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Autore: Stella Dark Star    28/06/2017    1 recensioni
Per Andrea Pazzi e Lucrezia Tornabuoni è amore a prima vista quando s’incontrano nella basilica di San Lorenzo durante il funerale di Giovanni de’ Medici. Il problema è che entrambi sono sposati e per di più le loro famiglie sono nemiche naturali. Ma questo non basterà a fermarli. Tra menzogne e segreti, l’esilio a Venezia cui lei prenderà parte e il ritorno in città della moglie e i figli di lui, sia Andrea che Lucrezia lotteranno con tutte le loro forze per cercare di tenere vivo il sentimento che li lega. Una lotta che riguarderà anche gli Albizzi, in particolar modo Ormanno il quale farà di tutto per dividerli a causa di una profonda gelosia, fino a quando un certo apprendista non entrerà nella sua vita e gli farà capire cos’è il vero amore.
Consiglio dell'autrice: leggete anche "Delfina de' Pazzi - La neve nel cuore", un'intensa e tormentata storia d'amore tra la mia Delfina e Rinaldo degli Albizzi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo trentuno
Carnevale
 
Erano un gruppo di dodici tra uomini e donne, tutti abbigliati in modo stravagante se non eccessivo, ma comunque in tono con ogni altra persona che si aggirasse per la città. Era Carnevale. In quel gruppo da cui si levavano grida e schiamazzi, facevano da guida Jacopo e Lucrezia, quest’ultima particolarmente raggiante dentro il nuovo abito verde deliziosamente ricamato e con gemme tra i capelli che brillavano alla luce del tramonto.
“Messer Foscari, ma dove ci state conducendo?” Strillò una delle Dame, per poi scoppiare a ridere senza motivo.
Jacopo si voltò e parlò a voce alta per farsi udire da tutti i compagni: “Al Ponte di Rialto, per compiacere la nostra deliziosa Lucrezia!”
Un’altra Dama sfoggiò un visetto imbronciato e obiettò: “Ma perché? E’ solo un ponte. Non c’è nulla con cui divertirsi.”
Lucrezia scambiò un’occhiata di scuse con Jacopo, al quale lui rispose gentile: “Non temete, tra breve saranno talmente ubriachi da non sapere nemmeno dove si trovano!”
Quello scherzo ebbe effetto, Lucrezia lasciò una risata e, riacquistato il buonumore, prese Jacopo a braccetto fin quando giunsero a destinazione. Troppo emozionata per aspettare un istante di più, lo lasciò per correre sul ponte e raggiungere la sua postazione preferita da cui ammirare il panorama.
Jacopo, prima di raggiungerla, si occupò dei suoi ospiti: “Ora che siamo qui, Madame e Messeri, che abbia inizio la festa!” Sollevò le braccia in aria e fece dei gesti rivolti ai servitori che li avevano seguiti portando ceste di viveri e alcuni barilotti di vino: “Riempite i calici e serviteli. Nessuno deve restare con la sete!” Cosa che ci certo non riguardava loro, visto che erano già tutti brilli, comunque quella frase fu accolta da grida entusiaste.
Con occhi che brillavano di meraviglia, Lucrezia stava navigando nella bellezza di tutto ciò che vedeva, dall’acqua del Canal Grande su cui dondolavano dolcemente le gondole che trasportavano gente in ogni dove per festeggiare, ai pittoreschi palazzi che s’innalzavano su entrambe le sponde, fino alle tinte arancio del cielo. E poi ecco che si ritrovò di fronte agli occhi un calice d’argento. Sgranò gli occhi e poi lo prese in mano: “Grazie, Jacopo.”
Lui si sistemò appoggiando un gomito sul parapetto e sorseggiò dal proprio calice, quindi le chiese: “Siete felice?”
Lucrezia assaggiò giusto un sorso di vino e subito poggiò il calice sul parapetto: “Sì. Ed è merito vostro!”
Lui fece un cenno di ringraziamento col capo: “Faccio tutto ciò che è in mio potere per compiacervi, visto che, perdonatemi, vostro marito sembra non curarsi della vostra felicità.”
Non poteva negare quando era chiaro che lui aveva capito tutto. Talvolta Jacopo aveva il potere di leggerle nell’anima e questo era uno dei motivi per cui lei gli era tanto affezionata. Scostò lo sguardo e accennò un sorriso triste: “E’ vero, il mio rapporto con Piero non è dei migliori. Da quando abbiamo lasciato Firenze non lo riconosco più. Si è completamente chiuso in se stesso e, quando rincaso mostrandomi sempre sorridente e allegra nella speranza di contagiarlo, lui reagisce con indifferenza o in malomodo. Senza contare che a volte il suo sguardo spento mi urta i nervi.”
Jacopo non trattenne una risata, per cui si beccò un’occhiataccia che lo rimise subito a posto: “Perdonatemi, ma quelle poche volte in cui l’ho visto sembrava un fantoccio privo di vita e aveva l’espressione che avete appena descritto voi!”
Suo malgrado, anche Lucrezia rise: “Non che prima fosse molto diverso, a esser sinceri!” Cercò di ricomporsi e tornare seria: “Però ha buon cuore. Ci conosciamo fin da bambini e siamo legati da una profonda amicizia, nonostante tutto.”
Jacopo trangugiò il vino in un sol fiato, gli bastò allungare il braccio per riporlo sul vassoio che uno dei servi teneva in mano lì vicino a lui, quindi cambiò posizione e si fece più vicino a Lucrezia. Guardò i suoi occhi chiari illuminati di gioia. Quella ragazza sembrava uscita da un dipinto da quanto era bella. Senza troppa malizia avvicinò una mano e la posò delicatamente su quella di lei. Il tocco gli assicurò la sua attenzione e in un attimo gli occhi di lei si posarono sui suoi. Lucrezia sorrise e mosse le dita sotto la sua mano per fargli capire che il gesto d’affetto era apprezzato. Il momento sembrava propizio, Jacopo stava pensando di fare un tentativo per baciarla, quando una Dama gli cadde addosso a peso morto. Lucrezia si affrettò a sorreggere la donna, evidentemente ubriaca: “Credo che per voi la festa sia finita, mia cara. Avete bisogno di stendervi, non vi reggete più in piedi!”
Uno degli uomini, in condizioni non tanto diverse, si fece avanti: “Sì, Gigliola, stendetevi. A sollevarvi le sottane e fare il resto ci penso io!”
Dal resto del gruppo si levarono risate sguaiate, mentre l’uomo si ‘premurava’ di prendere la Dama sottobraccio per condurla alla taverna giù dal ponte.
Lucrezia li osservò, scuotendo il capo con fare divertito, e solo quando si assicurò che furono entrati nella taverna spostò la propria attenzione su Jacopo. Nel vederlo sporto dal parapetto e con espressione incredula sul volto, si affrettò a chiedere: “State bene?”
Lui scosse il capo: “No. Nello scontro ho urtato il calice che avevate posato sul parapetto. E’ caduto nel canale. Dannazione, mio padre me le suonerà di santa ragione quando lo scoprirà.”
“Suvvia, è solo un calice! Non sarà così severo con voi.”
“E’ d’argento!” Precisò Jacopo, alzando la voce. In quel momento sotto al ponte passò una gondola senza passeggeri che gli diede un po’ di speranza.
“Ehi voi! Fermatevi! Sono Messer Foscari!”
Il gondoliere, sentendo quel nome, ebbe un fremito e si affrettò a fare quanto richiesto. Sollevò il viso verso il ponte: “Servo vostro, Messere.”
“Mi è caduto un calice d’argento, riuscireste a recuperarlo usando il remo?”
“Temo di no, Messere. Non è abbastanza lungo.”
Jacopo lo incitò: “Almeno provateci! Sarete ben ricompensato. Guardate, è caduto in questo punto.” E allungò un braccio verso il basso per indicarglielo.
Non potendo far altro se non accontentarlo, il povero gondoliere si inginocchiò nella gondola ed immerse il remo in acqua più che poté.
“Muovetelo, così avrete più possibilità di urtare il calice. Metteteci un po’ d’impegno.” E continuò così per diversi minuti, frantumando la pazienza del gondoliere che avrebbe tanto voluto poter rispondere per le rime, se non avesse temuto la forca.
“Vi prego, Messere. E’ impossibile ciò che chiedete. Lasciatemi tornare al mio lavoro. Ogni minuto che passa sono clienti e denari persi.” Lo pregò, quasi sull’orlo della disperazione.
Jacopo lo apostrofò severamente: “Pigro di un barcaiolo, hai un bel coraggio a rivolgerti così al figlio del Doge.”
Allora Lucrezia si sentì in dovere d’intervenire: “Jacopo, non servirà a nulla sfogare la vostra frustrazione su quel pover’uomo. Ha fatto il possibile. E’ il momento di guardare in faccia la realtà: il calice è perduto.”
Lui la guardò con tanto d’occhi: “Perduto? Non ditelo nemmeno per scherzo. E’ là sotto che aspetta solo di essere ripescato, ve lo posso giur…” Si bloccò nel puntare lo sguardo in basso, verso l’acqua non esattamente limpida del canale: “Lo vedo. Lo vedo, è là! Gondoliere lo vedete anche voi?”
L’uomo si mise a scrutare tutto agitato le acque in cerca di un qualunque bagliore che potesse indicargli la posizione di quel maledetto calice.
“Siete cieco? E’ proprio lì sotto il vostro naso! Lo vedo bene!” Si sporse ulteriormente dal parapetto e…in un attimo finì nel canale dritto di testa!
Il tonfo richiamò l’attenzione del gruppo, gli otto rimasti corsero su quel lato del ponte per vedere. Lucrezia stessa si sporse preoccupata: “Oh mio Dio, Jacopo.”
Il gondoliere si affrettò ad immergere il remo, gridando: “Messer Foscari, aggrappatevi!”
“Sarà già annegato?” Chiese scioccamente una delle Dame.
Nell’acqua non si vedeva altro che la successione di bolle correre verso l’alto, nessuna traccia di lui, ma per fortuna il gondoliere sentì tirare il remo e li informò: “Si è aggrappato. Lo tiro su.” Facendo appello a tutte le proprie forze, riuscì a tirare fuori dall’acqua Jacopo e farlo salire a bordo dell’imbarcazione.
Aveva i capelli incollati al viso ed era senza fiato, di certo fare il bagno in inverno e dentro l’acqua tutt’altro che profumata del canale non gli aveva fatto bene.
“Oh grazie al cielo è salvo.” Sospirò Lucrezia, portandosi una mano al petto. Poi si rivolse a lui: “Jacopo, state bene?”
Lui lasciò un colpo di tosse, non vedeva l’ora di bere del buon vino per togliersi dalla bocca quel saporaccio di pesce: “Sì.” Riprese fiato, mentre cercava di trovare le forze per sollevare il braccio e, quando vi riuscì, mise in mostra il tesoro ritrovato: “Se il canale fosse stato vino me lo sarei bevuto tutto!”
Mentre tutti applaudivano e si congratulavano, Lucrezia fu l’unica a guardarlo incredula. Come si poteva essere così sciocchi da rischiare la vita per un oggetto? Anche se vedere Jacopo bagnato fradicio e con quell’espressione da beota sul volto, era uno spettacolo veramente buffo. Si portò una mano alle labbra, ma non servì a nulla, dalla sua gola si levò una risata cristallina che in breve contagiò anche il resto del gruppo. Lo stesso Jacopo, inizialmente sorpreso da quella reazione, poi si lasciò andare e si fece una bella risata. L’unico a non osare fu il gondoliere.
Una volta riportato a terra, sfruttando il piccolo molo subito dopo il ponte, a Jacopo venne offerto un mantello con cui coprirsi e le Dame si prodigarono a coccolarlo come un bambino. Il calice fu consegnato ai servitori che lo riposero subito al sicuro e il gondoliere venne ben ricompensato per il tempestivo salvataggio del figlio del Doge.
Nel trambusto generale si udì uno scoppio e in un attimo tutti si zittirono. Una delle Dame alzò il dito verso il cielo: “E’ il segnale! Tra poco avranno inizio i fuochi in Piazza San Marco! Non possiamo perderli.”
Un’altra saltò fuori dicendo: “Ma Jacopo? Non può camminare al nostro passo dopo la brutta avventura che ha vissuto e di certo non possiamo lasciarlo qui da solo.”
“Starò io con lui.” Si fece avanti Lucrezia: “Voi potete andare, se lo desiderate. E i servitori potrebbero precederci a Palazzo Ducale per annunciare il nostro arrivo. Jacopo ha bisogno di trovare abiti caldi e asciutti una volta arrivato.” Scambiò un’occhiata con Jacopo per avere il suo consenso, cosa che lui le concesse facendo un cenno del capo.
Uno degli uomini concluse: “A me sembra una buona idea, ora però dobbiamo affrettarci se non vogliamo perdere l’inizio dello spettacolo.”
I saluti furono molto brevi e, in men che non si dica, loro due si ritrovarono soli. Il sole era ormai scomparso alle loro spalle per lasciar posto alla sera.
“Vi ringrazio, Lucrezia. Avete buona cura di me.” Disse lui per spezzare il silenzio.
Lucrezia si aggrappò al suo braccio e gli sorrise: “Una piccola cosa in confronto a tutto ciò che avete fatto per me. Vi devo molto, lo sapete.”
Camminarono ad andatura lenta per le strade della città, dove gruppi di persone se ne stavano con il naso all’insù per vedere i fuochi colorati che scoppiavano nel cielo. Uno spettacolo magico! Quando infine giunsero a Palazzo Ducale, Lucrezia accompagnò Jacopo fino alle sue stanze private dove venne subito accolto da due servitori armati di coperte. Jacopo era livido dal freddo.
Fermatasi sulla soglia, Lucrezia si stropicciò le mani timidamente: “E’ meglio che io vada. Piero mi starà aspettando.” Una bugia bella e buona, ma d’altronde doveva pur dire qualcosa per andarsene. Era consapevole del fatto che trovarsi lì poteva essere compromettente per lei, le malelingue non risparmiavano nessuno e lei non voleva distruggere il proprio matrimonio per delle falsità.
Dietro ad un paravento e in piena vestizione, Jacopo azzardò: “Sappiamo entrambi che non è vero.”
Incerta sul cosa dire e cosa fare, alla fine Lucrezia batté la scarpetta sul pavimento e farfugliò: “Devoproprioandarebuonaserata.”
Corse via come se avesse il Diavolo alle calcagna e si fermò solo quando raggiunse il porticato subito fuori dal palazzo. Si poggiò spalle al muro e riprese fiato.
Dal Molo alla Piazza era tutto un brulicare di persone, abbigliate nei modi più fantasiosi, che parlavano e ridevano. Era tutto così pieno di vita e colorato che le vennero le lacrime agli occhi per la gioia.
Non si rese conto di essersi persa in quello spettacolo fino a quando non si ritrovò davanti Jacopo, vestito al meglio con abiti caldi e vaporosi e i capelli ben pettinati che un po’ odoravano di legna bruciata.
“Siete rimasta.” Nella sua voce una nota di malizia.
Lucrezia sorrise e fece per rispondere, ma poi un’improvvisa idea la trattenne. Era una follia e poi Jacopo forse non si era ancora ripreso del tutto, ma…perché non tentare? Tenendo lo sguardo fisso sul suo sollevò i lembi della gonna e…fuggì via! Si voltò un istante giusto per vedere il suo sguardo interrogativo ed incitarlo: “Venite a prendermi, Messer Foscari!”
Bastò quel sorriso luminoso a farlo sentire nel pieno delle forze. Sentì una fiamma accendersi in lui e con uno scatto si diede all’inseguimento. Lucrezia si addentrò nella fitta folla della piazza, cercando di schivare le persone, di non calpestare nessuno e soprattutto di non essere calpestata. Di tanto in tanto dava uno sguardo alle proprie spalle per vedere se Jacopo la stava seguendo. Entrambi si stavano divertendo un mondo, anche se scivolare tra la folla non era per niente facile.
Dove aver zigzagato per un po’, Lucrezia pensò bene di uscire da quella ressa e cercò di dirigersi verso un passaggio sotto i portici del lato sinistro. Si voltò e vide che Jacopo stava guadagnando terreno, perciò dovette affrettarsi. Pessima mossa.
“Ahi!” Squittì, quando sentì un grosso stivale schiacciarle il piede. Ma prima che potesse fare alcun che, una Dama la urtò, facendola cadere addosso ad un uomo alto e robusto.
“Oh, vi prego di scusarmi. Io…” Nel rimettersi dritta inciampò su qualcosa e si ritrovò a zoppicare in avanti. In un qualche modo riuscì ad uscire da lì e, una volta raggiunto il porticato, si fermò davanti ad una colonna per riprendere fiato. Si sentiva accaldata. Poggiò le spalle contro la colonna e alzò gli occhi al cielo stellato: “Santo cielo, che avventura!” Rise tra sé, divertita.
Ad un tratto di rese conto di avere un piede infreddolito e, quando sollevò la gonna per vedere cos’era successo, si rese conto di non avere più una scarpa! Scoppiò a ridere: “Oh Dio!”
“Vi sto raggiungendo, mia cara!”
Nell’udire quella voce spostò lo sguardo e vide Jacopo ormai prossimo ad uscire dalla folla. Senza pensarci un attimo, si rimise in fuga. Imboccò il passaggio all’angolo tra i porticati e sbucò sulla strada che costeggiava il canale poco prima che questo sfociasse nella Laguna. Un’altra sbirciata per vedere dove era arrivato Jacopo e si ridiede alla corsa. Il fatto che fra loro non ci fossero più ostacoli, fu fondamentale per Jacopo, che la raggiunse in un batter d’occhio. L’afferrò per il girovita mentre lei stava ancora correndo, quindi la portò di peso fino al muretto di pietra affacciato al canale e lì la intrappolò. Lucrezia stava ridendo di gusto.
Jacopo avvicinò il viso al suo e sussurrò: “E adesso cosa succede?”
Lucrezia placò la risata, ma era così felice che non riusciva a smettere di sorridere: “Ora dovete fare una cosa per me!”
Jacopo inarcò un sopraciglio e chiese malizioso: “Cosa?”
Lei lo osservò cercando di non scoppiare a ridere e dopo un po’ disse: “Temo che dovrete riportarmi a casa in braccio perché ho perso una scarpa e mi si sta congelando il piede!”
Alla fine fu lui a scoppiare in una fragorosa risata. Quella ragazza non smetteva mai di sorprenderlo. Lucrezia sollevò le braccia sulle sue spalle ed intrecciò le dita fra i suoi capelli, in un gesto forse un po’ troppo audace, dato che lui la stava ancora tenendo stretta per il girovita. I loro visi erano molto vicini, sarebbe stato il momento giusto per baciarla. E invece, sobrio e dimentico di ogni cattiva intenzione, Jacopo non fece nulla di scorretto e si limitò ad apprezzare il momento così com’era: perfetto.
  
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