieur, è un onore.” composta e appropriata.
“Io e Mademoiselle de Laborde, ci siamo conosciute qualche anno fa…” ancora come fingendo di riafferrare un ricordo lontano, poi all’improvviso si porta la mano alle labbra e sorride vezzosa al marito “… oh, mi pare di rammentare che finimmo col bisticciare dando spettacolo in pubblico. Pensate!”
Il Duca pare compiacersi del diletto della sua bambina “Dite davvero? Non vi credo!” asseconda il gioco.
“Purtroppo mi vedo costretta a confermare questo fatto increscioso.” misurata Rosalie “Colgo l’occasione per scusarmi, non avrei dovuto mostrare tanto poco giudizio.” seria.
“Oh, non c’è ragione di scusarsene, Mademoiselle,” garrula, la giovane Duchessa “e non fatevene certo un cruccio. In fondo allora eravamo solo due bambine” si potrebbe certo dire che almeno una lo sia ancora “E io oramai sono una donna sposata!”
Rosalie la fissa per un attimo con quelle due identiche viole umide prima di rispondere “Madame, vi ringrazio per la comprensione.” con il garbato distacco che si riserva a una sconosciuta.
“Perdonate… Madame de Jarjayes…” li coglie alla sprovvista come se sbucasse dal nulla un lacchè racchiuso nella livrea bianca, rossa e blu di corte “… la vostra carrozza vi attende.”
 
Oscar alla destra della Madre, Rosalie appena arretrata di un passo e André di scorta seguono in un silenzio composto la loro guida oltre le anticamere e giù per la scala, fino alla terza vetrata della galleria sud, che si affaccia sulla Court Royale nel punto esatto in cui si è fermata la carrozza recante lo stemma dei de Jarjayes. Oltre il vetro Joseph, il cocchiere, strettamente avvolto nel suo mantello e con il tricorno ben calcato in testa, sta facendo un ultimo controllo ai finimenti dei cavalli prima di montare in cassetta, mentre Jules, l’ultimo giovanissimo lacchè assunto a Palazzo, sistema le coperte e aggiunge qualche carbone al piccolo braciere all’interno della cabina. Il cielo non è ancora scuro, ma il sole è ormai scomparso, conferendo all’orizzonte il colore del peltro e irrigidendo l’aria, che si addensa in piccole candide nubi alle froge dei cavalli. Clodine li attende all’interno, accanto all’uscita, armata di guanti, mantelli e manicotti bordati di pelliccia, ordinatamente sistemati su un piccolo tavolo.
“Buonasera, Contessa…” s’inchina prontamente andando incontro alla padrona “se mi consentite di assistervi…”
“Grazie, Clodine.” Madame, apre leggermente le braccia e solleva il mento per facilitarle il compito.
Costretta dall’attesa, Oscar finalmente sembra trovare il coraggio di parlare.
“Rosalie…” le si accosta.
“Si? Ditemi, Madamigella” voltandosi come in attesa di ordini.
“Come… come ti senti?” incerta su un argomento poco confortevole.
“Benissimo!” un po’ sorpresa, come se non capisse il senso della domanda “Forse anche io un po’ stanca dopo una giornata così lunga, ma niente che un po’ di riposo non possa risolvere.” sorride, come se veramente fosse una giornata come tante altre.
Oscar sembra spiazzata e per un attimo la osserva, prima di proseguire “Bene…” inspira profondamente, portando le mani dietro la schiena e André non riesce a evitare di pensare quanto quel gesto gli ricordi il Generale “… devo farti i miei sinceri complimenti, sono veramente orgogliosa dei tuoi risultati e di come ti sei comportata oggi, soprattutto viste le circostanze. Non posso nascondere che sia esattamente quello in cui speravo quando sei arrivata a Palazzo, che con la maturità un giorno avresti capito che non ha senso…”
“Vi riferite forse alla Cont… no, scusate, alla Duchessa di Polignac?... Magari a Charlotte?...” la interrompe come mai era accaduto prima, ma non c’è astio, né tensione, né risentimento nella sua voce. Non c’è nulla esattamente come nel suo sguardo, mentre la fissa senza esitazione.
“Beh… sì… ora che sai chi sia…” cerca di riprendere, ma subito la interrompe nuovamente.
“Ve l’ho già detto, Madamigella. Ve l’ho detto quella notte, Madame de Polignac e Charlotte non sono nessuno per me.” la stessa intonazione, lo stesso sguardo impassibile di quella notte.
L’avevano cercata a lungo, quella notte. Dopo essersi resi conto che non era tornata, avevano percorso in lungo e in largo a cavallo le strade e i sentieri intorno a Palazzo, allontanandosi sempre di più. Poi, chissà come l’avevano trovata. Lungo la strada che conduce alla reggia avevano sentito un grido e poi lamenti, suppliche, una voce di donna. L’avevano trovata così, oltre la boscaglia in mezzo a una radura illuminata solo dalle stelle e dalla flebile luce delle lanterne montate sulla carrozza dei Polignac. Il cocchiere era svenuto cadendo da cassetta, probabilmente quando i cavalli avevano trascinato la carrozza fuori strada. Madame era in ginocchio in mezzo all’erba alta, in lacrime chiedeva pietà al più esile dei briganti, che con il volto coperto da un fazzoletto sembrava tentennare nell’abbattere sulla sua vittima la spada che teneva sguainata sopra la testa.
“Rosalie!” aveva gridato Oscar riuscendo a spazzare via l’ultimo scampolo di rabbia e lasciando in lei solo la paura e la disperazione che trasparivano dallo sguardo smarrito con cui l’aveva fissata girandosi e lasciando cadere la spada.
“Madamigella, io…” aveva tentato, fermandosi subito per non lasciar traboccare le lacrime.
“Tu… sei tu…” era balzata in piedi la Contessa rianimata dall’ira e dal desiderio di vendetta “piccola pezzente, ma questa volta la pagherai… io ti farò…”
“Voi non farete proprio niente!” si era fatta avanti Oscar, balzando giù da cavallo “Avete forse cambiato idea? Avete finalmente deciso di far sapere a sua Maestà che razza di donna siete? Che avete lasciato morire una donna per strada dopo averla investita con la vostra carrozza? È questo che volete?” tanto era bastato per frenare la rabbia della Contessa e farla arretrare, ma Oscar non si era fermata. Dopo aver aiutato Rosalie a salire in groppa Cesar ed essere montata a sua volta, si era soffermata a fissarla dall’alto in basso prima di continuare “Volete che si sappia che avete ucciso la donna, cui quattordici anni fa affidaste la vostra figlia appena nata? La donna che si è sacrificata per allevarla come se fosse carne della sua carne?”
La Contessa aveva sbarrato gli occhi e per un attimo aveva smesso di respirare “Lei… tu… mia... Oh, mio Dio... Oh, mio Dioooo...” tutto quello che era riuscita a balbettare prima di accasciarsi a terra e scoppiare in lacrime “… mia figlia… la mia bambina…” continuava a ripetere tra i singhiozzi, soffocata da una rivelazione troppo gravosa e improvvisa per essere sopportabile, troppo evidente oramai per essere ignorata.
Oscar aveva condotto Caesar vicino alla carrozza e, indicandole qualcosa oltre il finestrino, le aveva detto “Vedi Rosalie? Quella ragazza addormentata è tua sorella, se tu non ti fossi fermata, ora anche lei starebbe piangendo la morte di sua madre.”
Rosalie non aveva risposto nulla, era rimasta immobile, come svuotata fissando la piccola Charlotte addormentata.
“Torniamo a casa, Andrè.” gli aveva detto, tirando le briglie per far voltare Caesar, e per la prima volta l’aveva visto, lo sguardo di Rosalie che da smarrito e vuoto, si faceva affilato e impenetrabile.
“Madamigella…” la voce limpida, ma atona.
“Dimmi, Rosalie.”
“Quella ragazza addormentata per me non è niente. Non sono cresciuta con lei. L’ho vista si e non un paio di volte. Non sarà mai mia sorella, così come la Contessa non sarà mai mia madre.”
Lo stesso sguardo di allora, le stesse parole e quel volto di porcellana, perfetto quanto impenetrabile, troppo perfetto per essere vero.
“Mademoiselle… permettete…” finito di sistemare il manicotto della Contessa, Clodine si avvicina con il mantello di Rosalie.
“Grazie, Clodine, ma posso fare da sola.” sorride, perfetta e garbata, infilandosi in tutta fretta i piccoli guanti e il ricco mantello bordato di volpe, portole dalla cameriera, prima di aiutarla a far salire Madame in carrozza e sistemarle bene addosso la coperta.
“Sali pure, Clodine, aiuto io Mademoiselle Rosalie.” si fa avanti Oscar, sfidando il freddo pungente della sera, e André la segue per reggere lo sportello.
Le stringe la mano per aiutarla a salire, la fissa negli occhi e lei, tra le nuvole di fiato che si fanno più dense, non si sottrae, quasi in segno di sfida, quasi dovesse dimostrare qualcosa, anche se non si sa a chi.
È oramai dentro la cabina, al riparo nel calore confortante di quel piccolo guscio, ma ancora non la lascia ed è in quel momento che accade. Una prima scalfittura, prima solo un tremito del labbro, appena percettibile in quel volto di porcellana, poi è una lieve smorfia, solo un altro istante e va in frantumi. Sono calde lacrime quelle che le solcano le guance, mentre si abbandona singhiozzando tra le braccia di Madame.
“Nessuno... non sono nessuno…” continua a ripetere, a ripetersi.
“No, piccola mia… non fare così, non qui…” cerca di consolarla Madame, stringendosela al petto, mentre lancia alla figlia uno sguardo che non ha bisogno di parole per rassicurarla che andrà tutto bene, che ora se ne occuperà lei.
Appena André ha chiuso e assicurato lo sportello, Oscar ordina al cocchiere “A Palazzo, in fretta!”
Rimangono fianco a fianco a sfidare il gelo e fissare la carrozza, che si allontana in fretta nella luce color del piombo che sta per farsi notte.
“Doveva succedere, Oscar.” si arrischia lui a parlare per primo, ricevendo in cambio solo una fugace occhiata “Non importa quanto si sia abituati o bravi a fingere… non si può sempre fingere che vada tutto bene…” senza cogliere alcuna reazione, se non un lieve tremito, probabilmente dovuto al freddo penetrante “… non si può sempre fingere di non provare sentimenti, per quanto non desidereremmo provarli.”
“André…”
“Dimmi, Oscar…”
“Fai preparare i cavalli, andiamo a Parigi… ho voglia di bere.”
“Come desideri, Oscar.”


[i] L’ufficio di Oscar a Versailles, da me totalmente inventato per questa storia, ha fatto la sua comparsa nell’anello 3, immaginato come una stanza annessa al Salone delle Guardie che realmente si trova al piano della Regina nell’ala sud. La cosa è inventata perché in realtà le aree destinate agli ufficiali erano al di fuori del palazzo, in edifici appositamente destinati (http://www.handelforever.com/VersaillesSuprema/quartieri/versaillespercorsosaintlouis.htm) e le due sale delle guardie, per il Re e per la Regina ospitavano solo la guardia di turno. Detto ciò, la stanza aggiunta è funzionale alla narrazione, per cui è immaginata sul fondo della sala con un grande finestra rivolta a est dietro la scrivania, che di conseguenza da sulla piazza d’armi antistante alla Reggia, avendo a dx l’accesso laterale ai giardini.
[ii] Ho trovato un fantastico sito con le mappe storiche, tra cui una del 1789 della Reggia e di Parigi (http://www.lib.utexas.edu/maps/france.html). Le Avenue che partono dalla Place d’Armes non hanno cambiato nome da allora, a differenza di altre.
[iii] Non è un gran segreto che entrambi i fratelli minori di Luigi XVI avessero ambizione di regnare, a dispetta del legittimo erede, che si è sempre sentito l’usurpatore del posto del fratello maggiore di 3 anni, il Duca di Borgogna, morto all’età di 10 anni. La lunga sterilità di Maria Antonietta era tornata ad animare in entrambi la speranza di poter un giorno ascendere al trono. Il più fatuo Conte di Artois, nonostante, le sue mire, non mancava di intrattenersi partecipando a tutti i divertimenti offerti dalla compagnia dell’irrequieta cognata, sia per temperamento, sia perché forse è rassicurato dalla sterilità di entrambi i fratelli maggiori. Il Conte di Provenza invece rimaneva in disparte, mostrandosi altezzosamente distaccato da certe intemperanze, ma certo non faceva segreto dei suoi desideri, tanto da esternare apertamente nella sua corrispondenza la delusione per la nascita dei nipoti.
[iv] A noi tre anni possono apparire un’inezia, ma all’epoca, visto il tasso di mortalità infantile, per garantire una discendenza la norma erano le gravidanze in serie, come per Maria Teresa d’Austria (che visti gli esiti del vaiolo tra la sua prole…) e come era stato per Maria Leszcynska, moglie di Luigi XV, che venne scelta di sette anni più vecchia di lui, perché si temeva che l’erede al trono quindicenne potesse morire senza discendenza. La regina polacca dal 27 (anno del matrimonio con il suo sposo quindicenne) al 37 partorì dieci figli (poi dopo due aborti in cui rischio di lasciarci anche le penne decise che il suo dovere lo aveva fatto ed estromise il Re dal suo letto) e nonostante ciò nessun figlio di Luigi XV arrivò a salire al trono.
[v] Louis Joseph Xavier Francois nasce a Versailles il 21 Ottobre 1781, primo figlio maschio di Luigi XVI e Maria Antonietta ed erede al trono. I festeggiamenti di rito infervorano tutto il paese, ma gli anni appena trascorsi, con l’abbandono della corte da parte della Regina e l’allontanamento del nobili da Versailles, a causa dello strapotere dei favoriti di Maria Antonietta ha pesantemente minato la popolarità della Regina stessa, tanto da minare anche l’effetto popolarità della nascita tanto attesa del Delfino di Francia.
[vi] Il castello di Bellevue, dimora delle figlie di Luigi XV, era diventato la ‘nuova corte’ per la vecchia aristocrazia esclusa dalla nuova società di Maria Antonietta, che non vedeva più lo scopo di trattenersi a vivere a Versailles.
[vii] Dopo la nascita di Maria Teresa e la partenza di Fersen, Maria Antonietta di isola ancora di più con la sua ‘nuova società’ di favoriti al Petiti Trianon. Senza una Regina che ne sostenga la forma, Versailles si spopola della sua corte. I nobili riconoscono ancora l’autorità del Re, ma non vedono più il senso di affrontare tutti i sacrifici che comporta risiedere a corte, vista l’impossibilità di venire riconosciuti e di accedere ai benefici, riservati ai favoriti di Maria Antonietta. Nascono di fatto due nuove ‘corti’ quella della vecchia aristocrazia al castelleo di Bellevue, abitato dalle Mesdames, e quella di Palais Royal a Parigi, sostenuta dal Duca d’Orleans e più vicina al mondo degli intellettuali sostenitori delle riforme. Anche se con visioni politiche diametralmente opposte, entrambi le ‘corti’ fanno la stessa cosa, ossia alimentano con voci e libelli l’avversione popolare verso Maria Antonietta, che certo i fratelli del Re, rimasti a Corte, ma sempre frustrati nelle loro pretese al trono, non cercano di dissipare.
[viii] Se non ve lo ricordate, come è lecito, Monsieur Douffort era il precettore di Oscar e poi anche di Andrè quando erano bambini. Ha fatto una fugace ma essenziale comparsata nel primo anello di questa lunga e lenta storia XD
[ix] Anche in questo caso, se non ve la ricordate, trovate la descrizione del calamaio e la sua storia nella prima parte dell’anello 4 (Venerdì 5 Maggio 1775).
[x] Genevieve, soprannominata Madame Poitrine (seno) fu la nutrice di Louis Joseph, che secondo alcuni è responsabile di avergli trasmesso la tubercolosi.
[xi] Portato in trionfo dagli spazzacamino; i portatori si presentarono con una portantina su cui i erano montate due bambole che rappresentavano il Delfino in braccio alla nutrice,; i macellai si presentarono con un bue gigantesco, i fabbri con un’incudine su cui battevano a ritmo di musica.
[xii] Mentre i sarti un’uniform in miniatura del suo futuro reggimento.
[xiii] Essendo il sovrano un collega dilettante, i meccanici portano una sorpresa speciale: un lucchetto complicatissimo a chiusura segreta, che, quando Luigi XVI grazie alla sua esperienza riesce ad aprirlo, fa saltare fuori un piccolo delfino forgiato in acciaio.
[xiv] Un gioiello e a forma di piuma da fissare sui capelli o sul cappello.
[xv] In realtà il cardinale di Rohan è una costante nella vita di Maria Antonietta, c’è al passaggio a Strasburgo, celebra la messa all’arrivo in Francia, c’è quando la delfina arriva a Corte, celebra il battesimo del Delfino… considerata la sua indole festaiola e la sua estrema generosità è piuttosto inspiegabile perché Maria Antonietta lo detestasse tanto… cioè in realtà una giustificazione c’è, per quanto poco sensata, ma ci torneremo tempo debito XD
[xvi] La nascita della principessa aveva sicuramente messo fine alla fase della sterilità, preoccupando non poco il Duca di Provenza, che di figli non ne aveva, ma si vedeva comunque come il secondo in successione, ma non aveva di fatto risolto il problema della linea di discendenza di Luigi XVI, lasciando al suddetto fratello ancora qualche speranza. Di fatto comunque quasi tutti all’inizio confidavano che una volta ‘saltato il fosso’ non ci sarebbero stati grossi problemi, e invece… una nuova gravidanza si era fatta attendere e Maria Teresa, che aveva ben chiara la criticità del problema della discendenza (e dal canto suo si era impegnata parecchio), aveva cominciato a insistere parecchio su questo punto nelle lettere che inviava quotidianamente alla figlia. “Abbiamo assolutamente bisogno di un Delfino” ripete come una litania, esortandola a non fare ‘lit a part’ e a non commettere imprudenze. Quando sono passati mesi senza una nuova gravidanza si infuria anche, visto che la figlia non riesce a mettere a frutto le notti coniugali “Il re di ritira di buon’ora e si alza presto, la regina fa il contrario. Come ci si può aspettare qualcosa di meglio?... a vedersi così di sfuggita, come si può sperare in un successo?” e poi ancora “Finora fui discreta… ” (ah si!?!?) “ma finirò per divenire importuna. Sarebbe un delitto non avere più bambini di questo sangue.” per aggiungere poi, tanto perché non vuole essere importuna XD “L’impazienza mi prende, alla mia età non si può più aspettare.” Eh, quando la mamma si incista su una cosa…
[xvii] Maria Antonietta prima della morte di Maria Teresa ha in realtà una seconda gravidanza, che però non fa a buon fine. Si parla di un incidente per un movimento brusco aprendo il finestrino di una carrozza.
[xviii] Dopo il parto il bambino viene immediatamente portato via per essere lavato e vestito, senza comunicare a nessuno il sesso, solo al Re quando gli viene riconsegnato, e lui lo annuncia alla madre e ai pochi presenti con questa formula rubata alla formalità del protocollo di corte ‘Monsiuer il Delfino chiede il permesso di entrare.’ Luigi XVI era innegabilmente troppo mite, passivo e poco brillante per la posizione che si trova a ricoprire, ma ogni tanto aveva delle uscite piuttosto brillanti.
[xix] Il parto pubblico di Madame Royal, è l’evento che conclude la parte 4 dell’anello 4 http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3073867
[xx] L’imperatrice Maria Teresa muore di polmonite un anno prima della nascinta di Louis Joseph. La sua morte colpisce tanto la figlia da farla riavvicinare al marito conlesito, poco fortuito, della successiva gravidanza.
[xxi] Filles de France è il titolo riservato ai figli del Re.
[xxii] Il concetto di garantire una discendenza era un dovere essenziale, preso molto sul serio praticamente da tutti, anche considerata la mortalità del tempo: Luigi XIV ebbe sette figli dalla regina e sette, di cui sei legittimati, dalla Montespan; persino suo fratello il Principe Filippo, che era gay e non era un segreto per nessuno, neanche per le sue due mogli, essendo in linea dinastica si prese la briga di produrre tre figli con la prima e tre con la seconda moglie; Maria Leszczyńska aveva 22 anni quando le fecero sposare in fretta e furia Luigi XV ancora quindicenne, perché vista la moria in famiglia temevano potesse morire prima di riprodursi, e in 12 anni mise al mondo 11 figli, poi solo dopo 2 aborti, in cui quasi ci lasciò le penne, decise che il suo dovere l’aveva fatto per cui non avrebbe più condiviso il letto con il marito; Maria Teresa D’Austria ebbe 17 figli.
[xxiii] Maria Antonietta non è cattiva, non è neanche ‘stronza e viziata’ come viene descritta a volte in certe ff, è solo tremendamente infantile, in ogni aspetto della sua vita: nel suo essere dolce ed affettuosa, come nell’essere capricciosa e volubile; nell’essere premurosa e morbosamente attaccata alle persone che ama, come nell’essere quasi crudele con chi crede di odiare; nel ribellarsi alle regole del protocollo si corte, essendo nello stesso tempo assolutamente irremovibile e acritica riguardo ad altre ‘regole’ che le sono state insegnate, quali ciò che le è dovuto per diritto di sangue e quello che ‘dovrebbe’ essere il ruolo di una regina. Per tanti, forse troppi versi è per quasi tutta la vita una bambina, per cui non c’è malizia, per quanto sia del tutto imperdonabile (come le fa brutalmente notare sua Madre redarguendola aspramente in una lettera… anche se forse avrebbe fatto meglio a insegnarle a discernere prima) il fatto che lei si riferisca in pubblico al marito re di Francia come a “quel pover’uomo”, o che al Petit Trianon lo tratti come un ospite, neanche particolarmente desiderato, cui viene dato un coprifuoco e di cui capita anche si faccia beffe (probabilmente sentendosi semplicemente spiritosa) con la cerchia dei suoi ‘amichetti’, spostando indietro le lancette degli orologi per farlo andare via prima e potersi ‘divertire’ (senza niente che implichi il sesso, perché dell’infanzia ritengo avesse anche la brutale sincerità, fino all’autolesionismo), come un’adolescente un po’ scema quando le lasciano la casa libera i genitori.
[xxiv] Fersen era tornato ad Agosto, che MA era già di 5 mesi, e parte poco più di 4 mesi dopo la nascita di Maria Teresa.
[xxv] Ricordo che l’idea di Fersen come amante della Regina è assolutamente moderna, ed è stata svelata sostanzialmente dalla pubblicazione di parte dell’epistolario del Conte, conservato gelosamente fino al secolo scorso dalla famiglia e poi malamente censurato.
[xxvi] La voce prende le mosse, oltre che dallo scontento generale per la cattiva gestione della corte e per la propensione di MA a farsi raggirare dagli approfittatori, per la concomitanza degli scontri dell’esercito austriaco al confine Belga, quando poi a Luigio ‘81 Giuseppe è in ‘tour’ per l’Europa (sempre travestito da Falkestein, una genia di aspiranti attori!!) e dopo aver visitato le truppe nel Belgio austriaco torna a fare visita alla sorella (e anche alla Dubarry a Louvencienne, che poi tanto odiosa non doveva essere visto che tutti continuano farle visita, come mai successo prima a una favorita ormai decaduta), le accuse prendono sostanzialmente piede. Le voci sono ovviamente false, perché come scrive Mercie, volendo molto sintetizzare i concetti, MA per tutto quello che può avere un’utilità non sa fare e comunque non ne ha voglia, per cui dal lato austriaco meglio che la dessero per persa come arma diplomatica da cui trarre vantaggi, che tanto meno faceva, meno danni rischiava di causare… in estremissima e brutalissima sintesi.
[xxvii] Etienne è un po’ barocco lo so, ma Girodelle è tanto alla moda quanto Ancient Regime… ed Etienne è il suo attendente, non quello che gli aveva rifilato il padre ;-)
[xxviii] Jacob ha fatto solo un breve ‘cameo’ che però dovrebbe aver reso l’idea ;-) nellanello 3 http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2735852
[xxix] devo averlo infilato altrove, ma vabbè… ;-) Il termine è greco e descrive una macchina automatica, nel XVIII secolo ne vengono progettate e realizzate diverse, e, sull’onda del pensiero illuminista diventano particolarmente popolari. Potremmo chiamarli robot (che però è un termine forgiato nel 1920), e sono macchine automatiche che svolgono un compito. Nel ‘700 in realtà niente di produttivamente utile, tendenzialmente sono oggetti stupefacenti frutto dell’ingegno e tecnica di orologeria, con un occhio alla bellezza e alla grazia (il cigno d’argento the pesca in un lago di cristallo https://www.youtube.com/watch?v=C7oSFNKIlaM&t=172s, il bambino che scrive https://www.youtube.com/watch?v=bY_wfKVjuJM , la dama che suona il cembalo https://www.youtube.com/watch?v=75CXFwgslsY , quella che suona l’armonium https://www.youtube.com/watch?v=WofWNcMHcl0 , il turco che gioca a scacchi https://www.youtube.com/watch?v=0DbJUTsUwZE ).
[xxx]Per la felicità dei francesi/per diffondere tramite il nostro cuore/felicità perfetta/conserva, o cielo protettore/i giorni di Antoinette” In realtà questo è un estratto da un’opera teatrale in onore de ‘L’augusta Principessa la cui bontà e le cui virtù hanno conquistato tutti i cuori’ e scritta per l’occasione da Collot d’Herbois, all’epoca attore a Lione, che poi firmerà la condanna a morte di Luigi XVI. In realtà sono poesie di Le Harve quelle che recitano per l’occasione le donne del mercato, le stesse che anni prima avevano schernito la regina con gli insulti più volgari (compaiono nella III parte del IV anello http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3066028), le stesse che poi marceranno su Versailles per linciarla, salvo poi inneggiare al suo nome di fronte all’inchino sul terrazzo si insomma, un rapporto che potremmo definire un po’ bipolare XD.
[xxxi] Già prima della nascita di Louis Joseph cominciano a circolare i primi libelli che insinuano dubbi sulla legittimità del nascituro. Dalla Corte di Bellevue? Da quella di Palais Royal? Dalla stessa Corte di Versailles (dove i fratelli di Luigi XVI erano già parecchio agguerriti)? Non ci è dato sapere ;-)
[xxxii] Nel ’81 ha 17 anni.
[xxxiii] In caso qualcuno non lo ricordasse, le sorelle de Jarjayes avevano orchestrato il ritir della madre dagli incarichi a corte, per allontanarla dalle grinfie della Polignac, approfittando di un malore e mettendo in giro la voce che il suo cuore debole non le consentiva più di rimanere come dama di compagnia della Regina.
[xxxiv] Madame Elisabeth ha 1 anno quando muore la madre e 3 quando muore il padre, si lega tantissimo alla sorella di soli 5 anni più grande e a 11 anni vivrà con estrema difficoltà la sua partenza per andare in moglie al Principe di Sardegna (1775). Non ho mai capito perché Madame Elisabeth venga praticamente sempre cancellata dalle varie narrazioni del periodo! Non c’è in VersaillesNoBara, non c’è neanche nel film della Coppola… forse perché mal si ‘incastra’ nelle sceneggiature un po’ stile soap opera che solitamente vengono fatte, mentre io la trovo un gran bel personaggio. La principessa Elisabeth è un personaggio positivo sotto ogni punto di vista direi, dolce, colta estremamente attaccata e soprattutto devota alla famiglia, per niente frivola, amorevole e compassionevole come il fratello Re, ma a differenza di lui assolutamente ferma nelle sue convinzioni, di una rettitudine che non ha mai neanche sfiorato gli altri due fratelli maschi (perché i Duchi di Provenza e di Artois sono entrambi, seppur in modo diverso, due curiosi pezzi di merda!). Alla prospettiva di essere data in moglie all’Imperatore Giuseppe II (per rinsaldare il legame con l’Austria) prega il fratello di non concedere la sua mano per non lasciare la famiglia. Per ovvi motivi non legherà mai molto con Maria Antonietta, anagraficamente è nove anni più giovane di lei, ma infinitamente più matura e posata, e spesso si ritrova a cercare di darle saggi consigli e conforto dopo le catastrofi, ma non l’abbandonerà mai. Insomma, come personaggio, se proprio le devo trovare un corrispettivo letterario, la si può caratterialmente accostare alla Fanny di Mansfield Park, per quanto di assai più elevati natali, solo che alla fine i suoi sforzi non vengono rimeritati dal tanto agognato matrimonio con quella palla di piombo a due gambe del cugino Edmund (che per carità, i gusti sono gusti), ma finisce decapitata in Place de La Revolution nel ’94… SOB… purtroppo è solo in francese, ma se avete delle bimbe (o dei bimbi) cui volete fare imparare la lingua, c’è una graziosa collana di libri ‘storici’ per bambini dal titolo Elisabeth, Princesse a Versailles, che si trova anche su Amazon.
[xxxv] Maria Clotilde va in sposa a 16 anni, per motivi essenzialmente politici ovviamente. Il matrimonio però è fortunatissimo. Il rapporto con il marito Carlo Emanuele IV di Savoia, di 8 anni più vecchio, è da subito molto affiatato, in buona parte fondato sulla comune devozione. Purtroppo non avranno figli, per cui dopo circa 30 anni di matrimonio decideranno di abbracciare insieme la regola del terzo ordine domenicano. Andando in sposa in così giovane età è un po’ difficile definire una sua identità a Versailles, dove viene descritta come passiva e apatica. Certo è che era molto legata alla sorella minore, allevata come lei da Madame de Marsan dopo la morte dei genitori, per cui può anche essere che, come nel caso di Elisabeth, si trattasse di ‘educazione’ più che di mancanza di carattere, soprattutto considerato ‘l’amorevole’ trattamento riservatole dal resto della famiglia, che in virtù del fatto che era sempre stata un po’ corpulenta, aveva pensato bene di assegnarle ‘l’adorabile’ nomignolo di corte de ‘La Gros Madame’. È noto come possa rendere felice un’adolescente essere chiamata da tutti ‘La principessa grassa’! Che poi da che pulpito! L’essere longilinei non era certo un tratto di famiglia, con la sola eccezione di quel puttaniere impenitente del Duca di Artois. Vabbeh…
[xxxvi] Maria Antonietta era estremamente legata alle sorelle, in particolare a Maria Carolina, Regina a Napoli (cui spedica una volta l’anno Leonard a Napoli… perché a quanto a suo giudizio, e anche secondo il marchese de Sade, i parrucchieri napoletani non avevano l’eleganza dei francesi, perché i loro parrucconi di estendevano in larghezza, ma non in altezza… che dite? È una cosa fatua?? Eh ragazze mie, ognuna ha la sua scala di valori! E Parigi-Napoli ai tempi era roba seria!).
[xxxvii] Quando nasce Louis Joseph, Maria Teresa non ha ancora compiuto 3 anni.
[xxxviii] Il carattere di Maria Teresa adulta è certo stato influenzato da tutta la sua terribile esperienza durante la Rivoluzione, ma anche da bambina pare mostrasse un temperamento che poco assomigliava a quello della madre. Maria Antonietta certo la amava molto, ma il nomignolo che le riservava la dice lunga: Mousseline-mussola era l’appellativo amorevole, la Penseuse- la seria/meditabonda la caratterizzava. I figli di Maria Antonietta diventarono l’unico vero punto in comune con Elisabeth, che era legata a loro come al fratello per estrema dedizione alla famiglia, poi la morte di Louis Joseph porterà il vero avvicinamento.
[xxxix] Mademoiselle Marie Grosholtz è il nome da nubile di quella che nel 1795 diventerà sposandosi Madame Tusseaud. La madre rimane vedova molto presto e diventa governante di un medico svizzero, Philippe Curtius, al seguito del quale nel 1767 si trasferiscono a Parigi, dove lui ha un laboratorio per la produzione di statue in cera di una certa fama, tanto che ha realizzato anche una statua della DuBarry commissionatagli dal Re. Nel 1770 il dottore organizza la prima mostra di successo, che poi nel ’76 viene spostata addirittura a Palais Royal. Marie chiama il Dr. Curtius zio e comincia prestissimo a imparare l’arte della lavorazione della cera nel suo laboratorio, mettendo in mostra il suo talento quando nel ’78, a soli 17 anni, realizza la sua prima statua di Rousseau, poi seguita da altre. Grazie a questo talento nel 1780 la giovanissima Marie Gorsholtz viene assunta come maestra d’arte di Madame Elisabeth, di soli 3 anni più giovane di lei, ed è in tali buoni rapporti con la famiglia reale da venire invitata a risiedere a Versailles.
[xl] Considerato che per il pubblico Rosalie è una protetta appartenente a un ramo cadetto della famiglia di Madame e che è da qualche anno che la segue negli impegni in società, è ragionevole che la chiami zia, così come è normale che le rimanga accanto senza parlare se non interpellata (adesso che ha imparato), come si conviene a una fanciulla in ‘formazione’.
[xli] La Caverne des Grande Voleurs aprì nel 1782 e fu un grande successo, di fatto la prima galleria degli orrori di sempre.
[xlii] Andrè di secondo nome fa RadioServa.
[xliii] Qui in riferimento è inevitabilmente indiretto, perché ‘tutti i presenti’ sanno di cosa si sta parlando ;-) : la Polignac è diventata Duchessa! Non per meriti particolari o lignaggio, ma per il ‘caso o capriccio’ di cui si parlava prima, ossia per le insistenze di Maria Antonietta con il marito (ribadisco, non era cattiva, ma era scema scema scema, totalmente incapace di capire il suo ruolo! E lui un gran buon uomo, ma un invertebrato). Dopo la partenza di Fersen per l’America nell’Aprile del 79 (pochi mesi dopo la nascita di Madame Royale, ed era tornato solo ad agosto del ‘78) comincia il dominio assoluto della Polignac, la Contessa ottiene quello che vuole dalla Regina, tra cui, massima dimostrazione e fonte di estremo malcontento tra la nobiltà, la nomina a Duca del marito (senza un motivo al mondo per giustificare una simile scalata sociale) che attribuisce a lei il titolo di Duchessa, unitamente al diritto del Tabouret, che letteralmente è uno sgabelletto pieghevole, ma che nei fatti è il diritto di sedere in presenza dei sovrani. A differenza di quanto mostrato nel manga/anime, il sovrano qui non era dotato di sala del trono, e non aveva uno ‘scranno rialzato’ su cui sedere, il contesto della corte era apparentemente informale (come il fatto che non venissero usati titoli, ma appellativi semplici come Monsieur e Madame, perché non serve nominare il titolo quando tutti sanno chi sei e ricordano/tengono a mente il rispetto che ti devono), stava ai sudditi adeguarsi al protocollo, non rivolgendo la parola se non esplicitamente invitati, chinandosi e non potendosi sedere in presenza dei sovrani per nessun motivo. Il diritto di tabouret era riservato ai principi di sangue e a pochissimi privilegiati, ed era la dimostrazione pratica di essere ‘elevati’ a livello della famiglia reale.
[xliv] Il diritto di Tabouret in realtà era stato usato ed abusato da Luigi XIV per le sue amanti, che appunto in qualche modo se lo erano ‘guadagnato’, tanto che a un certo punto (visto che nel caso di Luigi XIV si parla di GRANDI numeri) decise di risolvere il problema dischiarando che chi era impegnato in un ‘lavoro’ poteva sedersi in presenza del Re. Visto che ovviamente i obili della corte non ‘lavoravano’, attività borghese, ma nel caso ‘prestavano servizio’, nessuno poteva sedersi tranne le nobildonne per cui era considerato lavoro intrecciare nastri. Insomma, Luigi XIV così aveva salvato il protocollo, che era alla base dell’immagine di sovrano assoluto che si era costruito, e poteva concedere alle sue donne di sedersi in sua presenza semplicemente tenendo in mano un nastro. Con Luigi XV invece sarà solo Madame di Pompadour a ricevere il titolo di Duchessa e il diritto di Tabouret (che poi essendo lei certo non stupida, non userà mai continuando a usare il titolo di Marchesa… ma come si dice, quando tutti sanno…). Credo sia quindi evidente a cosa ci si riferisca con il termine ‘guadagnarselo’, anche se in questo caso non lo si è ‘guadagnato’ con ‘servizi’ al Re.
[xlv] È dell’epoca dello strapotere della Polignac il pettegolezzo delle relazioni saffiche di MA con le sue amiche più care, in particolare la Polignac appunto (anche la Lamballe entra nel pettegolezzo, ma trascinata dalla compagnia XD). Ridondante ribadire che ovviamente era una palla, nata dalla propensione che MA aveva sempre avuto di baciare a abbracciare tutti (che diventata grandina poteva anche smettere di fare in un contesto finto-casual-ma-in-realtà-iperformale come Versailles… ma poi fosse stata così sveglia…) e dal malanimo che il suo comportamento irrispettoso del protocollo e delle tradizioni e le sue manifeste preferenze e smodate regalie per i suoi amici aveva generato tra l’aristocrazia (qualcuno dirà ‘poverina, voleva solo essere libera’ e io rispondo “fare la regina è un lavoro, usi e abusi di tutti i vantaggi?? Cara mia, ti toccano pure le responsabilità! Non è che puoi demolire una nazione perché vuoi fare la contadinella di lusso con le tue amiche a spese degli altri”). Sì, insomma… un giorno nei suoi moti affettuosi abbraccia di slancio la Polignac in pubblico, una fa una battuta un po’ scollacciata e tanto basta, come un cerino in una distesa di paglia. Sta di fatti, che se MA fosse stata un centesimo della ‘pornodiva ninfomane’ di cui narravano i pettegolezzi, certo non ci avrebbe messo 7 anni a farsi deflorare da quel bolso di suo marito! E non c’entra la giovane età (vedi Cixi, da concubina di V grado a 15 anni a imperatrice reggente della Cina per quasi 50 anni, per essere riuscita a farsi mettere incinta da un imperatore che non aveva avuto altri figli, perché palesemente disinteressato ‘all’articolo’ offerto da tutte le altre sue mogli e concubine!)
[xlvi] spesso nel gergo comune questa espressione viene usata in modo antifrasico in riferimento a qualche comportamento particolarmente anomalo o idiota che dovrebbe essere perdonato in virtù di rango o ricchezza, in realtà il significato è del tutto opposto: la nobiltà comporta obblighi. Il titolo conferisce distinzioni, eventualmente anche privilegi, ma prima di tutto è una responsabilità, bisogna dimostrarsene all’altezza, con la fedeltà ai sovrani e alla patria, senza dare scandalo, ponendosi sempre come un esempio e assumendosi la responsabilità delle persone che ‘dipendono da te’. Sì, insomma, nascere nobile corrisponde a nascere con un credito, ma anche con un’enorme cambiale che dovrai passare tutta la vita a ripagare… questo è il proprio concetto Ancient Regime (e anche molto giapponese) e il razionale di una società concepita per essere diretta dall’aristocrazia. Ovvio che il tutto crolla, come molti altri costrutti, quando che beneficia del diritto, non tiene presente che questo deve sempre essere controbilnciato dal dovere.
[xlvii] Gioco d’azzardo a carte popolarissimo per tutto il XVIII secolo in Europa (e prediletto da MA, benchè proibito da Luigi XVI), tanto da diffondersi anche nei saloon del far west nel XIX… e in qualche casinò si gioca ancora… le brutte abitudini sono dure a morire XD
[xlviii] In realtà qui Rosalie è già un po’ ‘stagionatella’ per gli standard dell’epoca, ma facciamo che porta bene i suoi annetti ;-)
[xlix] Alcuni anni prima, grosso modo ai tempi della prima gravidanza di MA, quando MT era ancora viva e Madame Elisabeth aveva circa 14 anni, c’era stato un ‘abbocco’ per farla sposare all’Imperatore Giuseppe II, fratello di MA. Da un lato c’era il desiderio di rinforzare ulteriormente l’alleanza, dall’altro Maria Teresa, ossessionata dall’idea della discendenza, visto che il figlio aveva mandato al creatore 2 mogli senza generare maschi. Sta di fatto che Madame Elisabeth non ne voleva sapere di lasciare la famiglia, per cui pregò il fratello di non concedere la sua mano, lui accettò la sua richiesta e del matrimonio non se ne fece nulla. Certo la cosa sollevò notevole scalpore a corte, visto che era una circostanza quanto mai singolare, soprattutto considerando che era una richiesta della ragazza; probabilmente nessuno si capacitava del fatto che una potesse non essere entusiasta di una simile proposta. Certo l’alternativa era quella di rimanere zitella a vita (ricordiamo che le Mesdames figlie di Luigi XV rimasero nubili principalmente perché in Europa non c’erano partiti abbastanza elevati da poter ambire alla mano di una principessa di sangue reale!), è anche vero che Giuseppe II, oltre ad avere 23 anni più di lei, si era anche comportato di merda con la II moglie: dopo la morte della prima, Isabella di Borbone-Parma, non ne voleva sapere di risposarsi, in barba alle necessità dinastiche, e sposò la povera Maria Giuseppa di Baviera per insistenza della madre, che doveva essere pesina quando ci si metteva; alla poverina però non riservò certo neanche il minimo della cortesia, e le diceva che era grassa e che aveva i denti storti, e per sua stessa ammissione, in lettere e diari, la trattava proprio di merda, per il solo fatto che gli stava sulle palle che non fosse la moglie di prima; lei, di contro, era una tipa mite, molto in soggezione di questo ‘stronzo egoista’ e subiva passivamente, soffrendone anche. Di fatto, comunque, muore anche lei senza aver messo alla luce figli maschi… sinceramente per me Madame Elisabeth ci ha visto lungo a rimanere principessa zitella e a non diventare l’imperatrice consorte di quella ‘civetta dello spirito’, come lo appellava ‘amorevolmente’ sua madre MT.
[l] Allora… qui necessita un retroscena che ho provato a inserire nella narrazione. Le nostre due ‘Dame’ si riferiscono a due componenti del seguito della Polignac, ossia la figlia Charlotte (Aglaè nella realtà storica) e la sua amica del cuore Louise de Polignac. Non avrebbe alcun senso far raccontare esplicitamente a nessuno dei presenti tutto quello che è successo negli ultimi 2 anni, in quanto tutti lo sanno per forza. Le Mesdames sparano frasi maligne a riguardo, ma non possono fare il riassunto, quindi tocca esplicitare qui l’antefatto: Charlotte de Polignac (Aglaè nella realtà storica) aveva frequentato il Collegio di Panthemont, dove era diventata molto amica di Louise d’Esparbes de Lussac. Nel 1780, Charlotte/Aglaè (dodicenne nella storia reale, quindicenne in questa mia versione per riuscire a incastrare le date di nascita e far essere Rosalie figlia della Polignac e di un età sensata per gli eventi nella cronologia della Ikeda) sposa a Versailles, in pompa magna visto il legame della madre con la regina, il venticinquenne Antoine de Gramont, cui il Re accorda il titolo di Duca de Guiche. A pochi giorni di distanza Louise sposa il fratellastro della Polignac, Monsieur de Polastron. Il matrimonio di Mlle de Polignac fa sorgere molte gelosie, Luigi XVI accorda alla giovane una dote equivalente a quella di una principessa, del valore di 800,000 livres. Per il suo matrimonio la Regina organizza un soggiorno al Trianon di cinque giorni dove solo la duchessa di Polignac, sua figlia e Louise de Polastron hanno il privilegio di dormire nel padiglione con la Regina. Da quel momento Marie-Antoinette prende in simpatia la figlia della favorita e le verrà dato, dagli amici intimi, il soprannome di “Guichette”. Dopo il matrimonio però, vista la tenera età di Charlotte/Aglaé, il duca de Guiche deve adorare la sua sposa solo da lontano, aspettando il via libera dei suoi suoceri per la consumazione del matrimonio. Guichette viene presentata a Corte otto giorni dopo la presentazione di Mme de Polastron (3 dicembre 1780). Per l’occasione la Regina, solitamente tanto maldisposta rispetto alle tradizioni della corte, vuole far rivivere l’antica forma della presentazione a Corte con più magnificenza e splendore (si dice, a causa delle rimostranze del commercio, a profitto delle manifatture di velluto e di dorature). Mme de Polatron viene quindi presentata a corte con il Grand Habit (il corsetto di velluto nero, la gonna di tessuto d’oro come pure la sciarpa e la cintura) ricoperto dai diamanti della Regina e di Mme la contessa d’Artois, che hanno la bontà di prestarglieli, come pure a Mme de Guiche (qui Charlotte) che sarà presentata la settimana dopo. E’ Mme de Polignac che, per regalo di nozze, fa il dono alla moglie del fratellastro del suo Grand Habit di presentazione a Versailles e mentre alla Guichette viene fatto lo stesso dono dalla contessa di Gramont, sua suocera. Madame de Guiche e di Polastron (dodicenni) si trovano unite nella vita di Corte. Sebbene di una bellezza differente le due ‘dame bambine’ infiammano il ‘cuore’ del giovane Conte d’Artois (che certo era di facile infiammabilità, come ben noto). Presto il fratello del Re non lascerà mai da sola Guichette; alla passeggiata o al gioco, al ballo, a teatro o alla caccia lo si vede sempre vicino a lei e si ripete a bassa voce e sorridendo che non sarà il marito a raccogliere per primo le primizie del matrimonio. Ma pare che l’avventura non abbia avuto le conseguenze che ci si aspettava e la Guichette venne velocemente ‘restituita’ al marito, onde evitare problemi. Ma se d’Artois non farà più parlare di sé riguardo una relazione con Guichette, la cronaca ci lascia un’avventura successa alla figlia di Mme de Polignac con il conte de Périgord, fratello cadetto del futuro principe di Benevento, che aveva già al suo attivo avventure rocambolesche con altre dame di corte. Notato da una guardia che scalava la finestra dell’appartamento al primo piano che Guichette occupava a Versailles, fu riconosciuto e fermato, al che il virtuoso Luigi XVI ebbe a dire una frase scherzosa (e qui è un IDOLO): “Dato che siamo assolutamente circondati da donne leggere, che almeno le si alloggi tutte al pianterreno, così almeno non si correrà più il rischio di rompersi il collo se, andandole a trovare, si fosse obbligati a passar dalla finestra”. Il duca de Guiche si batté a duello con il seduttore di sua moglie: ma la fortuna è cieca e il destino qualche volta ingrato: fu il marito che fu ferito dall’amante. (ref http://la-cour-royale.forumcommunity.net/?t=54383827) Sarà Louise a diventare poi l’amante del Conte di Artois, che ne farà la sua favorite ufficiale.
[li] Trianon chiuso per il pueperio.
[lii] Ovviamente si riferiscono al Duca di Artois
[liii] il Visconte de Polastron, marito di Louise
[liv] Il marito di Louise, che la amministra a proprio vantaggio, è il fratellastro della Polignac.
[lv] Qui si riferiscono alla ‘fu’ Madame Anne d’Esparbes, probabilmente una zia di Louise (la cui madre era morta alla sua nascita). Anne Thoynard de Jouy era una lontana cugina della Pompadour, viene introdotta a corte nella sua cerchia, sposa a 19 anni il Conte d’Esparbes e comincia la sua ‘carriera’, su cui non mi dilungo, limitandomi a ricordare un aneddoto di quando finalmente finisce nel letto di Luigi XV: Dopo aver fatto l'amore con madame d'Esparbès, Luigi XV constatò "sei stata a letto con tutti i miei sudditi". "Ma, sire..." "Ti sei fatta il duca di Choiseul..." "È così potente..." "Il maresciallo de Richelieu..." È così spiritoso..." "Monville..." "Ha delle gambe così belle..." "va bene, va bene, ma il duca d'Aumont non ha niente di tutto questo" "Ah sire, vi è tanto affezionato!" (Chamfort).
[lvi] Dopo la nascita di Madame Royale, la moda ‘vira’. Dall’opulenza del periodo precedente, con abiti e acconciature costruite e opulente, si passa a una fase ‘finto-naturale’, in cui va di moda apparire diafane e delicate, cosa che molte dame appunto ottenevano facendosi dissanguare.
[lvii] Artois.
[lviii] Gli ordinamenti locali possono portare qualche cambiamento, ma la gerarchia dei titoli da più basso al più alto è: Signore-Barone-Visconte-Conte-Marchese-Duca-Granduca-Principe.
[lix] Visto che non esiste che una Lamorielle nessuno possa essere condotta a Corte, se vi ricordate Madame in questa storia ha presentato Rosalie in società come una nipote del ramo cadetto della sua famiglia dei Quetpée de Labord.
[lx] E prima o poi doveva saltare fuori che Rosalie ancora non era fidanzata.
[lxi] Come per Charlotte/Aglaè di Polignac ho deciso di allinearmi alla realtà storica, meno semplice, ma più interessante, senza togliere nulla al succo della storia. Se volete qualche info in più sul Duca de Guiche potete trovare un bel sunto qui http://ladyreading.forumfree.it/?t=44661098
[lxii] Diciamo che questo è un ‘omaggio’, non proprio un plagio, all’eterna Virginia Wolf (chi era ad avere gli occhi come due viole umide??)… l’immagine era troppo calzante per lo sguardo violaceo che si dice avesse Yolande de Polignac e che suppongo abbiano ereditato entrambe le sue figlia.
[lxiii] Questo invece è proprio un plagio… o magari no, in realtà una citazione, visto che dichiaro apertamente che questa ‘immagine’ l’ho presa da ‘La rosa nera’ di Martin Cruz Smith, ma era troppo perfetta per non usarla qui.
   
 
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