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Autore: effe_95    28/06/2017    1 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
57. Non scapperò più, Posso comprarti? e Provvidenziale.



Maggio

Ivan era immerso nella ripetizione dei classici di greco.
Non era mai stato troppo bravo in quella materia, se l’era sempre cavata con un misero sei a fine pagella, ma quell’anno si era ripromesso di impegnarsi almeno un po’ di più in vista dell’esame. “I sette contro Tebe”  non era una delle sue tragedie preferite, eppure il professor Riva era stato così bravo a spiegare durante l’anno che Ivan aveva deciso di fargli fare quanto meno una figura decente all’orale.
Trecentocinquanta versi non erano moltissimi, no … davvero.
Ivan sospirò con aria afflitta e appoggiò il mento sul quaderno delle traduzioni.
Avrebbe dovuto imparare quei versi durante l’anno, così si sarebbe risparmiato tutta quella fatica a meno di un mese dall’esame.
Solitamente gli piaceva restare il pomeriggio a studiare in aula studio, era un posto tranquillo, anche se i primi tempi ci andava solamente per osservare Italia, aveva scoperto che era davvero un ottimo luogo per studiare.
Quel giorno però l’aula era strapiena di ragazzini del primo e secondo anno che facevano un baccano tremendo, il docente di pattuglia sembrava troppo impegnato a leggere il giornale per dire a quei mocciosi fastidiosi di fare silenzio.
Ivan schiacciò le orecchie con i palmi delle mani e rivolse un’occhiataccia al tavolo incriminato, dove i ragazzini ignari facevano tutto tranne che studiare.
Si accorse solamente qualche secondo dopo che qualcuno aveva occupato il posto davanti al suo, quando lo sconosciuto gli picchiettò con il dito sul dorso della mano per richiamare la sua attenzione.
Ivan ci mise qualche secondo di troppo a togliere le mani dalle orecchie.
Era piuttosto impegnato ad osservare Italia che sistemava con cura i quaderni sul tavolo.
Lei non lo guardava negli occhi, compiva tutte le operazioni necessarie con una lentezza un po’ snervante, mentre lui non poteva far a meno di fissarla come un maniaco.
Era da settimane che non parlavano, che nemmeno si guardavano negli occhi.
Ivan non riusciva davvero a fare a meno di chiedersi se non fosse tutto frutto della sua testa.
Forse Italia non l’aveva chiamato, probabilmente l’aveva solo immaginato.
<< Riesci davvero a studiare con tutto questo chiasso? >>.
Ivan trasalì quando arrivò la domanda, tolse definitivamente le mani dalle orecchie e le incrociò sul tavolo abbassando lo sguardo, aveva il cuore che batteva a mille nel petto ed era piuttosto sicuro di essere arrossito, ma Italia non lo stava guardando e Ivan sperò non decidesse di alzare gli occhi proprio in quel momento.
<< Uhm, giusto qualcosina >> Borbottò riportando l’attenzione sul quaderno.
A quel punto toccò ad Italia sollevare lo sguardo.
Aveva fatto una fatica immensa ad avvicinarsi a lui in quel modo, come niente fosse, ma aveva avuto così tanta paura da non trovare un modo diverso per farlo.
Era solo da poche settimane che non parlavano, ma lei trovava già difficile anche solo avvicinarsi a lui.
Lo aveva perdonato, ne era certa.
Era passata sopra a tutto quello che era successo, il tempo che si era data le era servito per capire quanto realmente tenesse a quel ragazzo.
Quanto realmente avrebbe potuto trovare semplice perdonargli qualsiasi cosa.
Non aveva mai preso in considerazione l’eventualità che lui potesse essersi stancato di aspettarla. Dopotutto l’aveva fatto per ben cinque anni, perché avrebbe dovuto farlo ancora?
Perché farlo quando lei aveva sofferto così poco, quando era stata così egoista?
Italia fu assalita dal panico, ma tentò di controllarlo.
<< Stai studiando greco? >> Domandò guardandolo con il viso pallido e sudato, preoccupata, a differenza del tono di voce che invece era tranquillo e mascherato.
Ivan le sembrava terribilmente bello quel giorno.
Era sempre stato bello, ma Italia cominciò a domandarsi se non fosse la paura di perderlo a renderlo irresistibile ai suoi occhi. Era un tipo di dolore che non aveva nulla a che fare con il narcisismo o altro, Ivan gli sembrava bello in tutti i sensi.
Un’anima bella che aveva tenuto tra le mani senza nemmeno accorgersene.
Aveva i capelli alzati su con la gelatina in maniera disordinata, indossava una maglia a giro maniche che metteva in mostra tutti i tatuaggi, quelli vecchi e quelli nuovi che aveva appena fatto sulle dita delle mani e sul collo.
Ivan aveva sempre detto di detestare il rosso per via della sua pelle pallida, ma lo indossava spesso, anche quel giorno. Si intravedeva un principio di crescita della barba sul mento e aveva come al solito un brufolo sulla fronte, nascosto da qualche ciocca ribelle.
<< Uhm >> Si limitò a replicare lui continuando a tenere lo sguardo fisso sul quaderno.
Italia sentì il proprio cuore sprofondare ancora di più nel petto.
Si morse convulsamente il labbro superiore e spostò lo sguardo sul pacchetto regalo che aveva nascosto sulle cosce mentre svuotava la cartella.
Erano i cd che aveva comprato solo pochi giorni prima.
Voleva darglieli, ma non sapeva se fosse troppo tardi.
La corda si era davvero spezzata?
<< Io ho già imparato tutte le traduzioni a memoria, vuoi che ti sent- >>.
La sua domanda venne bruscamente interrotta dalle risate di tre ragazzine che si erano appena avvicinate al loro tavolo. Dovevano essere tutte e tre del secondo anno, eppure sembravano molto più grandi, guardando il loro trucco pesante o i loro abiti così succinti Italia si sentì stranamente trasandata e fuori luogo.
Quella mattina aveva fatto un codino disordinato per raccogliere i capelli, non si era truccata e non aveva nemmeno avuto il tempo di mettere le lenti a contatto.
Anche lo scamiciato che aveva indossato in quel momento le sembrava sbagliato.
Non aveva mai fatto pensieri simili prima in vita sua, ma quando quelle tre ochette si erano avvicinate ad Ivan ridacchiando come delle stupide, non aveva potuto farne a meno.
<< Ehm, ehm. Scusami? >> Disse una delle tre picchiettando Ivan sulla spalla, Italia le rivolse un’occhiataccia che la tipa non notò nemmeno, quasi lei non esistesse.
Ivan sollevò distrattamente lo sguardo dal quaderno e fissò le più piccole con aria sorpresa, come se si fosse accorto solo in quel momento della loro presenza.
Come se le loro risatine non fossero sufficientemente fastidiose da attirare l’attenzione.
Italia spostò l’occhiataccia su di lui, ma anche Ivan la ignorò.
<< Si? >> Domandò togliendosi un’auricolare dall’orecchio sinistro, Italia lo notò solo in quel momento. Quindi mentre lei parlava lui stava ascoltando della musica?
E perché per parlare con quelle sconosciute toglieva le cuffie?
Italia fu assalita da un moto di nausea che non aveva mai provato prima in vita sua.
<< Ehm, ho sentito dire che i tuoi genitori sono i proprietari dell’Olimpo >> Continuò la ragazzina giocherellando con una ciocca di capelli, Italia si lasciò scappare un risolino non troppo rumoroso. Come poteva provarci così spudoratamente?
<< Si, è vero. E? >> Le rispose Ivan continuando a guardarla come se si aspettasse qualcosa.
<< Vorrei fare la mia festa di compleanno lì, mi daresti il tuo numero di telefono? >>.
Italia stentò dal trattenersi dal ridere, era davvero una pessima scusa.
Ivan sollevò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto.
Sembrava terribilmente intimidatorio in quella posa, Italia riusciva a leggerlo negli occhi rapiti delle sue compagna di scuola, con quei tatuaggi e l’aria da duro doveva sembrare bello e accattivante.
Italia fu contenta di rendersi conto che in realtà lei fosse l’unica a conoscerlo davvero.
Il suo animo puro e buono, la sua indole tranquilla, tutto quello che non si vedeva dietro quei tatuaggi che lo facevano bollare immediatamente come un pianta grane.
<< Perché il mio numero? Posso darti quello del locale >>.
Italia lo amò ancora di più quando lo sentì rispondere in quel modo.
<< Ah, ehm … in realtà io – ecco, io vorrei chiamare te per decidere quando organizzare un giorno per vedere il posto e - >>.
<< È una cosa di cui si occupano i miei. Davvero, devi chiamare >>.
<< Non – non puoi farmi fare un giro tu? >>.
Quando la sconosciuta si piegò in avanti avvicinando il proprio viso ricoperto di cerone a quello di Ivan, Italia perse completamente la pazienza.
Sbatté con violenza un libro sul tavolo, facendo trasalire Ivan e le tre ochette.
<< Adesso basta, eh! Smettila di provarci con il mio ragazzo dannazione! >>.
La diretta interessata si girò a guardarla come se si fosse davvero accorta di lei solo in quel momento, Italia aspettò che la sconosciuta la scansionasse come una macchina e giungesse alle proprie conclusioni.
Quali fossero già lo sapeva, ma non che le importasse poi tanto.
<< Il tuo ragazzo?! >> Domando quella scoppiando a ridere, come se l’idea fosse folle.
Italia strinse più forte il pacchetto che stringeva tra le mani, nascosto ancora sulle gambe sotto il tavolo, poi si accorse che finalmente Ivan la stava guardando.
Non riuscì a fare a meno di sorridere quando lo vide con gli occhi sgranati e la bocca spalancata come un pesce lesso mentre la fissava.
<< Si, il mio fantastico, meraviglioso, strepitoso ragazzo >> Disse continuando a fissarlo negli occhi, e fu come se in un certo senso tutto il resto fosse sparito.
C’erano solo loro due, lì, in quel preciso istante.
E si amavano, e bastava.
<< Potreste – potreste andarvene per favore? >> Mormorò Ivan in direzione delle tre, senza nemmeno guardarle negli occhi. Quelle si allontanarono borbottando qualche insulto.
<< Finalmente ti degni di parlarmi >> Commentò Italia, Ivan fece spallucce.
<< Stavo solamente cercando di capire se stessi sognando oppure no >>.
Italia abbassò lo sguardo per un istante, poi sospirò e tornò a guardarlo con maggiore intensità di quanto non avesse fatto prima.
<< Mi dispiace se mi sono presa tutto questo tempo Ivan, davvero >>.
<< No, non ti biasimo, io – io non avrei mai dovuto mentirti. Non avrei dovuto dubitare di te, né tradire la tua fiducia. Lo so che non c’è niente di peggio di questo, io - >>.
<< Qualcosa di peggio c’è >> Sbottò Italia prendendogli all’improvviso le mani.
Ivan aveva sempre avuto delle mani grandi e ruvide, mani da musicista, e Italia amava intrecciare le loro dita. Le sue erano così piccole che sembravano quasi sparire.
<< La tua indifferenza. Ho pensato che fosse troppo tardi, ho pensato di aver esagerato. Ho rischiato di morire un centinaio di volte prima, mentre ti parlavo >>.
Ivan sgranò gli occhi e rafforzò la stretta delle loro mani.
<< No Italia, no! Io … ho cercato di starti lontano per non sembrare asfissiante. Volevo – volevo darti tutto, tutto il tempo che - >>.
Ivan non riuscì a terminare nemmeno la frase che Italia si sporse in avanti e lo baciò.
Il vociare confusionario nell’aula si fece più mite, ma a loro non importò.
Non importò davvero.
<< Oh, wow >> Mormorò Ivan quando lei lo lasciò andare, Italia ridacchiò.
<< Non lasciamoci mai più >> Dichiarò lei, continuando a stringergli le mani con affetto.
<< Non mentiamo più, non scappiamo più. Non funziona >>.
Ivan la guardò per un istante, poi mise su quel sorriso un po’ infantile che gli faceva uscire le fossette sulle guance, agli angoli della bocca.
Quel sorriso che Italia non poteva fare a meno di amare immensamente.
<< Non mentirò più, non scapperò più. Lo prometto >>.
<< Promettere è pericoloso >> Scherzò lei ridendo con spensieratezza.
Quel giorno indossava gli occhiali con la grossa montatura nera, era da un po’ che non li portava, Ivan fu contento di vederglieli addosso, era una parte di lei che l’aveva fatto innamorare così velocemente il primo giorno di scuola del primo anno di liceo.
<< Mi assumerò i rischi >> Dichiarò lui avvicinandosi nuovamente per baciarla.
<< Oh, ma che frase da macho >> Sussurrò lei quando ormai le labbra di Ivan si trovavano ad un centimetro dalle sue, ma prima che il moro potesse baciarla gli morse lievemente il naso e infilò il pacchetto regalo tra le sue mani.
<< Ma che – Oh >> Ivan ebbe una reazione davvero sorprendente, sgranò gli occhi toccandosi il naso, poi vide il pacchetto tra le mani e sobbalzò come una femminuccia.
<< È solo un regalo Ivan! >> Lo rimproverò Italia faticando a trattenere una risata.
Ivan le rivolse un’occhiataccia, ma si limitò silenziosamente a scartare il regalo.
In trepida attesa per la sua reazione, Italia lo vide prima sgranare gli occhi, poi fissare intensamente la collezione di cd come se fossero un’allucinazione e infine nascondere la faccia tra le mani per nascondere il rossore, l’imbarazzo e la commozione.
<< Ivan! >> Lo richiamò lei con affetto, picchiettandolo sull’avambraccio.
Lui aprì le dita a fessura mostrandole due occhi rossi e lucidi.
<< Ti amo >> Sussurrò tra le mani, con la voce roca, come se fosse un segreto prezioso.
Italia arrossì, ma nascose anche lei il viso tra le mani, lasciando visibili gli occhi dalle fessure.
<< Ti amo anche io>> Sussurrò a sua volta, nello stesso modo.
E scoppiarono a ridere insieme, tra un mucchio di cd e un quaderno delle traduzioni.
 
Che queste braccia sono così stanche
Stanche di respingerti ora
Che queste braccia ti stanno aspettando ancora
 
Federica Carta – Ti avrei voluto dire
 
Quando Lisandro aveva telefonato a Beatrice, era convinto che avrebbe avuto più coraggio.
Sentirla dall’altre parte dell’apparecchio aveva fatto sembrare tutto molto più semplice.
Gli aveva fatto credere di poter fare una cosa del genere senza avere troppa paura, che sarebbe stato veloce come uno strappo di ceretta, doloroso  ma efficace.
Mentre la vedeva avanzare verso di lui sul marciapiede affollato, non ne era più sicuro.
Aveva pensato di mandare un messaggio ad Enea, di dirgli quello che stava per fare, ma conosceva piuttosto bene il suo migliore amico da sapere che non l’avrebbe apprezzato, e poi ricordava ancora bene l’ultima conversazione che avevano avuto.
Solo … non dirmi niente, va bene?
Enea non avrebbe voluto saperlo.
Era l’ultima opportunità di salvare la loro amicizia, non voleva sporcarla.
Quando Beatrice si fece più vicina, la salutò con un sorriso allegro e un cenno della mano.
Non era mai stato molto bravo a nascondere le proprie emozioni, ma si sforzò di farlo quanto meno per non spaventarla.
Lisandro non era sicuro che dopo quella conversazione lei avrebbe continuato a guardarlo nello stesso modo, in realtà non era nemmeno sicuro che lei avrebbe continuato a considerarlo anche solo lontanamente nello stesso modo.
<< Ehi Lisa, sono in ritardo? Scusami >> Beatrice era dolorosamente bella quel giorno, di una bellezza che trascendeva l’aspetto fisico in se, era una bellezza radiosa che veniva direttamente dal suo stato d’animo tranquillo e sereno.
<< Ma no, tranquilla. Senza contare che ti ho chiamato senza preavviso >> Commentò Lisandro grattandosi la nuca, aveva nuovamente rasato i capelli da poco e non poteva più nascondere le dita nelle ciocche. Tentò di non osservarla troppo mentre si sistemava meglio sulla sedia e sollevava i lunghi capelli mettendo in mostra il collo pallido.
<< Oggi fa veramente caldo. Hai già ordinato? >> Domandò lei prendendo il menù del bar.
Lisandro per un istante aveva addirittura dimenticato dove si trovava.
Quello era il suo bar preferito in assoluto, si trovava nella parte vecchia della città, sotto i porticati che a Natale ospitavano tantissime bancarelle e negozi meravigliosi.
Gli piaceva perché era gestito da due persone anziane sposate da quarant’anni.
I proprietari lo conoscevano da quando era un bambino e lo trattavano come un nipote.
Lisandro si morse convulsamente il labbro e sospirò, stava cominciando a pentirsi di aver invitato Beatrice proprio in quel posto, non voleva trasformarlo in un brutto ricordo.
<< No, non ancora. Comunque ti consiglio le granite, le fanno artigianali qui >>.
<< Davvero? >> Domandò Beatrice richiudendo il menù e guardandolo negli occhi, Lisandro tentò di non abbassare lo sguardo << Allora mi fido di te >> Terminò sorridendo.
Lisandro si morse violentemente il labbro inferiore fino a sentire il sapore metallico.
Probabilmente Beatrice se ne accorse perché aprì la bocca per dire qualcosa, ma l’intervento della figlia dei proprietari, una donna minuta ed elegante, lo salvò dall’umiliazione di dover dare una spiegazione al suo palese nervosismo.
<< Ohi Lis, è bello vederti! Ma non dovresti stare a casa a studiare per l’esame? >>.
Domandò la donna prendendolo un po’ in giro, Lisandro rivolse un’occhiata imbarazzata a Beatrice, che sorrise, e si grattò nuovamente la nuca.
<< Si, tra poco torno a casa, promesso! >> Balbettò rosso come un pomodoro.
La donna sorrise e fece l’occhiolino a Beatrice, come se fossero complici.
<< Hai un fidanzato davvero per bene, ma è un vero ciuccio! >> Lisandro rischiò di affogarsi.
<< Non stiamo insieme! >> Si affrettò a commentare buttando le mani in avanti come se dovesse difendersi da un colpo improvviso, Beatrice sollevò le sopracciglia.
La donna li guardò perplessa e scoppiò ancora una volta a ridere.
<< Beh, dovreste allora! Siete così carini che - >>.
<< Vorremmo ordinare due granite alla mandorla per favore, Elisa >>.
La donna sollevò le sopracciglia e mise su un’espressione leggermente delusa che addolcì immediatamente, come se avesse capito solo sentendo quelle poche parole, tutto quello che Lisandro aveva sempre tentato di nascondere e aveva accettato con immensa fatica.
<< Sembra una brava persona, perché non ci fai un pensierino? >>.
Quando Beatrice pronunciò quelle parole dandogli di gomito, una volta che Elisa si fu allontanata con l’ordinazione, Lisandro strabuzzò gli occhi e rimase in silenzio il tempo necessario per sembrare una persona un po’ tarda a cui bisognava ripetere le cose due volte perché le capisse.
<< Stai scherzando?! Ha vent’anni più di me, è sposata e ha anche quattro figli! >>
<< Andiamo Lis, sto scherzando >> La risata di Beatrice fu così cristallina e genuina che Lisandro non ce la fece proprio a fingersi arrabbiato, era troppo impegnato a guardarla.
Avrebbe voluto tirarsi una sberla da solo.
Non avrebbe risolto assolutamente nulla continuando in quel modo.
<< Non è uno scherzo divertente … >> Mugugnò guardandola solo un po’ di traverso, giusto per farla sentire un pizzico in colpa << … figurati se io – Bah! >>.
Beatrice smise di ridere e tornò a guardarlo con quegli occhi grigi tempestosi e pieni di vita, era felice come Lisandro non l’aveva mai vista in tutto quell’anno che avevano trascorso come vicini di banco.
Doveva amare Enea veramente tanto per essere così felice.
<< E che mi dici di Sara? Tu le piaci, si vede >> Lisandro cominciò a pensare che se Beatrice avesse continuato a fargli quelle domande così all’improvviso, sarebbe morto entro pochi minuti, proprio su quella sedia, nel suo bar preferito.
<< Sara?! Ma chi se la prenderebbe mai quella piaga soc- >>.
<< Ehi, non sei un po’ troppo cattivo? E poi, non lo sai ? “Chi disprezza vuol comprare” >>.
Elisa arrivò proprio in quel momento con le loro granite, se Beatrice non fosse stata distratta a trattenere una risata palese, e Lisandro a cercare di non andare in iperventilazione, entrambi sarebbero rimasti colpiti dalla bellezza con cui erano preparati i bicchieri.
Quando Elisa se ne andò rimasero in silenzio per un po’.
<< Oh, questa granita è deliziosa! >> Commentò in fine Beatrice, guardando con sorpresa il cucchiaino che stringeva tra le mani << Il sapore delle mandorle è fortissimo, non sembra proprio che ci sia anche del ghiac- >>.
<< Ti disprezzo >>.
<< -cio. Che cosa hai detto? >>.
Se la situazione non fosse stata disperata come in quel momento, Lisandro sarebbe scoppiato a ridere di fronte l’espressione scioccata di Beatrice, ancora con il cucchiaino sollevato a mezz’aria e il rossetto leggermente sbavato all’angolo della bocca.
Una volta sua madre gli aveva detto che sarebbe stato difficile raccogliere i pezzi.
Quel giorno Lisandro avrebbe lasciato solo polvere.
Non avrebbe lasciato più nulla da raccogliere.
<< Ho detto che ti disprezzo. Questo significa che posso comprarti? >>.
Questo significa che posso amarti?
Ci vollero esattamente cinque secondi perché Beatrice reagisse.
Abbassò prima lentamente il braccio, riponendo il cucchiaino nella granita già in fase di scioglimento, poi lasciò cadere la mano sul tavolo stringendo le dita.
E infine abbassò lo sguardo.
Lisandro strinse le braccia attorno al petto e fece spallucce, ridacchiando lievemente.
<< Lo so che non posso. In realtà, non lo vorrei neppure arrivati a questo punto. Ma una volta qualcuno mi disse che i sentimenti possono diventare una malattia davvero pericolosa se li tieni per te. Possono mandarti in cancrena il cuore. E alla fine, volevo che tu lo sapessi >>.
I loro sguardi si incrociarono di nuovo in una frazione di secondo e vi rimasero come incatenati, era sorprendente come l’atmosfera fosse cambiata in quei pochi attimi.
Era sorprendente come le parole potessero avere quel tipo di potere.
<< Questi sentimenti di cui mi vergogno, questi sentimenti che mi stanno mandando il cuore in cancrena … scusami se te li ho gettati addosso in questo modo. Ma davvero io … non sapevo più che cosa fare per non impazzire >>.
Era strano per Beatrice, aveva sempre trovato le parole da usare per ogni situazione, anche quelle dove di parole davvero non ce n’erano, ma quella volta che avrebbe dovuto esplodere come un fiume in piena non ne aveva nemmeno una.
Non riusciva a fare altro che osservare il migliore amico del suo fidanzarlo parlare d’amore.
E non sapeva come aiutarlo, non sapeva come tirarlo via da quella situazione.
Non sapeva nemmeno se dirglielo, che lei aveva capito tutto da molto tempo.
<< Ti prego, non dirlo ad Enea. Gli ho promesso che - >>
<< Mi dispiace, devi aver sofferto molto per colpa mia >>
Se il tempo si fosse fermato in quell’istante, probabilmente Lisandro avrebbe fatto di tutto per scappare, mentre Beatrice per restare ferma lì dov’era a chiedere perdono.
<< Ah, ah, no – non così tanto, dopotutto è solo una cotta, davvero – ah, ah >>
Lisandro accompagnò la risatina nervosa grattandosi la nuca per l’ennesima volta, con lo sguardo altrove, lo sguardo di chi non è bravo a mentire.
Beatrice mise su un sorrisino triste che per fortuna Lisandro non vide.
<< Mi dispiace davvero però. Scusami >>.
Scusami per aver fatto finta di niente, scusami.
Ma davvero credevo che tu non me l’avresti mai detto.
Credevo davvero di poter far finta di nulla per sempre.
<< Ok no, non fa nulla! Io- beh, suppongo sia già tanto che tu mi rivolga ancora la parola … ah,ah,ah. Adesso io – io devo andare. Ti lascio i soldi qui, puoi pagare tu? Ciao >>.
Beatrice non ebbe modo di fermarlo, ma nemmeno ci provò.
Sapeva che sarebbe stato egoistico da parte sua anche solo dire una parola di conforto, anche solo compatirlo, l’unico regalo che poteva fargli era restare in silenzio.
Era accettare quei sentimenti in qualche modo.
Era sperare che tutto quel peso potesse sparire da quelle spalle gentili, miti e insicure.
Era sperare che Lisandro potesse vivere meglio lasciandola andare.
Beatrice pregò Iddio che quel peso che adesso Lisandro le aveva passato, potesse davvero liberarlo. Dargli la libertà di amare nuovo qualcun’altro.
Rimase seduta al tavolino ancora per una decina di minuti, guardando le loro granite ormai sciolte e le decorazioni floreali appassite.
<< Ehi Lis, ti chiedo scusa se sapevo tutto e ho fatto finta di non vedere. Ma davvero, ero troppo spaventata per affrontarti. Avevo troppa paura di ferirti >>. 
Quelle parole le sussurrò a un fiore, rattristata.
Sperò che un giorno, con il passare del tempo, Lisandro potesse sentirle da lei.
Quando il tempo avrebbe guarito tutte le ferite.
 
<< Pss, ehi, Alješa! Che diavolo hai risposto alla terza domanda di storia? >>.
Aleksej avrebbe davvero voluto ignorare Gabriele di tutto cuore, ma il cugino era seduto proprio dietro di lui e non la smetteva di tirargli calci sotto la sedia, o di picchiettarlo dietro la schiena con la punta acuminata e ben temperata di una matita che aveva preparato apposta, e che non avrebbe mai davvero usato per la simulazione.
<< Quella su Giolitti. Andiamo, Alješa! >> Gabriele bisbigliò il suo nome con tale forza che Aleksej rivolse immediatamente lo sguardo alla cattedra, fortunatamente per loro quel giorno era toccato il professor Riva come supervisore.
<< È la numero tre, devi mettere la crocetta sulla numero tre! >>.
Replicò Aleksej tra i denti, avrebbe perso la concentrazione se Gabriele avesse continuato a torturarlo in quel modo, ne era certo. Guardò con aria afflitta le domande di matematica,  cominciò a risolvere il primo esercizio quando Gabriele gli mollò un altro calcio, proprio sulla caviglia scoperta.
A quel punto successero un po’ di cose contemporaneamente.
<< Mi hai fatto male deficiente! >>
Sbottò Aleksej ad alta voce, ormai completamente privo di pazienza. Il professor Riva sollevò lo sguardo dal libro di greco con espressione sorpresa e Giasone saltò in piedi come un grillo correndo verso la porta mentre si stingeva la pancia tra le mani.
Il professore saltò in piedi per seguirlo, e a quel punto scoppiò il finimondo.
Aleksej non si accorse nemmeno dello schiaffo che Gabriele gli diede dietro la nuca.
Era troppo impegnato ad osservare il caos che regnava nella sua classe.
Vide Romeo scattare in piedi e dirigersi verso la porta, pronto a fare il palo.
<< Catena, mi serve la risposta tre e quattro di storia, più gli esercizi di matematica! >>
Disse Romeo concitatamente, mentre osservava con occhio vigile il corridoio per vedere se qualcuno stesse passando o se il professor Riva avesse deciso di tornare.
Catena si fiondò sul banco dell’amico e cominciò a rispondere febbrilmente a tutte le domande che Romeo aveva lasciato in bianco.
Contemporaneamente Aleksej vide Telemaco e Igor litigare furiosamente.
Il moro continuava a stringere la prova al petto scuotendo la testa come un forsennato, mentre Telemaco provava in tutti i modi a strappargliela di mano, imprecando come un marinaio contro il suo migliore amico.
<< Dobbiamo solo scambiarci i fogli Igor! Non se ne accorgerà! >> Strillava Telemaco.
<< Si, se ne accorgerà eccome! >> Replicava Igor in preda alla nausea.
Lo sguardo di Aleksej venne poi distratto dalle ragazza, erano decisamente le più discrete.
<< La prima di arte è Caravaggio giusto? >> Domandava Beatrice spulciando le sue risposte.
<< Non è Canova? >> Replicava Sonia aggrottando le sopracciglia.
<< No, no è Caravaggio, ne sono certa >> Rispondeva in replica Miki.
E andarono avanti in quel modo anche con le domande delle altre materie.
<< Ah, la diarrea di Giasone è stata provvidenziale! >>.
Aleksej trovò il commento gioioso di Zosimo completamente fuori luogo.
Il folletto si era addirittura accovacciato sul banco di Cristiano e stava copiando tutte le risposte dell’amico, che nel frattempo invece aveva abbandonato la sua postazione per andare a vedere cosa stesse combinando Sonia.
I due litigavano, lei furiosamente, lui con più pacatezza, su quale fosse il corretto risultato di un esercizio di matematica sui limiti.
<< Ti dico che non è così! >>.
<< Si che è così invece! Ma tu perché sei venuto a rompere le scatole proprio a me!? >>.
<< Pensa a correggere piuttosto >>.
Aleksej scosse la testa e decise di non perdere altro tempo, era a conoscenza della spudoratezza con cui i suoi compagni di classe copiavano ad ogni compito, ma ogni volta la cosa lo lasciava sostanzialmente basito.
Lui non aveva mai avuto bisogno di copiare nulla.
Spostò lo sguardo sul suo banco per terminare gli esercizi di matematica, ma non trovò più il foglio. Come gliel’avevano sottratto senza che lui se ne accorgesse?
Controllò prima che non fosse volato da qualche parte, ma non lo trovò.
Poi ispezionò per bene sotto il banco, ma nulla.
<< Ohi, dov’è il mio compito? >> Esclamò a gran voce tirandosi in piedi, ma erano tutti così presi dal copiare furiosamente che nessuno gli prestò ascolto.
Sospirò affitto, deciso a controllare i banchi di tutti, quando sentì tossicchiare si girò verso Gabriele, che sembrava molto più rilassato di quanto non fosse stato prima.
<< Puoi finire matematica per favore? Mi manca solo quella da copiare. >>
Aleksej fulminò il cugino con lo sguardo mentre lo vedeva restituirgli il compito con tutta la calma possibile. Gabriele fece spallucce e lo incitò ad affrettarsi.
<< Che c’è? Tu eri distratto e ne ho approfittato >> Si giustificò sbadigliando.
Aleksej fece per replicare qualcosa, ma proprio in quel momento Romeo diede l’allarme.
<< Stanno tornando, svelti! >>.
In men che non si dica, prima che Aleksej avesse il tempo di sedersi e riprendere la penna in mano, nell’aula tornò tutto in ordine e calò un silenzio di tomba, come se nessuno avesse mai lasciato il proprio posto o alzato la voce o fatto baccano.
Quando il professore rientrò il calasse con l’aria trafelata, come se si fosse reso conto solo in quel momento di aver lasciato l’aula incustodita, e si ritrovò davanti la classe composta, emise un sospiro di sollievo.
Dietro di lui Giasone non sembrava stare molto bene, era pallido.
Tuttavia Aleksej ebbe come la sensazione che perfino lui avrebbe preso un voto alto a quella simulazione della terza prova, poco prima che il professore ritornasse aveva intravisto con la coda dell’occhio Italia e Ivan completare anche il suo compito.
Aleksej si ritrovò a sorridere mentre passava di nascosto la prova finita al cugino.
La sua era una classe di matti ed imbroglioni, ma non gli importava.
Adorava la sua classe con tutti quei difetti, anche se non l’avrebbe ammesso mai ad alta voce.
 
 
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Effe_95
 
Buon pomeriggio a tutti :)
Questa volta ho fatto molto più in fretta vero? Sono proprio fiera di me u_u (questo dovrebbe dirvela lunga su di me xD). Comunque ad ogni modo, mi rendo conto che probabilmente questi ultimi capitoli stanno risultando un po’ pesanti, ma è la conseguenza del fatto che tutti i nodi stanno lentamente andando al pettine.
Cercherò comunque ad ogni modo di lasciar sempre la vena ironica nel tragico, promesso.
Per quanto riguarda questo capitolo in particolare, spero che vi sia piaciuto.
Non lo dico spesso, anzi, non lo dico praticamente mai, ma sono contenta di come sia venuto.
Sono contenta in particolar modo della terza e ultima parte, volevo dare l’idea di una scena frenetica ma al contempo divertente e credi in parte di esserci riuscita.
E poi questo vi da un assaggio di come saranno gli esami ;)
Per quanto riguarda Lisandro e Beatrice sono proprio curiosa di sapere cosa ne pensate.
Per loro ho in mente un altro breve confronto più avanti, ma avevate sospettato che Beatrice avesse capito tutto? Avevo lasciato degli indizi, ma non so …
Grazie mille come sempre a tutti per il sostegno, sembrerà banale ma per me è davvero importante. Non mi importa che il numero delle visite o delle recensioni sia calato, sapere che comunque continuate a seguirmi dopo tutto questo tempo e con la stessa dedizione per me è un motivo sufficiente per dare tutta l’anima, ogni singola briciola delle mie possibilità.
Detto questo, e dopo essere stata infinitamente melensa, grazie di cuore.
Alla prossima spero :)
 
 
 
 
 
 
 
  
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