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Autore: Antys    27/06/2017    4 recensioni
«Non mi compri» soffiò con decisione il ventunenne, quasi ventiduenne, che aveva ricambiato il contatto all’ultimo secondo, giusto perché a modo suo sapeva ancora resistergli e non l’aveva assaporato in alcuna maniera. «Questa palla al piede ha intenzione di seguirti per il resto della vita».
«Non potrei chiedere di meglio» dichiarò il lupo completo con un ghigno sopraffino.
Stiles rimase in silenzio per qualche attimo, con le pupille color pece che si allargavano. «Sul serio?».
«Devi chiederlo?» domandò a sua volta il mannaro, arcuando un sopracciglio e guardandolo con una tale intensità da seccargli la bocca.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: The Dark Side of The Moon

Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski

Pairing:DerekxStiles [Sterek]

Rating: Verde

Genere: Sentimentale, Fluff

Avviso:One Short, Slash, What if?

Note: Ambientato un anno dopo la fine della quarta stagione, non tiene conto della quinta e sesta stagione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Ancora due minuti» scandì il tempo il figlio dello sceriffo, guardando l’orologio digitale del suo cellulare illuminato da un passaggio leggero delle dita – non era nemmeno intenzionale, le nuove tecnologie erano troppo sensibili a qualsiasi tipo di movimento.

«Hai fretta?» domandò Derek senza reale interesse, ma fin troppo conscio del carattere animato che primeggiava nell’organismo del più giovane.

«Solo curiosità» elargì lo studente del terzo anno, prossimo al quarto, di criminologia dell’University of Maryland, College Park, picchiettando con i polpastrelli sul bordo delle scarpe consumate. «L’ultima volta non ero lì» non ero con te.

«Stavi tentando di salvare tuo padre» in modo sgraziato e senza un piano, finendo perfino fuori strada con la sua Jeep ed ogni volta che a Derek tornava alla mente quel dettaglio di cui solo in seguito era entrato a conoscenza, e non certo di prima mano, si irrigidiva e se la prendeva con se stesso, perché se tutto quello era avvenuto era anche per causa sua. «Con una mazza da baseball in alluminio».

Stiles ridacchiò, stringendo meglio le gambe incrociate che gli permettevano una seduta comoda, finché gli arti non si fossero intorpiditi. «Oh, il vecchio Stiles diciassettenne. Una vera palla al piede».

«Sei ancora una palla al piede» lo corresse il licantropo, facendogli ben presente che a distanza di cinque anni da quel momento non era cambiato di una virgola.

Stiles lo guardò con risentimento, spintonandolo con un pugno su una spalla per punirlo e magari farlo recedere un po’, ma quel lupo ostile non lo sentì nemmeno arrivare. «Se ti avessi colpito con due minuti di ritardo, ne avresti sentito gli effetti».

«Ne dubito» l’umano non gli avrebbe mai fatto del male neppure se si fosse impegnato con tutte le sue forze.

Stiles si imbronciò indispettito, sovrapponendo le labbra che si increspavano e Derek si sporse lievemente in avanti, baciandole per dispetto. O semplicemente perché adorava farlo.

«Non mi compri» soffiò con decisione il ventunenne, quasi ventiduenne, che aveva ricambiato il contatto all’ultimo secondo, giusto perché a modo suo sapeva ancora resistergli e non l’aveva assaporato in alcuna maniera. «Questa palla al piede ha intenzione di seguirti per il resto della vita».

«Non potrei chiedere di meglio» dichiarò il lupo completo con un ghigno sopraffino.

Stiles rimase in silenzio per qualche attimo, con le pupille color pece che si allargavano. «Sul serio?».

«Devi chiederlo?» domandò a sua volta il mannaro, arcuando un sopracciglio e guardandolo con una tale intensità da seccargli la bocca.

Stiles aveva una quasi risposta sulla punta della lingua, una di quelle che si manifestavano quando divenivano improvvisamente seri dopo che non avevano fatto altro che punzecchiarsi per minuti interi. Ma il cielo si oscurò, la luce del sole cominciò ad essere inglobata dall’oscurità insieme al calore dell’afosa estate californiana ed i sensi dell’umano si attivarono tutti insieme, portandolo a distogliere gli occhi dal mutaforma, per spostarli verso il punto in cui l’astro del cielo veniva coperto dall’unico satellite della Terra. «È iniziata» esclamò con stupore ed entusiasmo, abbagliato da uno spettacolo che incontrava per la prima volta nella vita.

«Non devi fissarla, ti brucerai le retine» lo rimproverò prontamente il grande lupo nero, senza essere davvero sorpreso, aspettandosi quel tipo di reazione incondizionata dal ragazzo che gli sedeva di fronte.

Stiles gli dedicò un ultimo e profondo sguardo; quella luce momentaneamente scomparsa non sembrava in grado di ferirlo, ma Derek avrebbe avuto comunque da ridire e probabilmente si preoccupava maggiormente di quando quell’evento astronomico sarebbe giunto alla fine, con il sole che riprendeva il controllo sul pianeta. «Allora, cosa vuoi provare nei tuoi pochi minuti da comune essere umano?» lo esortò il figlio dello sceriffo, distogliendo le iridi d’ambrosia dall’eclissi solare e riportandole sulle gemme di giada che Stiles aveva sentito separarsi dalla propria figura per pochi secondi, il tempo necessario per adocchiare la volta celeste.

Era piena estate nel territorio californiano e Stiles tornava sempre a Beacon Hills, insieme a Derek, in un appuntamento fisso, allontanandosi dalla loro casa vicino al college che frequentava e con l’unico scopo di passare del tempo con suo padre, salutare e rincontrare il branco – anche se era un desiderio strettamente legato a Stiles che al lupo cattivo per eccellenza.

Avevano progettato quella giornata sei mesi prima, dopo un’estenuante ed appagante rotolamento tra le lenzuola sfatte e sudate, con ancora il respiro rarefatto ed altalenante, talmente pesante da manifestare il chiaro stato della stanchezza che lambiva le loro labbra gonfie e scarlatte, impossibilitate dal trattenersi dal continuare a baciarsi imperterrite. A Stiles non importava proprio se il giorno successivo l’attendeva un esame importante se poteva passare momenti lieti ed unici con l’uomo che amava.

Quel giorno di metà luglio si erano chiusi nel loft che raccoglieva fin troppa polvere nei nove mesi e più in cui erano via, abitando l’appartamento principale che guarda caso, era un altro monolocale; ma a Derek piacevano e Stiles non aveva di che lamentarsi. Vivevano talmente in simbiosi ed invadevano ripetutamente gli spazi reciproci, incapaci di restare separati, che un’unica grande stanza chilometrica era l’habitat perfetto per loro.

Avevano steso sul balcone del loft una lunga tovaglia da mare, a tema Star Wars e Stiles era ancora incapace di comprendere la sua utilità, considerando che lui e Derek non avevano mai visto il mare. Se non quella volta in cui si diplomò e dopo che ebbe salutato e ringraziato tutti, Derek se l’era trascinato via per due settimane intere, portandolo di costa in costa ed aveva quasi il timore che l’avrebbe condotto fin sull’Everest senza un vero perché e viaggiando per ore dentro una scatola con le ali solo perché Derek aveva il desiderio di fargli girare il mondo, sia nella consapevolezza di poterselo permettere sia perché potevano finalmente farlo. Ma a parte quell’unica occasione, Stiles non aveva più posato gli occhi dorati sull’oceano sconfinato o messo i piedi sulla spiaggia, dove la sabbia cocente andava in parti del corpo che nemmeno sapeva di possedere. Quindi, quando Derek un anno e mezzo prima era tornato a casa con quella tovaglia da mare, l’unica giustificazione fu l’essere stata messa in offerta con non sapeva bene quale acquisto – offerta dove? Al Disneystore? – e Stiles, tuttora, non aveva mai svelato il mistero.

Ma la verità consisteva nel fatto che Derek lo ricopriva di regali, anche inutili e superflui, senza alcuna motivazione ed indipendentemente da qualsiasi occasione speciale.

Stiles era stato così orgoglioso di poter finalmente usare quel regalo da sostenitore incallito della Forza dopo diciotto mesi di clausura, che aveva baciato Derek per una trentina di minuti senza volersi seriamente separare e il lupo più acido e burbero del mondo intero se l’era stretto a sé ed aveva ricambiato ogni schiocco che aveva l’unico scopo di mangiarselo.

Si erano seduti sulla locandina in spugna de Star Wars – Il ritorno dello Jedi ed avevano semplicemente aspettato.

Il mutaforma meditò per un solo momento, con le gemme puntate su quel sorriso birichino del suo perenne ragazzino, che lo invogliava ed incitava, appoggiando qualsiasi sua idea.

Estrasse un tagliacarte affilato da un luogo a Stiles estraneo – non sapeva nemmeno che ne possedessero uno – e glielo presentò tra le mani. Il ventunenne ebbe un terribile sospetto. «Che hai in mente?».

«Solo un graffio» rispose con semplicità il lupo mannaro, mettendo meglio in evidenza la lama in acciaio.

Stiles lo fissò in silenzio, scrutandolo con una tale attenzione controproducente, che era in grado di leggere ogni cosa in lui. «Non hai già sofferto abbastanza nella tua vita? Vuoi altro dolore?».

«Voglio solo conoscere la differenza» spiegò la creatura della notte senza girarci intorno, andando direttamente al punto focale.

«Non la conosci già?» domandò retoricamente l’umano con diffidenza, per nulla persuaso da una spiegazione povera ed immotivata. «Sei quasi morto nel momento in cui la tua parte sovrannaturale ti è stata strappata. Penso sia sufficiente».

«Esattamente» Derek da essere umano aveva provato quell’enorme senso di perdita della sua natura indiscussa di licantropo, con cui aveva convissuto per tutta la sua esistenza; i sensi che non funzionavano come avrebbero dovuto e quell’essere così vulnerabile come non lo era mai stato. Il dolore attanagliante che l’aveva colto quando era stato trafitto da esseri non umani, così spietatamente vicino dal togliergli la vita e quell’enorme ferita che non si rimarginava in alcun modo; l’emorragia che continuava a sgorgare e la reticenza di Stiles che non riusciva a separarsi da lui, combattuto tra il rimanere nei suoi ultimi momenti al fianco dell’uomo che aveva amato in silenzio o raggiungere il suo migliore amico e fratello che aveva bisogno d’aiuto. Entrambi erano nel braccio della morte.

Derek l’aveva incitato ad andar via, a scegliere qualcun altro e Stiles l’aveva odiato per quello, ma l’aveva lasciato ad una Braeden piangente.

Stiles sapeva benissimo che Derek non se ne faceva nulla delle lacrime della ragazza di colore e Derek sapeva con certezza di non volere lei al suo capezzale.

In quell’enorme confusione, il grande lupo cattivo era diventato davvero un lupo. Quadrupede, folta pelliccia nera, iridi di ghiaccio e dentatura impeccabile e ringhiante – sei diventato un bambino vero, Pinocchio lo prendeva continuamente per i fondelli il figlio dello sceriffo, sorridendogli con quella curva furba sulle labbra, che aveva un potere incontrastato su di lui. Non riusciva a cancellare quella piega impertinente nemmeno dopo minuti interi di lunghe sessioni di baci.

Stiles si mosse leggiadramente – e Derek rimaneva stupito di quella sua natura anche a distanza di quattro anni da quando stavano insieme –, prendendogli il tagliacarte dalle dita e fissando l’oggetto con aria assorta. «Ho una sorta di déjà-vu».

«Non è un braccio, questa volta» lo delucidò il mannaro pazientemente, con una nota di distinta ironia spensierata.

L’umano arricciò adorabilmente il naso ed emise un lamento scontento e di sconcerto. «Ho ancora gli incubi per quello, Der».

L’uomo gli depositò uno schiocco sulla punta del setto nasale, percependo sotto di sé la rigidità di quel giovane corpo che si rilassava.

«Mi offri la linea della vita?» si burlò con leggerezza il ventunenne, sorridendogli ilare e con quella scintilla incerta che non appoggiava completamente quella muta richiesta.

Derek aprì il palmo di una mano, svelando quelle delicate insenature nella carne bronzea senza significato che facevano la fortuna delle chiromanti.

Stiles impugnò la lama argentata e senza esitazione e con fermezza, incise il lieve taglio richiesto, senza sprofondare troppo, ma limitandosi a qualcosa di superficiale.

Il sangue prese a fluire immediatamente.

Derek e Stiles nel silenzio del balcone del monolocale, sul telo da spiaggia di Star Wars che rivedeva dopo più di un anno dal momento del suo acquisto la luce, fissarono quel liquido grumoso e di rubino proseguire senza incontrare ostacoli.

«Non si ferma» osservò il licantropo nella sua pacatezza, con le iridi verdi attente ed affascinate da qualcosa che incontrava con occhi nuovi in quella che poteva essere considerata come la sua prima volta.

Il lupo aveva sentito perfettamente la pelle che si lacerava, si apriva e separava nettamente i legamenti, con una lentezza così infinita da lasciarlo senza fiato e quel caldo liquido scuro e vermiglio che fuoriusciva privo di tentennamenti, insieme al bruciore che lo investì impreparato, lasciandolo di stucco, ed era tutto troppo lontano da quelle numerose ferite letali che come essere sovrannaturale lo accompagnavano in modo costante, senza che se ne curasse minimamente e con quelle piastrine speciali ed inumane che compivano un lavoro eccellente, arrestando qualsiasi tipo di emorragia; insignificante o nociva.

Da lupo mannaro aveva costantemente ignorato le sue ferite che si cicatrizzavano dopo pochi momenti, semplicemente aspettando che il tempo scorresse, e nel suo periodo da essere umano forzato si era concentrato su tutto, tranne sul dolore da comune mortale che poteva provare; come funzionassero le cose e come rispondeva il corpo per risolverle.

Aveva conosciuto solo la morte immediata, certo della sua fine e non aveva mai assaporato nient’altro.

Derek aveva odiato essere un comune, indifeso, essere umano. Non sapeva nemmeno come muoversi in quel mondo.

«Già, che comportamento anomalo» proferì sarcasticamente addolcito lo studente di criminologia, abbandonando l’arma del delitto sul pavimento in pietra del balcone, lontano dal prezioso regalo fintamente in offerta del suo uomo – non avrebbe mai permesso che si sporcasse di sangue.

«Continuerà per molto?» chiese nella sua ignoranza da essere indistruttibile, incapace di distogliere lo sguardo da quella chiazza cremisi che si allargava – e pensare che con Stiles era talmente apprensivo che correva perfino quando si tagliava accidentalmente con la carta mentre studiava e si guadagnava un assordante rimprovero visivo. In effetti, non aveva mai controllato per quanto tempo il sangue potesse continuare a fluire, perché non aveva mai permesso che in Stiles andasse troppo oltre.

 «Se non lo fermi, potresti dissanguarti» affermò il figlio dello sceriffo con quel tono di chi si stava divertendo enormemente nel vederlo così impacciato e all’oscuro di come girasse il mondo per la maggior parte degli esseri viventi del pianeta. «E dovresti anche disinfettarla, potrebbe infettarsi».

Derek gli assestò un’occhiataccia di ammonimento e Stiles ne sorrise animatamente, picchiettando giocoso alcune falangi sulla bocca curvata verso l’alto.

Senza alcun indizio o movimento sospetto gli prese la mano tra la propria e l’avvicinò al viso, cominciando a lavare via quella scia vermiglia con la punta della lingua, cancellando ogni traccia e concentrandosi nel bloccare il piccolo deflusso di globuli rossi sul taglio appena accennato. I sapori di ferro e ruggine lo colsero all’istante, scatenandogli un arricciamento automatico del naso, pizzicato dal retrogusto amaro e poco piacevole.

«Stiles» lo chiamò all’ordine l’uomo con disappunto, aggrottando le sopracciglia e tramutando i suoi tratti da immersi nella conoscenza in severi.

«Che c’è? Tu lo fai continuamente» soltanto che le attenzioni del lupo completo, che risvegliavano certi impulsi in lui, avevano il potere di curarlo; di far sparire qualsiasi cicatrice, insieme al ricordo. Mentre le sue avevano esclusivamente l’intento di provocarlo e dargli una sottospecie di sollievo. O almeno, così sperava.

Derek gli alzò maggiormente il capo con un dito, specchiandosi nelle sue perle di miele autentico, lambendogli le labbra col polpastrello del pollice, da cui trapelava un rivolo del proprio sangue che gli sporcava i cuscinetti rosa incredibilmente audaci.

Legò quella bocca peccaminosa alla propria e l’assaporò con lentezza, delicatamente, fermandosi semplicemente ad entrare maggiormente in confidenza con la consistenza delle labbra, percorrendole con maestria con la lingua per cancellare quella macchiolina scarlatta e farla scivolare dentro la cavità orale più pericolosa dell’intero globo che l’accolse nell’immediato, attirandolo verso di sé ed intensificando quel concatenamento che diveniva più vorace ed affamato, mentre la mano di Stiles si ancorava dietro al suo collo per averlo più vicino e Derek lottava per non andare oltre quel bacio che si stava godendo soltanto con le capacità sensoriali di cui era in possesso in quel momento, dimezzate e non completamente coscienti di tutto ciò che si scatenava sotto la pelle del suo ragazzino.

Un calore scomparso cominciò a picchiettare sui loro volti concentrati l’uno sull’altro e la luce tornò ad accecare il lato rivolto verso quella direzione, con l’oscurità che svaniva velocemente e che esaltava la loro unione.

Stiles interruppe il bacio, respirando sulle labbra del lupo e Derek fece congiungere le due fronti, guardandolo di sottecchi mentre riprendeva fiato.

«La saliva umana è cicatrizzante» disse lo studente di criminologia come unica motivazione per il suo ardimento fuori luogo. «Potevi infettarti, eri senza anticorpi» non sapeva nemmeno se in Derek erano mai stati fatti dei vaccini. Se qualcuno avesse provveduto quando, da semplice ed ingenuo bambino, la sua natura mannara era dormiente.

Derek sorrise, sbuffando nella sua bocca, schioccandogli un nuovo bacio accennato. «Sai sempre come mettermi nel sacco».

L’umano ghignò machiavellico, la volpe che aveva costantemente bisogno di manifestarsi per avere la meglio sul lupo. Il suo lupo. Era una guerra persa in partenza.

Ma all’improvviso Stiles sospirò con sofferenza e rammarico, come se fosse l’artefice di una cattiva azione. «La tua umanità è durata per quattro minuti e quarantasette secondi. Mi spiace che tu l’abbia sprecata così» disse quando i suoi occhi si posarono sul cronometro del cellulare che aveva fatto partire quando il percorso per la sparizione dell’astro solare era cominciato. La luna che aveva la meglio sulla stella che permetteva la vita sulla Terra, rinunciando alla luce di cui beneficiava di riflesso e che le conferiva quell’aura magica e l’attrazione che i lupi mannari vedevano in lei.

Senza la delicata illuminazione del satellite, tutte le creature della notte cessavano di esistere.

«Sprecata?» domandò retoricamente l’uomo, corrugando le sopracciglia e fissandolo intensamente. Ora poteva sentire tutto quello che c'era in Stiles, le sue emozioni e i suoi turbamenti, la completa confusione che persisteva in lui, insieme a sensi di colpa immotivati. «Non ho mai considerato un solo minuto sprecato con te» e certamente passare quell’occasione dedicandosi ad un bacio e non a fissare una ferita che non si sarebbe rimarginata secondo i tempi a cui era abituato, non lo era. «Sono sprecati quando ti sto lontano».

Le pupille nere si dilatarono notevolmente e le labbra si schiusero visibilmente, incerte su come muoversi e rispondere a quello; a qualcosa che Derek gli dimostrava persistentemente, ma a cui non dava quasi mai voce. «Hai in mente un’occasione?» chiese invece, sapendola lunga.

«Molte» due anni interi.

Stiles si morse il labbro inferiore, conoscendo perfettamente le risposte e rimuginò chiuso in se stesso. «Però potevi baciarmi in qualsiasi momento» vivevano insieme da tre anni, condividevano gli stessi ambienti e il medesimo letto, sotto le identiche lenzuola e non sapevano farsi una doccia da soli.

«No» dissentì il lupo completo, sia perché non la vedeva sotto lo stesso punto di vista sia perché Stiles si concentrava costantemente sulle piccole cose a cui Derek non dava minimamente peso. «Ho potuto farlo nel modo in cui è permesso a te».

Stiles strabuzzò gli occhi, non riuscendo a decifrarlo e con il sentore che fosse pronta un’altra dichiarazione. «Cioè?».

«Con il tatto» Derek non aveva nient’altro di così concreto per poter sentire ciò che Stiles provava, il mezzo più vicino che gli desse la possibilità di percepirlo com’era abituato, usando tutti i suoi sensi amplificati. L’essere sprovvisto del suo udito eccezionale, che non gli permetteva di beneficiare del suono del battito cardiaco di Stiles, lo lasciava irrequieto e con un’esperienza al di sotto della metà.

L’umano cadde in un mutismo cadenzato, lasciando il mutaforma nervoso e colto alla sprovvista, non sapendo minimamente come interpretare la sua reazione. «Vuoi dire che mi sto perdendo qualcosa? Che non potendoti sentire come tu senti me, non ti percepisco completamente?».

Quello era esattamente ciò che Derek voleva evitare, quella tristezza immotivata e una consapevolezza che aveva accompagnato spesso il suo ragazzino eterno, rimuginare su qualcosa a cui non doveva nemmeno pensare, a cui non doveva credere. Non esisteva persona ideale e migliore di Stiles che potesse comprenderlo degnamente, senza mai arrancare un colpo. «Mi senti esattamente come ti sento io» gli alzò il viso sporcato da quei tratti facciali sfiduciati ed amareggiati, solleticandogli il mento e portandolo a portata di bacio, senza sporsi minimamente per accorciare e chiudere la distanza. «Abbiamo soltanto due modi diversi per farlo».

Stiles sembrò soppesare le sue parole, leggendo dentro le gemme di giada che aveva dinnanzi e che non lo lasciavano per un solo attimo. Era sempre stato così chiaro, dopotutto. «Non ti piace proprio essere un semplice essere umano, eh, Der?» chiese retoricamente il figlio dello sceriffo, conoscendo nettamente l’esito di quella risposta, disegnando un’espressione di autentico sapere nei lineamenti che andavano di anno in anno a definirsi.

«È tutto quello che conosco» dichiarò il licantropo con sincerità, accarezzando una caviglia del ragazzo.  «È come se fossi sprovvisto di un braccio, avessi gli occhi bendati ed un timpano forato. Sono cieco e sordo» indifeso.

Stiles si piazzò sulle gambe incrociate della creatura della notte, esattamente dove l’avrebbe voluto lei per tutto il tempo, avendo l’opportunità di poterla guardare dall’alto ed avere una percezione differente, annullando il gesto di carineria ed affetto con cui lo stava intrattenendo. «È così che ti sei sentito tutto il tempo quella volta?» quando la caccia a tutte le creature sovrannaturali era aperta ed il Benefattore, sotto mentite spoglie di un inconsapevole Peter Hale, distribuiva denaro a tutti quelli che erano disposti a sporcarsi le mani.

«Non c’era più nulla che riconoscevo. Non potevo difendermi» avvicinò il naso alla sua tempia, inspirando a pieni polmoni l’odore di cui non aveva beneficiato pienamente per quei pochi minuti senza la sua natura di mutaforma. «Non potevo proteggerti».

Stiles scivolò maggiormente tra le cosce del moro, accendendo il suo interesse. «Mi pensavi già allora?».

«L’ho sempre fatto» annunciò il lupo completo, accarezzandogli un fianco nudo sotto la maglietta oltrepassata. «Esattamente come te».

«Che stolti» proferì candidamente lo studente del terzo anno, abbandonandosi contro la fronte dell’uomo conoscitore del pessimo tempismo con cui avevano giocato, finché non avevano deciso di mettergli fine. Avevano perso così tanto tempo a non ammettere cosa c’era tra loro, che Stiles non riusciva tutt’oggi a capacitarsene.

Derek gli regalò un bacio sotto al mento, arrossandogli la pelle diafana con lo strato di barba incolta, circondandogli il bacino con un braccio e Stiles sospirò piacevolmente sopra di lui.

«Ero davvero morto, Stiles» rivelò il lupo mannaro con voce tenue, quasi non fosse importante e l’umano si agitò caoticamente su di lui. «Ero ad un passo dal perdermi per sempre. Ne ero convinto, non vedevo altre vie d’uscita» il figlio dello sceriffo si separò dal suo corpo e Derek vi vide riflessi quei momenti di terrore di quattro anni prima, quando tutto era andato alla deriva e non c’era un punto di ritorno. Quando Derek aveva scelto ancora una volta le priorità di Stiles. «Ma c'era questo stato in sospeso tra di noi e non potevo lasciarti così. Non potevo lasciarti affatto» gli accarezzò la schiena con movimenti ritmici e calcolati, la delicatezza soave che dedicava esclusivamente al suo ragazzino perenne. «Il lupo ha preso il sopravvento per tornare da te» e non era assolutamente programmato, non sapeva nemmeno di esserne capace e che esistesse quella possibilità per lui, ma, alla fine, lo era diventato davvero un lupo. Un lupo a tutti gli effetti, di cui Stiles si innamorò nell’istante in cui Derek glielo mostrò. «Sei l’amore della mia vita, Stiles».

Stiles rimase in silenzio, ammutolito e sopraffatto da tutte quelle emozioni contrastanti e fiammeggianti che si dibattevano dentro il suo organismo e che Derek poteva sentire attraverso l’epidermide e con l’udito sopraffino che si ritrovava. I battiti cardiaci che aumentavano agitati ed il sangue contenuto dentro le vene colorate che scorreva ad una velocità impressionante, insieme alle pulsazioni che martellavano sotto il suo tocco ed i muscoli che si contraevano del tutto opposti al rilassamento dei pochi momenti antecedenti a tutto quello ormai passati.

Le iridi d’ambra brillavano e le pupille scure si erano dilatate, prendendo il sopravvento e Derek ne era rimasto abbagliato perché Stiles riusciva a comunicargli ogni cosa e la sua iperattività si mostrava perfino nelle emozioni; lo lasciava senza fiato e lo inibiva. «Lo sei anche tu, Derek. Sempre».

Derek lo baciò piano, lentamente, con una premura inaudita, quasi a chiedergli il permesso, dedicandosi alla compattezza di quelle labbra carnose che lo facevano ammattire in ogni loro comportamento e Stiles l’accolse senza aspettare, senza dargli quel tempo di contemplazione che il licantropo costantemente voleva, lasciando spazio all’intraprendenza e all’essere irruente, nella ricerca di una sostanza più pressante e con quel gioco di lingue infuocato che si divertivano ad inventarsi; intrecciandosi, esplorandosi ed accarezzandosi, vietando l’ingresso all’ossigeno di cui si dimenticavano, concentrandosi solo sull’altro e su ciò che volevano trasmettere, far conoscere e sottolineare.

Stiles gli aveva circondato il collo con entrambe le braccia e Derek l’aveva innalzato sulle gambe, muovendosi anche lui in una posa non perfettamente equilibrata, andandogli incontro e tenendolo stretto dai fianchi che gli aveva accerchiato, con l’umano che poco dopo si separò dalla sua bocca, respirandogli direttamente sulle labbra che Derek ribaciò in una carezza d’amore.

Stiles liberò un arto da quell’abbraccio di sostegno, andando a legarsi con una mano del mannaro che pressava contro di sé, aprendogli le dita e mostrando un palmo perfetto, senza sbavature o macchie e senza alcuna cicatrice; nemmeno un lontano ricordo. «È guarita» e non c’era alcuna sorpresa nella sua voce, ma solo un’osservazione concreta, la prova di un’umanità spensierata e precaria che era svanita. Era stato un istante di un fulmine a ciel sereno. «Hai altri progetti curiosi per la prossima eclissi, mio lupo masochista?» domandò con scherno farsesco, privo di alcun risentimento o cattiveria, ma con quell’affetto incontrastato che esisteva soltanto per il licantropo dagli occhi blu metallico, che nascondevano un verde rigoglioso. Stiles amava entrambi i due colori in eguale misura.

«Non credo» rispose senza pensarci seriamente, perché conosceva già la risposta e non aveva alcun desiderio da esprimere.

«Potremmo limitarci a guardarla» propose con spensieratezza e senza alcun tornaconto il figlio dello sceriffo.

«Potremmo» appoggiò il mutaforma con la bocca curvata verso l’alto, facendo intrecciare le dita di quella mano che era stata ferita, e che Stiles persisteva a tenere nella sua, con quelle del suo ragazzino immortale.

Ma poi tutti i lineamenti dello studente di criminologia mutarono, divenendo maliziosi e seducenti, con la lussuria giocosa ed abile da volpe adescatrice a cui Derek non riusciva e non voleva resistere, permettendo che lo intrappolasse in ogni singola occasione. «O potresti fare l’amore con me».

«Mh» meditò silenziosamente il lupo completo, come se ci stesse riflettendo seriamente e non fosse accecato dalla voce piena di inibizioni scorrette ed impudenti del ragazzo che sostava sopra le sue gambe. «Le eclissi lunari possono durare cento ore».

«Cento ore?» domandò allibito il ventunenne, strabuzzando gli occhi ed ingigantendoli. «Allora sei obbligato, Der. Non puoi tirarti indietro».

Derek lo alzò di peso dalle cosce, prendendolo alla sprovvista e facendo fuoriuscire un singulto impreparato dalle sue labbra che riecheggiò tra le pareti esterne del palazzo oscuro, depositandolo sulla tovaglia da mare che diveniva conoscitrice di nuovi orizzonti e stendendolo su di essa. «Non è tra le opzioni».

E Stiles rise di gusto, di gioia e contentezza, riempiendo tutto l’ambiente circostante e quel loft intrappolato dai vetri che doveva riempirsi di loro in quelle rare occasioni, che rappresentavano oro colato, che gli concedevano.

L’uomo si avventò su quella bocca rossa che non smetteva di ridacchiare sonoramente, sorridendogli complice e piena di furbizia, e Derek era talmente pieno di certezze e concretezze, che poteva affermare concretamente di non aver gettato al vento la sua seconda opportunità di vita con l’umano subdolo che amava con tutta l’anima.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

È una toccata e fuga, di quelle in cui pensavo di scrivere la metà di quanto è stato riportato.

Niente tragedie, niente drammi e niente lacrime, il che è parecchio strano considerando che l’angst mi scorre nelle vene. Qui sono semplicemente e stucchevolmente carini insieme, con la loro bella vita da coppia che proseguirà in eterno; case, regali e tanta, tanta fiducia che ripongono l’uno nell’altro.

E l’eclissi solare.

Alla fine è soltanto un altro pretesto per vederli interagire tra loro, con le strane idee masochiste del lupo e uno Stiles che, benché non appoggi, gli rimane a fianco e si presta alle sue pazze idee.

La Sterek signori e signore, la Sterek è una cosa incredibilmente preziosa che va protetta.

Ringrazio la mia Beta (EarthquakeMG) che ancora una volta ha dovuto seguirmi e al futuro lavoro che prima o poi le spetterà.

Ringrazio tutti colori che daranno un’occhiata a questa piccoletta, chi le regalerà qualche parola e chi l’aggiungerà un po’ dove desidera.

Alla prossima,

Antys

 

   
 
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