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Autore: MaryIsmyname    27/06/2017    0 recensioni
Anne, Nanny, Annika, Hanna, Nana, Ana, Annuccia, Annan, Lucrezia sono tutte legate dalla stessa maledizione, che ha reso la comune mortale ateniese Anne, una donna dalle molteplici vite, a causa di una maledizione creata dalle dee Demetra e Afrodite, promesse spose di Dioniso ed Ares.
Anne, nel 470 A.C è una comune ateniese, la quale viene strappata dalla sua normale e felice vita, dopo essersi innamorata di due divinità ateniesi, prossime al matrimonio. Le sue molteplici vite sono un susseguirsi di passione, morte, vendetta e speranza.
Dopo cento vite, quale dei due sceglierà Anne? E chi vedrà per sempre il sogno della propria vita frantumarsi in un istante?
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Triangolo
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CAPITOLO SEI: pazzia portami via



New York, 1973 D.C

 

Il cielo era cupo dall'esterno del tetro edificio in cui lavora Anne. Era uno dei luoghi più terribili del mondo, ma era pur sempre un lavoro. Un lavoro che le assicurava un tetto sopra la testa ed i soldi per mangiare. Sicuramente non era uno dei lavori per i quali aspirava da quando era ragazzina, ma non sempre era terribile. Beh, non lo era fino a quando qualcuno all'interno non uccideva qualcuno dello staff o uno dei suoi vicini, oppure quando qualcuno si uccideva. Fino a lì, era più o meno sopportabile. Non certo una cosa spettacolare, ma tentava di andare avanti. Dalla finestra osservava il temporale, l'acqua che picchiettava contro le sudice finestre, che non venivano lavate a dovere. Beh, in realtà nulla era seriamente lavato a dovere in quel posto. Neppure i pazienti. Anche se avrebbero dovuto avere un occhio di riguardo, ma se ne preoccupavano solo quando al manicomio dovevano arrivare dei giornalisti (sgraditi, naturalmente), il sindaco oppure degli operatori per controllare che l'istituto fosse a norma. Ovviamente tutte quelle persone erano assolutamente sgradite per la signora che gestiva il tutto dentro il manicomio. Erano sgradite perché naturalmente l'istituto andava pulito da cima a fondo e necessitava di tutto l'aiuto possibile. Alcune volte aveva addirittura chiesto ai medesimi pazienti di lavare le loro celle, ma quando avevano dato gli attrezzi per pulire, la maggior parte di loro li teneva per poi colpire qualcuno dello staff, oppure li usavano per togliersi la vita. Si, perché nonostante la maggior parte fosse dei criminali suicidi volevano solamente uscire dalla quotidianità. In molti avevano tentato di evadere, ma nessuno di loro aveva mai seriamente varcato l'uscita. Non l'avevano fatto non per le conseguenze delle loro azioni, ma perché fuori di lì non avrebbero saputo come mandare avanti le proprie vite, ed era vero. Dipendevano in tutto e per tutto dagli operatori dello staff, non che la cosa dispiacesse. Per le infermiere più vecchie e più fuori di testa era qualcosa di meraviglioso, perché per loro è come avere tanti piccoli figli 'sperduti'. A volte è addirittura divertente guardarle mentre li accudiscono, beh, almeno quelli che preferivano.. altri erano tenuti in stati tremendamente disumani. Anne però non poteva lamentarsi, la paga era buona, i suoi pazienti non erano nemmeno troppo invadenti o fuori di testa.. volevano solo essere trattati come 'persone normali'. Ma cos'è la normalità? È normalità uccidere, senza battere ciglio, un proprio familiare? È normalità soffocare, nel sonno, il proprio figlio? È normalità credere di essere un soldato nazista? Non lo è affatto.

Anne si scrollò questi sudici pensieri di dosso, e mentre spingeva il carrellino del pranzo di alcuni dei suoi pazienti. Quell'anno ne ospitavano addirittura tremila. Era uno degli anni di maggiore necessità psichiatrica, ma già qualche volta Anne si era chiesta quanti avrebbero superato l'anno. Mille? Trecento? Settecento? Dieci? Chi lo sa.

<< ... è arrivato! >> urla da un angolo una delle tante dipendenti.

<< oh, è arrivato! >> annuisce un'altra, ma Anne non riesce a fare a meno di origliare.

<< Chi è arrivato? >> chiede indiscreta la ragazza, prendendo un vassoio e passandolo all'interno di una delle tante celle. La donna all'interno della cella, lo rimanda però indietro.

<< Mi rifiuto di pranzare! >> urla dall'interno.

<< Le prego di mangiare, Claude >> dice Anne.

<< Ma vi rendete conto per quale fottuto motivo sono qui?! >> impreca.

<< Si, fottuta lesbica >> urla una delle due infermiere avvicinandosi alle sbarre della cella.

<< Ora mangia >> riprende, ma Claude avvicinatasi allo spioncino le sputa in un occhio.

<< Brutta troia! Tranquilla, Anne, lei non ha bisogno del suo pranzo >> dice scaraventandolo contro il muro. Nel frattempo, dalle celle si alza un brusio indefinito per questo piccolo 'scontro' tra le due donne.

L'altra infermiera raccoglie il pranzo che la sua collega aveva scaraventato sul muro, mentre l'altra si asciuga gli occhi con la manica del camice.

<< Io vado nella zona C >> annuncia prendendo il suo registro, picchiettando nervosamente sulla cartellina rossa che sorregge tra le mani.

<< Perfetto, ci vediamo tra mezz'ora per la pausa pranzo, Mikela >> dice buttando tutto ciò che rimane del pranzo di Claude nella spazzatura.

<< Chi è arrivato? >> chiede Anne seguendola verso l'uscita del reparto D. L'infermiera però non riesce a proferire parola, perché proprio in quel momento passa un uomo. O un ragazzo. Avrà a malapena venticinque anni, pensa Anne.

<< Seguici, mostro! Affrettati, ci stai facendo sprecare la nostra pausa pranzo! >> urla un poliziotto, togliendosi il cappello blu e rosso.

<< Buon giorno signore >> dice il ragazzo. Ha i capelli ricci, trasandati e lunghi fino alle spalle. Sono di un colore marrone scuro, probabilmente per la sporcizia e gli occhi verdi, belli da mozzare il fiato. Anne trasale quando il ragazzo le rivolge la parola e spera che non lo possa notare, altrimenti sarebbe la fine. 'Non mostrarti mai spaventata con i pazienti, fiuteranno la tua paura e ne approfitteranno' le aveva detto una sua amica, morta per mano di un paziente. E da quel giorno aveva cercato in tutti i modi di evitare il contatto visivo con qualsiasi paziente.

<< Cammina, mostro! E non rivolgere la parola alle signore! >> dice un vigilante, spingendo il ragazzo a camminare. Il ragazzo ricomincia a camminare, ma non appena svolta l'angolo ad Anne sembra di sentire un ghigno provenire proprio dal ragazzo.

<< Si può sapere chi diavolo è? >> urla Anne.

<< Oddio, sul serio non hai idea di chi lui sia? Eppure è un tuo nuovo paziente, ti occuperai tu di lui, cioè, mi stupisce il fatto che la direttrice l'abbia assegnato a te.. cioè un mostro psicopatico così! A te! Ti potrebbe divorare da un momento all'altro ! >> urla eccitata la donna.

<< Fanculo Clara! Mi dici chi cazzo è quello? >> urla spazientita Anne.

<< Calmati, tesoro! Comunque, lo scoprirai ben presto dal momento che gli devi portare il pranzo >>

<< Fanculo, non mi muovo da qui senza sapere chi cazzo sia! >>

<< Li leggi i giornali? >> chiede con ironia.

<< Fanculo Clara, lo scoprirò da sola >> urla Anne allontanandosi con la cartella dei pazienti in una mano ed il vassoio del nuovo detenuto nell'altra.

Segue le indicazioni sulla cartellina, c'è solo scritto 'settore F, cella 145- Paziente numero 148204729038 Dennis Thompson- 21 anni- maschio- nessuna intolleranza alimentare'. Quando arriva al settore F, la luce al neon è tremolante e sembra in procinto di affievolirsi e spegnersi da un momento all'altro. Mentre si dirige verso la cella di Dennis, sente lo stomaco rivoltarsi quando sente l'odore di urina provenire da diverse celle. Ha tutto sottosopra e quando si ferma dinnanzi la cella che riporta il numero '145' non riesce ad evitare di trattenere il respiro. Le norme di procedura dei nuovi pazienti ( a meno che non vi sia qualche specie di cambiamento di programma) impongono che l'infermiera entri nella camerata due volte al giorno per mezz'ora, per pranzo e cena, per un'intera settimana. E questa cosa iniziava a terrorizzarla. Si dà uno schiaffo sul viso roseo e si fa coraggio. Prende le chiavi e apre la serratura.

Quando entra, caccia la paura in fondo allo stomaco e poggia con timore il vassoio sul letto del paziente, un nuovo numero in mezzo a tutto quell'orrore.

<< Ecco qui il cibo, mhm, signor Thompson >> dice rompendo l'attimo di silenzio tra i due. Il ragazzo non sembra emettere alcun rumore, si limita a fissarsi le scarpe, mentre si mordicchia le unghie nervosamente.

<< Beh >> dice Anne con paura dopo cinque minuti. << Non ha intenzione di mangiare niente? >> chiede.

<< Mhm, non lo so. Me lo dica lei. Cosa ci fa qui? >> dice con tono strafottente.

<< I-i-io, devo essere qui per mezz'ora questa prima settimana con lei, due volte al giorno >> dice Anne rimanendo in piedi vicino alla porta.

<< Ma non mi dica! Lei si che è un'infermiera provata! >> dice sghignazzando.

<< I-i-io >> prova a dire Anne, ma nulla da fare. Il ragazzo le aveva tolto le parole di bocca. Neanche un momento per chiudere gli occhi ed il ragazzo le era addosso, era chinato sopra di lei, era più alto di una decina di centimetri e la fissava ardentemente. Anne non aveva la forza per emettere alcun tipo di suono.

<< Sa, sa signorina cosa si dice di me? >> bisbiglia all'orecchio, producendo un sibilo.

Anne trasale ed anche questa volta non riesce a proferire alcun tipo di parola.

<< Si dice che io sia uno spietato assassino >> dice ridendo e la risata prodotta da tale affermazione intimidisce Anne.

<< E-e-ed è così? >> chiede Anne, stupendosi di aver parlato.

<< Cazzo, certo che no, mia cara >> dice ridendo ancora una volta.

<< C-cosa ci f-fa q-qui? >>

<< Deve capire signorina, che è fin troppo indiscreta. Chiuda quella cazzo di bocca, e vada, credo che il tempo qui sia terminato >> dice staccandosi dal muro. Anne chiude gli occhi, inspirando e dirigendosi velocemente verso l'uscita della cella. Dennis le fa un cenno mentre varca l'uscita e non appena chiude la porta, si lascia cadere a terra, facendosi prendere dal panico più totale.

 
  
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